IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza; Letti gli atti del procedimento penale n. 892/1991 a carico di Pellegriti Giuseppe imputato del delitto di calunnia aggravata (artt. 61, n. 2, 81 e 368 del c.p.) in danno dei magistrati inquirenti dell'ufficio istruzione presso il tribunale di Catania Licciardello Armando e Materia Rodolfo e del sostituto procuratore della Repubblica di Catania Gennaro Giuseppe, attualmente tutti in servizio nel distretto della Corte di appello di Catania, il primo con funzioni di consigliere presso la Corte di appello di Catania, il secondo di giudice per le indagini preliminari ed il terzo di sostituto procuratore generale; Ritenuto che il p.m., in data 18 marzo 1991, ha avanzato al giudicante richiesta di rinvio a giudizio del nominato imputato ex artt. 416 e 417 del c.p.p. in applicazione dell'art. 11, terzo comma, del c.p.p.; Ritenuto che la deroga di cui alla predetta norma al criterio originario ed autonomo di determinazione della competenza per territorio per i procedimenti penali aventi come parte offesa dal reato magistrati appare, quanto meno ingiustificata, permeato di illogicita' manifesta ed in netto contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza, in quanto anche nel caso di reato commesso in udienza sono apprezzabili quei pericoli di inquinamento della imparzialita' del giudice, che in via di principio, ai sensi dell'art. 11, primo e secondo comma, del c.p.p., giustificano la sottrazione dei relativi procedimenti al giudice naturale territorialmente competente al fine di impedire qualsiasi ipotesi di "giurisdizione domestica"; Ritenuto che la deroga, di cui siamo venuti dicendo, appare ancora piu' arbitraria, ove si consideri che opera nell'ambito di un meccanismo normativo, che, rispetto al corrispondente modello del codice di rito abrogato (art. 41- bis), ha ampliato l'operativita' dell'aspetto traslativo della competenza proprio a garanzia della piena e sostanziale autonomia ex artt. 101 e 104 della Costituzione, degli organi giudicanti perche' non vi e' piu' alcun riferimento all'ufficio competente ed opera in relazione a tutti gli uffici del distretto della Corte di appello, in cui il magistrato esercita le sue funzioni; Ritenuto che la deroga in questione non risponde ad esigenze di celerita', non essendo qeusta conciliabile con il meccanismo introdotto dall'attuale art. 476 del c.p.p., che per i reati commessi in udienza, a differenza del corrispondente art. 435 del cod. abrogato, esclude la possibilita' di una contestuale celebrazione del giudizio e lascia il p.m. arbitro di procedere a norma di legge; Ritenuto che la prospettata tesi dottrinaria dell'interesse di assicurare l'esemplarita' del giudizio e di riaffermare il diritto leso nella medesima sede giudiziaria in cui si e' verificata la violazione della legge, trova fondamento in un interesse non costituzionalmente garantito, che non puo', pertanto, prevalere sul principio costituzionale dell'imparzialita' del giudice; Ritenuto che la predetta deroga appare, oltre che manifestamente illogica anche in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, determinando una condizione di netta disparita' tra i cittadini imputati in procedimenti, in cui assume la qualita' di persona offesa un magistrato, a seconda che il reato sia stato commesso o meno in udienza mentre la ratio della norma e' quella di garantire la serenita' e l'imparzialita' del giudizio, che potrebbe venir meno o potrebbe apparire venir meno a causa dei rapporti che si creano tra i magistrati, che esercitano le loro funzioni nell'ambito di uno stesso distretto giudiziario (nel caso in esame il giudicante dovrebbe decidere fatti relativi ad un magistrato del suo stesso ufficio del g.i.p.);