Ricorre la regione autonoma Valle d'Aosta, in persona dell'on. presidente della giunta regionale, avv. Giovanni Bondaz, autorizzato con delibera della giunta regionale del 23 novembre 1990, n. 10247, rappresentato e difeso (in virtu' di procura autenticata dal notaio Bastrenta di Aosta in data 28 novembre 1990, rep. 13.561) dall'avv. prof. Gustavo Romanelli, e presso lo studio del medesimo elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria, n. 5, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dell'on. Presidente del Consiglio pro-tempore, domiciliato per la carica in Roma, Palazzo Chigi, nonche' presso l'Avvocatura generale dello Stato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale della legge 19 novembre 1990, n. 334, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, recante "misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990". IN FATTO Ai sensi dell'art. 51 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, il Servizio sanitario nazionale doveva essere finanziato con importi determinati annualmente dalla legge di approvazione del bilancio dello Stato: il secondo comma, in particolare, prevede che le somme cosi' stanziate vengano ripartite fra tutte le regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, su proposta del Ministro della sanita', sentito il Consiglio sanitario nazionale. In realta' le somme cosi' stanziate si sono rivelate insufficienti a coprire le effettive spese di funzionamento del S.S.N.; cosi' l'art. 4 del d-l. 25 novembre 1989, n. 382, recante "disposizioni urgenti sulla partecipazione alla spesa sanitaria e sul ripiano degli avanzi di gestione", come convertito dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8, prevede (al secondo comma) che la maggiore spesa sanitaria corrente per gli esercizi finanziari 1987 e 1988 sia finanziata dalle regioni e dalle province autonome mediante l'impiego delle somme eventualmente non utilizzate, a valere sulle quote degli esercizi finanziari 1987 e 1988 del Fondo sanitario nazionale di parte corrente, e mediante l'assunzione di mutui con onere di ammortamento parzialmente a carico del bilancio dello Stato (venti per cento per le operazioni di mutuo da attivare entro il 31 dicembre 1989 e trentacinque per cento per le operazioni di mutuo da attivare nel 1990). Anche le misure finanziarie previste con la ricordata disposizione-tamponesi sono rivelate insufficienti e, cosi', ancora sul presupposto, esplicitato nel preambolo, della "straordinaria necessita' ed urgenza di assicurare il proseguimento dell'erogazione dei servizi sanitari mediante il ripianamento dei disavanzi delle unita' sanitarie locali e degli altri enti che erogano assistenza sanitaria", il d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, prevedeva l'assunzione di ulteriori pesanti oneri finanziari a carico delle regioni e delle province autonome. In particolare, l'art. 1 di tale decreto-legge prevedeva, per la maggior spesa sanitaria non coperta con le procedure di cui al richiamato art. 4 del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, l'accensione di altri mutui, con onere di ammortamento a carico dello Stato soltanto nella ragione del venti per cento per quelli assunti nel 1990 e del venticinque per cento per quelli da assumere nel 1991. Inoltre, l'art. 3 del medesimo d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, prevedeva che le regioni possano autorizzare le unita' sanitarie locali e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari finanziati dalle quote regionali del Servizio sanitario nazionale ad assumere impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche in eccedenza rispetto al bilancio di previsione "per provvedere a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza entro limiti prequantificati dalle regioni stesse per ciascun ente". Il secondo comma del medesimo art. 3 prevedeva poi che le regioni possano autorizzare le unita' sanitarie e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari ad assumere anticipazioni straordinarie di cassa con i propri tesorieri, per il finanziamento, con le modalita' di cui al primo comma, della spesa autorizzata in eccedenza rispetto agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione. Le regioni venivano chiamate ad assumersi gli oneri finanziari derivanti dai primi due commi dell'art. 3, ai sensi del successivo terzo comma, o con i propri mezzi di bilancio, o mediante alienazione dei beni patrimoniali disponibili, ovvero mediante la contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito, avvalendosi per la copertura delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158 (legge recante norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari fra Stato e regioni). Il suddetto d.-l. n. 262/1990, in particolare nei suoi artt. 1 e 3, risultava illegittimo, per violazione del disposto degli artt. 38, quarto comma, e 81, ultimo comma, nonche' 116, della Costituzione della Repubblica, oltre che per violazione dello statuto della regione autonoma Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4); avverso di esso, conseguentemente, la regione autonoma Valle d'Aosta ha proposto ricorso avanti codesta ecc.ma Corte, con atto notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 19 ottobre 1990. Il d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, e' stato poi convertito, sia pure con modifiche, con la legge 19 novembre 1990, n. 334. Fra le altre, dalla legge di conversione vengono introdotte le seguenti modifiche: a) viene inserito un art. 2- bis che prevede la copertura delle eccedenze di spesa, rispetto alle entrate complessive registrate dalle unita' sanitarie locali e dagli altri enti che erogano assistenza sanitaria, mediante l'alienazione totale o parziale dei beni patrimoniali di cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; b) al terzo comma dell'art. 3 viene modificata la previsione relativa alla copertura degli oneri derivanti dai primi due commi del medesimo art. 3 (nella specie, viene ad essere prevista l'assunzione di mutui a carico di regioni e province autonome, con un limite di novatamila lire a cittadino residente nella regione o provincia autonoma, con oneri di ammortamento a carico dello Stato); c) nel medesimo art. 3, viene inserito un comma 3- bis, che prevede che il venticinque per cento della differenza residua venga coperto dalle regioni o province autonome, con i propri mezzi di bilancio, o mediante alienazione dei beni disponibili, ovvero mediante la contrazione di mutui e prestiti con istituti di credito, avvalendosi, per la copertura delle relative rate di ammortamento, delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158. Le suddette modifiche non hanno fatto venir meno, ma hanno anzi aggravato i profili di illegittimita' costituzionale gia' presenti nel d.-l. n. 262/1990: anche la legge di conversione si appalesa quindi illegittima per violazione degli artt. 38, terzo comma, 81, quarto comma, nonche' 116 della Costituzione della Repubblica, oltre che per violazione dello statuto della regione autonoma della Valle d'Aosta (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4), ed in particolare dei suoi artt. 3, lett. f), 4 e 12, terzo comma. IN DIRITTO 1. - Per quanto concerne la denunziata violazione dell'art. 38 della Costituzione, come si evince anche nei lavori preparatori alla Camera della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (cfr., in particolare gli interventi degli onn. Morini, Cerquetti e Triva, in Camera dei deputati - VIII legislatura - Atti parlamentari - Discussioni, p. 13304 e segg., e come e' stato sempre pacifico in dottrina (v., ad esempio, Petrilli, La sicurezza sociale, s.l., 1953, 24; Pasquini-Pasquini Peruzzi, Il Servizio sanitario nazionale - Profili funzionali e strutturali, Napoli, 1979, 14 e segg) la tutela della salute costituisce un aspetto essenziale (anche se non l'unico) attraverso il quale perseguire il fine della sicurezza sociale, che grava fra gli obblighi costituzionali dello Stato, ai sensi dell'art. 38 della Costituzione della Repubblica. Proprio sulla base di questa considerazione, codesta ecc.ma Corte ha affermato che le regioni, ancorche' investite di competenze amministrative e normative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, non hanno competenza in materia di assistenza malattia, appunto in quanto quest'ultima rientra nel concetto di assistenza sociale (Corte costituzionale, 10 maggio 1972, n. 91). La medesima valutazione puo' essere tal quale ripetuta anche per la regione autonoma Valle d'Aosta, il cui statuto (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4) non contempla, nell'ambito della potesta' legislativa primaria della regione, di cui all'art. 2, ne' l'assistenza ospedaliera, ne' la sicurezza sociale. Rispetto alla sola assistenza ospedaliera ha potesta' legislativa meramente integrativa e di attuazione, ai sensi dell'art. 3 del medesimo statuto e, dunque, rispetto ad essa soltanto puo' esercitare funzioni amministrative. Le regioni dunque, e fra esse la ricorrente regione autonoma Valle d'Aosta, vengono chiamate a ripianare in misura preponderante con propri fondi i disavanzi di un servizio i cui costi devono invece gravare sullo Stato, ai sensi dell'art. 38 della Costituzione. 2. - Cio' che e' anche piu' grave e' la violazione palese del principio dettato dall'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione, secondo il quale ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte, e con esso anche del principio di cui al successivo art. 116 della Costituzione, e dello statuto della regione Valle d'Aosta. Come codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di affermare, la legge sostanziale non puo' limitarsi ad indicare genericamente i mezzi di copertura di nuove o maggiori spese, basandosi su futuri cespiti di entrata incerta ed eventuali; ma occorre che la legge indichi i mezzi preesistenti per farvi fronte (cosi': Corte costituzionale, 31 marzo 1961, n. 16, in Giur. cost., 1961, 104; Corte costituzione, 9 giugno 1961, n. 31; Corte costituzionale, 10 gennaio 1966, n. 1; Corte costituzionale, 22 dicembre 1969, n. 158). Si tratta di un principio costituzionale che si applica anche alla c.d. finanza allargata (Corte costituzionale, 8 giugno 1981, n. 92, in Foro it., 1981, I, 1835), e, quindi, deve ritenersi applicabile anche alle uu.ss.ll. ed agli altri enti che gestiscono i servizi sanitari, per quanto concerne l'autorizzazione ad "assumere impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche in eccedenza agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione", di cui all'art. 3 del d.-l. n. 262/1990, come convertito dalla legge impugnata con il presente ricorso. Ne' l'illegittimita' vien meno per le ulteriori previsioni, ricordate in narrativa, di cui ai successivi commi 3 e 3- bis del medesimo art. 3, introdotti appunto dall'impugnata legge di conversione. E' illegittima la previsione di assunzione a carico delle regioni e province autonome di mutui, ancorche' con oneri di ammortamento a carico dello Stato; per di piu' tali mutui sono chiamati a coprire la differenza in questione soltanto fino alla concorrenza di una somma corrispondente a lire notantamila per cittadino residente sul territorio della regione o provincia autonoma; le regioni e province autonome sono chiamate a gravarsi di una consistente quota (il venticinque per cento) della differenza residua. In effetti, l'art. 1 del d.-l. n. 262/1990, come convertito, non da' alcuna indicazione in ordine agli obblighi di cui all'art. 81 della Costituzione; per quanto concerne gli oneri gravanti sulle regioni ex artt. 2- bis (inserito ex novo dall'impugnato decreto di conversione) e 3 (come modificato), le indicazioni attenenti alla copertura sono ancora del tutto generiche, e si riferiscono anzi ad entrate soltanto eventuali, e del tutto ipoteche (nell'art. 2- bis l'alienazione "totale o parziale dei beni patrimoniali di cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge 22 dicembre 1978, n. 833"; nell'art. 3, comma 3-bis, l'alienazione dei beni patrimoniali disponibili), se non giuridicamente inesistenti, almeno per quanto concerne la regione ricorrente e le altre regioni a statuto speciale. A tale proposta occorre infatti ribadire quanto gia' rilevato nel ricorso avverso il d.-l. n. 262/1990, a proposito dell'originaria formulazione dell'art. 3: il riferimento alle entrate tributarie di cui all'art. 6 della legge 14 giugno 1990 non puo' riguardare le regioni a statuto speciale, perche' in realta', come si e' gia' avuto modo di accennare in narrattiva, si applica, per espresso disposto normativo, esclusivamente alle regioni a statuto ordinario (ne' del resto, avrebbe potuto essere altrimenti, posto che il detto art. 6 della legge n. 158/1990 e' norma applicativa dell'art. 119, secondo comma, della Costituzione che, come ha chiarito codesta Corte con la sentenza 26 gennaio 1957, n. 9, in Giur. cost., 1957, 58, e' riferito alle sole regioni a statuto ordinario, mentre le regioni a statuto speciale trovano la fonte normativa anche dei propri rapporti finanziari con lo Stato, ai sensi dell'art. 116 della Costituzione, nei rispettivi statuti di autonomia). Va incidentalmente avvertito che l'illegittimita' non viene meno per la gia' citata riserva contenuta nel quarto ed ultimo comma dell'art. 3, che esclude l'applicabilita' delle norme incompatibili con gli statuti alle regioni autonome. In limite occorre rilevare l'imperfetta tecnica di formulazione della riserva in questione: essa, pur avendo almeno formalmente portata generale, e' stata collocata nell'ultimo comma di un articolo contenente disposizioni di contenuto particolare. E con cio', essa si palesa come evidente (ed abusato) espediente per lasciare indeterminati i limiti di applicabilita' del testo legislativo e tentare cosi' di precostituire una barriera contro le censure di illegittimita' costituzionale che la norma medesima si attira. Ma, posto appunto che alla regione Valle d'Aosta non si puo' applicare il riferimento alla copertura di spesa mediante le entrate tributarie di cui all'art. 6 della legge 14 giugno 1990, si evidenzia un ulteriore, e non meno rilevante, profilo di illegittimita' costituzionale del d.-l. n. 262/1990 e del provvedimento di conversione oggi impugnato. Va ancora aggiunto che il riferimento all'alienazione dei beni patrimoniali di cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge istitutiva del S.S.N., inserito dal provvedimento di conversione con l'art. 2- bise' in contrasto sia con l'attribuzione ai comuni dei beni in questione (cfr. artt. 61, terzo comma, nonche' 65, primo comma, e 66, primo comma, della legge n. 833/1978) che con le procedure per l'alienazione dei beni in questione e per il reimpiego dei capitali ricavati, di cui all'art. 65, secondo comma, della stessa legge n. 833/1978 ("Con legge regionale sono disciplinati lo svincolo di destinazione dei beni di cui al precedente comma, il reimpiego ed il reinvestimento dei capitali ricavati dalla loro alienazione o trasformazione in opere di realizzazione o di ammodernamento dei presidi sanitari... ". Infine, si tratta di norma inefficace, nella misura in cui essa esclude espressamente dal suo ambito di operativita' i "beni soggetti a vincoli di qualsiasi natura": infatti i beni di cui all'art. 65 della legge n. 833/1978 sono espressamente assoggettati dal primo comma a "vincolo di destinazione alle unita' sanitarie locali". 3. - Il d.-l. n. 262/1990, anche nel testo modificato dalla legge di conversione oggi impugnata, attribuisce alle regioni, ivi compresa la ricorrente regione autonoma Valle d'Aosta, una parte molto gravosa degli oneri necessari al ripianamento del disavanzo del S.S.N. che, come si e' visto, esula dalle materie di competenza normativa, e quindi anche amministrativa, della Valle. Lo Stato non solo non fornisce i mezzi pe far fronte a tali oneri, ma, per di piu', stante l'inapplicabilita' degli altri mezzi di copertura genericamente previsti, impone alle regioni autonome la vendita del patrimonio disponibile. A prescindere dalla mancata soddisfazione, piu' sopra illustrata, delle condizioni richieste in ordine alla copertura finanziaria dall'art. 81 della Costituzione (stante la collocazione futura ed incerta delle entrate cosi' ricavabili), va evidenziato che, per di piu', si tratta di una illegittima violazione della sfera di discrezionalita' che compete anche e sopratutto alle regioni autonome nell'adozione anche del proprio indirizzo amministrativo. Ed in effetti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, primo comma, e 3, lett. f), del proprio statuto speciale, spetta alla regione Valle d'Aosta l'esercizio della potesta' amministrativa sulle finanze regionali. Non pare revocabile in dubbio che elemento caratterizzante di tale potesta' sia la discrezionalita' (cfr. per tutti: Virga, Diritto amministrativo, I, I principi, Milano, 1983, 3-4): ebbene, tale potesta' viene ad essere illegittimamente compressa dall'art. 2- bis del decreto, come convertito dall'impugnata legge di conversione, che come si e' visto, vincola le regioni, ivi comprese quelle autonome, all'alienazione di beni che, per di piu', non sono nemmeno nella loro disponibilita', essendo stati invece precedentemente attribuiti da altra legge dello Stato (la legge n. 833/1978) al patrimonio dei comuni. La medesima censura e' ripetibile con riferimento all'art. 3, terzo comma, e comma 3- bis, del decreto, come convertito dall'impugnata legge di conversione, che, come si e' visto, vincola la regione Valle d'Aosta all'alienazione dei beni del proprio patrimonio disponibile, per ottenere disponibilita' finanziarie che dovrebbero invece esserle fornite dallo Stato. 4. - Infine, il decreto e la legge di conversione oggi impugnata, sono illegittimi per violazione dell'art. 12, terzo comma, dello statuto speciale della Valle d'Aosta, secondo la quale "Per provvedere a scopi determinati che non rientrino nelle funzioni normali della Valle, lo Stato assegna alla stessa, per legge, contributi speciali". Come si e' visto, il ripianamento del disavanzo delle uu.ss.ll. (ed anzi, in genere l'erogazione dei servizi sanitari secondo le modalita' della legge n. 833/1978) non rientrano nelle funzioni della ricorrente regione; il ripianamento del disavanzo delle uu.ss.ll. sarebbe stato comunque uno "scopo determinato" estraneo alle funzioni normali della Valle e sarebbe stato percio' rispettoso della norma statutaria soltanto se accompagnato da contributo speciale. E, quindi, anche sotto tale ulteriore profilo, il d.-l. n. 262/1990, con la sua legge di conversione oggi impugnata, sono costituzionalmente illegittimi.