ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 248 delle norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale del 1988 (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) in relazione all'art. 444 stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1989 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Bellosio Luca ed altro, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1990; Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 13 giugno 1990 il Giudice relatore Renato Dell'Andro; Ritenuto che, con ordinanza del 20 dicembre 1989, il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 97 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 248 delle norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) nella parte in cui non consente, mediante la previsione d'un apposito termine, l'applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, anche ai procedimenti per i quali siano state compiute le formalita' d'apertura del dibattimento di primo grado; che, invero, secondo il Tribunale di Torino, l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, oltre ad esplicare efficacia processuale, comporta anche rilevanti conseguenze sostanziali (in ordine alla quantificazione della pena, all'esclusione dell'applicazionedi pene accessorie, alla possibilita' d'estinzione del reato) sicche' si viene a determinare un'irrazionale disparita' di trattamento tra gli imputati, fondata esclusivamente sulla circostanza, del tutto occasionale, del compimento delle formalita' d'apertura del dibattimento; che, inoltre, a parere del giudice a quo, il principio d'irretroattivita'della legge penale di cui all'art. 25, secondo comma, Cost., dovrebbe essere integrato da quello dell'applicazione della legge piu' favorevole al reo di cui all'art. 2 del codice penale, il quale avrebbe rilevanza costituzionale, nel senso che potrebbe essere derogato solo da una norma rispondente ad un principio avente anch'esso rilevanza costituzionale; che tale ultimo principio potrebbe individuarsi in quello del buon andamento dell'attivita' giudiziaria, garantito dall'art. 97 Cost., giacche' proprio ad esso si ispirano gli artt. 248 delle norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e 444 del codice di procedura penale in quanto l'effetto deflattivo da loro originato persegue lo scopo di meglio utilizzare le risorse dell'apparato giudiziario; che, pertanto, sempre a parere del giudice a quo, e' irragionevole la mancata previsione, da parte dell'art. 248 citato, della possibilita' di chiedere l'applicazione della pena su richiesta delle parti per i dibattimenti gia' iniziati alla data d'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, poiche' tale possibilita' non solo eviterebbe la gia' evidenziata disparita' di trattamento tra imputati ma rispetterebbe anche l'intento deflattivo al quale si ispira l'istituto in questione; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata; che, a parere dell'Avvocatura, la finalita' dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti e' quella d'incentivare l'immediata definizione del processo, eliminando la fase dibattimentale e quella dell'appello, di modo che la riduzione della pena non rappresenta un beneficio bensi' una contropartita-premio per la rinuncia al rito ordinario; che, di conseguenza, il termine per avanzare la richiesta d'applicazione della pena su richiesta delle parti e' stato non illogicamente individuato nella dichiarazione d'apertura del dibattimento di primo grado, superata la quale non potrebbe piu' realizzarsi la funzione dell'istituto e verrebbe meno il collegamento fra incentivo e rito differenziato, sicche' la prospettata diversita' di trattamento trova razionale giustificazione nella diversita' delle situazioni processuali; Considerato che gli argomenti svolti da questa Corte nella sentenza n. 277 del 1990 - relativa all'impossibilita' (a norma dell'art. 247 del medesimo testo approvato con il decreto legislativo n. 271 del 1989) di chiedere il giudizio abbreviato quando siano gia' state compiute le formalita' d'apertura del dibattimento - valgono anche per l'analoga questione qui trattata, relativa alla possibilita' di richiedere l'applicazione della pena su richiesta delle parti soltanto prima del compimento delle formalita' d'apertura del dibattimento di primo grado; che, in particolare, nella citata sentenza, la Corte ha fra l'altro sottolineato - con osservazione valida anche in ordine alla disposizione oggetto del presente giudizio - l'"inscindibile unita' finalistica" della disposizione in quella sede impugnata, osservando che la riduzione della pena in tanto e' consentita in quanto e' diretta a sollecitare la richiesta, da parte dell'imputato, dell'attivazione d'un istituto inteso ad assicurare la rapida definizione del maggior numero di processi. Divenuto, invece, impossibile, con l'apertura del dibattimento, raggiungere le finalita' che il legislatore si prefigge, diventa conseguentemente e razionalmente impossibile all'imputato realizzare il c.d. "diritto" alla riduzione della pena; che questo essendo lo scopo degli istituti del giudizio abbreviato e dell'applicazione della pena su richiesta delle parti (esclusione della fase dibattimentale) e' del tutto razionale che, per i procedimenti in corso all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, tali istituti siano stati resi applicabili soltanto quando il loro scopo sia interamente perseguibile; che la precitata sentenza ha altresi' aggiunto - con considerazione anch'essa estensibile all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti - che irrazionale sarebbe semmai l'applicabilita' del giudizio abbreviato dopo l'apertura del dibattimento; giacche' in tal caso i benefici concessi all'imputato non sarebbero piu' giustificati ne' dallo scopo (ormai impossibile) d'eliminare la fase dibattimentale ne' dal rischio assunto dall'imputato (il quale si troverebbe nella comoda situazione di decidere dopo che il pubblico ministero ha gia' offerto le sue prove e comunque dopo aver valutato l'andamento del dibattimento stesso); che non e' producente il confronto fra imputati per i quali il dibattimento sia o non sia stato ancora aperto, proprio perche' si tratta di situazioni oggettivamente diverse; che nella medesima sentenza n. 277 del 1990 si e' altresi' osservato che il principio dell'applicazione della legge piu' favorevole all'imputato, fissato dall'art. 2 del codice penale, opera soltanto quando vi sia stato un mutamento, favorevole all'imputato, nella valutazione sociale del fatto tipico oggetto del giudizio, mentre si e' fuori dell'ambito d'applicabilita' del principio stesso nelle ipotesi in cui non si e' verificato un mutamento nella valutazione sociale rispetto al fatto tipico incriminato; che, analogamente a quanto osservato nella predetta sentenza in ordine all'istituto del giudizio abbreviato, anche nel caso d'applicazione della pena su richiesta delle parti, non e' mutata la valutazione sociale negativa in ordine ai fatti oggetto del processo penale, dal momento che la possibilita' di fruire della riduzione della pena e di altri benefici vale soltanto a stimolare, nei limiti della sua esperibilita', la richiesta, da parte dell'imputato, del procedimento speciale in questione; che, per le stesse ragioni, analoghe questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 248 - nella parte in cui non consente l'applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, anche ai procedimenti per i quali siano state compiute le formalita' d'apertura del dibattimento di primo grado - sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Pretore di Breno con ordinanza del 30 novembre 1988 (Reg. ord. n. 57/1990) e dal Pretore di Milazzo con ordinanza del 27 ottobre 1989 (reg. ord. n. 67/1990) sono gia' state dichiarate manifestamente infondate da questa Corte con l'ordinanza n. 320 del 1990; che, di conseguenza, anche la questione di legittimita' costituzionale sollevata con l'ordinanza in epigrafe va dichiarata manifestamente infondata; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.