Ricorso  della  Provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona del
presidente   della  giunta  provinciale  protempore  Lorenzo  Dellai,
autorizzato con deliberazione della giunta provinciale n. 2011 del 30
agosto  2004  (doc.  1),  rappresentata  e  difesa  - come da procura
speciale  del 30 agosto 2004, n. rep. 26159, rogata dal dott. Tommaso
Sussarellu,  ufficiale  rogante  dalla  provincia  stessa  (doc. 2) -
dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi
di  Roma,  con  domicilio  eletto  in Roma presso lo studio dell'avv.
Manzi, in via Confalonieri, 5;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione  che  non  spetta  allo Stato di dettare, in materia di
competenza provinciale, norme sostanzialmente regolamentari, operanti
anche   nella   provincia   di   Trento,   e   di  attribuire  poteri
amministrativi  ad  organi statali, e per il conseguente annullamento
del  decreto  del Ministro della salute 31 maggio 2004, requisiti che
devono   possedere   le   societa'  scientifiche  e  le  associazioni
tecnico-scientifiche  delle  professioni  sanitarie, pubblicato nella
Gazzetta   Ufficiale  n. 153  del  2  luglio  2004,  per  violazione:
dell'art.  8,  n. 1)  e a 29), dell'art. 9, n. 10) e dell'articolo 16
del   d.P.R.   31   agosto   1972,  n. 670  e  delle  relative  norme
d'attuazione;  degli  artt.  2  e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266;
dell'art. 117, commi 3, 4 e 6, e dell'art. 118 della Costituzione, in
collegamento  con  l'art.  10  della  legge costituzionale 19 ottobre
2001,  n. 3;  dei  principi  di  leale  collaborazione  e di certezza
normativa.

                              F a t t o

    La   Provincia   autonoma  di  Trento  e'  dotata  di  competenza
legislativa  concorrente  in  materia  di  sanita'  e  di  competenza
primaria  in  materia di «formazione professionale» e di «ordinamento
degli  uffici  provinciali  e del personale ad essi addetto» ai sensi
dell'art. 9.  n. 10)  e  dell'art.  8,  n. 29) e n. 1), dello Statuto
speciale. In tali materie ora l'art. 117 della Costituzione riconosce
alle   Regioni  ordinarie  una  maggiore  autonomia,  in  quanto  non
sussistono  piu'  i  limiti  delle  norme  fondamentali delle riforme
economico-sociali  (sent.  n. 274/2003)  e  dell'interesse  nazionale
(sent.  n. 303/2003),  salvi  i condizionamenti derivanti dai compiti
«trasversali»  di  cui  all'art.  117,  comma  2.  Dunque,  In virtu'
dell'art. 10  legge  costituzionale n. 3/2001, anche per la Provincia
autonoma  di  Trento  si  puo'  fare  riferimento, per i limiti della
potesta'   legislativa   in   materia  di  sanita'  e  di  formazione
professionale,  al  Titolo V della Costituzione. Dall'art. 117, comma
3,  della  Costituzione e dall'art. 10 legge costituzionale n.3/2001,
poi,  risulta  che  la  provincia e' titolare di potesta' legislativa
concorrente in materia di «professioni».
    Nelle  materie  della sanita' e della formazione professionale le
funzioni  amministrative sono state trasferite con il d.P.R. 28 marzo
1975, n. 474, con il d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, con il d.P.R. 1°
novembre  1973,  n. 689,  nessuno  dei  quali  riserva  allo Stato le
funzioni  di  definizione dei requisiti delle societa' scientifiche e
di riconoscimento delle societa' stesse.
    La  competenza  provinciale  in materia di formazione nel settore
medico  ha  trovato  riconoscimento  in  alcune  pronunce della Corte
costituzionale (n. 406 del 2001, n. 510 del 2002, n. 316 del 1993).
    Il   decreto  qui  impugnato  interviene,  essenzialmente,  nella
materia  della  formazione  professionale,  nella  quale  rientra  la
formazione  specifica in medicina generale (v. sentt. n. 316 del 1993
e  n. 354  1994).  Esso  puo'  considerarsi interferente anche con la
materia  dell'organizzazione  sanitaria  (per  cio'  che  riguarda la
collaborazione   delle   societa'  scientifiche  con  le  istituzioni
sanitarie),  nella  quale  pure  la Provincia autonoma di Trento deve
considerarsi  titolare  di  potesta'  primaria.  Infatti,  la materia
«tutela  della  salute» viene intesa come non comprensiva dei profili
organizzativi,  che  vengono invece ricondotti all'art. 117, comma 4:
in  questo  senso  si  e' espressa la circolare dello stesso Ministro
della  salute  17  gennaio  2002, n. 1 (doc. 3) e anche codesta Corte
costituzionale ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse nel
giudizio relativo al d.lgs. n. 229/1999 prendendo atto del fatto che,
in  materia di organizzazione sanitaria, «con la riforma del Titolo V
il quadro delle competenze e' stato profondamente rinnovato e in tale
quadro   le  regioni  possono  esercitare  le  attribuzioni,  di  cui
ritengano  di  essere  titolari»  (sent.  n. 510/2002,  punto  4  del
Diritto).
    Nelle  premesse del decreto si richiama l'art. 16-ter del decreto
legislativo  30 dicembre 1992, n. 502, che «prevede la definizione da
parte  della  commissione  nazionale  per  la formazione continua dei
requisiti   per  l'accreditamento  delle  societa'  scientifiche  che
svolgono  attivita' di formazione continua», si ricorda che «non sono
previsti  dalle leggi vigenti specifici requisiti per la costituzione
delle  societa'  scientifiche  dell'area  sanitaria»  e  si  afferma,
dunque,  l'opportunita'  «di  definire  i requisiti essenziali che le
societa'  scientifiche  devono  possedere  per svolgere le richiamate
attivita» (formative e di collaborazione con le istituzioni pubbliche
competenti   in  materia  di  sanita)  «con  particolare  riferimento
all'attivita'    formativa   nell'ambito   del   programma   ECM   ed
all'attivita' di collaborazione nei confronti degli organi centrali e
regionali  e delle istituzioni e degli organismi che operano nei vari
settori  di attivita' sanitarie» (la sigla ECM indica le attivita' di
Educazione  continua in medicina). Inoltre, il decreto precisa che il
potere di riconoscimento (previa verifica del possesso dei requisiti)
deve  spettare al Ministro della salute (cioe' allo stesso autore del
decreto),  «in  ragione del ruolo che le societa' scientifiche devono
svolgere   nell'ambito   del   sistema  sanitario  italiano  e  delle
implicazioni  che  il contributo culturale e scientifico dello stesso
puo'  comportare  per  lo  sviluppo  e  la  qualita'  delle attivita'
sanitarie  e  mediche  del  Paese».  Infine, il decreto rimette «alla
disciplina generale, che sara' stabilita dall'intesa fra il Ministero
della  salute e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano
ai  sensi  dell'art. 8. comma 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131, di
definizione  dei  requisiti e delle modalita' di accreditamento delle
societa'   scientifiche   in   qualita'  di  provider  di  formazione
residenziale e a distanza».
    Nella  parte  dispositiva  del  decreto, l'art. 1 stabilisce che,
«per poter svolgere le attivita' di collaborazione con le istituzioni
sanitarie  e  le  attivita'  di aggiornamento professionale di cui in
premessa,   le   societa'   scientifiche  dei  medici-chirurghi,  dei
veterinari  degli  odontoiatri,  dei  farmacisti  e  le  associazioni
tecnico-scientifiche  dei  professionisti  sanitari delle professioni
infermieristiche,  tecniche, della riabilitazione e della prevenzione
devono essere riconosciute con decreto del Ministero della salute».
    Il  comma  2  estende  tale necessita' alle societa' scientifiche
«degli  psicologi,  dei biologi, dei fisici e dei chimici, costituite
da   professionisti  che  svolgano  in  via  esclusiva  o  prevalente
attivita'  sanitaria».  Il comma 3 fissa i requisiti necessari per il
riconoscimento.
    L'art. 2  e  l'art. 3  stabiliscono  ulteriori  requisiti, mentre
l'art. 4 da' una possibilita' di deroga temporanea.
    L'art.  5,  comma  1,  dispone che «le societa' scientifiche e le
associazioni  tecnico-scientifiche  per poter essere accreditate come
provider  ai  fini  del  programma  ECM devono essere preventivamente
riconosciute  ai  sensi  del  presente  decreto  e  devono  essere in
possesso  dei  requisiti  per  l'accreditamento che saranno stabiliti
dall'intesa  fra il Ministero della salute e le regioni e le province
autonome  di  Trento  e  Bolzano  ai sensi dell'art. 8, comma 6 della
legge  5  giugno  2003,  n. 131».  Il  comma  2  riprende quanto gia'
risultante dall'art. 1, comma 1.
    L'art.  6  regola  la procedura di riconoscimento, statuendo che,
«per  essere  riconosciute ai sensi del presente decreto, le societa'
scientifiche  e  le associazioni tecnico-scientifiche devono produrre
istanza  al  Ministero  della  salute - Dipartimento della qualita' -
Direzione generale delle risorse umane e delle professioni sanitarie,
con  allegata idonea documentazione sul possesso dei requisiti di cui
all'art.  1»;  le  domande  delle  societa' medico-scientifiche «sono
trasmesse  tramite  la FISM, che provvede all'istruttoria preventiva»
(comma   1).   Dal   comma  2  risulta  che  «all'accertamento  della
rappresentativita' dei professionisti attivi nella specializzazione o
disciplina  o  specifica  area  di  esercizio  professionale provvede
l'ordine  o  collegio  professionale, d'intesa con il Ministero della
salute,  e, per le categorie prive di ordine o collegio, il Ministero
della   salute».   Il   Ministero   provvede  sulla  domanda  «previa
acquisizione del parere di una commissione costituita con decreto del
Ministero  della salute con la partecipazione di rappresentanti delle
regioni,  degli  ordini  e collegi professionali e delle associazioni
professionali  delle  professioni  tecniche,  della  riabilitazione e
della  prevenzione,  nonche'  della  FISM»  (comma  3).  La Direzione
generale   delle  risorse  umane  e  delle  professioni  esercita  la
vigilanza e la periodica verifica dei requisiti (comma 4). Il comma 5
riguarda    le    societa'    scientifiche    e    le    associazioni
tecnico-scientifiche   gia'   esistenti:  esse  «devono  chiedere  il
riconoscimento  entro  tre  mesi  dalla data di entrata in vigore del
presento decreto».
    Infine,  l'art. 7  dispone  che  «il  venir  meno  di  uno o piu'
requisiti   di   cui   all'art.   1...   determina   la   revoca  del
riconoscimento»,  e  che  la  revoca  «e'  disposta  con  decreto del
Ministro della salute, sentita la commissione di cui all'art. 6».
    Il  d.m.  31 maggio 2004 non menziona specificamente la provincia
autonoma  di  Trento  ne' contiene una clausola di salvaguardia delle
competenze  delle  regioni  speciali.  Il  contenuto  complessivo del
decreto,  comunque,  e'  tale  che  esso  risulta  rivolto anche alle
province autonome, in modo tale da pretendere immediata applicazione.
Per questo motivo, si rende necessario impugnare un atto ministeriale
che  - in materia di indubbia competenza regionale e provinciale - e'
stato  adottato  senza alcun coinvolgimento delle regioni, senza base
legislativa   e   che   detta  norme  sostanzialmente  regolamentari,
attribuendo poteri amministrativi ad organi statali.

                            D i r i t t o

    1) Illegittimita' per difetto del potere esercitato.
    Come  gia'  accennato, il d.m. 31 maggio 2004 richiama, a proprio
fondamento,  l'art. 16-ter  del d.lgs. n. 502/92. Questa disposizione
disciplina  la  Commissione  nazionale  per  la  formazione continua,
organo  presieduto  dal  Ministro della salute e composto «da quattro
vicepresidenti,  di  cui  uno nominato dal Ministro della salute, uno
dal  Ministro  dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, uno
dalla  Conferenza  permanente  dei  Presidenti  delle regioni e delle
province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano, uno rappresentato dal
Presidente  della  federazione  nazionale  degli  ordini  dei  medici
chirurghi  e  degli  odontoiatri, nonche' da 25 membri», designati da
vari  soggetti. Alla Commissione sono attribuiti diversi compiti, fra
i  quali  quello  di definire «i requisiti per l'accreditamento delle
societa'  scientifiche  nonche'  dei  soggetti pubblici e privati che
svolgono  attivita'  formative»  e  procedere  «alla  verifica  della
sussistenza  dei  requisiti  stessi»  (art. 16-ter,  comma  2, ultima
frase).
    Tale   norma,   pero',  risulta  inidonea  a  fondare  il  potere
esercitato dal Ministro con l'atto impugnato, e cio' per tre distinte
concorrenti ragioni:
        A)  Il  d.m. 31  maggio 2004 prevede un «riconoscimento» e un
«accreditamento»  (art. 5,  comma 1,  riguardante  il  programma ECM,
Educazione   continua   dei  medici).  I  requisiti  del  primo  sono
direttamente  fissati dal decreto, mentre per il secondo si rinvia ad
un  intesa  fra  Ministero e Regioni. L'art. 16-ter, invece, menziona
solo   l'istituto  dell'accreditamento  (riferendolo  alle  attivita'
formative  in  generale)  e  prevede  che i requisiti siano stabiliti
dalla  Commissione  nazionale  per  la  formazione continua, che deve
anche  procedere  alla  verifica  della  loro esistenza (verifica che
dovrebbe coincidere con l'accreditamento stesso).
    Il   Ministro,   dunque,   ha   aggiunto   alla   necessita'   di
accreditamento     quella     di    un    previo    «riconoscimento»,
autoattribuendosi  il  potere  -  non  previsto  da alcuna norma - di
fissare i requisiti e di effettuare il riconoscimento stesso. Poiche'
tale  disciplina  e  tale  potere  incidono  su  una  materia (o piu'
materie)  di  competenza  della  Provincia,  come  sopra  esposto, la
mancanza  di  fondamento legislativo implica lesione delle competenze
costituzionali della Provincia (v., ad es., la sent. n. 266/2001, che
ha annullato, per difetto di base legislativa, un regolamento recante
i requisiti tecnici dei serbatoi interrati).
    Ne'  si  puo'  ritenere che il «riconoscimento» di cui al decreto
impugnato   coincida  sostanzialmente  con  l'accreditamento  di  cui
all'art. 16-ter    d.lgs.    n. 502/1992.    Il    potere    previsto
dall'art. 16-ter, infatti, si differenzia, per oggetto e soggetto, da
quello  qui  contestato.  Il  riconoscimento  non  riguarda  solo  le
attivita'  formative  ma  anche  la collaborazione con le istituzioni
sanitarie  (art. 1,  comma  1,  e  art.  5,  comma 2); l'art. 16-ter,
inoltre,  attribuisce  i  poteri  amministrativi  (di definizione dei
requisiti e di verifica) alla Commissione nazionale per la formazione
continua,  non  al  Ministro.  Ne risulta confermata la lesivita' del
decreto;
        B)  Qualora, in denegata ipotesi, codesta Corte ritenesse che
l'oggetto dell'art. 16-ter corrisponda all'oggetto del d.m. 31 maggio
2004,   questo   sarebbe   comunque  illegittimo.  Infatti,  in  base
all'art. 19  del  d.lgs.  n. 502/1992  (come risultante dopo la sent.
della  Corte  costituzionale  n. 354/1994) le autonomie speciali sono
vincolate solo dai principi desumibili dagli artt. 1, commi 1 e 4, 6,
commi 1 e 2, 10, 11, 12 e 13, 14, comma 1, 15, 16, 17 e 18, in quanto
norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociale della Repubblica.
L'art.  16-ter, dunque, non e' applicabile alla Provincia autonoma di
Trento,  sia  in  quanto  non  richiamato dall'art. 19, comma 2, sia,
comunque,   in   quanto  non  costituisce  un  principio  di  riforma
economico-sociale  sia,  infine,  perche', come gia' detto, il limite
dalle  riforme  economico-sociali  non  limita  piu'  le  materie  di
potesta'  primaria  (sent.  n. 274/2003).  Dunque,  il d.m. 31 maggio
2004,  essendo  rivolto  anche  alla Provincia autonoma di Trento, ne
lede  le  competenze costituzionali, perche' la norma legislativa che
ne costituirebbe il fondamento non riguarda le autonomie speciali;
        C)   In   ulteriore  subordine,  si  osserva  che  il  potere
esercitato  dal  Ministro,  qualora  fosse  stato  previsto dall'art.
16-ter d.lgs. n. 502/1992, anche in relazione alla Provincia autonoma
di  Trento,  dovrebbe  comunque ritenersi venuto meno a seguito della
legge  Costituzionale  n. 3/2001,  in  quanto  si tratta di un potere
sostanzialmente   regolamentare.  Si  noti  che  la  stessa  Adunanza
generale   del  Consiglio  di  Stato,  nel  parere  11  aprile  2002,
n. 1/2002,  ha  escluso  la sopravvivenza di poteri regolamentari (si
trattava  della  materia  sanitaria)  dopo  la  legge  Costituzionale
n. 3/2001,  e  nel  parere  n. 5  dell"8  novembre  2002 ha affermato
l'abrogazione   delle  norme  che  prevedevano  poteri  regolamentari
statali   in   materie   non   menzionate   dall'art.117,   comma  2,
Costituzione.
    Quanto  alla  necessita' di valutare con criteri «sostanziali» la
natura di un atto quale il d.m. 31 maggio 2004, si puo' rinviare alle
sentenze  di  codesta  Corte  costituzionale  n. 88/2003, punto 3 del
Diritto, e n. 12/2004.
    Sotto  ogni  profilo, dunque, risulta la lesione delle competenze
legislative  ed amministrative della Provincia risultanti dalle norme
statutarie  e  di attuazione sopra citate nonche' dell'art. 117 della
Costituzione,   in   quanto   esso   ampli   l'autonomia  legislativa
provinciale   in   materia   di   formazione   professionale   e   di
organizzazione sanitaria.
    2)  Violazione  dell'art. 2  d.lgs.  n. 266/1992,  dell'art. 117,
comma 6, della Costituzione e del principio di certezza normativa.
    Il  Ministro  della  salute  ha  adottato un atto sostanzialmente
regolamentare   in   materia   di  competenza  primaria  (al  minimo,
concorrente)   della  Provincia,  indirizzando  norme  immediatamente
applicabili  alle  societa'  scientifiche operanti nella provincia di
Trento.  Ne  risulta  una  violazione dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992,
perche',  nelle  materie  provinciali, lo Stato puo' intervenire solo
con  legge  e  solo  facendo  sorgere,  eventualmente,  un obbligo di
adeguamento:  in  questo  caso,  invece,  la materia della formazione
professionale   e'   stata   disciplinata   con   norme  direttamente
applicabili  (il  che  e'  precluso anche alla legge), per di piu' di
rango   regolamentare,  con  duplice  violazione  dell'art. 2  d.lgs.
n. 266/1992,  nonche'  dell'art. 117, comma 6, della Costituzione se,
come  illustrato  nel Fatto, si ritiene che le competenze provinciali
in  materia  di  formazione  e di organizzazione sanitaria vadano ora
ricondotte all'art. 117 della Costituzione.
    Infine,  va  notato  che,  se  anche  si ritenesse giuridicamente
inefficace  la pretesa del regolamento alla diretta disciplina, della
materia  di  competenza  provinciale,  la  stessa  presenza  di  tale
disciplina comporta una situazione di incertezza che di per se' viola
il  principio  di  certezza  normativa,  in  quanto determina sia per
l'Amministrazione  provinciale  che  per  gli  operatori uno stato di
incertezza  sulla  normativa  da  applicare.  Ed  e' da ricordare che
codesta  Corte  costituzionale  ha  gia'  affermato  che  il  «valore
costituzionale  della  certezza  e  della  chiarezza  normativa» puo'
essere  fatto  valere  nelle  controversie fra Stato e Regioni (v. la
sent. n. 94 del 1995, punto 2 in diritto).
    3) Violazione del principio di leale collaborazione.
    Il  d.m.  31  maggio  2004 e' stato adottato senza coinvolgimento
della   Conferenza   Stato-Regioni.   Cio'  stupisce  particolarmente
considerando  che lo stesso decreto, nelle premesse, richiama diversi
atti  di intesa e accordi con le Regioni nella materia in questione e
poi,  all'art. 5,  comma 1., rimette ad un'intesa fra Ministero della
salute e Regioni la definizione dei requisiti per l'accreditamento.
    La  necessita' di un coinvolgimento delle Regioni nell'emanazione
dei decreto qui impugnato risulta sia dal principio generale di leale
collaborazione,  che  richiede forme di raccordo quando le competenze
statali  esercitate  interferiscano  con  le competenze regionali [si
veda,  da  ultimo,  la  sent. n. 308/2003: «In casi di questo genere,
come  questa  Corte  ha numerose volte affermato (per tutte, sentenze
n. 96  del  2003,  n. 422  del  2002,  occorre  addivenire a forme di
esercizio  delle  funzioni, da parte dell'ente competente, attraverso
le  quali  siano efficacemente rappresentati tutti gli interessi e le
posizioni  costituzionalmente rilevanti. Nei casi in cui, per la loro
connessione  funzionale,  non  sia  possibile  una  netta separazione
nell'esercizio delle competenze, vale il principio detto della "leale
cooperazione",  suscettibile  di  essere organizzato in modi diversi,
per  forme  e  intensita'  della pur necessaria collaborazione»], sia
dall'art. 2,    comma   3,   d.lgs.   n. 281/1997   («La   Conferenza
Stato-regioni  e'  obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di
disegni  di  legge  e  di  decreto  legislativo  o di regolamento del
Governo  nelle  materie  di competenza delle regioni o delle province
autonome  di  Trento e di Bolzano»), dato che il d.m. 31 maggio 2004,
come detto, e' sostanzialmente un regolamento.
    Ora,  dato  che  la  materia  oggetto  del  decreto  spetta  alla
competenza  primaria delle regioni, ne risulta che - anche a ritenere
in  denegata  ipotesi  legittimo  l'uso del potere regolamentare - il
d.m.  31 maggio 2004 avrebbe dovuto essere adottato previa intesa con
la  Conferenza  Stato-regioni;  in subordine, era comunque necessario
almeno il parere di cui all'art. 2 d.lgs. n. 281/1997.
    Ne  risulta  un  ulteriore  profilo  di  lesivita' costituzionale
dell'atto impugnato.
    4) Violazione dell'art. 4 d.lgs. n. 266/1992. dell'art. 118 della
Costituzione e del principio di leale collaborazione.
    Infine,  una  specifica  illegittimita'  colpisce  le  norme  che
attribuiscono  poteri  amministrativi  ad  organi  statali: l'art. 1,
commi 1 e 2, l'art. 5, l'art. 6, commi 2, 3 e 4, l'art. 7, comma 2.
    Persino  qualora, in denegata ipotesi, si ritenessero infondati i
motivi  di cui sopra e legittima la disciplina da parte statale - con
atto   sostanzialmente   regolamentare  assunto  senza  procedure  di
collaborazione   -  dal  riconoscimento  e  dei  relativi  requisiti,
comunque  sarebbe  illegittima  l'attribuzione  ad  organi statali di
funzioni amministrative che non richiedono esercizio unitario.
    Il  d.m.  31  maggio  2004  motiva  l'attribuzione  del potere di
riconoscimento  al  Ministro  richiamando l'importanza dal molo delle
societa'  scientifiche. Cio' pare costituire un implicito riferimento
ad un presunto «interesse nazionale», che pero', non rappresenta piu'
un limite generale delle competenze regionali e provinciali.
    Ora  lo Stato puo' trattenere, nelle materie provinciali, solo le
funzioni  amministrative che richiedono un esercizio unitario: e pare
evidente  che il concreto riconoscimento delle societa' scientifiche,
in   applicazione  dei  requisiti  prefissati,  l'accertamento  della
rappresentativita' dei professionisti, la vigilanza e la verifica dei
requisiti  e  la  revoca  sono atti che possono essere svolti in modo
adeguato  (anzi,  piu'  adeguato)  al  livello  locale  senza  nessun
esigenza di esercizio unitario.
    Ne'  il  fatto che le societa' operino in piu' regioni osta ad un
riconoscimento   regionale:  codesta  Corte  costituzionale  ha  gia'
riconosciuto  che  le autorizzazioni rilasciate dalle regioni possono
avere valore nazionale (v. senti n. 375/2003 e n. 392/1998).
    Dunque,    risulta    illegittima    l'allocazione   dei   poteri
amministrativi  previsti  dal  d.m  31  maggio 2004 in capo ad organi
statali.
    Qualora,  in denegata ipotesi, si ritenesse esistente un'esigenza
di  esercizio  unitario,  il  d.m.  31 maggio 2004 sarebbe pur sempre
illegittimo  sia  perche'  in  ogni modo la disciplina derogatoria in
forza del principio di sussidiarieta' non puo' essere contenuta in un
decreto  ministeriale  ma  richiede  la  legge  statale,  sia perche'
l'attrazione   allo  Stato  di  funzioni  amministrative  in  materie
regionali,  in  virtu'  del  principio di sussidiarieta', deve essere
compensata   dalla   previsione  di  un'intesa  con  la  regione  per
l'esercizio  della  funzione  in  questione  (in  questo  caso, della
regione  ove  ha  sede  la  societa):  v.  le  sentt.  n. 303/2003  e
n. 6/2004.  Nel  caso di specie, invece, i poteri di riconoscimento e
revoca sono esercitati a seguito del parere di una commissione in cui
le regioni sono rappresentate in misura non meglio precisata (art. 6,
comma  3),  mentre  quelli  di  cui  all'art.  6,  commi  2 e 4, sono
esercitati senza alcun coinvolgimento dalle regioni.
    Ne'  le conclusioni muterebbero se si assumesse come parametro il
quadro  statutario.  ritenendo  che l'art. 117 della Costituzione non
abbia  ampliato  l'autonomia  provinciale  in  materia  di formazione
professionale e organizzazione sanitaria. In questo caso, infatti, le
norme  attributive  di  funzioni  amministrative  ad  organi  statali
violerebbero  le  norme di attuazione di cui al d.P.R. 28 marzo 1975,
n. 474,  al  d.P.R.  26 gennaio 1980, n. 197, e al d.P.R. 1° novembre
1973,  n. 689  (nessuno  dei  quali riserva allo Stato le funzioni di
definizione   dei   requisiti   delle   societa'  scientifiche  e  di
riconoscimento  delle  societa'  stesse  e  l'art. 4, comma 1, d.lgs.
n. 266/1992,  in  base  al quale «nelle materie di competenza propria
della  regione o delle province autonome la legge non puo' attribuire
agli  organi  statali  funzioni  amministrative,  comprese  quelle di
vigilanza,  di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni
amministrative,  diverse  da  quelle  spettanti allo Stato secondo lo
statuto  speciale  e  le  relative  norme  di  attuazione,  salvi gli
interventi richiesti al sensi dell'art. 22 dello statuto medesimo».