IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1157/1991 sezione III proposto dalla signora Calogero Maria Antonia, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Magaudda, domiciliata per legge presso la segreteria della sezione; contro l'U.S.L. n. 41 di Messina Nord, in persona del Legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Letterio Ferrara, domiciliato per legge presso la segreteria della sezione; L'assessorato regionale per la sanita', in persona dell'assessore pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege; per l'annullamento previa sospensione, della deliberazione di cui non si conosce data e numero, con la quale l'U.S.L. intimata ha disposto il collocamento a risposo della ricorrente; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Viste le memorie prodotte dalle parti, a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della casusa; Designato relatore per la camera di consiglio del 12 novembre 1991 il consigliere dott. Ettore Leotta; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F A T T O Con delibera n. 897 del 14 marzo 1981, la signora Calogero Maria Antonia, nata a Messina il 2 settembre 1926, era assunta in qualita' di infermiera generica presso l'ente ospedaliero "Piemonte e regina Margherita" di Messina, avendo titolo all'elevazione del limite di eta' per l'accesso all'impiego, perche' invalida civile. A seguito della soppressione degli Enti ospedalieri, a decorrere dal 1º gennaio 1983 la predetta transitava alle dipendenze dell'U.S.L. n. 41 di Messina Nord. Con deliberazione del Comitato di gestione dell'U.S.L. del 10 giugno 1986 n. 873/ C la signora Calogero era trattenuta in servizio fino al compimento del 65º anno di eta', ai sensi della legge 26 febbraio 1982, n. 54. Con successiva determinazione del 14 febbraio 1991, n. 348/ C (non notificata all'interessata), il comitato di gestione dell'U.S.L. delibera di collocare a riposo la predetta dipendente a decorrere dal 2 settembre 1991. Con nota prot. n. 8253/15460 del 18 aprile 1991 il presidente del comitato di gestione dell'U.S.L. comunicava alla signora Calogero il collocamento i riposo per raggiunti limiti di eta'. La nota predetta, trasmessa tramite il servizio postale, non era recapitata all'interessata ed era restituita all'Amministrazione per compiuta giacenza. Con successiva lettera prot. n. 16343 del 27 luglio 1991, diretta al Ministero del tesoro - direzione generale degli istituti di previdenza e per conoscenza alla dipendente, l'U.S.L. trasmetteva la documentazione necessaria per la liquidazione dell'indennita' una tantum. Avendo cosi' avuto notizia del proprio collocamento a riposo, l'interessata con lettera raccomandata del 7 agosto 1991 chiedeva di essere trattenuta in servizio, fino al compimento dell'anzianita' minima per conseguire il diritto a pensione. Indi, con ricorso notificato il 25 settembre 1991, depositato il 1º ottobre 1991, la signora Calogero ha impugnato la deliberazione con la quale e' stato disposto il suo collocamento a riposo. A sostegno delle proprie ragioni la ricorrente ha dedotto la seguente censura unica. Illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.PR. 28 dicembre 1979, n. 761, per violazione dell'art. 38 Costituzione. Il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato dall'U.S.L., in conformita' a quanto previsto dall'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, che disciplina lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale delle UU.SS.LL. In detto articolo si prevederebbe la cessazione del rapporto di impiego al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta' per talune categorie di personale, in una delle quali rientrerebbe la ricorrente, mentre per il restante personale sarebbe previsto il limite massimo di sessanta anni di eta'. Mentre sarebbe espressamente contemplata la salvezza di eventuali diversi limiti di eta' fissati dagli ordinamenti di provenienza, non sarebbe prevista alcuna deroga per i dipendenti privi dell'anzianita' minima per consentire il diritto a pensione. In tale situazione si troverebbe la ricorrente, con un'anzianita' di servizio pari ad anni 10, mesi 4, e giorni 22, inferiore agli anni 15 di servizio richiesti dall'art. 7 della legge 11 aprile 1955, n. 379 per conseguire il diritto a pensione. Tale essendo il quadro normativo, l'annullamento del provvedimento impugnato sarebbe possibile solo rimuovendo la prescrizione contenuta nell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, che impone il limite di eta' di sessantacinque anni per la cessazione del rapporto di impiego. Il limite predetto, impedendo il conseguimento del diritto a pensione, si porrebbe in contrasto con l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, cosi' come affermato piu' volte dalla Corte costituzionale, con numerose decisioni, riguardanti situazioni analoghe. Cosi' la Corte, con sentenza 12 ottobre 1990, n. 444, avrebbe riconosciuto al personale scolastico assunto in ruolo dopo il 1º ottobre 1974, la possibilita' di rimanere in servizo oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di eta' per conseguire la pensione minima. Identica statuizione sarebbe stata adottata per tutti i dipendenti civili e militari dello Stato con sentenza della Corte del 18 giugno 1991 n. 282. Inoltre il legislatore, sia in ambito statale che in ambito regionale, avrebbe introdotto varie disposizioni derogatorie del limite di eta', per consentire la maturazione del diritto a pensione (cfr., ad esempio, la legge 28 febbraio 1990, n. 37 sulla dirigenza statale). L'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, costituendosi in giudizio nell'interesse dell'assessorato regionale per la sanita', ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile ed infondato. Nella camera di consiglio del 12 novembre 1991 il tribunale con coeva ordinanza n. 585/1991, in accoglimento temporaneo della domanda cautelare, ha disposto la sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato sino alla Camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte Costituzionale a seguito di decisione dell'incidente di costituzionalita' sollevato con la presente ordinanza, e comunque non oltre il 2 settembre 1996. D I R I T T O 1. - Il collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta' del personale del servizio sanitario nazionale e' disciplinato dall'art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, che cosi' dispone: "Il collocamento a riposo e' obbligatorio ed e' eseguito di ufficio, indipendentemente da ogni altra casusa: al compimento del sessantacinquesimoanno di eta' per il personale sanitario e tecnico laureato, amministrativo, di assistenza religiosa e professionale; al compimento del sessantesimo anno di eta' per il restante personale. Restano ferme, per il personale trasferito ai ruoli regionali ai sensi della legge 28 dicembre 1978, n. 833, le vigenti norme di legge o regolamentari che fissano un diverso limite di eta'". Tale disposizione deve essere coordinata con l'art. 6, primo comma, del d.-l. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito con modificazioni in legge 26 febbraio 1982, n. 54, in base al quale gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, ed alle gestioni sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, i quali non abbiano raggiunto l'anzianita' contributiva massima utile prevista dai singoli ordinamenti, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino al perfezionamento di tale requisito o per incrementare la propria anzianita' contributiva e comunque non oltre il sessantacinquesimo anno di eta', sempreche' non abbiano ottenuto o non richiedano la liquidazione di una pensione a carico dell'I.N.P.S. o di trattamenti sostitutivi, esclusivi od esonerati dall'assicurazione generale obbligatoria". La giurisprudenza amministrativa (c.f.r. T.A.R. Palermo sezione seconda 30 ottobre 1987, n. 778) ha ritenuto che la disposizione ultima citata e' applicabile anche nei confronti dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale. In base alle disposizioni richiamate, il personale infermieristico delle UU.SS.LL. va collocato a riposo al compimento del sessantesimo anno di eta', salva la possibilita' di essere mantenuto in servizio fino al compimento del sessantacinquesimo anno, qualora non abbia raggiunto l'anzianita' contributiva massima utile prevista dal proprio ordinamento pensionistico. 2. - Individuata la normativa in atto vigente, il tribunale puo' ora procedere all'esame della pretesa fatta valere dalla ricorrente con l'atto introduttivo del giudizio. La signora Calogero Maria Antonia, operatore professionale di seconda categoria (infermiera generica), nata a Messina il 2 settembre 1926, e' stata assunta presso l'ente ospedaliero "Piemonte e regina Margherita" di Messina con delibera n. 897 del 14 gennaio 1981, all'eta' di cinquantaquattro anni, avendo titolo all'elevazione del limite di eta' per l'accesso all'impiego, perche' invalida civile. A seguito della soppressione degli enti ospedalieri, a decorrere dal 1º gennaio 1983 la predetta e' transitata alle dipendenze dell'U.S.L. n. 41 di Messina Nord. Con deliberazione del Comitato di gestione dell'U.S.L. del 10 giugno 1986, n. 873/C la signora Calogero e' stata trattenuta in servizio fino al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', ai sensi della legge 25 febbraio 1982, n. 54. Con successiva determinazione del 14 febbraio 1991 n. 348/C (non notificata all'interessata), il comitato di gestione dell'U.S.L. ha deliberato di collocare a riposo la predetta dipendente a decorrere dal 2 settembre 1991. Con nota prot. n. 8253/15460 del 18 aprile 1991 (non recapitata all'interessata e restituita dall'Ufficio postale di Messina per compiuta giacenza) il presidente del comitato di gestione dell'U.S.L. ha comunicato alla signora Calogero il suo collocamento a riposo. Con successiva lettera prot. n. 16343 del 27 luglio 1991, diretta al Ministero del tesoro - Direzione generale degli istituti di previdenza, e per conoscenza alla dipendente, l'U.S.L. ha trasmesso la documentazione necessaria per la liquidazione dell'indennita' una tantum. Avendo cosi' avuto notizia del proprio collocamento a riposo, l'interessata con lettera raccomandata del 7 agosto 1991 ha chiesto di essere trattenuta in servizio, per conseguire il diritto alla pensione minima. Con il presente gravame la signora Calogero ha impugnato avanti a questo tribunale la deliberazione con la quale e' stato disposto il suo collocamento a riposo, deducendo l'illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, nella parte in cui non consente il mantenimento in servizio fino al compimento del settantesimo anno, per conseguire il diritto a pensione. 3. - La delibera n. 348/C del 14 febbraio 1991, con la quale il comitato di gestione ha disposto il collocamento a riposo della ricorrente a decorrere dal 2 settembre 1991, appare conforme al combinato disposto di cui all'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 ed all'art. 6 del d.-l. 22 dicembre 1981 n. 791, convertito con modificazioni in legge 26 febbraio 1982, n. 54. Correttamente quindi l'U.S.L. intimata ha applicato la normativa vigente, che non poteva essere disattesa o disapplicata. Cio' dovrebbe comportare, allo stato, la reiezione della richiesta di inibitoria. Tuttavia, prima di adottare una pronuncia in proposito, il tribunale deve verificare la conformita' ai precetti costituzionali dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 e dell'art. 6 del d.-l. n. 791/1981, convertito in legge n. 54/1982, nella parte in cui non prevedono il mantenimento in servizio fino al settantesimo anno di eta' dei dipendenti delle UU.SS.LL., i quali non abbiano maturato l'anzianita' minima richiesta dal proprio ordinamento pensionistico per ottenere il trattamento di quiescenza. La questione e' indubbiamente rilevante, atteso che, ove fosse accolta, comporterebbe l'illegittimita' e quindi il travolgimento del provvedimento del comitato di gestione n. 348/C del 14 febbraio 1991, tempestivamente e ritualmente impugnato. Ritiene il collegio che la questione sia altresi' non manifestamente infondata. L'art. 36 della Costituzione statuisce, quale principio cardine di una Repubblica fondata sul lavoro (art. 1), che "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa". Il successivo art. 38, secondo e terzo comma, sancisce che "i lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione ed all'avviamento professionale". Posto che per l'accesso ai pubblici impieghi e' in genere statuito un limite massimo di eta' (limite che gia' previsto in anni trenta, venne elevato ad anni trentacinque dalla legge 3 giungo 1978, n. 288, ed e' stato ora portato ad anni quaranta, tranne talune eccezioni, dalla legge 27 agosto 1989, n. 25, e salve le maggiorazioni di legge), normalmente nel pubblico impiego il problema del collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta' senza diritto a pensione non si pone, potendo solo variare la misura del trattamento pensionistico, in relazione all'anzianita' contributiva maturata. Tuttavia a prescindere dalla possibilita' che il limite di accesso allo impiego sia elevato per situazioni familiari e contingenti (quali lo stato di coniugato ed il numero di figli), alcune norme dirette a favorire il collocamento di particolari categorie di lavoratori parzialmente invalidi o in condizione sociale disagiata (art. 1 della legge 2 aprile 1968, n. 482) consentono l'assunzione anche senza concorso oltre il detto limite e fino al compimento del cinquantacinquesimo anno di eta'. Cio' comporta che in questi casi, al compimento dell'eta' massima fissata per il collocamento a riposo, i lavoratori appartenenti alle categorie "protette" (perche' piu' svantaggiate) potrebbero non raggiungere il periodo di contribuzione minima necessaria per maturare il diritto a pensione. Per evitare tale inconveniente, talune leggi regionali per il personale appartenente ai propri ruoli hanno previsto che il limite di eta' per il collocamento a riposo possa essere derogato, nel caso in cui non sia maturata l'anzianita' di servizio oltre il limite previsto per la sua categoria professionale e per il tempo strettamente necessario per il raggiungimento dell'anzianita' minima pensionabile, con il limite, in genere ritenuto non valicabile, del settantesimo anno di eta'. Tali disposizioni regionali (legge regione Calabria riapprovata il 31 luglio 1986 e legge regione Campania riapprovata il 9 dicembre 1986) sono state ritenute dalla Corte costituzionale non in conflitto con l'art. 117 della Costituzione, che impone alle regioni di uniformarsi, nella loro attivita' legislativa, ai principi fondamentali contenuti nelle leggi dello Stato, e con l'art. 4 della Costituzione, che pure e' inteso a garantire a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuovendo le condizioni che rendano effettivo tale diritto. Nel riconoscere con sentenza n. 238 del 24 febbraio-3 marzo 1988 la legittimita' costituzionale di tali leggi, la Corte costituzionale ha posto in evidenza che l'esigenza di mantenere eccezionalmente in servizio un impiegato per un numero di anni sufficienti per ottenere il minimo della pensione va ricondotta, in via generale, ad un interesse tutelato dalla Costituzione come diritto del lavoratore in quanto tale (art. 38, secondo comma, della Costituzione), nei cui confronti appare perfino indifferente la circostanza che il dipendente risulti inserito in un rapporto d'impiego pubblico o in uno di tipo privato. Con la medesima sentenza la Corte ha chiarito che non si puo' rinvenire nella legislazione statale un principio consistente nel divieto assoluto di mantenere in servizio i dipendenti che abbiano raggiunto il limite massimo di eta' lavorativa legislativamente fissato per la categoria interessata. Al contrario, il principio oggi vigente permette che l'anzidetto limite possa essere eccezionalmente derogato a fini assicurativi o previdenziali. Cio' in quanto l'ordinamento deve tendere a "conferire il massimo di effettivita' alla garanzia del diritto sociale alla pensione, sotto forma del diritto ad una giusta retribuzione differita, riconosciuto dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione". Con due recenti decisioni la Corte costituzionale e' andata oltre tale mera enunciazione di principio, dichiarando l'illegittimita' costituzionale di due disposizioni di legge statale, concernenti il collocamento a riposo per limiti di eta' del personale della scuola e del personale civile e militare dello Stato. In particolare: A) con sentenza n. 444 del 26 settembre-12 ottobre 1990 la Corte ha dichiarato incostituzionale l'art. 15, terzo comma della legge 30 luglio 1973, n. 477, nella parte in cui non consente al personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola assunto dopo il 1º ottobre 1974 e che al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' non abbia raggiunto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di rimanere in servizio, su richiesta, fino al conseguimento di tale anzianita' minima e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'. A parametro della riconosciuta incostituzionalita' della norma e' stato preso non piu' l'art. 3, e quindi il principio di ragionevolezza della normativa, bensi' proprio l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, che mira a garantire a tutti i lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Con la medesima decisione la Corte ha evidenziato l'evoluzione del quadro normativo, a seguito dell'entrata in vigore della legge 28 febbraio 1990, n. 37, che ha reso applicabili ai dirigenti civili dello Stato le disposizioni dell'art. 15 della legge n. 477/1973 relativa al personale scolastico; B) con sentenza n. 282 del 3-18 giugno 1991, la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato, che al raggiungimento del limite di eta' per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di rimanere in servizio su richiesta fino al conseguimento di tale anzianita' minima, e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'. In tale occasione la Corte ha riconosciuto che il principio secondo cui il personale che al compimento del sessantacinquesimo anno - quale che sia la data di assunzione - non abbia ancora maturato il diritto a pensione, puo' essere mantenuto in servizio fino al raggiungimento dell'anzianita' minima necessaria, ha "valenza generale". Tenuto conto delle affermazioni che precedono, la possibilita' di derogare al limite di eta' per il collocamento a riposo, al solo scopo di completare il periodo minimo di servizio richiesto dalla legge per il conseguimento del diritto a pensione, deve essere riconosciuta anche al personale dipendente del servizio sanitario nazionale. 4. - Va rilevato altresi' che con legge 19 febbraio 1991, n. 50 e' stato disposto che "i primari ospedalieri che non abbiano raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione possono chiedere di essere trattenuti in servizio fino al raggiungimento di tale anzianita' e, comunque, fino al settantesimo anno di eta'", con salvezza delle deroghe previste dall'art. 6 della legge n. 336/1964 e del d.-l. n. 402/1982. Orbene, se il legislatore si e' preoccupato di salvaguardare la posizione dei dirigenti civili dello Stato, cui ha esteso la norma di settore del personale della scuola (art. 15, secondo e terzo comma, della legge n. 477/1973), norma che ormai va applicata anche al personale assunto in ruolo dopo il 1º ottobre 1974, e se il medesimo legislatore ha avvertito la necessita' di salvaguardare con la legge n. 50/1991 la posizione previdenziale del personale medico di livello apicale che al conseguimento del sessantacinquesimo anno di eta' non consegua il massimo della pensione, appare sicuramente iniquo ed irrazionale il non consentire al personale dei livelli inferiori, munito di minor reddito e certamente di piu' ridotta capacita' economica, di permanere in servizio oltre il limite d'eta' previsto in via generale, per maturare almeno il diritto alla pensione minima. In questo caso non viene vulnerato solo l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, che impone allo Stato di assicurare al lavoratore idonei sussidi per affrontare l'invalidita' e la vecchiaia; ne' viene solo vulnerato il successivo terzo comma del medesimo art. 38, che pur prevede il diritto all'avviamento professionale degli invalidi e dei minorati (si e' visto che le norme che consentono l'assunzione oltre il limite ordinario e fino ai cinquantacinque anni di eta' sono in genere quelle previste a favore delle c.d. "categorie protette" di invalidi civili o socialmente bisognose). In tal modo risultano violati altresi' gli artt. 3 e 4 della Costituzione, in quanto si prevede il mantenimento in servizio, per categorie meno bisognose (Dirigenti civili dello Stato, medici delle UU.SS.LL. in posizione apicale) e per esigenze anche di mero incremento della base pensionabile fino al massimo dell'anzianita' contributiva, mentre si nega lo stesso trattamento a coloro che, appartenenti a categorie meno abbienti e piu' deboli, chiedono di permanere in servizio al limitato fine di conseguire il minimo della pensione. Ne' si venga a dire che tale particolare trattamento trova giustificazione nel fatto che il personale del servizio sanitario nazionale, per le particolari mansioni svolte, inerenti alla tutela della salute dei cittadini, deve essere mantenuto in servizio soltanto fino al raggiungimento del limite di eta' legislativamentestabilito, superato il quale si avrebbe sicuramente un calo di efficienza, che procurerebbe un danno certo all'utenza. Tale rilievo va superato, dal momento che: A) se cio' fosse vero, neppure i primari ospedalieri (la cui attivita' sicuramente incide sulla salute dei ricoverati molto piu' di quanto possa incidere l'attivita' del personale subalterno) potrebbero essere mantenuti in servizio fino al compimento del settantesimo anno di eta' e le norme che consentono tale permanenza dovrebbero essere dichiarate costituzionalmente illegittime, perche' in contrasto con l'art. 32, primo comma della Costituzione; B) l'efficenza dei lavoratori non puo' essere collegata unicamente alla loro eta', ma dipende da numerosi altri fattori, il principale dei quali e' l'effettivo stato di salute (fisica e mentale). Il mantenere in servizio un dipendete ultrasessantacinquenne non comporta necessariamente un calo di efficienza, in quanto il suo stato di salute puo', mantenersi buono. Ove poi tale soggetto non fosse in grado, per le proprie condizioni fisiche o mentali, di svolgere l'attivita' lavorativa di competenza, l'amministrazione potrebbe sempre avvalersi di taluni rimedi previsti dall'ordinamento (quali l'utilizzazione in altri compiti o, nei casi di assoluta inidoneita', la dispensa dal servizio per motivi di salute), per modificare o fer cessare il rapporto d'impiego. In base alle considerazioni che precedono, l'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 e l'art. 6, primo comma del d.-l. n. 791/1981, convertito in legge n. 54/1982, nella parte in cui non consentono al personale del servizio sanitario nazionale, che al raggiungimento del limite di eta' per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di rimanere in servizio, su richiesta, fino al conseguimento di tale anzianita' minima e, comunque non oltre il settantesimo anno di eta', appaiono in contrasto con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 4 e 38, secondo comma, della Costituzione. Circa la rilevanza della questione prospettata, va evidenziato che la sorte del ricorso e' indissolubilmente legata all'esito del giudizio di costituzionalita' dei citati art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, ed art. 6, primo comma del d.-l. n. 791/1981, dal momento che la domanda della ricorrente puo' essere accolta solo in quanto risulti fondata la sollevata questione di legittimita' costituzionale.