IL PRETORE
    Premesso  che  Castagno  Loredana,  con  ricorso  depositato il 17
 settembre 1990 e notificato il 27 settembre 1990, chiede la  condanna
 dell'I.N.P.S.  al  pagamento non riconosciutole in via amministrativa
 della pensione di anzianita' sul presupposto - acclarato in corso  di
 giudizio  -  di  avere  lavorato  con  regolare  contribuzione presso
 privati dal 1› ottobre 1961 al 16 settembre 1988,  vale  a  dire  per
 circa   27   anni   e  che  la  domanda  si  fonda  su  una  asserita
 illegittimita' costituzionale dell'art.  22  della  legge  30  aprile
 1969,  n.  153, laddove e' prevista come condizione essenziale quella
 del possesso di un minimo di 35 anni di contribuzione,  contribuzione
 di  gran lunga superiore a quanto disposto per i dipendenti pubblici,
 e statali in particolare, per il collocamento in quiescenza;
                             O S S E R V A
    Il  problema  come  prospettato,  con  i  suoi aspetti di asserito
 contrasto non solo con l'art. 3 della Costituzione ma anche  con  gli
 artt.  31, 36, 37, 38 e 53, e' indubbiamente di grossa portata e pone
 grave censura su una  delle  piu'  significative  differenze  fra  il
 regime  pensionistico di chi ha a monte contratti di lavoro privato e
 di chi invece ha a monte rapporti di impiego pubblico.
    Della    problematica    inerente   tali   differenza   la   Corte
 costituzionale ebbe  gia'  ad  occuparsi  con  decisioni  che  talora
 portarono ad equilibrati ravvicinamenti e talora a spiegare le valide
 ragioni di sussistenza della permanenza di trattamenti diversi.
    E'  stato in particolare nella pronuncia 7 luglio 1986, n. 173, da
 un  lato,  evidenziata  la  sussistenza  di  una  tendenza   ad   una
 parificazione  del rapporto di impiego pubblico con quello privato e,
 dall'altro, dato atto della permanenza di aspetti di differenziazione
 che giustificano la diversita' dei regimi previdenziali.
    Orbene,  ritiene  il pretore - stante la continua evoluzione della
 situazione  normativa  nel  campo  del  lavoro  ed  in  quello  della
 previdenza,  a  fini di adeguamento con la mutevole realta' sociale -
 cosa  opportuna,  con  riferimento  alla  questione  denunciata,  una
 pronuncia  della  Corte che verifichi la attualita' della sussistenza
 di ragioni che  giustifichino  la  necessita'  del  permanere  per  i
 lavoratori  privati, soprattutto se donne in certe condizioni, di una
 anzianita' contributiva quasi doppia, o piu' doppia, quale condizione
 per beneficiare di un trattamento pensionistico.
    Che una disparita' sussista e' di chiara evidenza.
    Che siano manifestamente infondate le censure mosse in ordine alla
 ragionevolezza della stessa non e' consentito dirlo, se non altro per
 l'entita'  delle  divergenze, abbisognando la cosa di una valutazione
 comparativa ad ampio raggio su una pluralita' di aspetti, valutazione
 che  se  fatta  ad  opera  di  questo  pretore  non  puo' che restare
 agevolmente censurabile qualora fosse di  segno  sfavorevole  per  la
 ricorrente e, quindi, tale da portare al rigetto della sua domanda.
    Vi  e',  infatti,  da  dare  risposta  non  solo all'aspetto della
 cennata diversita' in se', alla luce del principio di cui all'art.  3
 della Costituzione, ma anche alla luce di quanto desumibile dall'art.
 38, secondo comma, della Costituzione  che  stabilisce  il  principio
 secondo  sui  tutti i lavoratori hanno diritto a che siano provveduti
 ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita per il  tempo
 della vecchiaia.
    Con   l'assicurare   al  dipendente  pubblico  il  trattamento  di
 quiescenza dopo 20 anni di lavoro se uomo o anche solo  15  se  donna
 l'apprezzamento  del concetto di vecchiaia, inteso come momento a far
 tempo dal quale decorre il diritto di continuare ad avere un  reddito
 connesso   all'attivita'  svolta  in  precedenza,  appare  del  tutto
 peculiare e ben diverso da quello riconosciuto al lavoratore privato,
 senza dire dell'onere per la collettivita' che un giovane pensionato,
 con la sua probabile lunga sopravvivenza, viene a creare.
    Tale  onere,  come  evidenziato  in  ricorso,  non  appare infatti
 coperto da una costituita riserva  matematica  bensi'  dalle  entrate
 tributarie,  e  quindi anche con le imposte sui redditi da lavoro dei
 cittadini  dipendenti  privati,  cittadini  che  se   fossero   stati
 dipendenti  pubblici  avrebbero  potuto  essere  a loro volta gia' in
 pensione; il  tutto  in  possibile  contrasto  con  l'art.  53  della
 Costituzione.
    Quanto  alle censure prospettate con riferimento agli artt. 36, 31
 e 37 della Costituzione, esse appaiono, contrariamente a quelle sopra
 evidenziate,  non rilevanti per la soluzione della domanda in termini
 di  accoglimento:  la  prima  riguarda  aspetti  quantitativi   della
 pensione  di  anzianita'  fuoriuscenti  dal  petitum del giudizio; le
 altre attengono ad ambiti mediati rispetto al problema da risolvere e
 sono prive di sicuri riflessi sulla situazione della ricorrente.