IL GIUDICE ISTRUTTORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento penale
 contro Maniscalco Luigi, nato a Palermo il 29 marzo  1932,  residente
 in  Varese, via Taramelli, 24, imputato del reato di cui all'art. 372
 del c.p. perche', deponendo  come  testimone  innanzia  al  g.i.  del
 tribunale  di  Genova  nei  giorni 11 febbraio 1981, 3 luglio 1981, 4
 novembre  1981,  23  settembre  1983,   nel   procedimento   relativo
 all'omicidio  volontario  in  danno  di  Scaglione  Pietro e Lo Russo
 Antonino, avvenuto in Palermo il 5 maggio 1971, taceva il vero  circa
 l'identita', a lui nota, di un teste oculare dal quale aveva avuto la
 completa narrazione del fatto, invocando infondatamente  la  facolta'
 prevista  dall'art. 349 del c.p.p. con l'avvalersi della qualifica di
 commissario di p.s. allorche' ricevette le dichiarazioni da parte del
 detto teste oculare;
    Letti  gli atti del procedimento, e viste le conclusioni del p.m.,
 il quale ha chiesto il proscioglimento dell'imputato perche' il reato
 e' estinto per amnistia;
                             O S S E R V A
    L'azione  penale contro il Maniscalco, dirigente la squadra mobile
 di Varese, e'  stata  esercitata  perche'  lo  stesso,  sentito  come
 testimone, ha rifiutato di indicare l'identita' della persona che gli
 avrebbe  riferito  circostanze  relative  all'omicidio  per  cui   si
 procede.  Il  Maniscalco  ha  invocato  il disposto dell'ultimo comma
 dell'art. 349 del c.p.p., disposto che il p.m. ritiene  inapplicabile
 in  quanto,  nella specie, la persona di cui il teste ha rifiutato di
 indicare l'identita' sarebbe non  un  "confidente"  ma  un  testimone
 diretto dei fatti.
    L'esclusione  della applicabilita' dell'ultimo comma dell'art. 349
 alle ipotesi in cui la persona  da  identificare  sia  testimone  dei
 fatti  non pare tuttavia giustificata dalle leggi vigenti. Esaminando
 la  legittimita'  costituzionale  della  norma  in  esame,  la  Corte
 costituzionale  (28  novembre  1968, n. 114) ha semmai introdotto, in
 sede di motivazione di  una  sentenza  di  rigetto  della  questione,
 un'eccezione  limitata all'ipotesi in cui la persona non indicata dal
 funzionario di polizia sia non un testimone bensi' proprio un  autore
 del  fatto  criminoso  ("Il  caso limite del funzionario di p.g. che,
 avvalendosi della facolta' derivante dall'art. 349, ultimo comma  del
 c.p.p.,  illecitamente  favorisca  l'impunita'  di  chi  dovrebbe,  a
 qualsiasi titolo, assumere la veste di imputato,  esula  dall'ipotesi
 prevista dalla norma impugnata").
    Nella  stessa  sentenza  si  osserva  invece che "l'art. 109 della
 Costituzione nulla  dice,  neppure  per  implicito,  in  ordine  alla
 estensione dei poteri di cognizione spettanti al giudice nel processo
 penale".
    La  distinzione  tra confidente indiretto e confidente presente ai
 fatti ha vuto maggior spazio in altri ordinamenti (negli  ordinamenti
 anglosassoni,  a quanto riferisce la nostra dottrina), ma soltanto in
 relazione all'ipotesi che la mancata identificazione  del  confidente
 provochi   pregiudizio   alla   posizione   difensiva   dell'imputato
 (sull'argomento Scarpone, in Giur. cost. 1970, 2102).
    Ma  la  Corte costituzionale (sentenza 2 dicembre 1970, n. 175) ha
 escluso  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  349  anche  con
 riferimento   alla   previsione   dell'art.  24  della  Costituzione,
 osservando che la norma "non impedisce all'imputato,  se  conosce  il
 nome   del  confidente,  di  chiedere  che  questo  sia  citato  come
 testimone".
    Poiche'  dunque l'imputato ha invocato la norma richiamata in modo
 corretto, secondo la giurisprudenza sin qui richiamata, non essendovi
 assolutamente  elementi  che  facciano  sospettare  che il Maniscalco
 abbia voluto con il suo silenzio  coprire  un  reo,  dovrebbe  essere
 pronunciato  il  proscioglimento dell'imputato non per amnistia (come
 richiesto dal p.m.) bensi'  perche'  il  fatto  non  potrebbe  essere
 sanzionato a sensi dell'art. 372 del c.p.
    Ad  avviso  di  questo  g.i.,  la  soluzione  incontra  pero', con
 riferimento  allo  stato   attuale   della   legislazione,   notevoli
 difficolta'  di  ordine costituzionale, che meritano un riesame della
 questione da parte della Corte delle leggi.
    E'  noto  infatti  come,  nella  materia  dei "segreti" opponibili
 all'autorita'  giudiziaria,  vi  sia  stata  negli  ultimi  anni  una
 evoluzione  assai  sensibile,  parallela  all'innegabile  (e orami da
 nessuno  negato)  incremento  del  ruolo  istituzionale  del   potere
 giudiziario nella vita del nostro Paese.
    In  particolare  e'  stata  rivista  in  radice  la disciplina del
 segreto di Stato, con l'individuazione di un  organo  (il  Presidente
 del  Consiglio dei ministri) e di complesse procedure che determinano
 il bilanciamento tra le  esigenze  relative  al  funzionamento  della
 giustizia e quelle relative ad altri interessi dello Stato-persona.
    La materia del segreto di Stato e' stata cosi' affidata all'organo
 che (art. 97 della Costituzione) "dirige  la  politica  generale  del
 Governo e ne e' responsabile. Mantiene l'unita' di indirizzo politico
 e  amministrativo,  promuovendo   e   coordinando   l'attivita'   dei
 ministri".
    Secondo  il  disposto  dell'art. 349, invece, la valutazione della
 opportunita'  di   derterminare   quale   comportamento   corrisponda
 "all'interesse  della  realizzazione  della  giustizia"  (secondo  le
 parole della stessa Corte costituzionale) sono  tuttora  affidate  al
 singolo  funzionario  di  polizia.  E  per valutare la portata di una
 simile scelta legislativa  bastera'  certamente  considerare  che  il
 Maniscalco   ha,   nella   specie,   dovuto   decidere   che  per  la
 "realizzazione  della  giustizia"   era   piu'   importante   coprire
 l'identita'  del suo confidente piuttosto che far progredire, in modo
 decisivo, le indagini relative ad uno dei delitti  piu'  efferati  ed
 inquietanti, che hanno segnato la vita del nostro Paese.
    Questo g.i. ritiene che la legittimita' costituzionale dell'ultimo
 comma dell'art. 349 debba essere riesaminata:
       a) con riferimento agli artt. 3 e 109 della Costituzione;
       b) con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
       c) con riferimento al solo art. 3 della Costituzione.
    Sub  a):  pur  se  l'art.  109  non contiene alcuna determinazione
 dell'ambito dei poteri di indagine  dell'autorita'  giudiziaria,  non
 pare  tuttavia  giustificato che le limitazioni derivanti dal segreto
 di Stato siano tanto piu' rigorose delle  delimitazioni  relative  ai
 privilegi delle autorita' di polizia.
    Gia'  la  sentenza della Corte costituzionale n. 53/1966, relativa
 al c.d. "segreto ferroviario" aveva rilevato come "le regole generali
 apprestano  al  segreto amministrativo una protezione che non esclude
 una indagine del giudice sulla fondatezza della relativa  asserzione"
 mentre una "tutela ingiustificatamente piu' decisa e intensa" di quel
 segreto a confronto con il segreto amministrativo poteva tradursi  in
 "palese disparita' di trattamento".
    Per  il  segreto  di  polizia  vale oggi identica osservazione, in
 relazione alla previsione contenuta negli artt. 351 e 352 del  c.p.p.
 In  entrambe  le norme richiamate da ultime, infatti, e' prevista una
 forma  di  verifica  della  fondatezza  della  pretesa   di   opporre
 l'esistenza di un segreto, mentre questa possibilita' manca del tutto
 nella previsione dell'art. 349.
    Pur  se  la  materia delle confidenze non si presta a controlli di
 merito, il sacrificio delle indagini giudiziarie andrebbe quanto meno
 sottoposto  ad un'autorita' (Ministro di grazia e giustizia, o almeno
 prefetto)  cui  l'ordinamento  affidi  responsabilita'   di   livello
 governativo.
    Sub b): pur se i diritti di difesa degli imputati possono soffrire
 "una  qualche  limitazione"   in   considerazione   degli   interessi
 complessivi  alla  "funzione  istituzionale della p.g." (cosi' sempre
 Corte  costituzionale  n.  114/1968),  non  pare   che   il   singolo
 funzionario  di  polizia  sia  il  soggetto piu' adatto ad effettuare
 questo delicato bilanciamento.
    Sub  c):  il  principio  di  uguaglianza,  infine, appare leso non
 perche' il potere affidato alla polizia abbia natura  arbitraria,  ma
 perche'  e'  irragionevole affidare un potere tanto delicato, tale da
 incidere su valori costituzionalmente rilevanti, ad un funzionario di
 polizia,   privo   di   ogni   qualificazione   dal  punto  di  vista
 costituzionale, in assenza di qualsiasi forma di verifica  ulteriore.
    Sulla  rilevanza:  le  questioni di rilevanza si pongono in questo
 processo in modo assolutamente simmetrico rispetto  al  processo  nel
 corso  del quale intervenne la sentenza della Corte costituzionale n.
 114/1968.
    Poiche'  il comportamento dell'imputato e' stato determinato dalla
 convinzione di poter esercitare uno ius  tacendi  riconosciuto  dalla
 legge, lo stesso Maniscalco potrebbe rivedere le proprie decisioni in
 ordine alla identificazione che gli e' stata richiesta a  seguito  di
 una  dichiarazione  di  incostituzionalita';  e  cio' con effetto non
 soltanto  nel  presente  procedimento,  relativo  all'imputazione  di
 reticenza   a  carico  del  Maniscalco,  ma  anche  sul  procedimento
 principale dal quale questo e' stato stralciato, nel quale  sarebbero
 possibili nuovi sviluppi di indagine.