ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 9, secondo
 comma, della legge 1› dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei  casi  di
 scioglimento  del matrimonio) come modificato con legge 6 marzo 1987,
 n. 74 (Nuove norme sulla disciplina  dei  casi  di  scioglimento  del
 matrimonio),  promosso  con  ordinanza  emessa  l'8  luglio  1987 dal
 Tribunale di Firenze nel  procedimento  civile  vertente  tra  LANINI
 Ginetta  e il Ministero della Difesa ed altro, iscritta al n. 732 del
 registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1987.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  9 giugno 1988 il Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
                            Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio promosso da Lanini Ginetta contro il
 Ministero della difesa per ottenere la pensione di riversibilita'  in
 seguito  alla morte del marito divorziato, il Tribunale di Firenze ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  9,  secondo comma, della legge 1› dicembre
 1970 n. 898, novellato dalla legge 6 marzo 1987 n. 74, nella parte in
 cui  subordina  il  diritto  del  coniuge  divorziato superstite alla
 titolarita' di assegno ai sensi dell'art. 5.
    La  norma  denunziata  e'  ritenuta  contrastante col principio di
 eguaglianza sotto  un  duplice  profilo.  In  primo  luogo,  perche',
 discostandosi dalla norma precedente, nel testo stabilito dalla legge
 1› agosto 1978 n, 436, discrimina il  coniuge  che  abbia  chiesto  e
 ottenuto  l'assegno  nel  processo di dovorzio rispetto al coniuge al
 quale la sentenza di divorzio non  abbia  concesso  l'assegno  e  che
 successivamente  venga  a trovarsi nelle condizioni per ottenerlo. In
 secondo luogo,  perche'  dispone  una  differenza  ingiustificata  di
 trattamento  anche nella seconda ipotesi, a seconda che le condizioni
 economiche del coniuge divorziato si  siano  modificate  mentre  l'ex
 coniuge  obbligato  a somministrare l'assegno era in vita oppure dopo
 la sua  morte.  Nell'un  caso,  infatti,  a  norma  del  primo  comma
 dell'art.  9,  rimasto  immutato,  l'ex  coniuge  puo'  ottenere  una
 sentenza che gli  riconosce  il  diritto  all'assegno,  al  quale  si
 sostituisce,  alla  morte dell'obbligato, il diritto alla pensione di
 riversibilita', mentre tale possibilita' e' esclusa nell'altro  caso.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti alla Corte non si sono costituite le
 parti private, mentre e' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei
 Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato.
    L'interveniente eccepisce preliminarmente l'inammissibilita' della
 questione per difetto di rilevanza, "dal momento che in  nessun  caso
 il  Tribunale  potrebbe  pronunziarsi sulla spettanza del trattamento
 pensionistico, trattandosi di materia  riservata  alla  giurisdizione
 della Corte dei Conti".
    Nel  merito  l'Avvocatura  sostiene l'infondatezza della questione
 prendendo le mosse dalla sentenza n. 169 del 1986 di questa Corte, la
 quale  ha posto in luce come la pensione di riversibilita', in quanto
 si configura come prosecuzione del trattamento pensionistico  diretto
 goduto  dal  dante  causa, presuppone che i superstiti aventi diritto
 fruissero gia', indirettamente, di tale trattamento  quale  mezzo  di
 sopperimento  delle loro esigenze di vita. Di tale principio la norma
 censurata  costituisce  puntuale  e  corretta  applicazione,   mentre
 ispirata  a  criteri meramente equitativi era l'interpretazione della
 norma precedente cui fa riferimento il  giudice  remittente.  Quando,
 come  nel caso in esame, il coniuge divorziato superstite non era nel
 godimento di alcun assegno, non si verifica quell'indiretta fruizione
 che    giustificherebbe    l'attribuzione    del    trattamento    di
 riversibilita'.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Secondo l'Avvocatura dello Stato, poiche' nella specie l'ex
 coniuge defunto godeva di una  pensione  a  carico  dello  Stato,  la
 spettanza   al  coniuge  divorziato  superstite  del  trattamento  di
 riversibilita' previsto dall'art. 9, secondo comma,  della  legge  n.
 898  del 1970, nel testo novellato dall'art. 13 della legge n. 74 del
 1987,  sarebbe  materia  di  giurisdizione  della  Corte  dei  Conti;
 pertanto  la  questione  di legittimita' costituzionale sollevata dal
 Tribunale di Firenze dovrebbe  essere  dichiarata  inammissibile  per
 l'irrilevanza   della   stessa,   che   emergerebbe  dal  difetto  di
 giurisdizione del giudice a quo.
    L'eccezione   va   respinta,  sia  perche'  oggetto  del  giudizio
 principale non sono i requisiti del  diritto  a  pensione  del  dante
 causa  e/o  l'ammontare  di  essa, bensi' il diritto alla pensione di
 riversibilita' del coniuge divorziato che non godeva gia' di  assegno
 divorzile,   onde   non   pare   contestabile   l'appartenenza  della
 controversia alla giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria;
 sia,  comunque, perche' il preteso difetto di giurisdizione non ha il
 carattere di evidenza, in ragione  del  quale  soltanto,  secondo  la
 giurisprudenza  di  questa Corte (cfr. sent. n. 346 del 1987, ord. n.
 100 del 1988), potrebbe essere esclusa la rilevanza dell'incidente di
 costituzionalita'.
    2. - Nel merito la questione non e' fondata.
    Il  giudice  a  quo  ha ravvisato una violazione dell'art. 3 Cost.
 assumendo come  dato  di  comparazione  il  trattamento  dell'ex  del
 coniuge non titolare di assegno divorzile in base al testo precedente
 della norma in esame, cosi' come  interpretato  dalla  giurisprudenza
 consolidata   della   Cassazione,  senza  valutare  adeguatamente  la
 radicale   modificazione   della    natura    e    dei    presupposti
 dell'attribuzione  patrimoniale  al  divorziato portata dalla novella
 del 1987.
    La  norma  anteriore  (formulata  dalla  legge  n.  436  del 1978)
 prevedeva che, "se  l'obbligato  alla  somministrazione  dell'assegno
 periodico   di  cui  all'art.  5  muore  senza  lasciare  un  coniuge
 superstite, la pensione e  gli  altri  assegni  che  spetterebbero  a
 questo  possono essere attribuiti dal tribunale, in tutto o in parte,
 al coniuge divorziato". Tale attribuzione era intesa dalla Cassazione
 "come  diritto  non  gia'  alla  pensione  di riversibilita', ma come
 diritto autonomo, di natura non previdenziale,  che  partecipa  della
 natura   propria   dell'assegno   di   divorzio",   come   tale   non
 necessariamente legato  ai  presupposti  tipici  del  trattamento  di
 riversibilita'. Percio' questa giurisprudenza riteneva che, ove fosse
 sopravvenuto uno stato  di  bisogno,  l'attribuzione  potesse  essere
 chiesta  anche  dall'ex  coniuge  che  non fosse gia' beneficiario di
 assegno di divorzio in  forza  della  sentenza  di  scioglimento  del
 matrimonio  o  di  una  sentenza  successiva pronunziata contro il de
 cuius: opinione  avallata  in  linea  esegetica,  non  senza  qualche
 forzatura,   sia   interpretando  la  qualifica  di  "obbligato  alla
 somministrazione dell'assegno" nel senso di  "soggetto  obbligato  in
 astratto  e  non  necessariamente  in concreto e per il passato", sia
 argomentando a contrario dall'art. 9-bis,  primo  comma,  che  invece
 subordina  il  diritto  a  un assegno alimentare a carico degli eredi
 alla condizione che sia stato riconosciuto all'ex coniuge il  diritto
 all'assegno di divorzio.
    Il  nuovo testo dell'art. 9, secondo comma, introdotto dalla legge
 n. 74 del 1987,  ha  trasformato  l'assegno  di  mantenimento  all'ex
 coniuge  superstite  in  un  vero  e proprio diritto alla pensione di
 riversibilita', dilatando l'ultrattivita',  sul  piano  dei  rapporti
 patrimoniali,  del  matrimonio  sciolto per divorzio. Ne consegue che
 l'attribuzione patrimoniale al divorziato, da un lato, ha  acquistato
 carattere  di automaticita' e non e' piu' subordinata alla condizione
 di uno stato di bisogno effettivo, mentre prima era rimessa nell'  an
 e  nel  quantum  alla  discrezionalita' del tribunale, ma, dall'altro
 lato, viene assoggettata alla condizione  della  pregressa  fruizione
 indiretta, mediante l'assegno di divorzio, della pensione di cui l'ex
 coniuge  defunto  era  titolare  in  base   a   un   rapporto   sorto
 anteriormente alla sentenza di divorzio.
    Da  tale  condizione  non si puo' prescindere, posto che carattere
 essenziale del trattamento di riversibilita' e' quello di "realizzare
 una  garanzia  di  continuita' del sostentamento al superstite" (cfr.
 Corte cost. n. 7 del 1980 e n. 286 del 1987),  cosi'  che  si  impone
 indefettibilmente il requisito della vivenza a carico.
    3.  -  Non  si  puo'  dire  che la nuova disciplina rappresenti un
 arretramento rispetto a quella precedente, come sostiene il giudice a
 quo,  ripetendo  una  critica minoritaria gia' avanzata al Senato nel
 corso del dibattito assembleare sul disegno di legge che ha  promosso
 la   riforma   del   1987.   Essa   costituisce  un  nuovo  istituto,
 essenzialmente diverso, che il legislatore ha prescelto allo scopo di
 eliminare  le  occasioni  di litigiosita' di cui la norma abrogata si
 era dimostrata gravida. Questa norma, pertanto,  e  l'interpretazione
 che  la  giurisprudenza ne aveva dato non possono essere assunte come
 termine  di  comparazione  per  valutare  la  giustificatezza   della
 diversita'  di  trattamento  dell'ex coniuge superstite a seconda che
 sia o no titolare dell'assegno di divorzio.
    La  valutazione  deve  procedere  con  riferimento  esclusivo alla
 configurazione del trattamento di  riversibilita'  come  prosecuzione
 della   funzione   di  sostentamento  del  superstite  in  precedenza
 indirettamente adempiuta dalla pensione goduta  dal  dante  causa,  e
 quindi  con  riguardo  ai  requisiti  che  a tale configurazione sono
 connaturati.  Alla  stregua   di   questo   dato   di   comparazione,
 l'esclusione del diritto alla pensione di riversibilita', quando l'ex
 coniuge superstite non sia "titolare di assegno  ai  sensi  dell'art.
 5",  ha un fondamento razionale che la mette al riparo da censure dal
 punto di vista del principio di eguaglianza.