IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1156/1987 proposto dal dott. Bonelli Giovanni Battista, rappresentato e difeso dagli avv.ti Rinaldo Bonatti, Ercole Romano e prof. Riccardo Villata ed elettivamente domiciliato presso il primo in Milano, via Podgora n. 3, contro il Ministero di grazia e giustizia ed il Consiglio superiore della magistratura (C.S.M.), costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall'avvocatura di Stato e domiciliati presso la medesima in Milano, via Freguglia n. 1, e nei confronti del dott. Beria di Argentine Adolfo, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof. Cesare Ribolzi ed Ettore Ribolzi ed elettivamente domiciliato presso i medesimi in Milano, p.zza S. Ambrogio n. 10, per l'annullamento del decreto del Presidente della Repubblica, presumibilmente emesso nel febbraio 1987, con il quale l'odierno controinteressato e' stato nominato procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Milano, di tutti gli atti del procedimento conclusosi con le deliberazioni del C.S.M., presumibilmente del 28 gennaio 1987 e del 2 febbraio 1987, relative al conferimento del suindicato ufficio direttivo all'odierno controinteressato, di tutti gli atti presupposti, antecedenti, conseguenti e comunque connessi rispetto al predetto decreto presidenziale di nomina, e segnatamente, delle determinazioni della commissione speciale del C.S.M. per il conferimento degli incarichi direttivi, dell'atto ministeriale di concerto, nonche' degli atti regolamentari e di indirizzo emanati del C.S.M. dei quali risultasse essere stata fatta applicazione nel procedimento ai fini della designazione e nomina di cui ai suidicati provvedimenti impugnati; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio degli intimati; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito, alla pubblica udienza del 17 ottobre 1989, il relatore dott. Adriano Leo; Uditi, altresi', gli avv.ti Bonatti e Villata per il ricorrente, l'avv. dello Stato Onano per i resistenti, e l'avv. Cesare Ribolzi per il controinteressato; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Con il ricorso in oggetto, l'istante, magistrato con funzioni di consigliere istruttore dell'ufficio istruzione presso il tribunale di Milano sin dall'aprile 1983, ha impugnato gli atti in epigrafe specificati relativi alla preposizione del controinteressato magistrato all'ufficio di procuratore generale presso la corte d'appello di Milano; L'istante ha sostenuto l'illegittimita' degli atti gravati e ne ha chiesto l'annullamento, proponendo - con un unico motivo di ricorso - le seguenti censure che egli si e' riservato di meglio illustrare in prosieguo: 1) Violazione di legge (violazione delle norme del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, e della legge 20 dicembre 1973, n. 831, che disciplinano il conferimento ai magistrati degli uffici direttivi superiori, come applicabili alla luce delle statuizioni di cui alla sentenza 7-10 maggio 1982, n. 86, della Corte costituzionale; 2) Violazione delle norme regolamentari ed indirizzi stabiliti dal C.S.M. - segnatamente con atti 4 marzo 1982 e 15 dicembre 1983 - per il conferimento degli uffici direttivi, se applicabili ed applicati alla fattispecie; 3) Eccesso di potere per insufficiente ed inadeguata istruttoria, omessa o errata valutazione di elementi rilevanti per la valutazione comparativa fra gli aspiranti alla nomina, carenza, inadeguatezza, insufficienza, erroneita' ed incongruita' della motivazione riguardo alla valutazione dei requisiti degli aspiranti alla nomina, illogicita' e difetto di presupposti. Si sono costituiti in giudizio l'odierno controinteressato e gli intimati Ministero di grazia e giustizia e Consiglio superiore della magistratura, allegando vari documenti. Presa visione di quanto prodotto in giudizio, l'istante, con atto notificato il 29 giugno 1987 e depositato il 25 luglio 1987, ha illustrato la prima censura di ricorso. Piu' precisamente egli, dopo aver rilevato che il controinteressato, pur in possesso della qualifica di magistrato di Cassazione fin dal 1971, non aveva pero' mai svolto le corrispondenti funzioni ovvero altre equiparate a queste, ha sostenuto doversi giuridicamente escludere - alla luce della sentenza 10 maggio 1982, n. 86, della Corte costituzionale - la possibilita' di assegnazione di costui ad un ufficio direttivo superiore come quello a cui il medesimo e' stato preposto con l'impugnato decreto presidenziale, il quale - unitamente ai gravati atti presupposti - sarebbe affetto da illegittimita' per violazione della calendata normativa di legge regolante la fattispecie. Con memoria depositata il 24 settembre 1988, il ricorrente ha illustrato due doglianze e, precisamente, quella gia' trattata con il motivo aggiunto e l'altra concernente l'eccesso di potere per difetto di motivazione quanto alla comparazione dei requisiti degli aspiranti alla nomina in questione. Con memoria depositata il 24 settembre 1988, la difesa erariale ha sostenuto l'infondatezza del ricorso e ne ha chiesto la reiezione. Con memoria depositata il 22 settembre 1988, l'odierno controinteressato ha, anzitutto, eccepito l'improcedibilita' sopravvenuta del ricorso a causa di vicende riguardanti il ricorrente e concretantisi nella intervenuta sottoposizione del medesimo a procedimento disciplinare e a procedimento ex art. 2 della legge delle guarantigie della magistratura, vicende che impedirebbero una eventuale nomina di costui all'ufficio direttivo superiore di che trattasi ove venisse rinnovato il procedimento per il conferimento dello stesso a seguito dell'eventuale accoglimento del gravame. Inoltre, il controinteressato ha sostenuto l'inaccoglibilita' del ricorso per infondatezza e, in parte, per inammissibilita' del medesimo a causa della genericita' di alcuni profili di censura denunciati dall'istante. Con sentenza parziale 14 novembre 1988, n. 1024, questo t.a.r. ha respinto l'eccezione di sopravvenuta improcedibilita' del ricorso formulata dal controinteressato, ha rigettato la prima doglianza del ricorrente ed ha disposto incombenti istruttori per rendere possibile la valutazione delle altre censure. Con provvedimento 21 aprile 1989, n. 40, del presidente di questo t.a.r., e' stata ordinata, su richiesta del controinteressato, l'acquisizione di ulteriore documentazione. Con memorie, rispettivamente depositate in data 6 ottobre 1989 e in date 28 settembre 1989 e 5 ottobre 1989, il ricorrente ed il controinteressato hanno ribadito le loro tesi difensive. Alla pubblica udienza del 17 ottobre 1989, sentiti i patroni delle parti, la causa e' stata assunta in decisione. Nella camera di consiglio del 17 ottobre 1989, il collegio ha lasciato "riservata" la pronuncia in ordine al ricorso e, nella camera di consiglio del 20 dicembre 1989, il collegio ha sciolto la riserva decidendo di rimettere d'ufficio alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale delle norme di legge applicabili alla fattispecie, precisate nella motivazione del presente provvedimento, in relazione ai precetti di cui agli artt. 107, terzo e quarto comma, 112 e 108 della Costituzione; questione di legittimita' costituzionale, quella in discorso, che il collegio ha reputato rilevante ai fini della decisione del proposto ricorso e non manifestamente infondata per le ragioni che vengono esposte infra. D I R I T T O 1. - Sono impugnati avanti a questo t.a.r., sezione I, i provvedimenti indicati in epigrafe. 2. - Pregiudizialmente, la sezione ritiene di dover rilevare d'ufficio la non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale delle norme sull'ordinamento giudiziario - indicate in seguito - nella parte in cui "disciplinano" (rectius: "non disciplinano") il conferimento dell'ufficio direttivo di procuratore generale presso la corte d'appello. La questione si articola nei seguenti punti: a) la Costituzione, al titolo quarto intitolato "La Magistratura" e - in particolare - agli artt. 107, terzo e quarto comma, 112 e 108, considerati nel quadro di un costituzionale disegno unitario, senza prevedere una riserva relativa di legge, volta ad assicurare al pubblico ministero in genere, sia esso "ordinario" (e, cioe', presso la giurisdizione "ordinaria"), sia esso "speciale" (e, cioe', presso le giurisdizioni "speciali"), "garanzie" di "indipendenza" tendenzialmente uguali a quelle dei giudici pur nei limiti consentiti dalla specificita' delle funzioni a cui le "garanzie di indipendenza" sono ordinate; b) la riserva di legge sub a) concerne gli uffici del p.m., non soltanto nel momento del loro "operare", ma anche nel momento in cui vengono costituiti; e quindi, anche nel momento della nomina dei capi degli uffici; c) la riserva di legge sub a) sembra essere stata violata dalle vigenti norme sull'ordinamento giudiziario (e, in particolare, dagli artt. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392, e 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12: quest'ultimo, nei limiti in cui e' ancora vigente), nella parte in cui tali norme non dettano alcuna effettiva disciplina (e, quindi, neanche "criteri idonei" sul conferimento degli uffici come quello in esame. Cio' perche', le disposizioni de quibus, solo apparentemente contengono una disciplina della materia in esame, mentre in realta' contengono una "non disciplina": come risulta dal fatto che esse regolano nell'identico modo il conferimento di uffici direttivi essenzialmente diversi fra loro, quali sono ad esempio gli uffici (giurisdizionali) di presidente della corte d'appello e gli uffici (non giurisdizionali) di procuratore generale presso la corte d'appello. 3.1. - Quanto al punto sub 2 A (e, cioe', alla "sussistenza" della riserva relativa): va ricordato anzitutto l'art. 107, ultimo comma, della Costituzione secondo cui "il p.m. gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario". Va poi tenuto presente, anche, il successivo art. 108 che, al secondo comma, cosi' dispone: "La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia". 3.2. - Collocando le due norme costituzionali predette in un quadro normativo unitario (data l'evidente unitarieta' della figura del p.m.: unitarieta' derivante dal fatto che - tanto se "ordinario", quanto se "speciale" - esso e' posto sempre "presso" una giurisdizione e la sua attivita' e' sempre in funzione di quella giurisdizionale: cfr. infra sub par. 3.3), sembra potersi dedurre che spetta alla legge di "stabilire ed assicurare garanzie di indipendenza" del pubblico ministero ordinario speciale. 3.3. - Dovendosi, poi, precisare - per completezza - di quale intensita' ed ampiezza siano le "garanzie di indipendenza" che, la legge "e' tenuta" ad assicurare al p.m., puo' essere utile il ricorso all'art. 108, secondo comma, della Costituzione, sopra citato. Questo prevede per il p.m. una "indipendenza" che - pur nei limiti della specificita' della sua funzione - non puo' essere minore di quella prevista per i "giudici delle giurisdizioni speciali": cio' sembra potersi dedurre dal tenore della norma, la quale non distingue fra la "indipendenza" dei "giudici delle giurisdizioni speciali", quella del p.m. presso di esse e quella degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia. Ove poi si pensi alla costituzionale "unitarieta' della giurisdizione" (cfr. Cons. St., ad. plen. 16 dicembre 1983, n. 27, confortata dall'adesione di una autorevole sede parlamentare: cfr. Camera dei deputati, IX legislatura; doc. n. 1353, 1803-A; relazione della I Commissione permanente, rel. Sullo, in tema di giurisdizione amministrativa), appare evidente anche la "unitarieta' costituzionale" del pubblico ministero presso le varie giurisdizioni. 3.4. - Concludendo su questo punto (parr. 3.1./3.3.), ritiene il collegio che esista una riserva relativa di legge, per cui a tutte le specifiche figure del p.m. devono essere assicurate garanzie di indipendenza che siano tendenzialmente uguali a quelle previste per i giudici. 4. - Al punto 2 B): solo per completezza va esplicitato che le garanzie di indipendenza del p.m. devono riguardare non soltanto il momento in cui l'ufficio del p.m. opera, ma anche quello in cui esso e' costituito e, quindi, anche il momento della nomina del capo dell'ufficio del p.m. presso la corte d'appello. Sembra evidente, infatti, che il p.m. non avrebbe quella piena garanzia di indipendenza (o, comunque, questa non avrebbe l'ampiezza e l'intensita' volute dalla Costituzione) se, per la nomina del capo dell'ufficio direttivo del p.m. presso la corte d'appello, non valesse la riserva relativa de qua. 5.1. - Quanto al punto 2 C) sulla sussistenza della violazione della "riserva relativa di legge" de qua, sembra al collegio che tale violazione sussista, per i seguenti motivi: a) la riserva relativa di legge - anche nel caso in esame - comporta non soltanto che la disciplina della nomina agli uffici direttivi del p.m. trovi la sua base nella legge, ma altresi' che la legge "indichi criteri idonei a delimitare la discrezionalita'" del Consiglio superiore della magistratura, si' da non lasciare allo "arbitrio" di esso la determinazione dei criteri predetti (arg. ex sent. Corte costituzionale n. 47/1957); b) nella specie, le varie leggi sull'ordinamento giudiziario hanno previsto la nomina agli uffici direttivi in esame; esse pero' - salvo errore - hanno sempre omesso di indicare "criteri idonei" a delimitare "la discrezionalita'" del Consiglio superiore della magistratura, in subiecta materia: con la conseguenza che i criteri oggi applicati, per la nomina all'ufficio direttivo de quo, sono in realta' espressione della "discrezionalita' amministrativa" del Consiglio superiore della magistratura, e non gia' della "discrezionalita' legislativa" del Parlamento. 5.2. - La mancanza - nelle leggi - di "criteri idonei", ai fini in esame, sembra sussistente, ove si pensi - fra l'altro - che tali leggi dettano la medesima disciplina per regolare due materie essenzialmente diverse fra loro: quella relativa al conferimento di "uffici direttivi giurisdizionali" e quella relativa al conferimento di "uffici direttivi del pubblico ministero". E sembra evidente che il legislatore pone una "non disciplina", quando regola con le stesse disposizioni due fattispecie che, nel disegno costituzionale sono essenzialmente diverse fra loro. 5.3. - Sulla diversita' "costituzionale" - quanto all'essenza fra la funzione giurisdizionale (incentrata nello jus dicere) e la funzione del p.m. (incentrata in un facere, espresso nell'"obbligo" di "esercitare l'azione penale": art. 112 della Costituzione) sembra sufficiente ricordare gli insegnamenti che seguono della Corte costituzionale: a) "la Costituzione, nell'art. 108, secondo comma, ha distinto gli organi del p.m. da quelli giurisdizionali e, nell'art. 112, ha attribuito al p.m. la titolarieta' dell'azione penale, che e' ben diversa dalla potesta' di giudicare, pur coordinandosi con l'attivita' decisoria, in un rapporto di compenetrazione organica, ai fini di giustizia (vedasi la motivazione della sentenza n. 96/1975)" (sentenza 9-16 marzo 1976, n. 52); b) la "Corte ha piu' volte avuto occasione di raffrontare la posizione giuridica del p.m. e quella delle parti, ai fini del controllo sulla tutela del principio di eguaglianza, considerando parimenti l'uno e le altre, nella dialettica del processo, come parti (sentt. n. 190/1970; n. 177/1971 e n. 27/1972)" (sentenza 9-16 marzo 1976, n. 50); c) "a differenza delle garanzie di indipendenza previste dall'art. 101 della Costituzione, a presidio del singolo giudice, quelle che riguardano il p.m. si riferiscono all'ufficio unitariamente inteso e non ai singoli componenti di esso" (sentenza 9-16 marzo 1976, n. 52). E' noto, poi, che soltanto l'atto tipico in cui si esprime la funzione giurisdizionale (la sentenza, cioe') e' idoneo a passare in cosa giudicata. Solo esso, quindi, possiede quella fondamentale idoneita' caratterizzante per cui facit de albo nigrum ed aequat quadrata rotundis, come e' stato detto esattamente sia pure con una certa enfasi. La diversita' essenziale degli "atti tipici" delle due funzioni, non puo' differenziare anche le due funzioni e gli uffici a cui essi si riferiscono, dato che gli "atti" sono la ragione d'essere delle "funzioni" e dei relativi "uffici". 6.1. - Poste le considerazioni che precedono, a maggior chiarimento, sembra al collegio di poter ulteriormente rilevare quanto segue: Del problema della preposizione ad uffici direttivi superiori della magistratura, e in particolare all'ufficio di procuratore generale di corte d'appello, la normativa sull'ordinamento giudiziario si e' occupata nell'art. 188 del r.d. n. 12/1941 e nell'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392. La prima di tali norme (nel testo modificato con l'art. 41 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511) e' del seguente tenore: "le promozioni a primo presidente di corte d'appello e gradi parificati sono conferite. . . a magistrati aventi almeno cinque anni di grado di consigliere di corte di cassazione od equiparato scelti fra coloro che, per il modo col quale hanno esercitato le loro funzioni, per i precedenti di carriera e per speciali incarichi assolti, risultano non solo distinti per cultura giuridica, ma anche particolarmente adatti a funzioni direttive". La seconda norma (art. 6 della legge n. 392/1951) statuisce che "sono conferiti per anzianita' e per merito a magistrati di corte di cassazione i seguenti uffici direttivi: 3). . . di presidente delle corti d'appello e di procuratore generale presso le stesse corti". Deve, tuttavia, osservarsi, che in dette norme appare privilegiato il carattere direttivo delle funzioni inerenti ai menzionati uffici, ma non si e' tenuto conto di altre essenziali differenze ontologiche sussistenti fra tali funzioni. Di cio' si ha riprova nella circostanza che per il conferimento di tutti gli uffici giudiziari superiori sono stati dettati, con disposizione unica, gli stessi criteri di scelta. E' cosi' stata ignorata la pregnante diversita' esistente tra la funzione giurisdizionale e la funzione del pubblico ministero (supra par. 5.3.). In particolare, non si e' posta attenzione al fatto che l'organizzazione della prima e' cosa essenzialmente diversa dall'organizzazione della seconda. Conseguentemente, non si e' tenuto conto del fatto che la diversita' di funzione impone la pregiudiziale necessita' di prevedere criteri differenti per valutare l'idoneita' degli aspiranti a ricoprire uffici giudiziari superiori a seconda che questi si collochino nell'ambito dell'attivita' giurisdizionale strettamente intesa ovvero nell'ambito di attivita' del pubblico ministero. 6.2. - Valutata, dunque, la obiettiva diversita' dello ius dicere e della sua organizzazione rispetto all'attivita' del pubblico ministero - che sono tenute ben distinte dalla Carta costituzionale (artt. 107, terzo e quarto comma, e 112 - sarebbe stata costituzionalmente necessaria, ad avviso del collegio, una diversita' di disciplina in ordine ai criteri - da porsi con legge (art. 108, primo comma, della Costituzione) - in base ai quali pervenire all'assegnazione di magistrati ai diversi uffici giudiziari superiori. 7. - Conclusivamente: cio' che importa rilevare e' il fatto che, alla stregua del dettato costituzionale, l'altissima funzione di stabilire la disciplina della magistratura - intesa come "ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (art. 104 della Costituzione) - e del p.m. e' funzione riservata alla sovranita' del Parlamento e non puo', quindi, essere trasferita ad organi diversi sia pure di altissimo livello come il Consiglio superiore della magistratura. Sarebbero, infatti, violate le garanzie di indipendenza della magistratura e del p.m. e, con queste, anche il principio della soggezione di essi soltanto alla legge, se le nomine ai piu' volte menzionati uffici superiori fossero riferibili non alla voluntas del legislatore - sia pure estrinsecata nella riserva relativa di legge - ma alla voluntas del C.S.M. che, pur di livello molto elevato, non ha tuttavia la posizione "giuridico-politica" che la Costituzione assegna al Parlamento. 8. - Sulla base di quanto sopra evidenziato, il collegio dubita che, in relazione agli artt. 107, terzo e quarto comma, 108 e 112, primo comma, della Costituzione, possa dirsi costituzionalmente legittima, nella parte in cui si riferisce alla nomina di procuratore generale di corte d'appello, la normativa di legge disciplinante la preposizione ad uffici superiori giudiziari (segnatamente, l'art. 6 della legge 24 maggio 1951, n. 392, e l'art. 188 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, quest'ultimo nei limiti in cui e' ancora applicabile). Stanti i detti dubbi, il collegio ritiene di dover rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimita' delle teste' specificate norme sull'ordinamento giudiziario in relazione ai suindicati articoli della Costituzione, apparendo tale questione come rilevante nel presente processo amministrativo a causa del fatto che comunque, per la risoluzione della controversia, deve necessariamente farsi capo alle norme di legge in discorso, delle quali il ricorrente ha lamentato la violazione nel caso di specie.