Si rammenta che, secondo la giurisprudenza della Corte, promuovere la questione di legittimita' costituzionale con sentenza, anziche' con ordinanza, «non comporta la inammissibilita' della questione, posto che, come si desume dalla lettura dei due atti di promovimento, nel sollevare la questione di legittimita' costituzionale, il giudice a quo - dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza della stessa - ha disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di questa Corte; sicche' a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza, deve essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformita' a quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87» (sent. n. 151 del 2009). Corte costituzionale, 08/05/2009, n. 151, pubblicata ed annotata su Giur. cost. 2009, 3, 1656 (note di Manetti e Tripodina) Massima Nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 2 e 3, legge 19 febbraio 2004 n. 40, va disattesa l'eccezione di inammissibilita' formulata sul rilievo che il rimettente ha sollevato le questioni con sentenza anziche' con ordinanza. Invero, posto che il giudice "a quo" ha disposto la sospensione del giudizio principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria della Corte costituzionale, all'atto, pur formalmente definito "sentenza", deve essere riconosciuta natura di ordinanza (sent. n. 452 del 1997). Con riferimento all'intervento nel giudizio in via incidentale cfr. nota redaz. alla sent. n. 128 del 2008. Poi, cfr. sentt. nn. 393 del 2008, 38, 43, 94 e 100 del 2009. Si rammenta che secondo la giurisprudenza della Corte, sollevare questione di legittimita' costituzionale con sentenza anziche' con ordinanza «non comporta inammissibilita' della questione, posto che, come si desume dalla lettura dell'atto, nel promuovere questione di legittimita' costituzionale, il giudice a quo ha disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria della Corte costituzionale, si' che a tale atto, anche se autoproclamantesi "sentenza", deve essere riconosciuta natura di "ordinanza", sostanzialmente conforme a quanto previsto dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953 (sent. n. 452 del 1997)». Sull'inammissibilita' per insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, per difetto di motivazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza si leggano i richiami contenuti nella nota all'ordinanza n. 113 del 2009 (cfr., ex plurimis, le ordinanze nn. 115 e 122 e le sentenze nn. 125, 127, 133, 135, 138 e 146 del 2009). Sui problemi e i profili della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, cfr. i richiami contenuti nella nota alle ordinanze n. 31 del 2008; poi cfr. le pronunce nn. 41, 47, 48, 68, 69, 80 e 118 del 2008, 39, 46, 58, 64, 71, 77, 82, 90, 91 e 95 del 2009. Si ricorda, altresi', che «ai fini dell'ammissibilita' di una questione di costituzionalita', sollevata nel corso di un giudizio dinanzi ad un'autorita' giurisdizionale, e' necessario, fra l'altro, che essa investa una disposizione avente forza di legge di cui il giudice rimettente sia tenuto a fare applicazione, quale passaggio obbligato ai fini della risoluzione della controversia oggetto del processo principale». Si rappresenta, inoltre, che e' ammessa la possibilita' «che siano sollevate questioni di legittimita' costituzionale in sede cautelare, sia quando il giudice non provveda sulla domanda, sia quando conceda la relativa misura, purche' tale concessione non si risolva nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale in quella sede il giudice fruisce (sent. n. 161 del 2008 e ordd. nn. 393 del 2008 e 25 del 2006)». In tema di controllo sulla ragionevolezza, parlano chiaro le sentenze n. 11 del 2008, a cui adde: le sentenze nn. 18, 27, 41, 70, 72, 92, 96, 102, 120, 139, 167, 169, 170, 182, 202, 204, 219, 241, 254, 258, 288, 298, 305, 306, 309, 324, 338, 364, 377, 399, 401, 424, 448 del 2008, 23, 24, 27, 32, 33, 40, 55, 87, 94, 109, 121 e 140 del 2009. Sulla tutela della salute, cfr. i richiami contenuti nella nota alla sentenza n. 134 del 2006 (a cui adde: le sentenze n. 343 del 2006, nn. 50, 105, 110, 116, 162, 188, 240, 339, 430 del 2007; 48, 76, 271, 306, 354, 371 e 438 del 2008; 49, 94 e 99 del 2009, sono eloquenti ed indiscutibili. Infine, si precisa che il giudicante non ignora affatto le statuizioni parantetrali dell'art. 6 del decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585 (pubblicato sulla G.U. - Serie generale - 21 ottobre 1994, n. 247), recante il "Regolamento d'approvazione della delibera del Consiglio nazionale forense in data 12 giugno 1993, che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennita' spettanti agli avvocati [ed ai procuratori legali: categoria professionale abolita per effetto degli articoli l e 3 della legge 24 febbraio 2007, n. 27] per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e quelle stragiudiziali", riprodotte integralmente nel decreto ministeriale 8 aprile 2004, n. 127 (pubblicato sul Supplemento ordinario n. 95/L alla G.U. - Serie generale - 18 maggio 2004, n. 115), in applicazione degli articoli 57, 61 e 64 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, istitutivi, appunto, del "sistema ordinistico", come insegna la recentissima sentenza della II Sezione civile della Cassazione 2 marzo 2012, n. 3889 (Presidente Pres. di Sez. Cons. dott. Olindo Schettino, relatore ed estensore Cons. dott. Cesare Antonio Proto - P.M. S.P.G. dott. Rosario Giovanni Russo: conclusioni conformi), sulla scorta della ben nota pronuncia del S.C. 31 maggio 2010, n. 13229, secondo cui l'art. 6 della T.F. approvata con decreto ministeriale ult. cit., al primo comma, stabilisce che nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente il valore della causa e' determinato a norma del c.p.c. (ossia con riferimento alla domanda nel momento in cui la stessa e' proposta, tenuto conto del richiamo di cui agli artt. 10 e 14), ma i successivi commi secondo e quarto, nella liquidazione degli onorari a carico del cliente introducono un criterio correttivo per il quale ai sensi del primo capoverso si prescrive che "nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, puo' aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile"; ai sensi del terzo capoverso "Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia, deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti". Il secondo comma introduce, quindi, il principio di adeguatezza e di proporzionalita' degli onorari rispetto all'attivita' prestata dal legale: tale principio costituisce la regola generale nella liquidazione degli onorari e, percio', trova applicazione anche per quanto riguarda gli onorari a carico del soccombente quando non vi sia coincidenza fra il disputatum e il decisum (Cassazione Sezioni Unite civili, sentenza n. 19014/2007). "Questa Corte - scrive l'estensore della cit. sentenza del 2012 - ha gia' affermato il principio, al quale qui deve darsi continuita', per il quale nel caso di liquidazione degli onorari a carico del cliente, il giudice di merito deve stabilire, tenuto conto dell'attivita' difensiva del legale e delle peculiarita' del caso specifico, se l'importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all'effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita, perche' in tali casi - a prescindere dai profili di responsabilita' ascrivibili al professionista - il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non puo' essere considerato corrispettivo della prestazione espletata stante la sua obiettiva inadeguatezza rispetto alla attivita' svolta (Cass. 31 maggio 2010 n. 13229). Nel caso di specie e nella sentenza impagnata il giudice a quo ha reso una pronuncia in linea con il suddetto principio, avendo osservato che occorreva fare riferimento al valore effettivo della controversia se diverso da quello presunto a norma del c.p.c. e che, in concreto, il valore effettivo era inferiore perche' non poteva tenersi conto della richiesta di condanna al maggior danno da ritardo nell'adempimento che non aveva ricevuto dimostrazione. La dedotta violazione degli artt. da 57 a 61 e 64 della legge professionale del 1934 non sussiste in quanto le suddette norme fissano i criteri generali per la liquidazione e, in particolare l'art. 57 stabilisce che i criteri per la determinazione degli onorari e delle indennita' dovute agli avvocati in materia penale e stragiudiziale sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Sebbene, tuttavia, la regola generale teste' descritta non appaia abrogata dai commi 1° e 5° del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, essa non sostituisce le "tariffe forensi" abrogate, a cui si riferisce esplicitamente l'art. 6 del d.m. cit., ne' tiene luogo temporaneamente dei parametri, da introdurre con il decreto ministeriale evocato sia dal decreto-legge, sia dalla legge di conversione di esso con modificazioni ultimi cit., perche', appunto, norma criteriologica generale, non conformativa di dettaglio: lex generalis in legem specialem non mutat (Gugliemo Durante). Scrive su Altalex Raffaele Plenteda, a commento della sentenza della S.C. 31 maggio 2010, n. 13229: In definitiva, alla determinazione del valore della causa ai fini della liquidazione degli onorari e' dedicato l'art. 6 delle Tariffe Forensi e, con la sentenza n. 13229 del 31 maggio 2010, la Corte di Cassazione si preoccupa proprio di fare chiarezza sull'interpretazione di tale disposizione. L'art. 6 del D.M. 8 aprile 2004 distingue due casi, per ciascuna dei quali fissa un distinto criterio. Il primo caso, previsto dal primo comma della disposizione, riguarda l'ipotesi di liquidazione degli onorari da porre a carico della controparte soccombente: qui, viene enunciato il principio generale in virtu' del quale "il valore della causa e' determinato a norma del Codice di Procedura Civile". Il secondo caso, invece, riguarda l'ipotesi in cui si tratti di liquidare gli onorari da porsi a carico del cliente e non della controparte soccombente. Il secondo comma dell'art. 6, per tale evenienza, prevede che "puo' aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del Codice di Procedura Civile". Il successivo quarto comma specifica ulteriormente che "per la determinazione del valore effettivo della controversia, deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti". In termini generali, il principio enunciato dalla norma e' che, per gli onorari destinati a gravare a carico del cliente, in sede di determinazione del valore della controversia, il dato concreto e reale deve prevalere sull'elemento formale e presuntivo. Cio', in particolare, nell'ipotesi in cui il valore desumibile dall'applicazione dei criteri "formali" dettati dal codice di procedura civile sia "manifestamente diverso" da quello effettivo, individuato valutando gli interessi concreti delle parti in causa. Il problema, allora, ruota tutto intorno all'interpretazione dell'espressione "manifestamente diverso", a cui fa ricorso l'art. 6 delle "Tariffe Forensi". Nella sentenza in commento, i Giudici di Piazza Cavour, hanno ritenuto doveroso superare quello che abbiamo definito "criterio formale" di determinazione del valore a favore del "criterio sostanziale", nel caso in cui emerga una sproporzione evidente inter petitum et decisum, ossia allorche' vi sia una sproporzione evidente tra quanto richiesto dalla parte e quanto, poi, sia effettivamente assegnato con la decisione. E' interessante rilevare che le locuzioni "sproporzione evidente" e "manifestamente diverso" denotano concetti che non postulano necessariamente una sproporzione eccessiva ma, piu' semplicemente, una differenza oggettivamente riscontrabile. In effetti, dunque, la diversita' tra valore effettivo e valore presunto della controversia e' manifesta e, quindi, rilevante ai fini della determinazione "a ribasso" dello scaglione da applicare nella determinazione degli onorari da porre a carico del cliente, tutte le volte in cui la quantificazione della pretesa azionata (si pensi, soprattutto, alla richiesta di risarcimento danni) sia ingiustificata, ossia il risultato di un'operazione non ancorata ad alcun parametro, oggettivo o anche solo equitativo, compiuta arbitrariamente dall'avvocato". Ecco spiegati i vani tentativi e le acrobatiche elucubrazioni interpretative degli addetti ai lavori, a cui si e' assistito finora nel corrente anno.