IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Parmigiani Stefano era tratto a giudizio, per rispondere del reato
 p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della legge  10  maggio  1976,  n.
 319.
    Nel  giorno  fissato  per  il dibattimento, i difensori di fiducia
 dell'imputato  venivano   in   aula   e   comunicavano   di   aderire
 all'astensione  dalle udienze proclamata dagli avvocati e procuratori
 del foro di Cremona, i quali protestavno contro la perdurante inerzia
 dei pubblici poteri nei confronti degli uffici giudiziari locali.
    Il p.m. chiedeva a questo pretore di  designare  il  difensore  di
 ufficio  che,  una volta convocato, si presentava regolarmente, ma il
 Parmigiani dichiarava di non voler essere giudicato in  mancanza  dei
 legali di fiducia.
    Poiche' il p.m. insisteva per la celebrazione del dibattimento, lo
 scrivente  sollevava la questione di legittimita' dell'art. 97, primo
 comma, del c.p.p. in riferimento all'art. 24,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
    Ai  fini  dimostrativi,  va  osservato che la norma costituzionale
 consacra l'inviolabilita' del diritto di difesa in ogni stato e grado
 del procedimento.
    Tale  solenne  enunciato,  per  quel  che   concerne   la   difesa
 giudiziaria dell'imputato, si articola nelle seguenti proposizioni:
      1)  diritto di conoscere il fatto i ordine al quale il prevenuto
 e' chiamato a rispondere e  di  essere  giudicato  nei  limiti  della
 contestazione;
      2)  diritto  di  avere  un  difensore,  che esplichi l'attivita'
 tecnica, complementare all'autodifesa;
      3) diritto di presentare prove da contrapporre alla accusa.
    Uno dei punti cardine del  nuovo  processo  penale  e'  costituito
 dall'individuazione  del  dibattimento quale sede privilegiata per la
 formazione della prova nel  contradditorio  delle  parti,  secondo  i
 principi di oralita' e immediatezza.
    Nell'ambito  di  codesta  impostazione, il difensore non si limita
 piu' ad assistere all'atto di natura probatoria, promosso  e  gestito
 da  altri  soggetti,  secondo  lo  schema  del  processo inquisitorio
 scritto e segreto, ma interviene nel momento cruciale della  raccolta
 del materiale utile alla decisione, presentando ed escutendo la prova
 davanti  ad  un  giudice terzo, con la possibilita' di controescutere
 quella di accusa.
    L'asserita centralita'  del  dibattimento  rappresenta,  tuttavia,
 solo  una  semplificazione, poiche' il giudizio vero e proprio, nella
 prospettiva del legislatore, dovrebbe avere un carattere residuale, e
 la disciplina introdotta mira a favorire  l'accesso  ai  procedimenti
 speciali, che consentono una definizione anticipata della vicenda.
    Si  evita cosi' il dispendio di tempo ed energie occorrenti per la
 celebrazione  del  giudizio  che,  a  causa  di  una  piu'  complessa
 ritualita', richiede impegno e costi di gran lunga maggiori.
    "Cio'  non  vuol  dire"  -  si  e'  rettamente affermato - "che il
 dibattimento non meriti la qualifica  di  punto  centrale  del  nuovo
 codice,  poiche' appare chiaro che quand'anche, in concreto, solo una
 piccola percentuale di processi dovesse  svogersi  secondo  le  forme
 ordinarie,  esso rimarrebbe come modello di base e garazia potenziale
 indispensabile per misurare l'idoneita' del sistema alla  tutela  dei
 diritti  individuali, oltre che come punto di riferimento e pietra di
 paragone nelle scelte tra rito ordinario e riti alternativi".
    I  concetti  suesposti  sono  la   premessa   indispensabile   per
 comprendere l'opera del difesore, chiamato ad un compito piu' gravoso
 rispetto  al  passato,  ma  anche  esaltante  in  vista dei risultati
 conseguibili.
    Occorre subito evidenziare che le garanzie difensive, nel rigoroso
 rispetto dei principi del processo tendenzialmente  accusatorio,  non
 dovrebbero  presidiare  la  fase  delle indagini preliminari, poiche'
 l'attivita' svolta dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria
 serve, in via normale, per le determinazioni  inerenti  all'esercizio
 dell'azione  penale  (art.  326) e non a precostituire prove a carico
 dell'inquisito.
    Eppure gli interventi del difesnore sono frequenti in quel periodo
 o per assicurare una  testimonianza  all'atto  investigativo,  quando
 l'organo  pubblico  incida  nella  sfera  dei  diritti del cittadino,
 costituzionalmente protetti (perquisizioni, ispezioni, interrogatori,
 confronti) o per  salvaguardare  la  liberta'  morale  della  persona
 (assunzione di informazioni ai sensi dell'art. 350, interrogatorio) o
 ancora  per  apprestare una garanzia minima indispensabile rispetto a
 quegli atti che possono, in via eccezionale, rifluire nella  sentenza
 dibattimentale  (art.  431,  primo  comma, lettere b) e c), art. 511,
 primo comma, del c.p.p.).
    Non e' superfluo ricordare che gli atti del pubblico  ministero  e
 della  polizia  giudiziaria  sono pienamente utilizzabili all'interno
 della fase delle  indagini  preliminari  e  per  i  provvedimenti  da
 adottare  all'esito  della  stessa, nonche' nell'udienza preliminare,
 nel giudizio abbreviato e nel pattegggiamento.
    Il giudizio  dibattimentale,  per  contro,  e'  impermeabile  agli
 elementi  raccolti al di fuori di esso, ma l'assolutezza della regola
 e'  stata  temperata  dal  legislatore,  essendo  apparso   incongruo
 rinunziare completamente al materiale investigativo, che puo' servire
 a molteplici scopi.
    Anzitutto,  consentira'  di  verificare la genuinita' della prova,
 come accade per alcuni  atti  conenuti  nel  fascicolo  del  pubblico
 ministero,   che   vengono  conosciuti  dal  giudice,  attraverso  la
 contestazione, al limitato fine di  valutare  la  credibilita'  della
 persona esaminata (artt. 500, terzo comma, e 503, quinto comma).
    Sotto altro profilo, la contestazione produce l'utilizzabilita' di
 dichiarazioni precedentemente rilasciate in particolari contesti, che
 inducono a supporre una notevole affidabilita'.
    Trattasi delle ipotesi di cui agli artt. 500, quarto comma, e 503,
 quinto e sesto comma.
    Vi  sono,  poi,  gli atti assunti dal pubblico ministero (ma anche
 dal giudice nell'udienza  preliminare),  che  divengono  utilizzabili
 attraverso le letture, quando la ripetizione, per fatti o circostanze
 imprevedibili, non sia piu' possibile (art. 512. Si veda anche l'art.
 513 circa le dichiarazioni rese dall'imputato contumace o che rifiuti
 il contradditorio).
    Restano, infine, gli atti irripetibili, inseriti nel fascicolo del
 dibattimento all'esito dell'udienza preliminare (art. 431, lettere b)
 e  c)),  che  non  sono  indicati tassativamente dal codice, il quale
 riporta la dizione contenuta nell'art.  2,  n.  57,  della  legge  16
 febbraio 1987, n. 81.
    Un'opinione,  meritevole di essere seguita, definisce irripetibili
 gli atti che "nel compiersi, consumano il  loro  oggetto"  e  include
 nella categoria quelli che "si sostanziano nella ricerca di una prova
 gia' costituita (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazione
 di  conversazioni) o che viene costituita al di fuori dell'intervento
 di organi pubblici (intercettazioni)  o  che  rappresentano  fatti  e
 situazioni soggetti a modificazioni non evitabili".
    Detti  atti  sono utilizzabili in via originaria per effetto della
 lettura, disposta d'ufficio o su richiesta di parte.
    La sintetica descrizione della modalita'  d'ingresso  in  giudizio
 del  materiale di indagine che assume, in ipotesi specifiche, valenza
 probatoria (trattasi di  prove  legittimamente  acquisite,  ai  sensi
 dell'art.  526),  rende proficua una breve analisi dell'attivita' del
 difensore, diretta a contrastare l'assunto accusatorio.
    Egli, una volta ricevuta l'informativa del processo, attraverso il
 colloquio con il c.d. indagato o la partecipazione agli atti  ovvero,
 dopo   l'esercizio   dell'azione   penale,   con   la  visione  della
 documentazione depositata, esplica il suo potere  di  sollecitare  il
 pubblico ministero e il giudice con memorie e richieste.
    Il  difensore, inoltre, ha la facolta' di svolgere investigazioni,
 direttamente o  a  mezzo  di  sostituti  e  consulenti  tecnici,  per
 ricercare  e  individuare  le  fonti di prova a favore dell'imputato,
 conferendo con le persone in grado di fornire informazioni  (art.  38
 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271).
    Codesta   indagine,  imprescindibile  attributo  della  assistenza
 tecnica, attua, in senso sostanziale, il principio di  partecipazione
 dell'accusa  e  della difesa su basi di parita' in ogni stato e grado
 del procedimento (art. 2, n. 3, della legge  delega)  e  realizza  il
 diritto  alla prova e alla disponibilita' di questa dalle parti (art.
 190), che si ridurrebbe ad una enunciazione astratta,  qualora  fosse
 inibito   all'inquisito   un'autonoma   ricerca  di  elementi  a  lui
 favorevoli (v. art. 358, in ordine all'obbligo del pubblico ministero
 di svolgere accertamenti  su  fatti  e  cricostanze  a  favore  della
 persona sottoposta alle indagini).
    D'altronde   solo  attraverso  la  conoscenza  di  quei  dati,  il
 difensore  suggerira'  i  percorsi  processuali   adeguati,   facendo
 richiedere,   magari,  l'incidente  probatorio,  autentica  parentesi
 giurisdizionale, che si apre nel corso  delle  indagini  preliminari,
 per  fronteggiare  situazioni  in cui e' necessario assumere atti non
 rinviabili al dibattimento e  destinati  ad  essere  utilizzati  come
 prova  in  giudizio  (il  rimedio e' esperibile anche durante la fase
 degli atti preliminari, ai sensi dell'art. 467).
    La preventiva valutazione delle risorse probatorie potra'  indurre
 a  consigliare  ilgiudizio  abbreviato o l'applicazione della pena ex
 art. 444 e segg. del c.p.p.,  in  modo  che  l'imputato  fruisca  del
 trattamento premiale connesso a tali riti.
    Il  dibattimento,  invece,  rappresenta  lo scenario di piu' vasta
 dimensione, entro il quale il  difensore,  partecipando  direttamente
 alla  formazione  della prova, "senza deleghe o mediazione" di altri,
 scoprira' le sue carte, dopo che l'accusa abbia esaurito l'escussione
 delle prove a carico.
    Allora l'impianto difensivo, preparato sulla  scorta  di  elementi
 soggettivi  e  oggettivi,  potra'  manifestare  la  sua  efficacia  a
 sostegno della tesi che esclude  o  attenua  la  responsabilita'  del
 giudicabile.
    Nel  quadro  cosi'  delineato, non sfugge ad alcuno la delicatezza
 del rapporto dell'imputato con il suo  difesore  di  fiducia,  tra  i
 quali  si  instaura  un  legame  che  fonde, in singolare consonanza,
 aspetti tecnici ed esperienze  umane,  per  affrontare  la  difficile
 partita avente come posta la liberta' personale.
    La  rottura  ab  externo  del  vincolo  disperde  un patrimonio di
 conoscenze  indispensabili  alla  valutazione  completa  dei   fatti,
 producendo conseguenze non rimediabili per l'accusato.
    Ne'  la  presenza  del  difensore  di  ufficio, designato ai sensi
 dell'art. 97  del  c.p.p.,  riesce  a  neutralizzare  quei  risultati
 negativi,   poiche'   spesso   la   diffidenza   e   la  mancanza  di
 collaborazione  del  prevenuto  con  il  suddetto  legale,   che   e'
 impreparato  al  processo,  perpetuano la crisi di effettivita' della
 difesa,  lamentata  in  evenienze  del  genere  e  che  la  direttiva
 dell'art.  2,  n. 105, della legge n. 81/1987 imponeva di evitare per
 il futuro (per un riscontro normativo v. legge  30  luglio  1990,  n.
 217, sul gratuito patrocinio).
    A  questo punto conviene chiarire che il diritto di difesa, cui la
 Costituzione attribuisce il piu' alto grado di espansione, come  ogni
 diritto nasce limitato dal rispetto di altre esigenze primarie tra le
 quali   v'e'   quella   dello   Stato   ad   una  corretta  e  celere
 amministrazione della giustizia.
    La necessita' di una "durata  ragionevole"  dei  processi  penali,
 riguardo  all'imputato,  trova  riconoscimenti in sede internazionale
 (art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e art. 14 del
 Patto internazionale sui diritti civili e politici), ma la  coscienza
 collettiva  avverte  con  particolare  intensita' anche la domanda di
 tutela e di giustizia  tempestiva  che  proviene  dalle  vittime  del
 reato.
    Il  codice,  attuando  al direttiva dell'art. 2, n. 1, della legge
 delega (massima semplificazione nello svolgimento  del  processo  con
 eliminazione  di  ogni  atto  o attivita' non essenziale) ha dato una
 spinta notevole nella direzione indicata, benche' debba  tacersi  che
 l'ancor  breve  esperienza  applicativa  e la mancanza di personale e
 mezzi  materiali  hanno  ostacolato  il  raggiungimento dei risultati
 sperati.
    Relativamente al dibattimento, occorre richiamare il principio  di
 concentrazione  (art.  2,  n.  66,  della  legge  delega),  che  deve
 caratterizzarne lo svolgimento.
    Come insegna autorevole dottrina, il suddetto  principio  "importa
 che  il  processo, dall'inizio fino alla sentenza, deve svoglersi con
 la maggiore rapidita' in guisa  che  il  ravvicinamento  degli  atti,
 necessari a formare il voncincimento del giudice, possa garantire che
 questo  sia il prodotto davvero fedele alle risultanze, percepite dal
 magistrato in una unita' di tempo e senza che la sua  attenzione  sia
 deviata da atti esterni".
    L'art.  477  cristallizza in termini siffatta esigenza, stabilendo
 che il dibattimento puo' essere sospeso solo per ragioni di  assoluta
 necessita'.
    L'assenza del difensore, come stabilisce l'art. 486, quinto comma,
 integra  tale  presupposto condizionante e determina la sospensione o
 il rinvio, quando risulti che:
       a) la stessa sia dovuta a legittimo impedimento, il quale abbia
 natura oggettiva e non dipenda dalla volonta' del  legale  o  da  suo
 errore inescusabile;
       b) il fatto impeditivo venga prontamente comunicato all'ufficio
 giudiziario;
       c)  sussista  impossibilita'  assoluta  di  comparire cagionata
 dall'impedimento.
    La  norma  introduce  alcune  deroghe,  giustificate   dalla   non
 incidenza  dell'evento  sull'effettivita' della difesa (nomina di due
 difensori, uno soltanto dei quali sia impedito e ipotesi in cui venga
 designato un  sostituto)  oppure  perche'  l'imputato  abbia  chiesto
 egualmente  la  celebrazione  del giudizio, alla cui definizione puo'
 avere  un  interesse  preminente  (ad  esempio,  ove  egli  si  trovi
 sottoposto a custodia cautelare).
    La  dottrina  ha colto l'importanza della norma in esame, la quale
 conferma "che la funzione  del  difensore,  nel  nuovo  processo,  e'
 fortemente  personalizzata,  in relazione al compito fondamentale che
 gli compete nella ricerca ed escussione delle prove: il suo ruolo  in
 dibattimento  non  puo'  quindi  essere  considerato intercambiabile,
 poiche' diventa impossibile affrontare con  competenza  il  giudizio,
 senza una accurata preparazione sin dalle fasi precedenti".
    Gli argomenti suesposti aprono la strada per impostare il problema
 dell'assenza  del  difensore  di  fiducia,  che  non compaia per aver
 aderito all'astensione dalle  udienze  proclamata  dagli  avvocati  e
 procuratori del foro locale.
    Tale  protesta, che origina la sospensione dell'attivita' da parte
 di una pluralita' di soggetti  i  quali  agiscono  d'accordo  per  il
 perseguimento  di  un  comune interesse, ben puo' essere compresa "in
 quel  piu'  ampio  concetto  di  sciopero  che  ha  trovato  modo  di
 esprimersi   nell'attuale   mondo   del   lavoro",   come   la  Corte
 costituzionale affermava nella sentenza 17 luglio 1975,  n.  222,  in
 riferimento alla sospensione dell'attivita' effettuata dai lavoratori
 autonomi che non abbiano persone alla loro dipendenza.
    E'  innegabile,  altresi',  che l'agitazione della classe forense,
 intesa   ad   esercitare   una   pressione   sui   pubblici   poteri,
 sollecitandoli    all'adozione    di   provvedimenti   necessari   al
 funzionamento dell'apparato  giudiziario,  sia  sorretta  da  ragioni
 socialmente   apprezzabili   e   rappresenti  un  mezzo  di  compiuta
 attuazione del diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione) da parte
 di avvocati e procuratori.
    Durante la vigenza dell'abrogato codice, la  Corte  di  cassazione
 stabili' che l'astensione dalle udienze, decisa dalla classe forense,
 non  detemrina  ne' la sospensione dell'attivita' giurisdizionale ne'
 la nullita' del dibattimento, celebrato in presenza del difensore  di
 ufficio, il quale non abbia sollevato alcun incidente per eccepire lo
 stato  di sciopero e l'adesione ad esso data dal difensore di fiducia
 (cfr., tra le altre, Cass. sezione  terza,  24  aprile  1985,  Decio,
 Giust. Pen. 1986, III, 290).
    Ovviamente se il giudicabile accetta la designazione del difensore
 di  ufficio,  nulla  questio:  la  scelta volontaria del piu' diretto
 interessato elimina in radice ogni discussione.
    Meno semplice e' la risposta quando egli, come nel caso di specie,
 chieda di essere assistito dal difensore di fiducia gia' nominato.
    L'indicato  orientamento  giurisprudenziale,  elaborato   in   una
 situazione  normativa  diversa  da  quella  attuale,  non puo' essere
 condiviso  senza  riserve,  a  prescindere  dall'eventuale   nullita'
 prevista dagli artt. 178, lett. c), e 179, del c.p.p.
    Un   canone   fondamentale   del   processo   accusatorio  postula
 l'equilibrio del contradditorio dibattimentale,  perche'  il  giudice
 dirima  il  conflitto  tra  le soluzioni proposte dall'accusa e dalla
 difesa attraverso il confronto dialettico vero e non apparente.
    Il difensore di fiducia e'  in  grado  di  fornire  un  contributo
 ricostruttivo  di  notevole  importanza  sia per la piu' approfondita
 valutazione di coincidenze e prove sia per la sicura conoscenza della
 persona chiamata a rispondere del reato e  dei  motivi  che  spinsero
 all'azione.
    Celebrare   il   dibattimento,   disattendendo  la  richiesta  del
 prevenuto, significa far gravare su quest'ultimo le conseguenze di un
 evento che egli non ha in alcuna maniera concorso a causare,  essendo
 la  partecipazione  allo  sciopero  frutto di un'autonoma opzione del
 legale.
    Il ricorso al difensore d'ufficio, il piu' delle  volte,  soddisfa
 le  formalita'  di  organizzazione,  ma  non  il  diritto  di difesa,
 esposto, sotto il profilo effettuale, a inammissibili violazioni.
    Non  bisogna  nemmeno  trascurare  che  l'assenza  del  difensore,
 derivata  da  legittimo  impedimento  oppure  da  sciopero, riceve un
 trattamento difforme,  benche'  le  due  vicende  producano  riflessi
 ontologicamente equiparabili sulla posizione dell'imputato.
    L'art.  486,  invero,  non  si  applica  allo  sciopero,  che  non
 determina, a tacer d'altro, l'assoluta impossibilita'  di  comparire,
 cui sono correlati il rinvio o la sospensione del dibattimento.
    La coerenza del sistema impone, quindi, di individuare un criterio
 selettivo, idoneo a bilanciare gli interessi in giuoco.
    L'ordinamento  giuridico,  per  il  raggiungimento  dei suoi fini,
 obbedisce ad un'intima razionalita', secondo la  quale  i  meccanismi
 predisposti  debbono  funzionare  in  modo conforme alla loro natura,
 definita dall'insieme delle norme che li contemplano.
    In particoalre, il processo penale e' diretto  ad  accertare,  nel
 rispetto  dei  diritti dell'imputato, se la pretesa punitiva sia o no
 fondata, e il suo sollecito svolgimento, presupposto di una giustizia
 efficiente e credibile, esclude attivita' inutili e tempi morti.
    Lo   sciopero  del  legale  di  fiducia  rappresenta  un  ostacolo
 imprevisto, e non consentito,  all'iter  processuale,  che  non  puo'
 subire una stasi ingiustificata.
    Tuttavia,  la  celebrazione del dibattimento senza quel difensore,
 che esercita una facolta' legittima e, percio', non  va  incontro  ad
 alcuna  responsabilita',  danneggia  l'imputato,  il quale risente il
 pregiudizio di un'assistenza tecnica insufficiente, proprio mentre si
 raccoglie la prova sulla quale sara' basata la decisione.
    Tenendo  conto  dei  principi  validi  in  subiecta  materia,   e'
 possibile   contemperare   le  opposte  esigenze  affermando  che  la
 celebrazione del dibattimento, anche in  mancanza  del  difensore  di
 fiducia,  il  quale  partecipi  ad  uno  sciopero  degli  avvocati  e
 procuratori, non viola il diritto di difesa solo se la sospensione  o
 il  rinvio  arrecano  un nocumento irreparabile alla formazione della
 prova, essenza del giudizio.
    La situazione necessitante e'  la  stessa  urgenza  che  suffraga,
 nelle  fasi anteriori, la richiesta di incidente probatorio, ai sensi
 degli artt. 392 e 467 del c.p.p.
    Vien  da  pensare  all'escussione  di  un  testimone,  colpito  da
 improvvisa  e  grave malattia, o all'ispezione giudiziale di un luogo
 che, per fatti eccezionali, stia per  subire  una  modificazione  non
 evitabile  o  ad  una  ricognizione  che non possa essere differita e
 cosi' via.
    Se le precedenti considerazioni sono esatte,  deve  ritenersi  non
 manifestamente infondata, con riferimento all'art. 24, secondo comma,
 della  Costituzione, la questione di legittimita' dell'art. 97, primo
 comma, del c.p.p., il quale consnte che, allo scopo di  celebrare  il
 dibattimento  e  senza che sussistano particoalri ragioni di urgenza,
 connesse alla formazione della prova, l'imputato, rimasto  privo  del
 difensore  di  fiducia,  assente  per aver aderito ad uno sciopero di
 categoria, sia assistito da un difensore di ufficio.
    La rilevanza, ai fini del decidere,  appare  indubbia,  volta  che
 l'assistenza  del  legale  di  ufficio, il quale era all'oscuro degli
 atti di causa e nemmeno aveva chiesto il termine a difesa  (art.  108
 del  c.p.p.),  con  alta  probabilita'  sarebbe stata ininfluente sul
 destino processuale dell'imputato.
    Gli atti vanno, quindi, trasmessi alla Corte costituzionale  e  il
 presente giudizio dev'essere sospeso.