LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 889066 del registro di segreteria, proposto da Palmisano Antonia nata il 21 giugno 1926 a Ceglie Messapico (Brindisi), avverso la determinazione del direttore generale delle pensioni di guerra n. 2710876 del 29 ottobre 1987. Uditi, alla pubblica udienza del giorno 26 marzo 1991, il relatore nella persona del consigliere Domenico Zuppa e, assente e non rappresentata la ricorrente, il pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale Domenico Paternostro. F A T T O Con determinazione n. 2710876 del 29 ottobre 1987 il direttore generale delle pensioni di guerra ha respinto la domanda di pensione di guerra presentata il 22 maggio 1978 da Antonia Palmisano - collaterale di militare deceduto per causa di guerra - perche' l'ha giudicata priva del requisito di inidoneita' a proficuo lavoro, requisito al quale, in base alla normativa dell'epoca vigente (art. 75 della legge 18 marzo 1968, n. 313 e, successivamente, art. 65 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915) era condizionato l'accesso dei collaterali maggiorenni alla pensione indiretta di guerra (categoria, quella dei collaterali, che l'art. 5 della legge 6 ottobre 1986, n. 656, ha escluso dal novero dei beneficiari del trattamento pensionistico indiretto di guerra, con salvezza pero', delle posizioni soggettive venute in essere precedentemente). Con il ricorso in esame l'interessata chede che, previ nuovi accertamenti sanitari, sia riconosciuto il suo diritto a pensione di guerra. Il procuratore generale di questa Corte dei conti, dopo aver rilevato che l'art. 17 della legge 6 ottobre 1986, n. 656, consente il ricorso a questa giurisdizione solo "contro il decreto di decisione sul ricorso gerarchico in materia di pensioni di guerra", e non gia' contro le determinazioni del direttore generale delle pensioni di guerra, con atto del 25 ottobre 1989, confermato all'odierno dibattimento, ha chiesto che il ricorso in esame sia dichiarato inammissibile. D I R I T T O La legge 6 ottobre 1986, n. 656, contenente modifiche ed integrazioni alla normativa sulle pensioni di guerra, ha anche introdotto significative innovazioni nella disciplina concernente la tutela amministrativa e giudiziale di cui possono avvalersi gli aventi titolo a trattamento privilegiato di guerra. In particolare, l'art. 16, secondo comma, di tale legge, ha soppresso la regola (contenuta nell'art. 24, ultimo comma, del d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834) dell'alternativita' del ricorso gerarchico rispetto al ricorso giurisdizionale alla Corte dei conti; e l'art. 17, sostituendo interamente il primo comma dell'art. 25 del citato d.P.R. n. 834/1981 (che, a sua volta, aveva sostituito l'art. 116 del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915), ha disposto che il ricorso alla Corte dei conti possa essere presentato solo "contro il decreto di decisione sul ricorso gerarchico". Alla regola della facoltativita' del rimedio amministrativo s'e', dunque, sostituita la regola dell'obbligatorieta' della via gerarchica. Conseguentemente il secondo comma del citato art. 17 ha soppresso anche le preesistenti norme (art. 25, ottavo comma, del d.P.R. n. 834/1981) intesa a disciplinare il concorso tra azione giudiziaria e ricorso gerarchico. Per effetto della nuova disciplina, il cittadino che voglia far valere in sede giudiziale la pretesa rimasta insoddisfatta in sede amministrativa, deve, in altri termini, nuovamente rivolgersi - sia pure in un'istanza superiore - a quella stessa autorita' amministrativa che gia' aveva disatteso, in tutto o in parte, la sua domanda di trattamento privilegiato di guerra; e solo dopo che detta autorita' si sia pronunciata sul ricorso gerarchico, ovvero - come non infrequentemente accade - abbia inutilmente lasciato decorrere due anni dalla produzione del ricorso stesso (realizzandosi, in tale inerzia, l'effetto legale del cosiddetto silenzio rigetto: art. 24, settimo comma, del d.P.R. 834, sostituito dall'art. 16, primo comma, della legge n. 656/1986) potra' finalmente adire il suo giudice naturale. Tra il cittadino ed il suo giudice naturale e' interposto, dunque, un diaframma temporale che puo' paralizzare per ben due anni qualunque forma di tutela giudiziale, ivi compresa quella cautelare, atteso che le Sezioni riunite di questa Corte dei conti (decisione n. 81/C del 3 maggio 1989) hanno ritenuto inammissibile l'istanza di sospensione dell'efficacia dei provvedimenti direttoriali proposti per saltum, senza che l'interessato abbia previamente esperito l'obbligata via della tutela amministrativa. Della citata normativa questo giudice e' ora chiamato a fare applicazione. Sorge pero' il sospetto che essa non sia conforme ai principi di cui agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. Prima di farne applicazione, occorre dunque che, a norma degli articoli 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio sia sospeso e che la conformita' a Costituzione della normativa in parola sia verificata dal giudice delle leggi. Nel sistema preesistente all'istituzione dei tribunali regionali amministrativi, in verita', vigeva la regola generale che imponeva di percorrere la via dei ricorsi gerarchici, prima che si potesse adire il giudice amministrativo. La regola anzidetta, che tuttavia non interessa la giurisdizione pensionistica di questa Corte dei conti (se non per ipotesi marginali, recentemente cancellate dalla Corte costituzionale: sentenza n. 530 del 30 novembre-11 dicembre 1989), e' stata decisamente abbandonata dalla legge istitutiva dei tribunali anzidetti (legge 6 dicembre 1971, n. 1034) il cui art. 20 ha affermato il principio della facoltativita' dei ricorsi amministrativi. Il legislatore, infatti, come la Corte costituzionale ricorda nella sentenza n. 42/1991, su cui presto si ritornera' "ha ritenuto, in via generale, piu' confacente alle esigenze della tutela del cittadino, nei confronti degli atti amministrativi illegittimi, la possibilita' di accesso diretto alla tutela giurisdizionale senza la necessaria intermediazione, prima prevista, del ricorso amministrativo". Il mutato quadro normativo, che vede dunque affermato il principio della immediata azionabilita' innanzi al giudice di qualsivoglia posizione soggettiva, ha gia' indotto la Corte costituzionale - con le gia' citate sentenze - a cancellare dall'ordinamento disposizioni residuali che si ponevano in contrasto col nuovo assetto e, di conseguenza, con l'art. 3 della Costituzione. Quest'ultimo, infatti, non consente che situazioni sostanziali indifferenziate siano assoggettate a trattamenti processuali differenziati. Ebbene, in un ordinamento che mostra di non piu' tollerare remore e compressioni, un tempo usualmente imposte al cittadino che voleva far valere i suoi diritti (o interessi legittimi) nei confronti della p.a., si profila in tutta la sua singolarita' la novella del 1986 che tali remore ripropone. E, per usare ancora una volta le parole della Corte costituzionale, (sentenza n. 42/1991) "cio' non senza considerare che il condizionamento, nella specie, del ricorso giurisdizionale al preventivo esperimento del ricorso gerarchico impedisce, prima della definizione di questo rimedio, la possibilita' della tutela cautelare, sotto forma della sospensione, da parte del giudice, degli atti" impugnati, con particolare riferimento a quelli che, nell'ordinare il recupero di somme indebitamente percepite, potrebbero dar luogo - senza l'accennata tutela cautelare - a danni gravi e irreparabili. Sorge dunque il sospetto che la citata normativa, nel riproporre, per il solo settore delle pensioni di guerra, l'obbligatorieta' del previo esperimento di quel ricorso gerarchico che e' ormai facoltativo in ogni altro settore, introduca tra posizioni soggettive sotto il profilo processuale non differenziabili e confligga, pertanto, con l'art. 3 della Costituzione. Ma essa, come si diceva, sembra violare anche gli artt. 24 e 113. Questi ultimi, infatti, non consentono limitazioni della tutela giudiziale ne' sotto il profilo soggettivo "tutti possono agire in giudizio .."), ne' sotto il profilo oggettivo ("contro gli atti della pubblica amministrazione dei diritti e degli interessi legittimi", tutela che "non puo' essere esclusa o limitata .. per determinate categorie di atti"). In particolare, l'art. 113, nel rimarcare l'insopprimibilita' della tutela giudiziale nei confronti della p.a., con l'avverbio temporale "sempre" sembra voler vietare remore di ordine temporale, del tipo di quelle contenute nella normativa in discussione, la quale impone al cittadino un'attesa che puo' essere di ben due anni, prima che il cittadino stesso possa rivolgere la sua domanda di giustizia a quel giudice cui, invece, dovrebbe "sempre" (e quindi anche "immediatamente") poter ricorrere. Si ricorda qui, incidentalmente, che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 15 dell'11-18 gennaio 1991, ha ritenuto "termine eccessivamente lungo" quello di sei mesi che in altra fattispecie, condizionava al previo reclamo in via amministrativa l'esperibilita' dell'azione giudiziaria. In ogni caso, l'aver imposto la remora di cui trattasi alla sola categoria degli atti in materia di pensioni di guerra, sembra configurare proprio quella "limitazione" della tutela giurisdizionale "per determinate categorie di atti", che il secondo comma dell'art. 113 proibisce. Le considerazioni che precedono inducono questa sezione a sollevare d'ufficio la questione di illegittimita' costituzionale della norma di cui al primo comma dell'art. 25 del d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, sostituito dal primo comma dell'art. 17 della legge 6 ottobre 1986, n. 656, nella parte in cui (mediante le parole "di decisione del ricorso gerarchico") condiziona l'accesso alla tutela giurisdizionale in materia di pensioni di guerra al previo obbligatorio esperimento del ricorso gerarchico, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. Non occorre invece, ad avviso di questo giudice, sollevare analoga eccezione nei confronti del secondo comma dell'art. 16 e del secondo comma dell'art. 17, al fine di assicurare la reviviscenza delle preesistenti norme concernenti la facoltativita' del ricorso gerarchico e la disciplina del concorso dei due rimedi, atteso che eventuali lacune normative a riguardo potranno agevolmente essere superate con i consueti strumenti interpretativi. Non senza rilevare che la Corte costituzionale ben potra', ove occorra, estendere ad essi (ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953 cit.) la pronuncia di incostituzionalita' relativa alla norma per cui viene sollevata la presente questione. In punto di rilevanza, basti considerare che, come s'e' del resto gia' detto, la controversia sottoposta all'esame di questo giudice non puo' essere risolta se non in forza della citata norma, la cui applicazione condurrebbe ad una pronuncia di inammissibilita' del ricorso in epigrafe.