IL TRIBUNALE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento penale a carico, tra gli altri, di Maria Grazia Callipo, indagata per il reato di cui all'art. 73 del testo unico n. 309/1990, per aver illecitamente detenuto gr. 15 di eroina, attualmente detenuta presso la casa circondariale della Spezia a seguito di misura cautelare impostale da questo g.i.p. il 24 febbraio u.s. si richiesta del p.m. avanzata ai sensi dell'art. 291- bis del c.p.p.; Ricevuta, in data 28 febbraio 1992, istanza con la quale la difesa della suddetta indagata chiede l'applicazione di misura meno afflittiva della custodia in carcere; Considerato che il p.m. ha ribadito la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere in via esclusiva; Tenuto anche conto di quanto gia' argomentato dai dott. proc. G. Feliciani e M.V. Corini in ordine alla eccepita illegittimita' costituzionale dell'art. 291- bis del c.p.p. per contrasto con l'art. 76 della Costituzione in relazione a vicenda per la quale essa era stata peraltro ritenuta irrilevante; RILEVA IN FATTO E IN DIRITTO L'art. 2 punto 59 della legge delega n. 81/1987 contiene, tra le altre, una precisa ed importante direttiva in base alla quale viene stabilito che la richiesta di adozione delle misure cautelari spetta al p.m., che e' privo pero' del potere dispositivo, mentre la legittimazione a disporle spetta al giudice, che puo' farlo solo a seguito di richiesta del p.m.: cio' e' frutto della scelta di un sistema di tipo accusatorio, della c.d. giurisdizionalizzazione delle misure cautelari, della netta distinzione di ruolo tra p.m. e giudice. Cio' posto, lo stesso punto 59 sancisce "il divieto di disporre la custodia in carcere se, con l'applicazione di altre misure di coercizione personale, possono essere adeguatamente soddisfatte le esigenze cautelari", introducendo in tal modo quello che e' stato definito "il principio di adeguatezza" delle misure cautelari e attribuendo di conseguenza al giudice il potere di scegliere, una volta investito della richiesta del p.m., tra le misure cautelari codificate quella piu' idonea a garantire l'esigenza cautelare sussistente nei singoli casi. Parrebbe pertanto evidente che le direttive imposte siano nel senso non solo di rimettere al giudice l'applicazione in via esclusiva delle misure cautelari, ma anche di attribuirgli il potere di scelta, in base al principio di adeguatezza, tra le misure da adottarsi caso per caso. La disposizione contenuta nell'art. 291- bis del c.p.p. impone invece al giudice di adottare la misura cautelare indicata dal p.m. ovvero di non applicare nessuna misura: cio' significa sottrargli il potere-dovere di scelta da esercitarsi in base ai gia' detti criteri di idoneita' e adeguatezza attribuendo, di fatto, il potere cautelare ad un soggetto che, per preciso dettato legislativo, non ne dispone. Vi e' cosi', nell'art. 291- bis del c.p.p. di cui si e' chiesta l'applicazione nel caso in esame, una palese violazione della legge delega relativamente ai punti su richiamati, con conseguente contrasto con l'art. 76 della Costituzione che impone invece il rispetto dei principi e dei criteri direttivi fissati dal delegante. La questione e' rilevante perche' la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere in via esclusiva impedisce a questo g.i.p. di valutare, in presenza di esigenze cautelari indubbiamente sussistenti e tali da non consentire la rimessione in liberta' dell'indagata, se sia adottabile una misura cautelare meno afflittiva di quella richiesta dal p.m.