Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Toscana in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale rappresentata e difesa per mandato a margine del presente atto dall'avv. Alberto Predieri e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via G. Carducci n. 4, in forza di deliberazione g.r. n. 7705 del 13 settembre 1991 contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per l'annullamento del decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 460 del 6 ottobre 1990 "regolamento recante organizzazione della direzione generale della difesa del suolo", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 184 del 7 agosto 1991, p. 5 e segg. 1. - Nella Gazzetta Ufficiale del 7 agosto 1991 e' stato pubblicato il decreto del Ministero dei lavori pubblici 6 ottobre 1990, n. 460 "regolamento recante organizzazione della direzione generale della difesa del suolo". Tale decreto attribuisce una serie di funzioni alla direzione generale della difesa del suolo, la quale non e' altro che la vecchia direzione generale delle acque e degli impianti elettrici, che secondo l'art. 7, primo comma, della legge n. 183/1989 ha assunto la denominazione di direzione generale della difesa del suolo. Secondo il predetto art. 7, tale direzione "espleta le funzioni di segreteria del comitato nazionale per la difesa del suolo oltre a quelle gia' di sua competenza e a quelle attribuite al Ministero dei lavori pubblici dall'art. 5". Secondo l'art. 2 del d.m. n. 460/1990 la direzione generale e' articolata in vari uffici e servizi, tra i quali, in particolare, cinque uffici territoriali, ciascuno avente competenza, ai sensi dell'art. 3, su distinti ambiti del territorio nazionale, individuati dallo stesso art. 3. L'art. 4 disciplina le funzioni e l'articolazione di ciascun ufficio territoriale per le aree di propria competenza. Al terzo comma, tale articolo stabilisce che "l'ufficio territoriale esercita altresi' le funzioni in precedenza svolte dalla direzione delle acque e degli impianti elettrici relativamente all'area di competenza e, in particolare, quelle concernenti: vigilanza su enti pubblici e consorzi, sdemanializzazione relitti d'alveo e pertinenze idrauliche, dichiarazioni di pubblicita' delle acque, elenchi delle acque pubbliche, concessioni di derivazioni di acque pubbliche, concessione contributi per dighe di ritenuta, gestione sovraccanoni concessioni per impianti idroelettrici, varianti al piano regolatore generale degli acquedotti, autorizzazioni di elettrodotti, istruttorie per il finanziamento di acquedotti, istruttorie e pareri per l'esecuzione delle opere di competenza e per incarichi di studi, ricerche e progettazioni; predisposizione di elementi istruttori per il contenzioso relativo a provvedimenti attinenti all'area territoriale di competenza; predisposizione di elementi di risposta relativi ad interrogazioni parlamentari nelle questioni di competenza". 2. - Nella parte in cui il d.m. n. 460/1990 organizza totalmente le funzioni della direzione generale del suolo, e in particolare nella parte in cui individua le funzioni dell'ufficio territoriale, esso e' illegittimo e lesivo delle competenze regionali costituzionalmente garantite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione e dalle norme interposte, in particolare da quelle della legge n. 183/1989, del d.P.R. n. 616/1977 e dei precedenti decreti di trasferimento delle funzioni del 1972. L'art. 97, primo comma, della Costituzione, (del quale la corte ha piu' volte segnalato il rapporto con la garanzia del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica amministrazione, cfr. sentenze nn. 88/1989, 728/1988, 161/1982 e 221/1976), stabilisce una riserva relativa di legge per l'organizzazione dei pubblici uffici. Nel caso di specie, e' palese la violazione di tale norma costituzionale. L'art. 7 della legge n. 183/1989 stabilisce che "con decreto del Ministro dei lavori pubblici si provvede, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla organizzazione della direzione generale della difesa del suolo, dotandola delle strutture tecniche, degli strumenti, degli istituti e delle risorse necessari, tra l'altro, a garantire il piu' efficace supporto della attivita' del comitato nazionale per la difesa del suolo". Tale norma parla di strutture tecniche, strumenti, istituti e risorse: non parla mai di attribuzione di funzioni o di redistribuzione di funzioni. Al contrario, il decreto ministeriale impugnato comporta precisamente l'attribuzione alla direzione generale del suolo di funzioni e competenze. Esso pertanto interviene in un ambito non autorizzato dalla legge, per giunta conferendo alla direzione generale del suolo attribuzioni che non spettano al Ministero dei lavori pubblici ne' sulla base delle leggi che lo hanno istituito e lo disciplinano, ne' sulla base di quelle che gli hanno successivamente conferito competenze differenziate. Ne segue che il decreto e' illegittimo, perche' interviene in ambiti riservati alla competenza regionale costituzionalmente garantita - come piu' specificamente diremo in seguito - e che la lesione delle competenze regionali e' aggravata dalla violazione della riserva relativa di legge. Il provvedimento ministeriale n. 460/1990 deve essere impugnato dalla regione Toscana, la quale non puo' accettare che per effetto del decreto vengano ad essa sottratte competenze costituzionalmente garantite e riconosciutele sulla base di norme di rango superiore, che vengono illegittimamente disattese. 3. - Occorre partire dalla premessa che, come la Corte ha riconosciuto nella sentenza n. 85/1990, la legge n. 183/1989 "non si propone in via principale di stabilire una nuova ripartizione di materie e di competenze fra Stato e regioni (o province autonome)" (punto 4 del diritto) e, pur ponendo molteplici obiettivi imperniati sulla difesa del suolo, lascia "fermo .. nella sostanza il quadro generale di ripartizione delle competenze fra Stato e regioni (o province autonome) stabilito da vari articoli del d.P.R. n. 616/1977 (o delle norme di attuazione)". E' evidente che quello che non fa ne' vuol fare la legge sulla difesa del suolo, non puo' farlo un decreto ministeriale emanato in attuazione di una norma di tale legge, e precisamente dall'art. 7, terzo comma. Quest'ultimo, come detto, stabilisce semplicemente che "con decreto del Ministro dei lavori pubblici si provvede, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, alla organizzazione della direzione generale della difesa del suolo, dotandola delle strutture tecniche, degli strumenti, degli istituti e delle risorse necessarie, tra l'altro, a garantire il piu' efficace supporto dell'attivita' del comitato nazionale della difesa del suolo". In sostanza, l'impianto e i contenuti della legge n. 183/1989 sono tali, come conferma autorevolmente la Corte, da non comportare alterazioni delle competenze regionali in precedenza stabilite, nel senso che se pure la legge disponga articolazioni parzialmente di- verse di tali competenze rispetto al passato, esse non sono tali da comportare lesioni alle competenze regionali garantite in materia. Al contrario, si e' detto in dottrina che "a seguito della legge-quadro, sono state attribuite o confermate alle regioni numerose funzioni in materia di difesa del suolo" (Capria, La legge quadro sulla difesa del suolo n. 183/1989, in La difesa del suolo e la politica delle acque in Italia in base alla legge n. 183/1989 in Francia e nel Regno Unito, Milano, 1990, p. 33), quali risultano in particolare dall'art. 10 della legge. 4. - Sulla base di queste premesse, la lettura dell'art. 4, terzo comma, del d.m. n. 460/1990 induce a ritenere che il Ministero dei lavori pubblici abbia ignorato la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni, violando la riserva relativa di legge di cui all'art. 97, primo comma, della Costituzione e avocando ad un ufficio della riorganizzata direzione generale della difesa del suolo (gia' direzione generale delle acque) una serie di competenze che non spettano allo Stato e che comunque non potevano essere oggetto della riorganizzazione disposta col decreto ministeriale impugnato, dal momento che i limiti ad esso posti dalla norma legislativa erano quelli relativi ad una riorganizzazione strutturale, e non di funzioni. E' noto che il regio decreto 16 settembre 1940, n. 1438 (ordinamento dei servizi dell'amministrazione centrale dei lavori pubblici), che "costituisce tuttora la base di riferimento per l'ordinamento del Ministero" (Greco, Territorio, difesa del suolo, beni ambientali. La riforma del Ministero dei lavori pubblici tra aggregazione e scomposizione di funzioni, in AA.VV., Costituzione e struttura del governo. La riforma dei Ministeri, (parte seconda), ricerca del C.N.R. dir. da E. Spagna Musso, Padova, 1988, secondo volume, pagina 15), si limitava ad elencare le sette direzioni generali (divenute otto con la legge 13 dicembre 1965, n. 1337) in cui veniva ricostituita l'amministrazione centrale dei lavori pubblici, tra le quali era contenuta la direzione generale delle acque e degli impianti elettrici. Com'e' stato ricordato in dottrina (Garri, L'organizzazione dei lavori pubblici, Riv. trim. dir. pubb., 1968, 1037), le competenze di tale direzione, anche dopo il d.m. 9 dicembre 1940, modificato con d.m. 17 dicembre 1948 e con successivi numerosi ordini di servizio, erano quelle di cui all'art. 1 del r.d. 27 settembre 1929, n. 1726, in base al quale la direzione generale delle acque degli impianti elettrici, cura il regime e la polizia delle acque pubbliche dei fiumi, torrenti, laghi, rivi e canali, i progetti e le opere relative alla navigazione fluviale e lacuale, alla difesa delle sponde e territori laterali dalle corrosioni, inondazioni ed inalveamenti, alle derivazioni di acque pubbliche e i servizi comunque attinenti agli impianti termoelettrici. L'art. 4, terzo comma, del d.m. n. 460/1990, dopo aver affermato che l'ufficio territoriale della nuova direzione generale della difesa del suolo "esercita altresi' le funzioni in precedenza svolte dalla direzione delle acque e degli impianti elettrici" aggiunge che tra tali funzioni stanno, "in particolare" quelle concernenti la "vigilanza su enti pubblici e consorzi, sdemanializzazione relitti d'alveo e pertinenze idrauliche, dichiarazioni di pubblicita' delle acque, elenchi delle acque pubbliche, concessioni di derivazioni di acque pubbliche, concessione contributi per dighe di ritenuta, gestione sovraccanoni concessioni per impianti idroelettrici, varianti al piano regolatore generale degli acquedotti, autorizzazioni di elettrodotti, istruttorie per il finanziamento di acquedotti, istruttorie e pareri per l'esecuzione delle opere di competenza e per incarichi di studi, ricerche e progettazioni; predisposizione di elementi istruttori per il contenzioso relativo a provvedimenti attinenti all'area territoriale di competenza; predisposizione di elementi di risposta relativi ad interrogazioni parlamentari nelle questioni di competenza". 5. - Orbene, nel caso di specie - come detto - il Ministro ha proceduto ad una riorganizzazione della direzione generale del suolo che concerne anche l'aspetto funzionale della stessa, mentre - qualora fosse stata rispettata la riserva relativa di legge posta dall'art. 97, primo comma, della Costituzione e dunque l'indicazione di cui all'art. 7, terzo comma, della legge n. 183/1989 - la riorganizzazione avrebbe dovuto limitarsi a profili strutturali e di dotazione di strumenti tecnici e risorse totalmente diversi da quelli dell'attribuzione di competenze e funzioni che formano invece l'oggetto dell'art. 4, terzo comma, del decreto ministeriale in questione. A questa violazione del dettato costituzionale si saldano quelle correlate alla specificazione, in capo alla direzione generale del suolo, della titolarita' di funzioni che ad essa non spettano, perche' non spettano ne' al Ministero dei lavori pubblici ne' allo Stato. 6. - In particolare, in ordine alla funzione di "vigilanza su enti pubblici e consorzi", la indifferenziata e generica formulazione dell'art. 4, terzo comma, attribuisce ad un ufficio del ministero una competenza che non risulta ad esso conferita ne' dalle leggi che lo concernono, ne' dalla legge n. 183/1989, e in particolare dall'art. 5, che le premesse dell'atto impugnato esplicitamente richiamano come definitoria delle competenze statali in materia di difesa del suolo. La formulazione dell'art. 4, terzo comma, pertanto, viola le competenze regionali costituzionalmente garantite in ordine alla vigilanza su enti pubblici e consorzi regionali, costituiti per l'esercizio in forma di subdelega o di trasferimento delle competenze regionali in materia, o comunque su enti e consorzi che - per usare la formulazione dell'art. 11 della legge n. 183/1989, che ne individua taluni - "partecipano all'esercizio di funzioni regionali in materia di difesa del suolo nei modi e nelle forme stabilite dalle regioni singolarmente o di intesa tra loro". Il potere di vigilanza e' correlato alla titolarita' delle funzioni: se queste vengono trasferite o subdelegate, o se comunque l'attivita' di tali enti e consorzi deve essere esercitata "nei modi e nelle forme stabiliti dalle regioni", il potere di vigilanza residua al soggetto trasferente o delegante o che deve indicare i modi e le forme di esercizio dell'attivita' degli enti e consorzi, cioe' alla regione. Poiche', nell'art. 4, terzo comma, del d.m. n. 460/1990, la vigilanza su enti pubblici e consorzi non e' individuata in relazione alle specifiche competenze degli enti o consorzi sottoposti a vigilanza, ma ha carattere generale, la formulazione della norma lascia ritenere che vi sia una appropriazione di funzioni di vigilanza anche quando l'attivita' degli organi sottoposti a vigilanza rientra nelle materie di competenza regionale: il che e' illegittimo e lesivo delle competenze regionali in materia di difesa del suolo. Va aggiunto che il trasferimento delle funzioni di vigilanza deve ritenersi incluso nel trasferimento delle funzioni amministrative: cio', del resto, e' stato esplecitamente previsto dai decreti di trasferimento delle competenze amministrative dello Stato alle regioni e, in particolare, in materia di acquedotti e lavori pubblici di interesse generale, dal d.P.R. n. 8/1972 all'art. 4: il che e' particolarmente significativo, dal momento che ai sensi dell'art. 10, ultimo comma della legge n. 183/1989 "restano ferme tutte le altre funzioni amministrative gia' trasferite o delegate alle regioni", oltre a quelle indicate dallo stesso art. 10. 7. - In ordine alla "sdemanializzazione dei relitti d'alveo e pertinenze idrauliche", valgono le stesse osservazioni di cui al paragrafo precedente. L'attribuzione generale e indifferenziata di qualunque competenza all'ufficio territoriale della direzione generale del suolo induce a ritenere che tale attribuzione riguardi anche beni che la legge ha gia' trasferito al demanio regionale e, tra questi, in particolare, i canali demaniali di irrigazione di cui all'art. 12 della legge 27 dicembre 1977, n. 984: il che ugualmente e' incostituzionale e gravemente lesivo delle competenze regionali. 8. - In ordine alle concessioni di derivazione di acque pubbliche, la formulazione - anche qui indistinta e indifferenziata della norma, che lascia pertanto presumere un'attribuzione di competenza relativa a tutte le concessioni di derivazione, senza distinzioni di sorta - viola le competenze costituzionalmente garantite alle regioni in materia di piccole derivazioni, ad esse gia' attribuite dal d.P.R. n. 616/1977, per effetto del quale alle regioni e' stato anche trasferito il potere di determinare il contenuto dei disciplinari, le tariffe di vendita delle acque e i canoni annui della concessione. 9. - In ordine alle varianti al piano regolatore generale degli acquedotti, va ricordato che il d.P.R. n. 8/1972 aveva trasferito alle regioni le funzioni amministrative esercitate dallo Stato in materia di acquedotti locali e comprensoriali che interessassero il territorio di una singola regione. Restava ferma la competenza dello Stato in ordine ad aggiornamenti e modifiche del piano regolatore generale degli acquedotti (introdotto dalla legge n. 129/1963). Successivamente il d.P.R. n. 616/1977 (art. 90, lett. a)) delegava alle regioni gli aggiornamenti e le modifiche del piano regolatore generale degli acquedotti concernenti le risorse idriche destinate dal piano a soddisfare esigenze e bisogni dei rispettivi territori regionali, nonche' l'utilizzazione delle risorse stesse. La legge n. 183/1989 non ha modificato tale disciplina: cosicche' l'art. 4, terzo comma, del d.m. n. 460/1990, nella parte in cui - ancora una volta usando una formulazione erronea, generica e indifferenziata - attribuisce all'ufficio territoriale della direzione generale del suolo le fuzioni concernenti le varianti al piano regolatore generale degli acquedotti, comporta una indebita generalizzazione che non tiene conto delle competenze assicurate alle regioni, in applicazione dell'art. 117 della Costituzione, da norme di grado superiore. Va aggiunto che anche in questo caso non e' dato individuare quale sia la fonte primaria sulla cui base viene attributa alla direzione generale del suolo la specifica competenza in oggetto rispetto al combinato disposto degli artt. 5 e 7, primo comma, della legge n. 183/1989: cosicche' anche in questo caso, come negli altri, la violazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, si salda con la lesione delle competenze regionali in materia, alla quale contribuisce. 10. - In conclusione, l'art. 4, terzo comma, del d.m. n. 460/1990 ha contraddittoriamente riservato alla competenza dell'ufficio territoriale della direzione generale del suolo una serie di funzioni che, da un lato, non risultano indicate dalla normativa primaria (la quale non consentiva una riorganizzazione di funzioni, ma la consentiva nei limiti strutturali e di dotazione di strumenti e risorse esplicitamente indicati dall'art. 7, terzo comma, della legge n. 183/1989), ne' risultavano essere in precedenza attribuite alla direzione generale delle acque degli impianti elettrici; e dall'altro (e soprattutto), attengono a materie di competenza regionale, senza che la formulazione della norma possa far ritenere che l'attribuzione di tali funzioni alla direzione generale del suolo comporti l'esclusione delle stesse funzioni, nella parte in cui si riferiscono all'esercizio di competenze regionali. Tale formulazione e' tanto piu' significativa di un voluto disconoscimento delle competenze garantite alla regione in quanto in altra parte dello stesso decreto le competenze dei singoli uffici sono state esplicitate con ben altra precisione e puntualita' (cfr. artt. 5, punti 2 e 3, 6, punto 2, 7, punto 1, 8, punto 1, secondo comma, e 9, punti 3, 4 e 6). Nel nostro caso, invece, dobbiamo constatare la gia' lamentata genericita' e il carattere indifferenziato del testo normativo. Contrapposta a quella puntuale di altri articoli dello stesso decreto, essa contribuisce ulteriormente a far ritenere che la volonta' del ministro sia stata per l'appunto quella di disconoscere in modo surrettizio, ma non meno evidente e incostituzionale, l'appartenenza alle regioni di una serie di competenze che, come abbiamo visto, sono invece ad esse garantite da norme di rango superiore, in applicazione dell'art. 117 della Costituzione. 11. - La constatazione della mancata osservanza della riserva relativa di legge posta dall'art. 97 della Costituzione, che consente il conferimento alla Direzione generale del suolo di attribuzioni che, nella loro formulazione, ledono le competenze regionali costituzionalmente garantite, vale anche per le residue funzioni previste dall'art. 4, terzo comma. Esse non sono indicate dagli artt. 5 e 7 della legge n. 183/1989. Se si dovesse ritenere che il Ministro ha agito nell'intento di esplicitare una serie di funzioni gia' attribuite allo stesso, dovremmo anzitutto ripetere che il decreto ministeriale esorbita dall'ambito riservatogli dall'art. 7, terzo comma, della legge n. 183/1989, con violazione dell'art. 97 della Costituzione e, in secondo luogo, dovremmo ribadire che nella formulazione della norma sono elencate funzioni che non appartengono affatto ne' allo Stato, ne' tantomeno al Ministero dei lavori pubblici o alla direzione generale delle acque e degli impianti elettrici. In ogni caso, l'accorpamento e la specificazione di funzioni effettuato con il decreto ministeriale in oggetto contengono elementi innovativi - in ordine alla elencazione delle funzioni - sia rispetto alla legge n. 183/1989 (con la conseguente indicata violazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione), sia rispetto alle precedenti attribuzioni della Direzione generale delle acque, quali da ultimo risultanti dall'articolazione contenuta nel d.m. 26 settembre 1985, n. 16415, non a caso citato nelle premesse dell'atto impugnato. In tale decreto non si parla mai ne' di vigilanza su enti pubblici e consorzi, ne' di sdemanializzazione dei relitti d'alveo e pertinenze idrauliche, ne' di concessioni diverse da quelle di "grandi" derivazioni, ne' di concessione contributi per dighe di ritenuta, ne' di gestione sovraccanoni. Con il d.m. n. 460/1990, il Ministro ha pertanto proceduto, al di fuori dei limiti consentiti dalla legge n. 183/1989, ad una attribuzione di competenze alla direzione generale del suolo che, nella elencazione fornita dall'art. 4, terzo comma, ricomprende funzioni che in precedenza non risultavano attribuite alla direzione generale delle acque, ne' - addirittura - al Ministero dei lavori pubblici e allo Stato. Sotto questo profilo, la riorganizzazione che si esprime nell'art. 4, terzo comma, presenta i caratteri della ricomposizione di disposizioni sparse in un unico testo, che non ha carattere meramente ricognitivo, ma importa una vera e propria novazione delle fonti preesistenti, anche quando non ne modifichi il contenuto, dando luogo pertanto (per usare la terminologia della Corte, cfr. sentenze nn. 54/1957 e 57/1964) ad una sorta di testo unico "delegato" laddove invece era consentito al ministro esclusivamente l'esercizio di una attivita' compilativa. Da essa il Ministro ha esorbitato, dando vita ad un testo privo di qualunque fondamento in una fonte primaria che lo autorizzi come tale, con quei contenuti e con quella formulazione. Il decreto ministeriale n. 460/1990 ha pertanto il carattere e il contenuto di una vera e propria fonte di produzione, che non e' consentito al decreto ministeriale, ai sensi dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, e che la regione deve censurare quando - come nel caso - comporta la violazione delle proprie competenze. In altre parole, il Ministro dei lavori pubblici non aveva alcuna possibilita' di redigere un testo unico delle competenze e funzioni della direzione generale del suolo (quale effettivamente e' quello che risulta dall'intero testo del decreto ministreriale, anche oltre lo specifico contenuto dell'art. 4, terzo comma: cosicche' si giustifica la richiesta di annullamento dell'intero decreto, e non solo dell'art. 4, terzo comma), con un atto amministrativo, dal momento che tale possibilita' e' riconosciuta solo se e in quanto quest'ultimo abbia carattere meramente compilativo e ricognitivo di precedenti funzioni. Aver proceduto alla formulazione di un testo unico che contiene l'attribuzione di funzioni non previste dalla normativa previgente, integra una ulteriore violazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione. 12. - Va aggiunto che la stessa formulazione della norma non indica che, nella parte in cui le funzioni elencate si riferiscono a settori in cui la competenza statale e la competenza regionale possono interferire (tale e', ad esempio, quello relativo alle varianti al piano regolatore generale degli acquedotti), il ministro abbia inteso rispettare il criterio fondamentale, per giunta ripetuto dalla stessa legge n. 183/1989, secondo il quale in ogni caso in cui vi siano perseguimenti di obiettivi (e, come ha ricordato la Corte nella sentenza n. 85/1990, la legge n. 183/1989 "e' essenzialmente una legge di obiettivi, poiche' la difesa del suolo e' una finalita' il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale") che comportino punti di interferenza e di intreccio tra competenze statali e competenze regionali, vi debba essere una cooperazione e leale collaborazione fra Stato e regioni. La Corte ha piu' volte ricordato che il quadro di cooperazione si traduce concretamente in garanzie procedurali che comportano sia un dovere di reciproca informazione (cfr. sentenze nn. 730, 495 e 1031 del 1988 e 201/1987), sia soprattutto la forma dell'intesa di cui la Corte, in particolare nella sentenza n. 286/1985, ha riconosciuto la portata generale affermandone la natura di istituto generale e tipico del diritto pubblico e sostenendo che "ogni qualvolta concorra una molteplicita' di interessi eterogenei, riferibili a soggetti diversi tutti di rilievo costituzionale, alla loro composizione deve provvedersi attraverso l'istituto dell'intesa che abbraccia un campo piu' vasto di quello segnato dall'art. 81, secondo comma, del d.P.R. n. 616/1977 che si riferisce ad una ipotesi particolare". La Corte ha ravvisato la necessita' dell'intesa anche in difetto di esplicite previsioni normative, precisamente in forza della riconosciuta essenzialita' e connaturalita' dell'intesa al principio di leale cooperazione (cfr. sentt. nn. 219/1984, 151/1986, 544/1987, 214, 612, 1031, 1044 e 1045 del 1988). Nel caso di specie, si e' detto giustamente che "la legge n. 183/1989 delinea - e la Corte conferma - una nuova manifestazione del principio costituzionale di cooperazione fra Stato e regione" (Cutrera, una legge per la pianificazione dell'ambiente fisico, in La difesa del suolo cit., p. 13). In tale situazione, l'assenza di qualunque indicazione, nell'art. 4, terzo comma, che attesti l'ambito limitato del trasferimento di funzioni operato dallo stesso articolo alle sole funzioni di competenza dello Stato, e che alluda al rispetto del principio fondamentale dell'intesa nel caso di funzioni che comportano interferenze e sovrapposizioni tra le competenze dello Stato e le competenze delle regioni, deve essere interpretata come una manifestazione della volonta' del Ministro di attribuire ad un organo dello Stato, in forma generale e indifferenziata, una serie di funzioni che, in applicazione dell'art. 117 della Costituzione, norme di rango primario (tra cui quella stessa legge n. 183/1989 di cui il decreto pretende di essere applicazione), sono state in precedenza attribuite alla regione.