ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  47, comma
 primo, della legge 26 luglio 1975, n.  354  ("Norme  sull'ordinamento
 penitenziario  e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
 della liberta'"), come modificato ed integrato dalla legge 10 ottobre
 1986, n. 663 e come modificato dalla sentenza n. 386/89  della  Corte
 costituzionale  promosso  con ordinanza emessa il 26 ottobre 1990 dal
 Tribunale di sorveglianza di Torino nei procedimenti di  sorveglianza
 riuniti  nei  confronti di Abbate Gaetano ed altri iscritta al n. 383
 del registro ordinanze 1991 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 6  novembre  1991  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Il Tribunale di sorveglianza di Torino, con ordinanza del 26
 ottobre   1990,   emessa   nei    procedimenti    riuniti    relativi
 all'affidamento  in  prova  al  servizio sociale di Gaetano Abbate ed
 altri, ha dubitato della legittimita' costituzionale:
       a) dell'art. 47  comma  primo,  dell'ordinamento  penitenziario
 (leggi  n.  354/75  e  n.  663/86),  che  esclude  la concessione del
 suddetto beneficio "se la pena detentiva inflitta supera i tre anni",
 nel  testo  attuale  quale  risultante  dalla  sentenza  della  Corte
 Costituzionale  n.  386  del  1989  che  ha  dichiarato  la  parziale
 illegittimita' della norma "nella parte in cui non prevede che ..  ai
 fini  della determinazione del limite dei tre anni non si debba tener
 conto .. delle pene espiate": per contrasto con gli artt.  111  e  70
 Cost.;
       b)   in   subordine,  dello  stesso  art.  47  ord.  pen.  come
 interpretato dalla Corte di Cassazione, sulla base  della  menzionata
 sentenza costituzionale, nel senso della concedibilita' del beneficio
 anche  a soggetti condannati "con unica sentenza" a pena superiore ai
 tre anni, quando il residuo di pena in espiazione  sia  inferiore  al
 detto limite: per contrasto con l'art. 3 Cost.
    Nella  specie  -  venendo  il beneficio richiesto da soggetti che,
 ancorche' condannati con sentenza unica o con piu' sentenze  cumulate
 a  pene  superiori  ai  tre  anni,  hanno tutti allo stato da espiare
 (detratta la parte di pena gia' sofferta)  un  residuo  inferiore  al
 detto  limite  -  l'ammissibilita'  delle  istanze  dipende appunto -
 sottolinea il Tribunale - dalla applicazione della norma  denunciata:
 dal che la rilevanza delle questioni sollevate.
    Nel  merito, poi, il dubbio di legittimita' del modificato art. 47
 ord. pen. sarebbe -  sempre  ad  avviso  del  giudice  a  quo  -  non
 manifestamente infondato, in riferimento, innanzitutto, agli articoli
 111 e 70 Cost.
    In  relazione  al primo dei due richiamati parametri, la ricordata
 sentenza n. 386/89 - argomentando l'irragionevolezza del computo  (ai
 fini del superamento del limite dei tre anni) della pena gia' espiata
 in   comparazione   ad   una,   in  realta'  insussistente,  costante
 giurisprudenza della Cassazione  escludente,  agli  stessi  fini,  il
 computo  delle  pene  condonate  o comunque estinte - sarebbe infatti
 incorsa in un palese errore nella ricognizione  del  diritto  vivente
 (individuabile  nell'interpretazione  del  citato  art.  47 o.p. data
 dalle  Sezioni  unite,  in  senso  puntualmente  contrario  a  quella
 presupposto  dalla  Corte  Costituzionale),  conseguentementecosi' di
 fatto annullando una decisione del  Giudice  della  nomofilachia,  in
 violazione appunto del citato art. 111 Cost.
    Parallelamente,  con  riguardo  al  parametro  dell'art. 70 Cost.,
 l'ipotizzata usurpazione della funzione legislativa e' ravvisata  dai
 giudici  torinesi  nell'alterazione che sempre la menzionata sentenza
 386/89    avrebbe    arbitrariamente    operato    della    finalita'
 dell'affidamento   in   prova   che   nel  disegno  del  legislatore,
 chiaramente  espresso  nell'iter  parlamentare   del   provvedimento,
 avrebbe  dovuto  costituire  una  alternativa  non gia' generica alla
 detenzione  dell'ultimo  triennio,  sibbene  specifica  alla pena, di
 contenuta entita', inflitta a delinquenti "minimi o redimibili".
    Inoltre, la norma denunciata - cosi' come poi  interpretata  dalla
 Corte  di Cassazione, sulla base della citata sentenza costituzionale
 386/89, nel senso che, per la concessione  dell'affidamento,  occorra
 ora fare unicamente riferimento alla pena residua, prescindendo dalla
 entita'  di  quella  inflitta  sia con piu' condanne cumulate che con
 unica condanna - opererebbe una irragionevole equiparazione, ai  fini
 indicati, di situazioni non omogenee.
    2.  - Nel giudizio innanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del   Consiglio   dei   Ministri   per    eccepire    preliminarmente
 l'inammissibilita'    delle    sollevate    questioni,    in   quanto
 surrettiziamente rivolte a provocare un non consentito  sindacato  di
 una  decisione  costituzionale  di  accoglimento, e in subordine, nel
 merito, la loro infondatezza.
    In particolare, ha escluso che  possa  ipotizzarsi  la  denunciata
 violazione  dell'art.  3  Cost., sotto il profilo della irragionevole
 equiparazione di situazioni  non  omogenee,  dacche',  viceversa  "in
 relazione alla identica pena espianda non e' legittimo distinguere le
 posizioni  dei singoli condannati con riferimento ai reati commessi e
 alle relative sentenze di condanna".
    Mentre la diversita' di posizioni con  riferimento  ai  precedenti
 penali  assumerebbe  rilievo  con  riferimento alla prognosi relativa
 agli effetti rieducativi del  provvedimento  di  affidamento  e  alla
 prevenzione   del   pericolo   di  ricadute:  ai  fini  quindi  della
 concessione in concreto e non gia'  dell'ammissibilita'  in  astratto
 del beneficio in parola.
                        Considerato in diritto
    1.  - L'art. 47 della legge 26 luglio 1975 n. 354 sull'ordinamento
 penitenziario (come modificato dall'art.11  della  legge  10  ottobre
 1986   n.  663)  -  nel  disciplinare  l'affidamento  in  prova,  del
 condannato al servizio sociale, fuori dall'istituto, per  un  periodo
 uguale a quello della pena da scontare - dispone, al comma primo, che
 il  beneficio  puo' essere concesso "se la pena inflitta non supera i
 tre anni".
    2. - Con sentenza n. 386 dell'11  luglio  1989,  questa  Corte  ha
 dichiarato   l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  suddetta
 "nella parte in cui non prevede che, nel computo delle pene, ai  fini
 della  determinazione  del  limite  dei  tre anni, non si debba tener
 conto" (agli effetti della detraibilita' del quantum  originariamente
 irrogato)  "anche delle pene espiate" (al pari di quelle condonate od
 estinte).
    E, con successiva ordinanza n.  509  del  1990,  nel  chiarire  la
 portata  di  quella pronuncia, ha puntualizzato che essa - "se pur ha
 risolto una questione concernente un cumulo di pene derivanti da piu'
 sentenze" - si riferisce anche ai casi di  pene  inflitte  "per  piu'
 reati con unica sentenza".
    3.  - Con l'ordinanza in epigrafe, il tribunale di sorveglianza di
 Torino impugna ora nuovamente il  citato  art.  47  o.p.  "nel  testo
 risultante   dalla   sentenza   costituzionale   n.  386  del  1989",
 assumendone il contrasto:
       a) con l'art.  111  della  Costituzione,  sul  rilievo  che  la
 ricordata  sentenza  sarebbe  frutto  di  una errata ricognizione del
 diritto vivente, per avere essa presupposto che la norma in  oggetto,
 nella  sua  applicazione  giurisprudenziale,  gia' consentisse di non
 tener  conto  (agli  effetti  del  limite  in  questione)  delle pene
 condonate, cosi' di fatto annullando la contraria interpretazione sul
 punto viceversa espressa dalla  Cassazione,  cui  spetta  il  compito
 della nomofilachia;
       b)  con  l'art.70  della  Costituzione,  per  avere  la  stessa
 sentenza   ribaltato   la   finalita'   legislativamente    assegnata
 all'affidamento  in  prova di misura alternativa alla pena inflitta a
 microdelinquenti.
    E, in via subordinata,  denuncia  il  medesimo  art.  47  -  "come
 interpretato  dalla  (successiva  giurisprudenza  della)  Cassazione,
 sulla  base  della  predetta   sentenza   n.   386/89   della   Corte
 Costituzionale",  nel  senso  che  la regola di detraibilita' (anche)
 dell'espiato, ai  fini  del  computo  della  "pena  inflitta",  trovi
 applicazione  "sia  nel  caso  di  esecuzione  di  pene  irrogate con
 pluralita' di sentenze di condanna, che con unica  decisione"  -  per
 l'irragionevole  equiparazione,  che  ne conseguirebbe, di situazioni
 non omogenee, in violazione dell'art. 3 Cost.
    4. - L'avvocatura dello Stato, per  l'intervenuto  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri, ha eccepito in linea preliminare la manifesta
 inammissibilita'   della  impugnativa  e,  in  via  gradata,  la  sua
 infondatezza.
    5. - L'eccezione di inammissibilita'  va  senz'altro  accolta  con
 riguardo alle due prime questioni.
    E,  invero,  le  censure  di violazione degli artt. 111 e 70 della
 Costituzione  in  esse  formulate  -  se  pur  nominalmente  riferite
 all'art. 47 o.p. "come risultante a seguito della sentenza n. 386/89"
 -  sono  all'evidenza  sostanzialmente  invece  rivolte  a  sindacare
 proprio la suddetta  statuizione  della  Corte:  il  che  -  come  e'
 pacifico  -  e'  irrimediabilmente  precluso  dal  principio  di  non
 impugnabilita' delle decisioni della Corte consacrato  nell'art.  137
 co. 3, Costituzione (cfr., ex plurimis. ord.ze 27/90; 482/90).
    6.  -  Ma anche la successiva (subordinata) denuncia di violazione
 dell'art. 3 Cost. e', per l'identico motivo, del pari  inammissibile:
 dacche',  nel  censurare  l'estensione del principio di detraibilita'
 della pena espiata (ai fini del computo della pena inflitta  ex  art.
 47  cit.)  anche  a  fattispecie  di condanna a pena superiore ai tre
 anni, per effetto di concorso o continuazione, "con unica  sentenza",
 il  Tribunale  rimettente  erroneamente  attribuisce  alla successiva
 esegesi della Cassazione una statuizione che  (come  precisato  nella
 ricordata  ordinanza  n.  509/90) era in realta', invece, gia' insita
 nella sentenza n. 386/89. Per  cui,  anche  sotto  tale  profilo,  la
 denuncia  si  risolve in una non consentita impugnativa di precedente
 decisione della Corte di accoglimento.
    7. - Diverso quesito - che, per quanto risulta dai dati  di  fatto
 riferiti  nella ordinanza, potrebbe riguardare la posizione di taluno
 dei condannati interessati nel procedimento a quo - e' quello  se  il
 beneficio  in  parola possa concedersi anche a soggetti (cui resti da
 espiare un residuo di pena inferiore ai tre anni, ma)  ai  quali  sia
 stata inizialmente irrogata una pena superiore al detto limite per un
 unico reato.
    Il   punto   -   che  non  forma  oggetto  di  specifica  denunzia
 nell'ordinanza di rinvio - non e'  stato  esaminato  dalla  ricordata
 sentenza   n.   386/89   ne',  a  quanto  risulta,  dalla  successiva
 giurisprudenza  dei  giudici  ordinari:  in  proposito,  quindi,   il
 tribunale a quo e' pienamente libero nel suo potere interpretativo.