ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2947, terzo comma, seconda parte, del codice civile e degli artt. 9, 11 (come modificato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689) e 112, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 15 ottobre 1981 dal Tribunale di Pescara nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e l'E.N.E.L. ed altro, iscritta al n. 784 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 75 dell'anno 1982; 2) ordinanza emessa il 14 dicembre 1982 dal Pretore di Verona nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e Rotta Romeo, iscritta al n. 161 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 219 dell'anno 1983; 3) ordinanza emessa il 19 maggio 1983 dal Pretore di Siena nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e la ditta Saletti Oreste ed altri, iscritta al n. 565 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 dell'anno 1984; 4) ordinanza emessa il 26 aprile 1983 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e Rossi Antonio, iscritta al n. 886 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 67 dell'anno 1984; 5) ordinanza emessa il 6 aprile 1984 dal Pretore di Trapani nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e Pantalena Giuseppe ed altro, iscritta al n. 1027 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 bis dell'anno 1985; 6) ordinanza emessa il 30 ottobre 1984 dal Pretore di Siena nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e la S.p.A. Emerson Electronics, iscritta al n. 1339 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 125 bis dell'anno 1985; 7) ordinanza emessa il 12 dicembre 1984 dal Tribunale di Nuoro nel procedimento civile vertente tra l'I.N.A.I.L. e Mulas Mariano, iscritta al n. 298 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 bis dell'anno 1985; Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.I.L. e di Giorgi Antonio nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore Francesco Greco; Uditi gli avv.ti Mario Lamanna per l'I.N.A.I.L. e Stefano Varvesi per Giorgi Antonio e gli Avvocati dello Stato Oscar Fiumara e Luigi Siconalfi per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso al Pretore di Pescara l'I.N.A.I.L. evocava in giudizio l'E.N.E.L. ex art. 1916 cod. civ. e Giorgi Antonio ex artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, per ottenere dai medesimi il rimborso delle somme erogate ex art. 85 dello stesso d.P.R. 1124/65, ai superstiti di Mardinocchi Pietro, deceduto nel 1964 per folgorazione mentre, alle dipendenze del Giorgi, eseguiva lavori commissionati dall'E.N.E.L. Di entrambe le azioni, proposte nel 1979, il giudice adito dichiarava l'estinzione per prescrizione, rispettivamente ai sensi degli artt. 2947, terzo comma, ultima parte cod. civ., e 112, quinto comma, ultima parte d.P.R. n. 1124/65, in quanto la sentenza penale di accertamento della responsabilita' nella produzione del suddetto evento mortale era, alla data di tale proposizione, passata in giudicato da oltre un quinquennio, cosi' da risultare eccedenti i termini (di cinque e tre anni) stabiliti da tali norme. Il Tribunale di Pescara, adito dall'I.N.A.I.L. in via di gravame avverso tale decisione, sollevava, con ordinanza in data 15 ottobre 1981 (R.O. n. 784/81) la questione di legittimita' costituzionale delle teste' citate norme, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto determinano e fanno decorrere il termine di prescrizione dell'azione, sia di surroga ex art. 1916 cod. civ. che di regresso ex artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124/65, in relazione al passaggio in giudicato della sentenza penale di accertamento della responsabilita' anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al relativo giudizio (come, nella specie, l'I.N.A.I.L.) perche' non legittimati a costituirsi in esso o, comunque, di fatto, non posti in grado di parteciparvi: cio' che, ad avviso del giudice a quo, da un lato, discrimina tali soggetti rispetto a quelli che, viceversa, hanno avuto la possibilita' di partecipazione a detto giudizio; e, dall'altro lato, ne comprime il diritto di difesa costituzionalmente garantito. Compressione particolarmente apprezzabile alla luce dei principi posti in materia da questa Corte, sia in termini generali e cioe' con riguardo alla ritenuta impossibilita' che il giudicato penale produca gli effetti di cui agli artt. 25, 27 e 28 cod. proc. pen. nei confronti di terzi che non hanno avuto facolta' di concorrere alla sua formazione prendendo parte al relativo procedimento (sentt. nn. 165/7/5; 99/73; 55/71); sia con specifico riguardo alla ritenuta illegittimita' costituzionale degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124/65 nella parte in cui precludono l'esercizio del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L. contro il datore di lavoro, qualora il processo penale promosso a carico di quest'ultimo o di suo dipendente siasi concluso con la sentenza di proscioglimento, malgrado che l'Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al processo stesso. La rilevanza della questione viene ritenuta osservando che l'eventuale caducazione delle norme censurate comporterebbe l'applicabilita' alla fattispecie del piu' lungo e non ancora decorso termine di prescrizione decennale, ai sensi dello stesso art. 2947 cod. civ. (parte prima del terzo comma, che fa riferimento alla prescrizione stabilita per il reato). 1.1 - Identica questione, ma relativa al solo art. 112 d.P.R. n. 1124/65 (trattandosi, nella specie, della sola azione di regresso promossa dall'I.N.A.I.L. contro il datore di lavoro oltre il termine triennale decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza penale di accertamento della responsabilita'), e' stata sollevata anche dal Pretore di Trapani, con ordinanza in data 6 aprile 1984 (R.O. n. 1027/84). 1.2 - Entrambe le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. Nei susseguenti giudizi davanti a questa Corte si e' costituito l'I.N.A.I.L. ed e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri; in quello introdotto con l'ordinanza del Tribunale di Pescara (R.O. n. 784/81) si e' costituita altresi' la parte privata. La difesa dell'I.N.A.I.L. ha concluso nel senso della fondatezza dell'eccezione osservando, in particolare, che, come la sentenza penale non e' opponibile ai terzi rimasti estranei al giudizio, ugualmente essa non dovrebbe poter essere invocata nei confronti di costoro, ai fini della decorrenza della prescrizione, in quanto costoro, proprio per la loro qualita', non sono posti in grado di conoscere l'esito del procedimento e, quindi, il dies a quo del termine prescrizionale: donde la disparita' di trattamento, in parte qua, fra detti terzi e quanti sono stati parti in quel giudizio e la compromissione del diritto di difesa, atteso che tale termine spesso piuttosto breve - puo' essere gia' decorso nel momento in cui i terzi stessi vengano a conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza. La medesima difesa osserva, peraltro, che l'eventuale caducazione delle norme censurate comporterebbe soltanto l'impossibilita' di decorso del termine prescrizionale in questione, non anche, come si pretende dal giudice a quo, la sua sostituzione con uno diverso. Di segno opposto sono le conclusioni dell'autorita' intervenuta la quale ha osservato che la ratio delle pronunzie di questa Corte, ricordate dai giudici a quibus a fondamento della sollevata questione, va ricercata nella esigenza di garantire al titolare di una posizione giuridica la possibilita' di farla comunque valere autonomamente in giudizio, senza subire preclusioni derivanti da accertamenti giudiziari cui detto titolare e' rimasto estraneo: viceversa, le norme censurate non escludono in modo alcuno la possibilita' di tale autonomo accertamento giurisdizionale e ne disciplinano soltanto i limiti temporali in base alla ragionevole esigenza di assicurare, in tempi non lunghissimi, la stabilita' delle varie situazioni giuridiche derivanti dallo infortunio sul lavoro. Considerazioni non dissimili svolge, infine, la parte privata costituitasi, per sostenere l'infondatezza della descritta questione. 2. - Con ordinanza in data 26 aprile 1983 (R.O. n. 886/83) il Pretore di Roma ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, quinto comma, d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost., prevede il termine di decadenza di tre anni dalla sentenza penale per la proposizione in sede civile, ad iniziativa degli interessati - ed, in particolare, dell'I.N.A.I.L. che intende agire in regresso ex art. 11 dello stesso d.P.R. n. 1124/65 - dell'azione di accertamento che il fatto avrebbe costituito reato. Nella specie, la Corte di Appello di Roma, con sentenza divenuta esecutiva il 13 gennaio 1979, riformando la sentenza del giudice di primo grado (di condanna del datore di lavoro per il delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche, in relazione alla morte di un dipendente), aveva dichiarato non doversi procedere per estinzione del reato sulla base della ritenuta prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. L'I.N.A.I.L., con ricorso depositato soltanto il 16 marzo 1982, aveva esercitato l'azione di regresso ex artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124/65, vedendosi eccepire dal datore di lavoro convenuto il decorso del suddetto termine di decadenza: di qui l'asserzione, da parte del giudice a quo, della rilevanza della questione. Nel merito, lo stesso giudice ha preliminarmente osservato come non possa l'azione di regresso dell'I.N.A.I.L. ritenersi estranea all'operativita' di tale termine di decadenza, nel caso in cui il giudizio penale non si sia concluso con una pronunzia di colpevolezza e manchi un corrispondente giudizio in tal senso reso nel procedimento civile promosso ad istanza di altro interessato. Ha, quindi, rilevato che, una volta configurato il diritto di regresso dell'Istituto quale posizione giuridica scaturente direttamente dall'illiceita' penale del fatto e tutelabile autonomamente, con pieno rispetto del diritto di difesa a prescindere dalla sorte contingente del procedimento penale (cio' in base ai principi posti da questa Corte con le sentt. nn. 102/81 e 22/67, alla cui stregua l'accertamento in sede civile della dipendenza dell'infortunio da un comportamento colpevole del datore di lavoro dismette l'originario carattere eccezionale e meramente surrogatorio dell'accertamento penale), diviene irrazionale, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. la conservazione della norma istitutiva della decadenza in questione, giustificabile esclusivamente in base all'originaria configurazione del giudizio civile con i caratteri teste' menzionati, che ne imponevano anche una rigorosa limitazione. La stessa norma e' poi ritenuta dal giudice a quo illegittimamente compressiva del diritto di difesa dell'I.N.A.I.L., essendo il dies a quo del termine di decadenza posto in riferimento ad un evento non facilmente conoscibile dall'interessato, che non e' stato posto in grado di partecipare al giudizio penale, ne' puo' evitare il rischio della decadenza mediante atti interruttivi (a differenza del caso di prescrizione), ne', infine, puo' iniziare l'azione appena avuta notizia dell'infortunio, dovendo, invece, attendere la conclusione di tale giudizio (o almeno della relativa istruttoria). 2.1 - Identica questione e' stata, poi, sollevata anche dal Tribunale di Nuoro con ordinanza in data 12 dicembre 1984 (R.O. n. 298/85). 2.2 - Entrambe le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali. Nei susseguenti giudizi davanti a questa Corte si e' costituito l'I.N.A.I.L. ed e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. La difesa dell'I.N.A.I.L. ha rilevato l'erroneita' del presupposto ermeneutico da cui muove l'esaminata censura, osservando che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte di cassazione, il termine di decadenza in questione opera con riguardo all'azione penale esperibile dal lavoratore infortunato o dai suoi eredi nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno eccedente l'ammontare delle indennita' erogate dall'I.N.A.I.L.; mentre l'azione di regresso spettante all'Istituto e' soggetta soltanto alla prescrizione di cui all'art. 112 del d.P.R. n. 1124/65. Solo nella denegata ipotesi in cui tale orientamento dovesse restare disatteso, ad avviso dell'Istituto, andrebbero condivise le censure svolte dal giudice a quo. La difesa dell'autorita' intervenuta ha concluso nel senso dell'infondatezza della questione osservando che la norma impugnata costituisce una scelta di opportunita' riservata alla discrezionalita' del legislatore ed e', da un lato, coerente coi principi dell'art. 2947 cod. civ. (che prevede deroghe, per talune ipotesi particolari di fatti illeciti, alla disposizione generale in materia di termine prescrizionale per l'esercizio del diritto al risarcimento del danno) e, dall'altro, idonea per l'entita' del termine in essa fissato e decorrente dalla pubblicazione del provvedimento giurisdizionale, ad assicurare sufficientemente la tutela del diritto considerato. 3. - Con ordinanza in data 19 maggio 1983, R.O. n. 565/83), il Pretore di Siena ha sollevato, in relazione all'art. 3 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, nel contenuto assunto dopo l'entrata in vigore della legge 24 novembre 1981 n. 689 e nella parte in cui, richiamando l'art. 10 dello stesso d.P.R. n. 1124, estende il richiamo stesso anche al quarto comma di tale norma. Nel giudizio a quo l'I.N.A.I.L. aveva convenuto un datore di lavoro chiedendone la condanna al pagamento delle somme corrispondenti alle prestazioni erogate in favore di un dipendente del medesimo, che aveva riportato lesioni con postumi permanenti a cagione di un incidente stradale nel quale era stato coinvolto un automezzo condotto da altro dipendente. Il giudice adito ha ritenuto (donde la rilevanza della questione) che l'accoglimento di tale domanda e' impedito dal contenuto dell'art. 11 del d.P.R. n. 1124/65 in relazione al precedente quarto comma dell'art. 10, per il quale il diritto di regresso dell'I.N.A.I.L. e' escluso quando per la punibilita' del fatto dal quale l'infortunio e' derivato sia necessaria la querela della persona offesa: in seguito alle modifiche apportate all'ultimo comma dell'art. 590 cod. pen. dall'art. 92 legge 24 novembre 1981 n. 689, il reato di lesioni colpose, anche gravi o gravissime, e' punibile d'ufficio solo quando si tratti di fatti connessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, condizione questa che non si era, nella fattispecie, realizzata. Nel merito della questione, il giudice a quo ha poi osservato che, prima delle suddette modifiche apportate all'art. 590 cod. pen., quando cioe' la punibilita' a querela delle lesioni colpose era limitata alla ipotesi di lesioni non gravi, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilita' civile e, quindi, dall'azione di regresso dell'Istituto assicuratore (esonero conseguente al combinato disposto degli artt. 11 e 10, quarto comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965) trovava la sua ragione giustificatrice nella minore gravita' delle conseguenze dannose patrimoniali del reato; ma dopo l'entrata in vigore della citata legge n. 689/81 questo criterio di discriminazione e' venuto meno: puo', infatti, verificarsi l'ipotesi di lesioni gravissime nelle quali l'I.N.A.I.L. non abbia quell'azione di regresso che, al contrario, puo' essergli riconosciuta in ipotesi di piu' scarsa importanza patrimoniale rispetto alle quali, tuttavia, sussista il requisito della perseguibilita' di ufficio del reato causativo del danno. Simile disciplina e' sembrata al giudice remittente irragionevole e percio' in contrasto con l'art. 3 Cost. 3.1 - Lo stesso Pretore di Siena, con successiva ordinanza in data 30 ottobre 1984 (R.O. n. 1339/84), ha riproposto identica questione. 3.2 - Il Pretore di Verona (R.O. n. 161/83), rilevando che l'azione di regresso dell'I.N.A.I.L. rimane esclusa nell'ipotesi in cui il giudice penale ha prosciolto in dibattimento il datore di lavoro o un suo dipendente per difetto di querela, con conseguente limitazione del potere del giudice civile di qualificare il fatto come reato perseguibile a querela o di ufficio, non trattandosi di estinzione del reato per morte, amnistia o prescrizione, dubita della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1224 del 1965 per violazione degli artt. 24, primo e secondo comma, e 3 Cost., in quanto l'Istituto non ha partecipato al processo penale e si e' creata una disparita' di trattamento rispetto al prestatore di lavoro che puo' costituirsi parte civile nel processo penale. 3.3 - Nei susseguenti giudizi davanti a questa Corte si e' costituito l'I.N.A.I.L. ed e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri; il primo limitandosi semplicemente a tale adempimento, senza spiegare difese specifiche; il secondo sollecitando, invece, la declaratoria di infondatezza della questione. L'Avvocatura dello Stato ha all'uopo anzitutto osservato che ancor oggi, nel caso di lesioni lievi, previsto dal primo comma dell'art. 590 cod. pen., la responsabilita' civile del datore di lavoro ed il diritto di regresso dell'I.N.A.I.L. sono senz'altro esclusi e che l'esclusione e' gia' stata ritenuta da questa Corte costituzionalmente legittima con la sentenza n. 22/67. Quanto all'ulteriore esclusione nascente dalle ricordate modifiche apportate all'art. 590 cod. pen. e concernente il caso di lesioni gravi o gravissime cagionate indipendentemente dall'inosservanza di norme antinfortunistiche, la sua legittimita' costituzionale va riconosciuta alla stregua dei principi che governano la responsabilita' civile del datore di lavoro assicurato presso l'I.N.A.I.L., in caso di infortunio. Il primo e' quello della limitazione della responsabilita' stessa per effetto dell'assicurazione; l'altro fonda il diritto di regresso dell'Istituto assicuratore verso il datore di lavoro. Entrambi operano in senso derogatorio rispetto alla disciplina del comune rapporto assicurativo, giustificandosi la deroga, come riconosciuto anche da questa Corte con le sentenze n. 22/67 e n. 134/71, in relazione alle peculiarita' che caratterizzano il regime assicurativo in materia di infortuni sul lavoro. Va, in particolare, riconosciuto che il fondamento del diritto di regresso sta nell'intento di evitare che un sistema assicurativo, il quale sollevi in ogni caso l'imprenditore dalle conseguenze economiche degli infortuni, deprima, per cio' stesso, se non elimini del tutto, l'incentivo ad attuare misure di prevenzione antinfortunistica. Orbene, proprio in relazione a siffatta ratio giustificatrice dell'istituto del regresso si apprezza la profonda diversita' della posizione dell'imprenditore nei casi in cui l'infortunio sia dovuto a violazione delle suddette norme di prevenzione, rispetto a quella dell'imprenditore stesso in caso di lesioni colpose dovute a violazione di norme diverse: solo nella prima situazione la realizzazione del descritto scopo dell'istituto consente e giustifica quella deroga al regime assicurativo comune ex art. 1917 cod. civ., altrimenti non consentita. Pertanto, con piu' specifico riguardo al caso di specie, e' da rilevare, secondo l'Avvocatura, che anche le lesioni gravi o gravissime possono assurgere a presupposto dell'azione di regresso solo quando si ricolleghino ad un comportamento del datore di lavoro immediatamente riconducibile alla sfera delle scelte organizzative attuate nell'azienda, quali sono quelle concernenti l'attuazione delle misure di prevenzione imposte dalla legge con previsioni specifiche oltre che in termini generali ex art. 2087 cod. civ.: la disciplina censurata dal giudice a quo risponde pertanto ad un criterio del tutto razionale e coerente con le suddette peculiarita' del regime assicurativo o antinfortunistico. Nell'imminenza dell'udienza di discussione lo I.N.A.I.L. ha depositato memorie difensive nei giudizi introdotti con le ordinanze n. 784/81 e n. 1027/84. Ha in particolare osservato che appare illogico considerare la sentenza penale assolutoria, pronunciata nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, inefficace in ordine all'esercizio del diritto di regresso dell'I.N.A.I.L. e nello stesso tempo efficace ai fini della decorrenza della prescrizione di quel medesimo diritto. Inoltre, appare discriminatorio alla difesa dell'Istituto il trattamento riservato all'I.N.A.I.L. rispetto a quello fatto all'infortunato o ai suoi superstiti che hanno potuto partecipare al giudizio penale e sono stati percio' in grado di conoscerne l'esito e di esercitare tempestivamente il loro diritto di difesa. La mancata partecipazione dell'I.N.A.I.L. a detto giudizio comporta, invece, per quest'ultimo, un difetto di conoscenza giuridica della sentenza penale, che non viene ad esso comunicata, con conseguente impossibilita' di far valere il diritto di regresso subito dopo il passaggio in giudicato della sentenza medesima. Ad avviso della stessa difesa va, inoltre, considerato che la sentenza penale si configura come una condizione di procedibilita' rispetto all'esercizio del diritto di regresso e non come una condizione di esistenza del medesimo, sicche' sembra ingiustificato far decorrere i termini di prescrizione dal passaggio in giudicato di tale sentenza. Considerato in diritto 1. - I sette giudizi, instaurati con le ordinanze di rimessione (Tribunale Pescara: R.O. n. 784/81; Pretura Verona: R.O. n. 161/83; Pretura Siena: R.O. nn. 565/83 e 1339/84; Pretura Roma: R.O. n. 886/83; Pretura Trapani: R.O. n. 1027/84; Tribunale Nuoro: R.O. n. 298/85), possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza in quanto prospettano questioni in parte identiche ed in parte connesse. 1.1 - Il Pretore di Roma (R.O. n. 886/83) ed il Tribunale di Nuoro (R.O. n. 298/85) hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, quinto comma, del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, il quale prevede il termine triennale di decadenza, decorrente dalla sentenza di non doversi procedere o dalla data del decreto di archiviazione, emessi dal giudice penale nei confronti del datore di lavoro, in assenza dell'I.N.A.I.L., per la proposizione, in sede civile, a iniziativa degli "interessati", tra cui, secondo i giudici remittenti, anche l'I.N.A.I.L., dell'azione di accertamento che il fatto addebitato al detto datore di lavoro costituisce reato e che e' il fondamento della prevista azione di responsabilita' civile. A parere dei remittenti, risulterebbero violati gli artt. 3 e 24 Cost. per la irrazionalita' della normativa, posta in un contesto che configura il diritto di regresso come situazione giuridica autonomamente tutelabile in sede civile, e per la compressione del diritto di difesa dei titolari di tali situazioni che non abbiano potuto partecipare al giudizio penale conclusosi con i detti provvedimenti giudiziali. 1.2 - La questione non e' fondata. Secondo l'indirizzo giurisprudenziale, ormai costante, anche della Corte di cassazione, l'I.N.A.I.L. non e' da annoverarsi tra gli "interessati" che, secondo la norma impugnata, nei casi in cui il giudice penale non abbia proceduto a carico del datore di lavoro o dei suoi preposti o altri, per morte dell'imputato, per amnistia, per prescrizione, per mancanza di indizi, ecc..., entro tre anni dalla data dei relativi provvedimenti giudiziali, possono proporre domanda al giudice civile per fare accertare incidenter tantum che il fatto causativo dell'infortunio costituisce reato e che, quindi, sussiste la responsabilita' civile dei suddetti. Invero, la nozione di "interessati" e' inserita in un contesto normativo che disciplina la responsabilita' civile del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori danneggiati o dei suoi eredi, mentre l'azione di regresso che l'I.N.A.I.L. promuove, ai sensi degli artt. 11 e 112 u.p. dello stesso d.P.R. n. 1124 del 1965 ha una sua peculiarita' ed autonomia. Essa e' in funzione delle finalita' istituzionali dell'ente e tutela l'interesse dell'I.N.A.I.L. al recupero delle somme pagate all'infortunato o ai suoi eredi per indennita' o per rendita, interesse che e' di natura del tutto diversa dall'interesse delle parti private. L'autonomia della detta azione che, peraltro, ha un termine di prescrizione proprio, trova fondamento, oltre che nell'interesse pubblico gestito dall'ente assicuratore, anche nella natura del credito fatto valere. L'Istituto puo' promuoverla direttamente, senza attendere l'inizio, da parte dell'infortunato o dei suoi eredi, dell'azione di responsabilita' per la quale soltanto opera il termine di decadenza. Vero e' che anche l'I.N.A.I.L. puo' giovarsi dell'accertamento, incidenter tantum, effettuato dal giudice civile del fatto-reato e che e' condizione dell'azione di responsabilita', dato che la decisione, intervenuta in quella sede, a norma dell'art. 11 del d.P.R. n. 1224/65, e' sufficiente a costituire l'Istituto in credito verso la persona civilmente obbligata anche per le somme pagate a titolo di indennita' o di rendita; ma cio' non pregiudica affatto l'autonomia dell'azione di regresso e, comunque, la eventuale inerzia delle parti private non puo' assolutamente compromettere il diritto dell'Istituto assicuratore. 2. - Il Pretore di Pescara (R.O. n. 784/81), in un giudizio promosso dall'I.N.A.I.L. per regresso contro un datore di lavoro ritenuto penalmente responsabile, con sentenza divenuta definitiva, del fatto-reato che aveva causato l'infortunio e per surroga contro l'E.N.E.L., committente dei relativi lavori, il cui dipendente, pero', era stato assolto nella stessa sede penale, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2947, terzo comma, cod. civ. e dell'art. 112, quinto comma, u.p., del d.P.R. n. 1124/65, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Il Pretore di Trapani (R.O. n. 1027/84), in un giudizio promosso dall'I.N.A.I.L. per regresso contro un datore di lavoro il cui preposto ai lavori era stato condannato in sede penale, quale responsabile del fatto reato causativo dell'infortunio, ha sollevato del pari questione di legittimita' costituzionale dell'art. 112, quinto comma, u.p., del d.P.R. n. 1124 del 1965, sempre in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. I giudici remittenti sostengono che le norme censurate, facendo decorrere il termine di prescrizione delle due azioni dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale di accertamento della responsabilita' anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al relativo giudizio, violerebbero i richiamati precetti costituzionali in quanto riservano identico trattamento a situazioni diverse quali sono quelle in cui versano, rispettivamente, i suddetti soggetti e quelli che hanno partecipato al processo penale in cui si e' formato il giudicato, con conseguente compressione del diritto di difesa dei primi. 2.1 - Le questioni non sono fondate. L'azione di surroga e' esperibile dall'I.N.A.I.L. nei confronti del terzo responsabile del fatto-infortunio per ripetere quanto sia liquidato all'assicurato o ai suoi eredi. Essa, pur disciplinata dall'art. 1916 cod. civ., configura piuttosto una peculiare forma di successione particolare nel diritto di credito, subentrando l'Ente nella stessa posizione, sostanziale e processuale, in cui si sarebbe trovato l'assicurato se avesse agito direttamente o succedendo a lui nel processo. La surroga si realizza quando l'assicuratore comunica al terzo, responsabile, l'avvenuto pagamento dell'indennizzo e manifesta la sua volonta' di avvalersi dell'azione concessagli dalla legge. Non deriva, quindi, dal contratto di assicurazione, al quale il terzo e' del tutto estraneo, per cui, in ispecie, per la prescrizione non si applicano le norme sul contratto di assicurazione ma quelle del codice civile (art. 2947 cod. civ.). Il termine di prescrizione e', di solito, quinquennale con possibilita' di applicazione dell'art. 2953 cod. civ. (prescrizione decennale dell'actio iudicati). 2.2 - L'azione di regresso, invece, e' esperibile dall'I.N.A.I.L. contro il datore di lavoro responsabile del fatto da cui e' derivato l'infortunio, sia direttamente che indirettamente, per la colpa dei suoi preposti o del dipendente. E' ritenuta come attuativa di un autonomo diritto dell'Ente derivante dal rapporto assicurativo e ha per oggetto la ripetizione della indennita' o della rendita pagata. E' soggetta al termine prescrizionale dell'art. 112, quinto comma, u.p., d.P.R. n. 1124 del 1965 (tre anni). 2.3 - Entrambe le azioni hanno come presupposto l'accertamento della responsabilita' degli obbligati (terzo e datore di lavoro). L'accertamento puo' avvenire in sede penale. Il processo puo' terminare con sentenza di condanna del responsabile penalmente. Ora, secondo quanto questa Corte ha gia' ritenuto (sentt. nn. 102/81, 118/86) il giudicato fa stato a favore dell'I.N.A.I.L. ma non fa stato contro il datore di lavoro che non ha partecipato al processo penale per cause varie (impedimento giuridico ecc...). In tal caso il giudice civile, incidenter tantum, puo' effettuare il detto accertamento anche in maniera diversa dal giudice penale. Egualmente per l'Istituto assicuratore non fa stato il giudicato penale di assoluzione del datore di lavoro o del terzo o il giudicato contenente limitazioni pregiudizievoli del diritto di regresso o di surroga se non ha partecipato al processo penale. L'Istituto puo' agire in regresso o in surroga e chiedere incidenter tantum al giudice civile il relativo accertamento. Peraltro, le azioni in sede civile, secondo l'indirizzo giurisprudenziale anche della Corte di cassazione, possono essere esperite automaticamente, salvo il riscontro della pregiudizialita' penale con tutte le conseguenze sul corso del processo civile. Egualmente l'accertamento puo' essere chiesto dall'I.N.A.I.L. in sede civile e anche nei casi in cui, in sua assenza dal processo (penale), il giudice abbia emesso sentenza di non doversi procedere per cause varie (morte, prescrizione ecc...), abbia concesso il perdono giudiziale o abbia emesso decreto di archiviazione. Il termine di prescrizione delle due azioni, surroga e regresso, secondo le norme censurate, decorre dalla data dei provvedimenti giudiziali penali. 3. - I principi affermati da questa Corte, siccome attengono alla esistenza del diritto fatto valere, non trovano applicazione nella fattispecie, che riguarda solo l'esercizio del diritto e il termine per effettuarlo. Ne' sussiste la dedotta violazione degli invocati precetti costituzionali. Invero, e' prevista uguale decorrenza del termine prescrizionale sia per coloro che hanno partecipato al processo, sia per coloro che non vi hanno partecipato, i quali, pero', possono iniziare direttamente i relativi giudizi civili senza attendere l'esito di quello penale, salvo, come si e' detto, i possibili provvedimenti che il giudice civile puo' emettere e che regolano il corso del giudizio civile. Inoltre, la previsione dei termini di prescrizione e di decadenza e' rimessa alla discrezione del legislatore e la determinazione della loro durata, al fine di non lasciare indeterminatamente pendenti e, quindi, incerte le situazioni giuridiche, specie quelle che hanno, come nella materia degli infortuni sul lavoro, profili pubblicistici per cui e' maggiore l'esigenza di stabilita'. Sussiste anche la necessita' di fissare un non lungo intervallo di tempo tra la pronuncia in sede penale e l'inizio delle azioni civili collegate ai possibili accertamenti effettuati in quella sede affinche' sia anche possibile l'apprestamento delle difese in epoca non lontana dalla commissione dell'illecito. E affinche' non risulti violato il precetto dell'art. 24 Cost., occorre altresi' che i limiti temporali, e cioe' il termine, non siano tali da rendere, per la loro lunghezza, impossibile o vana la tutela dinanzi al giudice del diritto preteso e ne sia, invece, garantita l'effettivita'. Il che e' nella specie, essendo i termini rispettivamente di cinque anni per proporre l'azione di surroga e di tre anni per l'azione di regresso, abbastanza lunghi e certamente congrui. Le scelte discrezionali del legislatore restano insindacabili nel giudizio di legittimita' costituzionale perche' non concretano un mero arbitrio e non sono irragionevoli. 4. - Il Pretore di Siena (R.O. nn. 565/83 e 1339/8z4) dubita della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1224 del 1965 che, dopo l'entrata in vigore della legge 24 novembre 1984, n. 689, modificativa dell'art. 590 cod. pen., esclude, in danno dell'I.N.A.I.L., l'azione di regresso anche nel caso in cui l'infortunato abbia riportato lesioni gravi o gravissime cagionate per colpa non riconducibile ad inosservanza di norme di prevenzione antinfortunistica, per essere anche tali lesioni perseguibili solo a querela della persona offesa. Secondo il remittente risulterebbe leso l'art. 3 Cost. per l'irrazionale conseguenza di consentire l'esclusione del diritto di regresso in casi nei quali la gravita' delle lesioni ha prodotto conseguenze dannose di rilevante entita' sul piano patrimoniale e di conservarlo, invece, in casi nei quali siffatte conseguenze sono meno significative solo perche' ricollegabili ad un comportamento lesivo perseguibile di ufficio in quanto commesse in violazione delle norme di prevenzione antinfortunistica. Il Pretore di Verona (R.O. n. 161/83), rilevando che l'azione di regresso dell'I.N.A.I.L. rimane esclusa nell'ipotesi in cui il giudice penale ha prosciolto in dibattimento il datore di lavoro o un suo dipendente per difetto di querela, con conseguente limitazione del potere del giudice civile di qualificare il fatto come reato perseguibile a querela o di ufficio, non trattandosi di estinzione del reato per morte, amnistia o prescrizione, dubita della legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1224 del 1965 per violazione degli artt. 24, primo e secondo comma, e 3 Cost., in quanto l'Istituto non ha partecipato al processo penale e si e' creata una disparita' di trattamento rispetto al prestatore di lavoro che puo' costituirsi parte civile nel processo penale. 4.1 - Le questioni non sono fondate. Anche la fattispecie sottoposta all'esame del Pretore di Verona trova la sua regolamentazione nella nuova legge n. 689 del 1981 che ha esteso l'ambito della necessita' della querela per la perseguibilita' delle lesioni cagionate all'infortunato tranne che il fatto concreti una violazione delle norme antinfortunistiche o di tutela dell'igiene sul lavoro. Il legislatore ha modificato indirettamente il precedente criterio di differenziazione utilizzato per determinare l'effetto delle lesioni sulla responsabilita' civile del datore di lavoro anche ai fini dell'azione di regresso spettante all'I.N.A.I.L. Al criterio della gravita' delle lesioni e del danno fisico cagionato al lavoratore ha sostituito quello della violazione delle norme di tutela antinfortunistica e dell'igiene sul lavoro. Appare, pero', indebolita la funzione espletata dalla precedente normativa di incentivare il datore di lavoro, quale responsabile dell'organizzazione aziendale, all'adozione di generiche misure di prevenzione, sebbene risulti, invece, accentuata, nella sostanza, l'osservanza delle norme di tutela antinfortunistica e dell'igiene sul lavoro perche' sia la responsabilita' civile del datore di lavoro che il regresso dell'Istituto assicuratore sono legati alla detta tutela e conseguono anche a fatti di lieve entita' allorche' importino violazione di dette norme. Allo stato, pero', risultano certamente ridotti l'ambito del recupero dell'I.N.A.I.L. delle somme corrisposte all'infortunato per indennita' nei confronti del datore di lavoro e la possibilita' del lavoratore di ottenere dal datore di lavoro la differenza dei danni conseguenti alla sua responsabilita' civile essendosi aumentato l'ambito di applicazione del quarto comma dell'art. 10 del d.P.R. n. 1224 del 1965. In tale situazione si rende necessario il contemperamento degli interessi, che e' compito precipuo del legislatore il quale ha il dovere di effettuarlo tutte le volte che possano risultare violati precetti costituzionali ed, in particolare, diversi da quelli invocati nella fattispecie.