LA CORTE D'APPELLO Riunita in camera di consiglio per deliberare sulla causa iscritta al n. 1376/1988 r.g., promossa in grado d'appello da: cooperativa Acli Rosella a r.l., cooperativa La Comune a r.l., cooperativa La Vigna a r.l. e cooperativa Del Magentino a r.l., con gli avv.ti Osvaldo Pedroni e Federico Setti, appellanti, contro Angelo Jacometti, con l'avv. Ercole Romano, appellato, la Banca Nazionale del Lavoro, con l'avv. prof. Giuseppe Tarzia, appellata, Piera Jacometti e Banca Commerciale Italiana, appellati contumaci, letti gli atti ed i documenti della causa, ha pronunciato la seguente ordinanza; PREMESSO IN FATTO che alcuni terreni ubicati nel territorio comunale di Corbetta, appartenenti ai sigg. Angelo e Piera Jacometti e gravati da vincoli ipotecari in favore della Banca Nazionale del Lavoro e della Banca Commerciale Italiana, dopo essere stati inclusi in un piano particolareggiato per l'edilizia popolare ed economica elaborato dal comune ed approvato dalla giunta regionale lombarda nel 1976, furono assoggettati ad occupazione d'urgenza e quindi assegnati alle cooperative oggi appellanti, in anni compresi tra il 1977 ed il 1981, con concessione del diritto di superficie per la durata di novantanove anni, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 865/1971; che gli Jacometti, lamentando la violazione di una precedente convenzione di lottizzazione stipulata con il comune di Corbetta, fecero ricorso al giudice amministrativo ed, all'esito di un giudizio cui parteciparono anche le anzidette cooperative, ottennero che il Consiglio di Stato, con sentenza del 7 marzo 1984 ormai passata in giudicato, annullasse gli atti di formazione del piano di fabbricazione e del piano di zona per l'edilizia popolare, il decreto con cui era stata iniziata la procedura espropriativa, nonche' i decreti con i quali era stata disposta l'occupazione d'urgenza dei terreni in questione per assegnarli alle cooperative edilizie; che dette cooperative, con atti notificati nell'aprile e nel maggio del 1984, convennero dinanzi al tribunale di Milano gli Jacometti, il comune di Corbetta, la Banca Nazionale del Lavoro e la Banca Commerciale Italiana allo scopo di far accertare che la realizzazione ormai compiuta delle previste opere di edilizia residenziale sui terreni occupati in via d'urgenza aveva determinato l'acquisizione della proprieta' di detti terreni in favore del comune e che nessuna pretesa di natura reale poteva percio' piu' essere avanzata sui medesimi terreni da alcuno degli altri convenuti; che il comune di Corbetta, costituitosi in giudizio, chiese invece accertarsi che la proprieta' delle aree in questione era stata acquistata, per effetto delle intervenute costruzioni, dalle stesse cooperative edificatrici; che gli altri convenuti (eccezion fatta per la Banca Commerciale Italiana, rimasta contumace) resistettero alla domanda delle cooperative attrici assumendone l'inammissibilita' ed, in subordine, l'infondatezza nel merito, mentre la Banca Nazionale del Lavoro spiego' anche, in via subordinata, domanda riconvenzionale per far accertare l'avvenuta estensione alle costruzioni delle ipoteche iscritte e dei pignoramenti da essa a suo tempo eseguiti sui terreni degli Jacometti; che il tribunale, con sentenza depositata il 3 dicembre 1987, dichiaro' inammissibili sia la domanda proposta dalle cooperative attrici sia quella formulata dal comune di Corbetta: ravviso' infatti in entrambi i casi un difetto di legittimazione attiva, giacche' le cooperative avevano inteso far accertare l'acquisizione del diritto di proprieta' in favore del comune, e questi aveva proposto analoga domanda volta a far valere un preteso diritto reale delle cooperative; che contro tale sentenza hanno proposto appello dinanzi a questa corte solo le suindicate cooperative; che Angelo Jacometti e la Banca Nazionale del Lavoro si sono costituiti in giudizio per resistere all'impugnazione, mentre le altre parti del giudizio di primo grado, tutte ritualmente citate anche per l'appello, sono rimaste contumaci in questa sede. CONSIDERATO IN DIRITTO che non pare possibile esimersi dall'esame del merito della domanda proposta dalle cooperative appellanti; che infatti il significato e la portata di tale domanda vanno individuati, oltre che attraverso l'analisi testuale delle parole adoperate, anche alla stregua del senso logico complessivo palesemente sotteso all'azione intrapresa e desumibile dall'insieme delle argomentazioni e delle difese spiegate; che, pertanto, il nucleo dell'anzidetta domanda appare ravvisabile nella richiesta di accertare che nessuna pretesa di natura reale sulle aree edificate potrebbe piu' essere avanzata ne' da parte dei proprietari (o ex proprietari) Jacometti, ne' da parte degli istituti bancari a favore dei quali erano state iscritte ipoteche o eseguiti pignoramenti sulle aree medesime; che la domanda cosi formulata e' configurabile in termini di actio negatoria, esercitata da chi assume di essere titolare di un ormai definitivamente acquisito diritto di superficie sulle aree in discorso, ed appare quindi volta a tutelare appunto tale diritto; che, pertanto - sia pur nei limiti di sommaria valutazione consentiti nella presente ordinanza, ed al solo scopo di vagliare la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale di cui poi si dira' - non sembra affatto possibile escludere la legittimazione attiva delle cooperative appellanti a proporre detta domanda, volta che, com'e' noto, il requisito della legittimazione e' da verificare unicamente alla luce della prospettazione fatta da chi agisce per la tutela di una determinata situazione giuridica di cui assume essere titolare, indipendentemente dalla fondatezza nel merito delle argomentazioni in base alle quali l'invocata tutela potra' essere in concreto concessa o dovra' essere invece negata; che all'esame nel merito della domanda in questione non sembra osti neppure l'eccezione di giudicato, sollevata dalla difesa degli appellati con riferimento alla pronuncia di definitivo annullamento degli atti amministrativi di occupazione d'urgenza emessa dal Consiglio di Stato: giacche' l'oggetto di quel giudizio e' rimasto rigorosamente circoscritto al tema dell'invalidita' degli accennati atti amministrativi e non ha in alcun modo investito il problema di cui qui si discute, cioe' la questione dei riflessi prodotti dalla costruzione delle opere di edilizia residenziale sulla proprieta' del suolo e della soprastante superficie; che assumono percio' rilevanza le questioni attinenti al merito della presente controversia, ed in specie quella concernente l'acquisto, da parte delle cooperative appellanti, per effetto delle modificazioni apportate ai fondi occupati con le costruzioni ivi edificate, di un valido diritto di superficie, inteso sia come proprieta' separata avente ad oggetto cio' che sorge al di sopra del suolo sia come ius in re aliena rispetto al suolo medesimo; che, a sostegno della propria tesi, la difesa delle appellanti ha invocato il prevalente indirizzo giurisprudenziale in forza del quale il fondo occupato dalla pubblica amministrazione per la realizzazione di un'opera pubblica in virtu' di un provvedimento di cui venga successivamente meno la validita', qualora l'opera sia stata eseguita ed abbia implicato una definitiva e radicale trasformazione della struttura e della destinazione del fondo, comporterebbe pur sempre l'acquisizione della proprieta' del terreno in favore dell'occupante, a titolo originario, fatto salvo il diritto del privato al risarcimento dei danni (cfr., tra le altre, Cass. 10 giugno 1988, n. 3940, Cass. 20 dicembre 1988, n. 6954, Cass. 27 luglio 1989, n. 3513, e Cass. 3 ottobre 1989, n. 3963); che la difesa degli appellati, per contro, oltre a mettere in dubbio, in linea generale, la fondatezza di detto indirizzo, ne ha contestato l'applicabilita' al caso in esame: la separazione tra il regime giuridico del suolo e quello della costruzione che lo sovrasta, caratteristica del diritto di superficie invocato dalle cooperative appellanti, non consentirebbe in questo caso di ravvisare quell'unitarieta' funzionale e giuridica tra il terreno illegittimamente occupato e l'opera pubblica su di esso realizzata, e quindi priverebbe la fattispecie di uno degli elementi cardine su cui si fonda il principio della cosi' detta "occupazione acquisitiva"; inoltre, tale principio necessariamente postulerebbe l'appartenenza ad un ente pubblico dell'opera realizzata sull'altrui fondo giacche' proprio da cio' discende l'asserita impossibilita' di applicare la disciplina dell'accessione ordinaria, in favore del proprietario del suolo, a norma dell'art. 936 del c.c. - laddove, invece, nel caso in esame gli edifici costruiti sui terreni degli Jacometti apparterrebbero a soggetti di diritto privato, quali pur sempre sono le cooperative appellanti, e difetterebbero quindi di quei peculiari connotati giuridici solo in forza dei quali sarebbe ipotizzabile la cosi' detta "accessione invertita", ossia l'attrazione del suolo nel regime giuridico degli edifici e non viceversa; che un piu' compiuto esame della fondatezza di siffatte argomentazioni - ictu oculi non del tutto prive di logica - parrebbe peraltro precluso dall'entrata in vigore della recente legge 27 ottobre 1988, n. 458, il cui art. 3, primo comma, testualmente stabilisce: "Il proprietario del terreno utilizzato per finalita' di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene"; che tale norma - ed in particolare la disposizione che drasticamente esclude la "retrocessione del bene" in favore del proprietario illegittimamente espropriato - sembrerebbe senz'altro applicabile al caso di specie, perche' la ragione ispiratrice della disposizione stessa, confermata anche dall'esame dei lavori preparatori della legge, persuade del fatto che l'inibita "retrocessione" e' qui appunto da intendersi come esclusione di ogni possibilita', per il proprietario espropriato, di vedersi ancora riconoscere la titolarita' del diritto reale sul terreno ormai utilizzato per la realizzazione dell'opera di edilizia pubblica residenziale, titolarita' che resta quindi definitivamente acquisita al beneficiario del provvedimento espropriativo illegittimo; che la medesima norma, nel riferirsi indistintamente ad ogni terreno "utilizzato per finalita' di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata", mostra palesemente di voler ricomprendere nel proprio ambito anche situazioni, come quella in esame, nelle quali la costruzione dell'opera di edilizia residenziale pubblica sia stata demandata a privati, con concessione agli stessi del diritto di superficie a norma del citato art. 35 della legge n. 865/1971; che l'applicabilita' della norma in questione alla presente fattispecie non potrebbe essere esclusa neppure sul presupposto di un'asserita irretroattivita' della norma medesima e della sua conseguenziale inattitudine ad incidere su diritti gia' ormai quesiti; che, infatti, il tenore letterale della disposizione di cui trattasi induce a reputare che il legislatore abbia con essa voluto disciplinare tutte le situazioni gia' in essere, caratterizzate dall'utilizzazione, per le accennate finalita', di un terreno privato acquisito dalla pubblica amministrazione in base ad un atto "dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato" (opinione che appare implicitamente condivisa anche dalla suprema Corte nella motivazione della citata sentenza n. 3963/1989); che decisiva conferma di quanto appena osservato puo' trarsi dall'esame dei lavori preparatori della legge, ed in specie dalle parole pronunciate, durante la discussione svoltasi il 20 luglio 1988 in seno alla sesta commissione della Camera, da parte del deputato Ferrari (proponente dell'emendamento poi tradottosi, con marginali variazioni di forma, nel testo della norma sopra riportata), ove e' ben puntualizzato come la norma stessa intenda risolvere situazioni di pregressa incertezza, provocate in argomento da difformi pronuncie giudiziarie, e come appunto si sia voluto cosi' "riaffermare il principio che la proprieta' dell'immobile e' del soggetto assegnatario della concessione per la costruzione dell'edificio di tipo residenziale e pubblico, ovvero dell'edificio in regime di concessione": onde appare evidente che il legislatore si e' in tal modo riproposto di dettato una disposizione volta ad interpretare autenticamente l'insieme delle norme e dei principi vigenti in materia, con la valenza retroattiva che e' propria appunto delle norme a carattere interpretativo; che, tuttavia, prima di procedere senz'altro ad applicare una norma siffatta, il collegio non puo' non interrogarsi in ordine alla conformita' di essa ai dettami della costituzione; che, in particolare, seri dubbi di legittimita' costituzionale sono ingenerati dal meccanismo stesso cui la citata norma da' luogo: ossia dal fatto che, in base ad essa, il risultato ablatorio tipico del provvedimento espropriativo si produce in conseguenza della mera apprensione ed utilizzazione del fondo privato per finalita' di edilizia residenziale pubblica, pur quando difettino le condizioni di legittimita' all'uopo richieste dalla legge talche' il provvedimento espropriativo e' stato appunto dichiarato illegittimo; che una simile previsione sembra, in definitiva, svincolare del tutto l'espropriazione dal rispetto di condizioni di legalita' predeterminate, perche' consente che il risultato espropriativo sia realizzato non certo in base ad un atto giuridicamente illegittimo (e quindi, per cio' stesso, inidoneo a produrre quegli effetti), bensi' unicamente in forza di una deliberazione affatto discrezionale della pubblica amministrazione, che decida di dar corso alla concreta utilizzazione edilizia del terreno, illegittimamente occupato, nonostante la giustificata e tempestiva reazione del proprietario a tutela del suo diritto; che, in altri termini, la disposizione in esame viene ad equiparare gli effetti di un provvedimento espropriativo legittimo, ossia adottato nei casi e nelle condizioni previste dalla legge, a quelli di un comportamento ablatorio assunto invece dalla pubblica amministrazione anche al di fuori di quei casi e di quelle condizioni (ne' fa differenza, a questo fine, che al privato venga attribuito il diritto al risarcimento del danno invece che all'indennizzo, posto che, in entrambi i casi, egli e' tenuto comunque a subire il coatto trasferimento ad altri della sua proprieta'); che si prospetta pertanto come non manifestamente infondato il dubbio che la norma in questione violi i principi fissati dagli artt. 42 e 44 della Costituzione, ed in particolare si ponga in contrasto con la riserva di legge espressamente stabilita, in materia di espropriazione, dal secondo e dal terzo comma del citato art. 42, finendo appunto per consentire l'espropriazione anche al di fuori dei casi preveduti dalla legge; che, infatti, la suaccennata riserva di legge in materia di espropriazione, ancorche di carattere relativo, implica che siano dalla legge stessa fissati gli elementi ed i criteri idonei a delimitare l'ambito dei poteri attribuiti alla pubblica amministrazione nel disporre della proprieta' privata (cfr., in tal senso, le sentenze della Corte costituzionale n. 94 dell'11 maggio 1971, n. 38 del 14 maggio 1966, n. 40 del 23 maggio 1964 e n. 13 del 2 marzo 1963): di talche' non e' possibile, come anche la dottrina ha rilevato, che alla pubblica amministrazione sia lasciata la liberta' di espropriare ad libitum qualunque bene, sia pure in nome del pubblico interesse, ma occorre invece che sia la legge ad indicare l'autorita' investita del relativo potere, i beni che possono essere espropriati e le regole procedurali cui bisogna attenersi per espropriarli; che, come gia' accennato, appare dubbio che il meccanismo espropriativo ipotizzato dal primo comma del citato art. 3 della legge n. 458/1988 sia conforme ai summenzionati precetti costituzionali, onde si profila la necessita' di rimettere l'esame della prospettata questione alla competente corte costituzionale, sospendendo frattanto il presente giudizio.