ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 649, n. 1, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 2 maggio 1987 dal Pretore di Pinerolo, iscritta al n. 319 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima Serie speciale, dell'anno 1987. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola. Ritenuto in fatto Nel corso di un procedimento penale, in cui all'imputata era stata contestata la sottrazione di alcuni arredi e suppellettili dalla casa nella quale aveva vissuto per oltre dieci anni con il querelante, il Pretore di Pinerolo, con ordinanza emessa il 2 maggio 1987, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dell'art. 649, n. 1, del codice penale nella parte in cui non prevede l'estensione dell'esimente anche a chi abbia commesso in danno del convivente more uxorio alcuno dei fatti di cui al Titolo XIII, Libro II, del codice penale. A parere del giudice a quo, con l'evolversi della coscienza sociale, siffatta convivenza avrebbe perduto l'originario significato negativo, come rivelerebbero alcune previsioni tratte dai piu' diversi settori della normativa ordinaria e, in particolare, l'art. 317- bis del codice civile che conferisce un preciso rilievo al rapporto tra il figlio riconosciuto da entrambi i genitori conviventi e questi ultimi. Inoltre l'art. 29, primo comma, della Costituzione non escluderebbe la possibilita' di modelli di aggregazione diversi dalla famiglia fondata sul matrimonio; ai termini dell'art. 2, anzi, sarebbe ben riconoscibile la famiglia di fatto quale formazione sociale con funzioni di gratificazione affettiva, caratterizzata da comunanza d'interessi. Proprio quest'ultima notazione renderebbe illegittima ed irrazionalmente discrimanatoria la mancata estensione della esimente de qua ai membri dell'anzidetta convivenza. E' intervenuta l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza della questione. Considerato in diritto 1. - Il Pretore di Pinerolo, con ordinanza del 2 maggio 1987 (r. o. n. 319/1987), solleva questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dell'art. 649, n. 1, del codice penale "nella parte in cui non prevede la non punibilita' di chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dal Titolo XIII cod. pen. in danno del convivente more uxorio". 2. - La questione non e' fondata. La non punibilita', prevista dalla norma impugnata, si fonda sulla presunzione che, ove i coniugi non siano legalmente separati, sussista una comunanza di interessi che assorbe il fatto delittuoso. Tant'e' che nella ipotesi di separazione legale la punibilita' ricorre, sia pure a querela della persona offesa. Siffatto regime palesa che il legislatore rimette alla volonta' del coniuge legalmente separato l'applicazione della legge penale, laddove esclude che questa possa intervenire in costanza della convivenza coniugale. Fattispecie tutt'affatto diversa e' quella della convivenza more uxorio, per sua natura fondata sulla affectio quotidiana liberamente e in ogni istante revocabile - di ciascuna delle parti. Nel caso che ha dato origine alla presente questione di costituzionalita', la denuncia-querela della persona offesa, nonche' la sottrazione di mobili suppellettili ed elettrodomestici dall'abitazione comune ad opera della convivente, che li ha trasportati in altro alloggio ove si e' stabilita con il figlio nato dal rapporto con il querelante, sono atti concludenti che attestano la revocazione dell'affectio e dunque il venir meno della convivenza more uxorio. Non sembrano pertanto ravvisabili nella norma impugnata in occasione del giudizio di cui all'ordinanza del Pretore di Pinerolo, profili di contrasto con i valori costituzionali contenuti negli artt. 2 e 3 della Costituzione.