IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento penale
 contro Marenco Maddalena, nata a Monastero Vasco l'8  dicembre  1920,
 residente in Mondovi', corso Italia n. 4, difesa di fiducia dall'avv.
 Elio Tomatis di Mondovi', libera-presente, imputata  del  reato  p.p.
 dall'art. 81 cpv. e 644 del c.p. perche' approfittando dello stato di
 bisogno di Revelli Elsa, si faceva dare o promettere da  questa,  per
 se'  o  per  altri  un  corrispettivo di prestazioni di denaro a piu'
 riprese interessi  usurari  mediante  assegno  i  rinnovi  di  vaglia
 cambiari.
    Accertato  in Mondovi' da epoca successiva al 1979 al maggio 1982.
    All'udienza   del  19  dicembre  1989  l'imputata  ha  chiesto  la
 definizione del processo con il rito abbreviato di cui  all'art.  438
 del  c.p.p.; la difesa si e' associata alla richiesta ed ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.  247  delle  disp.
 att. del c.p.p. nella parte in cui - relativamente ai procedimenti in
 corso alla data di entrata in vigore del nuovo  codice  di  procedura
 penale  -  in  contrasto  con  l'art.  3 della Costituzione, limitata
 l'ammissibilita' del rito abbreviato ai procedimenti  nei  quali  non
 siano   state   ancora   compiute   le  formalita'  di  apertura  del
 dibattimento. Il pubblico  ministero  ha  ritenuto  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata l'eccezione d'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 247 delle disp. att. del c.p.p.
    Per   valutare  la  fondatezza  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata dalla  difesa,  e'  necessario  innanzitutto
 esaminare  la natura giuridica dei procedimenti speciali previsti dal
 libro sesto del nuovo codice di procedura penale e, precisamente,  se
 essi hanno natura processuale o sostanziale.
    Il  giudizio  abbreviato  e l'applicazione della pena su richiesta
 delle parti prevedono da un lato una diversa e piu' rapida  procedura
 di  definizione  del  processo,  dall'altro una rilevante diminuzione
 della pena ed altre conseguenze giuridiche piu' favorevoli al reo (v.
 art.  445,  relativamente  all'esclusione  dell'applicazione  di pene
 accessorie e di misure di sicurezza e  della  condanna  al  pagamento
 delle spese processuali nonche' all'estinzione del reato).
    Qualunque  definizione  si accolga della norma processuale penale,
 e' indubbio che i c.d. riti speciali introdotti dal nuovo  codice  di
 procedura,   poiche'   non   si   limitano  soltanto  a  disciplinare
 l'accertamento della notizia  criminis,  le  attivita'  esperite  nel
 processo  dai soggetti processuali e le forme degli atti processuali,
 ma  incidono   direttamente   sulla   quantificazione   della   pena,
 sull'applicabilita'  di pene accessorie e misura di sicurezza e sulla
 estinzione del reato, hanno natura penale sostanziale.
    Il  problema non e' nuovo nel nostro ordinamento poiche' tali riti
 hanno natura giuridica identica ed altri  istituti  ben  noti,  quali
 l'oblazione  e  l'applicazione  di  sanzioni sostitutive su richiesta
 dell'imputato prevista dall'art. 77 della legge 24 novembre 1981,  n.
 689. Nessuno ha mai posto in dubbio che gli istituti dell'oblazione o
 del c.d. "patteggiamento" ex art. 77 della legge n. 689/1981, abbiano
 natura  penale  sostanziale,  anche  se  le  forme e le modalita' per
 esservi ammessi sono disciplinate da norme processuali. Alle medesime
 conclusioni  deve  pervenirsi per i procedimenti previsti dagli artt.
 438 e 444 del c.p.p. La riduzione della pena e gli altri benefici che
 da  essi  conseguono  hanno natura sostanziale. Le norme, invece, che
 disciplinano le forme in cui  devono  essere  esperiti  hanno  natura
 processuale.
    L'art.  2,  terzo comma, del c.p. stabilisce il principio generale
 che nel caso di successioni di leggi penali deve  applicarsi  "quella
 le  cui disposizioni sono piu' favorevoli al reo, salvo che sia stata
 pronunciata sentenza irrevocabile".
    Stabilito  che  i  riti  speciali  di cui agli artt. 438 e 444 del
 c.p.p. costituiscono disposiioni penali sostanziali  piu'  favorevoli
 all'imputato, ne deriva che - ai sensi dell'art. 2 del c.p. - la loro
 applicabilita' non puo'  essere  limitata  ai  procedimenti  iniziati
 successivamente  al  24  ottobre 1989, data in cui il nuovo codice e'
 entrato in vigore, ma dovrebbe essere estesa a tutti  i  procedimenti
 pendenti in tale data.
    Il  principio  dell'applicabilita' del trattamento piu' favorevole
 al reo e' stato  accolto  soltanto  parazialmente  dal  nuovo  codice
 processuale.  Gli  artt.  247 e 248 delle disposizioni di attuazione,
 infatti, da un lato estendono i  riti  speciali  ai  procedimenti  in
 corso, dall'altro ne limitano l'ammissibilita' a quelli nei quali non
 sono  state  ancora  compiute   le   formalita'   di   apertura   del
 dibattimento.  Il problema di costituzionalita' riguarda appunto tale
 limitazione.
    La  difesa  ha  sostenuto  che  essa  determina una ingiustificata
 disparita' di trattamento tra gli imputati, a seconda  se  -  per  un
 fatto  del tutto accidentale ed indipendente dalla loro volonta' - le
 formalita' di apertura siano o non siano state compiute.
    Per giungere ad una corretta soluzione e' necessario analizzare se
 la limitazione introdotta negli artt. 247 e 248 e' ragionevole  e  se
 e'   posta   a   tutela   di   un  interesse  avente  pari  rilevanza
 costituzionale  di  quello  dell'applicabilita'  della   legge   piu'
 favorevole.
    Si  assume  che  poiche' nel nuovo sistema processuale il giudizio
 abbreviato e l'applicazione della pena a richiesta delle parti  hanno
 la  funzione  di  giungere  alla rapida definizione dei processi e la
 riduzione della pena costituisce solo  un  incentivo  per  l'imputato
 affinche'  chieda  tali riti, ingiustificato sarebbe stato estenderne
 l'ammissibilita'  ai  procedimenti  pendenti,  il  cui  iter  -   con
 l'apertura  del dibattimento - sia giunto ad un punto tale da rendere
 non piu' apprezzabile il beneficio di una loro rapida definizione.
    Che il nuovo sistema processuale abbia attribuito ai riti speciali
 la funzione di rendere piu' rapida la  definizione  dei  processi  ed
 alla  riduzione  della pena la funzione di incentivarne la richiesta,
 e' certamente vero. Che tutto cio' sia stato previsto allo  scopo  di
 assicurare,  mediante  la  definizione  rapida del maggiore numero di
 processi in camera di consiglio, la celebrazione dei dibattimenti con
 il  rito  accusatorio,  e' ugualmente vero. Cio' nulla toglie, pero',
 che tali istituti hanno attribuito all'imputato  un  vero  e  proprio
 diritto   soggettivo   di   chiedere  tali  riti  e  di  ottenere  la
 conseguenziale riduzione  della  pena  indipendentemente  dalla  loro
 adozione.  L'art.  448  prevede,  in caso di dissenso del p.m. che il
 giudice ritenga ingiustificato, che  la  riduzione  della  pena  puo'
 essere  concessa  anche  nel  giudizio d'impugnazione. Cio' prova che
 anche  nel  caso  in  cui  il  sistema  processuale   non   celebrato
 interamente  il  giudizio  di  primo  grado  e  l'appello, ugualmente
 l'imputato conserva il suo diritto di  ottenere  la  riduzione  della
 pena  accessoria  e  delle misure di sicurezza. Questa conseguenza e'
 giustificata dalla considerazione che i riti speciali,  se  esaminati
 dal  lato del sistema processuale costituiscono un mezzo per giungere
 alla rapida definizione dei processi, visti  dal  lato  dell'imputato
 costituiscono  un  vero  e proprio diritto soggettivo per ottenere la
 riduzione  della  pena.  Non   appare   ragionevole,   pertanto,   la
 giustificazione  secondo  cui  gli  artt.  247 e 248 avrebbe limitato
 l'ammissibilita' ai procedimenti pendenti  in  cui  non  siano  state
 ancora compiute le formalita' di apertura per la considerazione che -
 oltre questo termine - il sistema processuale non ne  avrebbe  tratto
 alcun  beneficio.  Questa giustificazione, oltre ad essere infondata,
 non tiene conto che il principio dell'applicabilita' della legge piu'
 favorevole  al  reo,  stabilito dall'art. 2 del c.p., incidendo sullo
 status libertatis e sui diritti fondamentali del cittadino ed essendo
 stato  recepito  dall'art.  25, secondo comma, della Costituzione, ha
 rilevanza costituzionale.
    Si  deve  concludere  che  gli  artt.  247  e  248 determinano una
 ingiustificata disparita' di trattamento tra gli imputati  a  seconda
 se  nei  loro  procedimenti  siano  o  non  siano  state  compiute le
 formalita'  di  apertura  del  dibattimento.  Conseguenzialmente   va
 dichiarata  non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale, sollevata dalla difesa, dell'art. 247  delle  dispos.
 att. del c.p.p. in relazione dell'art. 3 della Costituzione.
    La    questione    sollevata   dalla   difesa,   incidendo   sulla
 quantificazione della prima, e' certamente rilevante.