ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 348, terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1985 dal Tribunale di Cremona, iscritta al n. 447 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 285- bis dell'anno 1985; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1988 il Giudice relatore Giovanni Conso; Ritenuto che il Tribunale di Cremona, con ordinanza del 30 aprile 1985, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 348 del codice di procedura penale, "per la parte in cui non consente alla persona gia' imputata in reato connesso (ma prosciolta per una causa estintiva del reato che impedisce la riapertura dell'istruzione a norma dell'art. 402 c.p.p.) di rendere testimonianza in giudizio connesso"; che nel presente giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata; Considerato che questa Corte, con sentenza n. 154 del 1973, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' dell'art. 348, terzo comma, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, riconoscendo "razionale che il soggetto, che abbia reso, a suo tempo, interrogatorio in qualita' di coimputato, non possa essere successivamente chiamato, in mutata veste, a riferire come testimone sugli stessi fatti", in quanto "il timore di incorrere in pregiudizievoli contraddizioni e conseguenti responsabilita' finirebbe col togliere attendibilita' alla sua deposizione", e, con sentenza n. 201 del 1974, oltre a dichiarare manifestamente infondata la questione anzidetta, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' dello stesso art. 348, terzo comma, del codice di procedura penale, in riferimento, fra l'altro, all'art. 3 della Costituzione; che l'ordinanza di rimessione, pur richiamando entrambe le sentenze, non adduce argomenti nuovi rispetto a quelli gia' esaminati, ma si limita a dare del comma censurato un'interpretazione che vorrebbe giustificare unicamente in relazione al "timore di incorrere in penali responsabilita' o, comunque, di essere nuovamente inquisito" il divieto ivi previsto; e che, invece, tale divieto non e' posto in funzione esclusiva degli effetti indicati dal giudice a quo, ma deve essere anche raccordato al regime degli effetti civili della sentenza penale, e, in particolare, al disposto dell'art. 25 del codice di procedura penale, in base al quale l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno non puo' piu' "essere proposta, proseguita o riproposta davanti al giudice civile o amministrativo" solamente "quando in seguito a giudizio e' stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto fu compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta' legittima ovvero che non e' sufficiente la prova che il fatto sussista o che l'imputato lo abbia commesso"; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;