LA CORTE D'APPELLO
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento avente ad
 oggetto il reclamo avverso il decreto 19 novembre 1990 del  tribunale
 di  Lecce proposto da De Rocco Antonio e Raeli Gisella, rappresentati
 e difesi dall'avv. prof. Pietro Rescigno e dall'avv. Lia Misurale per
 delega a margine del reclamo e  domiciliati  presso  e  nello  studio
 dell'avv. Misurale in Lecce, via S. Trinchese, 8, reclamanti.
    Con l'intervento del p.g. presso la Corte d'appello di Lecce.
                               F A T T O
    Con esposto del 27 ottobre 1990 al procuratore della Repubblica di
 Lecce, Elio Congedo dichiarava di aver avuto una relazione adulterina
 con  Gisella  Raeli,  coniugata  con De Rocco Antonio, e che, da tale
 relazione, in data 13 marzo  1989,  era  nata  una  bambina  di  nome
 Francesca  alla  quale,  per  la  presunzione  di  legge,  era  stata
 attribuita la paternita' del De Rocco.
    Cio' premesso,  il  Congedo  chiedeva  che  il  procuratore  della
 Repubblica  di  Lecce  formulasse  istanza  al tribunale in camera di
 consiglio per la nomina di un curatore speciale alla minore Francesca
 De Rocco al fine di promuovere il giudizio di  disconoscimento  della
 paternita'.
    L'esponente  invocava, a fondamento della sua istanza, l'art. 244,
 ultimo comma, del cod. civ., come modificato dall'art. 81 della legge
 4 maggio 1983, n. 184.
    All'esposto erano allegati numerose fotografie e scritti vari.
    Il   procuratore   della   Repubblica,   considerato   che   dalla
 documentazione  prodotta  l'assunto  del Congedo appariva verosimile,
 formulava la richiesta.
    Il tribunale,  con  decreto  19  novembre  1990,  nominava  l'avv.
 Menotti  Guglielmi  da Lecce curatore speciale della minore Francesca
 De Rocco per il promovimento  dell'azione  di  disconoscimento  della
 paternita' nei confronti di De Rocco Antonio.
    Avverso  tale decreto proponevano reclamo innanzi a questa corte i
 coniugi Antonio De Rocco e Gisella Raeli sostenendo:
      1) che i  fatti  esposti  dal  Congedo  non  giustificavano  una
 iniziativa di cosi' grave momento;
      2)  che  l'istanza  del  p.m.,  traente esclusiva sollecitazione
 dalla richiesta di chi rivendicava la paternita' naturale, finiva col
 tradursi in un inammissibile ampliamento  della  sfera  dei  soggetti
 legittimati   a  proporre  l'azione  di  disconoscimento  dell'altrui
 paternita', mentre invece l'art. 244 del cod. civ. elenca i  soggetti
 legittimati in maniera tassativa;
      3)  che  l'inammissibilita' dell'azione, cosi' come proposta, in
 sostanza consentiva illegittimamente di porre a base della nomina del
 curatore speciale le sole informazioni provenienti da chi rivendicava
 la qualita' di padre naturale;
      4)   che   una  coerenza  del  sistema  imponeva  in  ogni  caso
 l'audizione dei genitori legittimi.
    I coniugi reclamanti chiedevano quindi l'annullamento del  decreto
 impugnato.
    Con  ordinanza  8 febbraio 1991 questa corte disponeva l'audizione
 di Antonio De Rocco e Gisella Raeli.
    All'udienza  odierna,  dopo  aver  sentito  separatamente  i   due
 coniugi,  il  loro  procuratore  ed il p.g., la corte si riservava di
 decidere.
                             D I R I T T O
    Sull'art. 244, ulimo  comma,  del  cod.  civ.,  la  corte  ravvisa
 diversi  motivi  di  illegittimita', che impongono la sospensione del
 giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    1. - Il primo motivo nasce  dalla  mancata  considerazione,  nella
 norma,  dell'interesse del minore (al di la' del dato oggettivo della
 filiazione bilogica), sia nella  fase  dell'iniziativa  demandata  al
 pubblico ministero e sia nel successivo provvedimento del tribunale.
    La  norma  in  esame,  infatti,  laddove  prevede che l'istanza di
 nomina del curatore speciale possa essere proposta anche dal pubblico
 ministero (ove sia in causa  un  minore  infrasedicenne),  mostra  di
 prescindere  del  tutto  dall'interesse del minore, tanto e' vero che
 nel  caso  di  specie  nessuna  valutazione  in  tal  senso   risulta
 effettuata,  nonostante  le  gravi  conseguenze  dell'iniziativa (che
 potrebbe addirittura risolversi a danno della piccola Francesca).  Il
 pubblico  ministero  ha  infatti motivato la sua richiesta univamente
 richiamando la necessita' di accertare giudizialmente lo status della
 minore.
    Nulla di piu' ha fatto il tribunale, che ha  affermato,  con  mera
 formula  di  stile, di aver assunto "sommarie informazioni" ed ha poi
 nominato il curatore speciale, senza neppure interrogare  i  genitori
 legittimi.
    V'e'  da  richiamare  a questo punto la sentenza pronunciata dalla
 Corte costituzionale in data 20 luglio 1990, n. 341.
    Con essa la corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimo,  per
 contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione, l'art. 274, primo comma,
 del  cod.  civ.,  nella  parte  in  cui,  ove  si  tratti  di  minore
 infrasedicenne,  non  prevede  che  l'azione  promossa  dal  genitore
 esercente la potesta' per ottenere  la  dichiarazione  giudiziale  di
 paternita' e maternita' naturale sia ammessa solo quando sia ritenuta
 dal giudice rispondente all'interesse del figlio.
    Orbene,  la  mancanza  di  una  analoga valutazione nell'azione di
 disconoscimento, promossa per conto di un minore infrasedicenne,  non
 risulta affatto giustificata, poiche' anche in questo caso ricorre la
 opportunita'  che  il  tribunale  valuti se l'azione da intentare sia
 effettivamente rispondente agli interessi del minore  "o  non  rischi
 piuttosto di pregiudicarne gli equilibri affettivi, l'educazione e la
 collocazione sociale".
    Dall'ordinamento positivo per altro non e' desumibile un principio
 che  imponga  di  dover  privilegiare  in  ogni  caso, in ipotesi del
 genere, la paternita' biologica rispetto a  quella  legale  ed  oltre
 tutto  sarebbe  assiomatica  e non dimostrabile l'affermazione che la
 prevalenza del  dato  biologico  realizzi  in  ogni  caso  la  tutela
 dell'interesse del minore.
    La  disparita'  di trattamento con l'art. 274 del cod. civ. (nella
 lettura di detta norma successiva alla citata pronuncia  della  Corte
 costituzionale)  appare  dunque  in  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione.
    Inoltre, indipendentemente dal confronto con l'art. 274  del  cod.
 civ.  la  norma  impuganta,  per  usare le stesse parole della citata
 sentenza della Corte  costituzionale  n.  341  del  20  luglio  1990,
 "appare  contrastante  anche  col  principio di razionalita', essendo
 incoerente col rilievo sistematico centrale che nell'ordinamento  dei
 rapporti  di filiazione, fondato sull'art. 30 della Costituzione, as-
 sume l'esigenze di protezione dell'interesse dei minori".
    2. - Un secondo profilo di illegittimita', sempre  per  violazione
 dell'art.  3  della  Costituzione,  si  ravvisa nella norma in esame,
 nella parte in cui la  stessa  attribuisce  al  tribunale  ordinario,
 anziche'  al  tribunale  per i minorenni, la competenza a nominare il
 curatore speciale ed a conoscere dell'azione di disconoscimento.
    Dopo la riforma attuata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 (che con
 l'art. 68 ha modificato il primo comma dell'art. 38 delle disp.  att.
 del  c.c.)  e'  stata  attribuita  al  tribunale  per  i minorenni la
 competenza a conoscere delle azioni di  dichiarazione  giudiziale  di
 paternita' e maternita' riguardanti appunto i minori.
    La  scelta  del  legislatore  risponde all'esigenza di affidare la
 valutazione di  problematiche  concenenti  i  minori  ad  un  giudice
 specializzato  che,  nell'emissione  della decisione, ha modalita' di
 acquisizione del  materiale  probatorio,  criteri  di  valutazione  e
 contributi di professionalita' diversi rispetto al giudice ordinario.
    Orbene,  non si comprende perche' l'azione di disconoscimento, che
 pure richiede una valutazione degli interessi del  minore  analoga  a
 quella da compiere nella dichiarazione giudiziale di paternita' debba
 essere attribuita alla competenza del tribunale ordinario.
    Tale  disparita'  di trattamento appare del tutto irragionevole ed
 incongruente.
    3. - Un terzo profilo di illegittimita' costituzionale, ancora per
 violazione dell'art. 3 della Costituzione, si ravvisa nella parte  in
 cui  l'art. 244, ultimo comma, del cod. civ. consente la proposizione
 dell'azione di disconoscimento della paternita',  su  iniziativa  del
 pubblico  ministero  per  minore  infrasedicenne, senza un preventivo
 giudizio preliminare  di  delibazione  circa  l'ammissibilita'  della
 domanda.
    Una fase processuale di delibazione preliminare, quale antecedente
 necessario  e  indefettibile  della  successiva fase sul merito della
 domanda, e' prevista dall'art. 274 del cod. civ. riguardo  all'azione
 diretta  alla  dichiarazione giudiziale di paternita' o di maternita'
 naturale.
    Essa mira ad accertare l'esistenza del fumus boni iuris  a  tutela
 del convenuto contro azioni temerarie o ricattatorie.
    Orbene, non dissimile dalla posizione di colui che e' convenuto in
 un'azione  diretta  alla  dichiarazione  giudiziale  di  paternita' o
 maternita'  naturale  e'  la  posizione  del  padre  e  della   madre
 legittimi,   di   fronte   ad   un'azione  di  disconoscimento  della
 paternita', proposta su sollecitazione di un preteso padre  naturale.
 Il  fatto  che  l'azione  sia  rimessa  all'iniziativa  del  p.m. non
 costituisce un sicuro presidio contro eventuali  manovre  vessatorie,
 perche'  la  norma  impugnata  non  assicura  nemmeno l'obbligo di un
 preventivo    sommario    ascolto   delle   parti   interessate,   in
 cotraddittorio tra loro.
    A parere di questa corte, dunque, uguale dovrebbe essere la tutela
 offerta  dall'ordinamento  giuridico  contro  il   rischio   di   una
 persecuzione  giudiziale. Non si riesce infatti a cogliere la ragione
 di una tutela differenziata, e sostanzialmente piu'  favorevole,  nei
 confronti  di  colui al quale si voglia temerariamente attribuire una
 paternita'  naturale  rispetto   a   colui   al   quale   altrettanto
 temerariamente si vogli sottrarre un figlio legittimo.
    4.  -  Infine un ultimo profilo di incostituzionalita' della norma
 in esame, questa volta per  violazione  degli  artt.  3  e  30  della
 Costituzione,  si ravvisa nella ingiustificata esclusione del preteso
 padre naturale  dai  soggetti  legittimati  a  proporre  l'azione  di
 disconoscimento.
    Tale  azione,  nel  sistema  di  codice limitata al marito, e' ora
 attribuita  altresi'  alla  madre  ed  al  figlio,  per  quest'ultimo
 stabilendosi  il  termine di decadenza dell'anno dal compimento della
 maggiore eta' o dalla successiva conoscenza  dei  fatti  che  rendono
 ammissibile il disconoscimento (art. 244, terzo comma).
    Nella  stesura  della  novella  di riforma del diritto di famiglia
 (legge 19  maggio  1975,  n.  151),  oltre  che  al  figlio  divenuto
 maggiorenne,    l'azione    veniva   accordata   al   figlio   minore
 ultrasedicenne, affidandosi l'esercizio dell'azione  ad  un  curatore
 speciale nominato su sua istanza.
    La previsione e' stata ulteriormente arricchita dall'art. 81 della
 legge  4  maggio  1983,  n.  184:  il  curatore  speciale puo' essere
 nominato su istanza del figlio minore che  abbia  compiuto  i  sedici
 anni, o del pubblico ministero quando il figlio e' di eta' inferiore.
    Stranamente pero' e rimasto escluso il preteso padre naturale.
    Orbene,  sembra alla corte che la disposizione contenuta nell'art.
 244 del cod. civ., nel riconoscere alla madre adultera e non all'uomo
 concorrente   nell'adulterio   (il   preteso   padre   naturale)   la
 legittimazione  all'esercizio  dell'azione  di  disconoscimento della
 paternita', integri un'ingiustificata diversita'  di  trattamento  di
 fronte   all'uguale   posizione   dei   genitori,  costituzionalmente
 garantita dagli artt. 3 e 30 della Costituzione,  rispetto  ai  figli
 anche se nati fuori dal matrimonio.