ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 219, terzo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 12 marzo 1987 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Saccavino Giannantonio, iscritta al n. 104 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1988; Udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1988 il Giudice relatore Giovanni Conso; Ritenuto in fatto 1. - Saccavino Giannantonio veniva condannato dalla Corte d'assise di Vicenza, concesse le attenuanti generiche e l'attenuante del vizio parziale di mente, alla pena di quattro anni di reclusione, nonche' alla misura di sicurezza del ricovero, a pena espiata, in una casa di cura e di custodia per il tempo non inferiore ad un anno. Investita del gravame avverso tale sentenza, la Corte d'assise d'appello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, riduceva la pena inflitta e determinava il periodo di ricovero in una casa di cura e di custodia in misura non inferiore a sei mesi. Ricorreva per cassazione l'imputato e - richiamando la sentenza costituzionale n. 249 del 1983 - deduceva, fra l'altro, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'illegittimita' dell'art. 219, terzo comma, del codice penale, "nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita per cagione di infermita' psichica al previo accertamento da parte del giudice dell'esecuzione della persistente pericolosita' sociale derivante dall'infermita' medesima al tempo della sua esecuzione". Con ordinanza del 5 febbraio 1985 la Corte di cassazione accoglieva la dedotta eccezione. Premesso che l'accertamento di pericolosita' sociale dell'imputato e' riferito "al momento in cui il Giudice applica, con la sentenza di condanna, la misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura e di custodia e non al momento della sua esecuzione, il cui inizio si verifichera', specie in caso di condanna a pena di elevata entita', dopo molti anni e comunque dopo notevole intervallo di tempo", rileva la Corte che l'art. 204, ultimo comma, del codice penale subordina l'esecuzione della misura di sicurezza non ancora iniziata all'accertamento della pericolosita' sociale del condannato nel caso di misura di sicurezza aggiunta a pena non detentiva; non prevede, invece, analogo accertamento nel caso in cui la misura di sicurezza sia aggiunta a pena detentiva. Dopo aver fatto richiamo alle sentenze costituzionali n. 139 del 1982 e n. 249 del 1983 (con le quali la Corte ha, fra l'altro, osservato che - a differenza di quanto si verifica nell'ipotesi della totale infermita' psichica - nell'ipotesi della seminfermita', conseguendo l'irrogazione della misura ad una condanna definitiva a pena diminuita, l'applicazione della misura stessa viene disposta, normalmente, ex art. 220 del codice penale, solo dopo l'espiazione della pena), il giudice a quo ha ravvisato nella disposizione impugnata, da un lato, arbitrarieta', non esprimendo "esigenze di tutela, discrezionalmente riservata al legislatore"; dall'altro, ingiustificata disparita' di trattamento "rispetto all'ipotesi di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 219" del codice penale, cosi' come risultanti a seguito delle sentenze costituzionali n. 139 del 1982 e n. 249 del 1983, ed alla fattispecie disciplinata nell'art. 204, ultimo comma, dello stesso codice, "stante l'eadem ratio che sotto il profilo di un'effettiva permanenza dell'infermita' psichica e della pericolosita' sociale unifica le predette disposizioni". Con ordinanza n. 280 del 1986 questa Corte ordinava la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza, essendo, dopo la proposizione della questio de legittimitate, entrata in vigore la legge 10 ottobre 1986, n. 663, il cui art. 31, oltre ad abrogare espressamente l'art. 204 del codice penale, ha anche stabilito che "tutte le misure di sicurezza sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il reato e' persona socialmente pericolosa". 2. - La Corte di cassazione, con ordinanza del 12 marzo 1987 (ma pervenuta a questa Corte solo il 10 marzo 1988), premesso che l'art. 204, ultimo comma, del codice penale, abrogato dall'art. 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, prevedeva che l'esecuzione della misura di sicurezza aggiunta a pena detentiva fosse subordinata all'accertamento della qualita' di persona socialmente pericolosa del condannato, mentre "non prevedeva un analogo accertamento in tal senso nel caso in cui la misura di sicurezza sia aggiunta, invece, a pena detentiva", ha riproposto la medesima questione di legittimita' costituzionale. 3. - L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, e' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 14, prima serie speciale, del 6 aprile 1988. La parte privata non si e' costituita ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato in diritto 1. - La Corte di cassazione ripropone la quaestio de legitimitate avente per oggetto l'art. 219, terzo comma, del codice penale, "nella parte in cui non subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato, condannato per delitto non colposo ad una pena diminuita per infermita' psichica, al previo accertamento del giudice di esecuzione della persistente pericolosita' sociale derivante dall'infermita' mentale al tempo della sua esecuzione", in riferimento all'art. 3 della Costituzione. La questione, gia' sollevata dallo stesso giudice nel corso del medesimo procedimento con ordinanza del 5 febbraio 1985, aveva dato luogo all'ordinanza n. 280 del 1986, di restituzione degli atti al giudice a quo, essendo apparso necessario un nuovo, aggiornato esame della rilevanza a seguito delle innovazioni nel frattempo apportate in materia di accertamento della pericolosita' sociale dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, "il cui art. 31 ha espressamente abrogato con il primo comma l'intero art. 204 del codice penale, inoltre stabilendo nel secondo comma che 'Tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il reato e' persona socialmente pericolosa''". 2. - Alla stregua dell'interpretazione accolta dal giudice a quo circa le "innovazioni apportate" dall'art. 31, secondo comma, della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nel senso che tale comma si sarebbe "limitato a ripetere quanto gia' stabiliva il primo comma dell'art. 204 c.p.", richiedendo l'accertamento della pericolosita' "con riferimento soltanto al momento in cui la misura (di sicurezza) viene disposta e non (anche) al momento della sua esecuzione" - un'interpretazione alla quale, anche per le funzioni di nomofilachia proprie dell'organo di provenienza, non vi e' ragione che questa Corte ne contrapponga altra - la questione in esame conserva integra la rilevanza inizialmente ravvisata dalla Corte di cassazione. Una volta chiarito che la norma di cui si deve fare applicazione nel caso di specie porta tuttora a considerare esaurito l'accertamento della pericolosita' sociale "al momento in cui la misura di sicurezza della casa di cura e di custodia viene disposta dal giudice di cognizione", la richiesta declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 219, terzo comma, del codice penale, nella parte che omette di prevedere l'accertamento della stessa pericolosita' anche al momento dell'esecuzione della misura, priverebbe del carattere di definitivita' l'accertamento compiuto dal giudice di cognizione, condizionandone il concreto operare ad un ulteriore accertamento da compiere "al momento dell'esecuzione". 3. - Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata violerebbe l'art. 3 della Costituzione: e cio' sia sotto il profilo dell'"arbitrarieta'", in quanto la mancata previsione di un nuovo accertamento all'inizio dell'esecuzione "non esprime esigenze di tutela, discrezionalmente riservate al legislatore", sia sotto il profilo dell'"ingiustificata disparita' di trattamento che essa comporta rispetto all'ipotesi di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 219", oltreche' "rispetto a quella, del tutto analoga, prima disciplinata" dal secondo comma dell'art. 204, quali risultano in seguito alle rispettive declaratorie di illegittimita' costituzionale pronunciate da questa Corte con la sentenza n. 249 del 1983, avvalendosi della ratio decidendi gia' posta a base della sentenza n.139 del 1982, avente per oggetto le norme relative all'accertamento della pericolosita' sociale derivante da totale infermita' di mente. 4. - In effetti - proprio muovendo dalla constatazione che "la presunzione di persistenza, al momento dell'applicazione della misura di sicurezza della casa di cura e di custodia, della condizione di seminfermita' psichica accertata rispetto all'epoca del fatto, risulta irragionevole, ben potendo tale condizione aver subi'to nel frattempo" ( e, cioe', nell'intervallo temporale, di regola non breve, che separa "il momento cui e' riferito l'accertamento della seminfermita' psichica" da "quello in cui viene applicata la misura di sicurezza, la quale e', per definizione, finalizzata anche alla cura") "una positiva evoluzione fino alla completa guarigione" questa Corte, con la sentenza n. 249 del 1983, ha dichiarato illegittimi sia il primo sia il secondo comma dell'art. 219, nonche' il secondo comma dell'allora vigente art. 204, "nella parte in cui non subordinano il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia dell'imputato condannato ad una pena diminuita per cagione di infermita' psichica...al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosita' sociale derivante dalla infermita' medesima, al tempo dell'applicazione della misura di sicurezza". Le ipotesi allora prese in esame apparivano caratterizzate tutte, prima che dalla presunzione di persistenza della pericolosita' sociale conseguente all'infermita' psichica, dalla presunzione assoluta di tale pericolosita', prevista, in via generale, dal periodo iniziale del secondo comma dell'art. 204 e, in via specifica, dai primi due commi dell'art. 219 del codice penale. Con il che si differenziavano sensibilmente dall'ipotesi ora in esame, caratterizzata si' dalla presunzione di persistenza della pericolosita' sociale derivante dalla seminfermita' psichica, ma non anche dalla presunzione assoluta di tale pericolosita', dovendosi, nel caso previsto dal terzo comma dell'art. 219, addivenire sempre al concreto accertamento della qualita' di persona socialmente pericolosa ("se... risulta che il condannato e' persona socialmente pericolosa", dispone sin dal 1930 tale comma). Dopo che l'art. 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 - abrogando l'intero art. 204 del codice penale e prescrivendo tassativamente che "Tutte le misure di sicurezza personale sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto e' persona socialmente pericolosa" - ha opportunamente cancellato dal nostro ordinamento i "casi espressamente determinati", nei quali, ai sensi dell'art. 204, secondo comma, del codice penale, la qualita' di persona socialmente pericolosa era "presunta dalla legge", ogni differenza di ordine concettuale tra l'ipotesi disciplinata dal terzo comma dell'art. 219 e le ipotesi disciplinate dai due commi precedenti, gia' dichiarati illegittimi in parte qua, si puo' ben dire venuta meno. La reiterazione dell'accertamento, che sola consente di far fronte all'esigenza di verificare l'effettivo persistere della pericolosita' sociale derivante dalla seminfermita' psichica anche nel momento dell'applicazione e, quindi, della concreta esecuzione della misura di sicurezza, si impone, pertanto, pure nei casi in cui la misura di sicurezza della casa di cura e di custodia sia prevista dall'art. 219, terzo comma, del codice penale. E vi si impone, anzi, a maggior ragione, data la minor gravita' che i reati cui tale comma si riferisce presentano rispetto ai delitti presi in considerazione dagli altri due commi dello stesso art. 219. 5. - Anche il terzo comma dell'art. 219 del codice penale va, dunque, dichiarato illegittimo, nella parte in cui, per i casi ivi previsti, subordina il provvedimento di ricovero in una casa di cura e di custodia al previo accertamento della pericolosita' sociale, derivante dalla seminfermita' di mente, soltanto nel momento in cui la misura di sicurezza viene disposta e non anche nel momento della sua esecuzione. Un accertamento che, secondo il nuovo riparto delle competenze risultante dall'art. 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in ultimo sostituito ad opera dell'art. 21 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, e ripreso dall'art. 679 del nuovo codice di procedura penale, e' da intendersi demandato non piu' al giudice dell'esecuzione bensi' al magistrato di sorveglianza (si veda, in particolare, il quarto comma dell'attuale testo dell'art. 69, come pure il primo comma dell'art. 679 del nuovo codice). Il tutto in stretta sintonia con la competenza a disporre la revoca anticipata delle misure di sicurezza, che, dopo la declaratoria di illegittimita' del secondo e del terzo comma dell'art. 207 del codice penale (v. sentenza n. 110 del 1974), l'art. 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, aveva inizialmente affidato al giudice di sorveglianza, cui, in forza della sostituzione operata dall'art. 22 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, e' ora subentrato il magistrato di sorveglianza.