IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  1157/1991
 sezione   III   proposto   dalla   signora  Calogero  Maria  Antonia,
 rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Magaudda,  domiciliata  per
 legge  presso  la  segreteria della sezione; contro l'U.S.L. n. 41 di
 Messina Nord,  in  persona  del  Legale  rappresentante  pro-tempore,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv. Letterio Ferrara, domiciliato per
 legge presso la segreteria della sezione;
    L'assessorato regionale per la sanita', in persona  dell'assessore
 pro-tempore,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocatura  distrettuale
 dello Stato di Catania, domiciliataria ex  lege;  per  l'annullamento
 previa  sospensione, della deliberazione di cui non si conosce data e
 numero, con la quale l'U.S.L. intimata ha disposto il collocamento  a
 risposo della ricorrente;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni
 intimate;
    Viste le memorie prodotte dalle parti, a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della casusa;
    Designato relatore per la camera di consiglio del 12 novembre 1991
 il consigliere dott. Ettore Leotta;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con delibera n. 897 del 14 marzo 1981, la signora  Calogero  Maria
 Antonia,  nata a Messina il 2 settembre 1926, era assunta in qualita'
 di infermiera generica presso l'ente ospedaliero "Piemonte  e  regina
 Margherita"  di  Messina,  avendo titolo all'elevazione del limite di
 eta' per l'accesso all'impiego, perche' invalida civile.
    A  seguito  della soppressione degli Enti ospedalieri, a decorrere
 dal  1º  gennaio  1983  la  predetta   transitava   alle   dipendenze
 dell'U.S.L. n. 41 di Messina Nord.
    Con  deliberazione  del  Comitato  di  gestione dell'U.S.L. del 10
 giugno 1986 n. 873/ C la signora Calogero era trattenuta in  servizio
 fino  al  compimento  del  65º  anno di eta', ai sensi della legge 26
 febbraio 1982, n. 54.
   Con successiva determinazione del 14 febbraio 1991, n. 348/ C  (non
 notificata  all'interessata),  il  comitato  di  gestione dell'U.S.L.
 delibera di collocare a riposo la predetta dipendente a decorrere dal
 2 settembre 1991.
    Con nota prot. n. 8253/15460 del 18 aprile 1991 il presidente  del
 comitato  di gestione dell'U.S.L. comunicava alla signora Calogero il
 collocamento i riposo per raggiunti limiti di eta'.
    La nota predetta, trasmessa tramite il servizio postale,  non  era
 recapitata  all'interessata ed era restituita all'Amministrazione per
 compiuta giacenza.
    Con successiva lettera prot. n. 16343 del 27 luglio 1991,  diretta
 al  Ministero  del  tesoro  -  direzione  generale  degli istituti di
 previdenza e per conoscenza alla dipendente, l'U.S.L. trasmetteva  la
 documentazione  necessaria  per  la  liquidazione dell'indennita' una
 tantum.
    Avendo cosi' avuto notizia  del  proprio  collocamento  a  riposo,
 l'interessata  con lettera raccomandata del 7 agosto 1991 chiedeva di
 essere trattenuta in servizio,  fino  al  compimento  dell'anzianita'
 minima per conseguire il diritto a pensione.
    Indi,  con  ricorso notificato il 25 settembre 1991, depositato il
 1º ottobre 1991, la signora Calogero ha  impugnato  la  deliberazione
 con la quale e' stato disposto il suo collocamento a riposo.
    A  sostegno  delle  proprie  ragioni  la  ricorrente ha dedotto la
 seguente censura unica.
    Illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.PR.  28  dicembre
 1979, n. 761, per violazione dell'art. 38 Costituzione.
    Il  provvedimento impugnato sarebbe stato adottato dall'U.S.L., in
 conformita' a quanto previsto dall'art. 53 del  d.P.R.  n.  761/1979,
 che  disciplina  lo  stato  giuridico ed il trattamento economico del
 personale delle UU.SS.LL.
    In detto articolo si prevederebbe la cessazione  del  rapporto  di
 impiego  al  raggiungimento  del  sessantacinquesimo anno di eta' per
 talune categorie di personale, in una  delle  quali  rientrerebbe  la
 ricorrente,  mentre  per  il  restante  personale sarebbe previsto il
 limite massimo di sessanta anni di eta'.
    Mentre sarebbe espressamente contemplata la salvezza di  eventuali
 diversi  limiti di eta' fissati dagli ordinamenti di provenienza, non
 sarebbe prevista alcuna deroga per i dipendenti privi dell'anzianita'
 minima per consentire il diritto a pensione.
    In tale situazione si troverebbe la ricorrente, con  un'anzianita'
 di servizio pari ad anni 10, mesi 4, e giorni 22, inferiore agli anni
 15  di  servizio richiesti dall'art. 7 della legge 11 aprile 1955, n.
 379 per conseguire il diritto a pensione.
    Tale essendo il quadro normativo, l'annullamento del provvedimento
 impugnato sarebbe possibile solo rimuovendo la prescrizione contenuta
 nell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, che impone il limite di eta'  di
 sessantacinque anni per la cessazione del rapporto di impiego.
    Il  limite  predetto,  impedendo  il  conseguimento  del diritto a
 pensione, si porrebbe in contrasto  con  l'art.  38,  secondo  comma,
 della  Costituzione,  cosi'  come  affermato  piu'  volte dalla Corte
 costituzionale,  con  numerose  decisioni,   riguardanti   situazioni
 analoghe.
    Cosi'  la  Corte,  con  sentenza  12 ottobre 1990, n. 444, avrebbe
 riconosciuto al personale scolastico assunto  in  ruolo  dopo  il  1º
 ottobre  1974,  la  possibilita'  di  rimanere  in  servizo  oltre il
 compimento del sessantacinquesimo anno  di  eta'  per  conseguire  la
 pensione minima.
    Identica statuizione sarebbe stata adottata per tutti i dipendenti
 civili  e militari dello Stato con sentenza della Corte del 18 giugno
 1991 n. 282.
    Inoltre il legislatore,  sia  in  ambito  statale  che  in  ambito
 regionale,  avrebbe  introdotto  varie  disposizioni  derogatorie del
 limite di eta', per consentire la maturazione del diritto a  pensione
 (cfr.,  ad  esempio, la legge 28 febbraio 1990, n. 37 sulla dirigenza
 statale).
    L'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, costituendosi in
 giudizio nell'interesse dell'assessorato regionale per la sanita', ha
 chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile ed infondato.
    Nella camera di consiglio del 12 novembre 1991  il  tribunale  con
 coeva ordinanza n. 585/1991, in accoglimento temporaneo della domanda
 cautelare,   ha   disposto   la   sospensione   dell'esecuzione   del
 provvedimento impugnato sino alla Camera di consiglio successiva alla
 restituzione degli atti da parte della Corte Costituzionale a seguito
 di decisione dell'incidente di  costituzionalita'  sollevato  con  la
 presente ordinanza, e comunque non oltre il 2 settembre 1996.
                             D I R I T T O
    1.  -  Il  collocamento  a riposo per raggiunti limiti di eta' del
 personale del servizio sanitario nazionale e' disciplinato  dall'art.
 53  del  d.P.R.  20  dicembre  1979  n.  761,  che cosi' dispone: "Il
 collocamento a riposo e' obbligatorio  ed  e'  eseguito  di  ufficio,
 indipendentemente   da   ogni   altra   casusa:   al  compimento  del
 sessantacinquesimoanno di eta' per il personale sanitario  e  tecnico
 laureato, amministrativo, di assistenza religiosa e professionale; al
 compimento del sessantesimo anno di eta' per il restante personale.
    Restano  ferme,  per il personale trasferito ai ruoli regionali ai
 sensi della legge 28 dicembre 1978, n. 833, le vigenti norme di legge
 o regolamentari che fissano un diverso limite di eta'".
    Tale disposizione deve  essere  coordinata  con  l'art.  6,  primo
 comma,   del   d.-l.   22  dicembre  1981,  n.  791,  convertito  con
 modificazioni in legge 26 febbraio 1982, n. 54, in base al quale  gli
 iscritti  all'assicurazione  generale obbligatoria per l'invalidita',
 la vecchiaia ed i superstiti, ed alle gestioni sostitutive, esclusive
 ed  esonerative  della  medesima,  i  quali  non  abbiano   raggiunto
 l'anzianita'   contributiva   massima   utile  prevista  dai  singoli
 ordinamenti, possono optare di continuare a prestare  la  loro  opera
 fino  al  perfezionamento  di  tale  requisito  o per incrementare la
 propria   anzianita'   contributiva   e   comunque   non   oltre   il
 sessantacinquesimo  anno  di  eta', sempreche' non abbiano ottenuto o
 non richiedano la liquidazione di una pensione a carico dell'I.N.P.S.
 o   di    trattamenti    sostitutivi,    esclusivi    od    esonerati
 dall'assicurazione generale obbligatoria".
    La  giurisprudenza  amministrativa  (c.f.r. T.A.R. Palermo sezione
 seconda 30 ottobre 1987, n. 778)  ha  ritenuto  che  la  disposizione
 ultima  citata  e' applicabile anche nei confronti dei dipendenti del
 Servizio Sanitario Nazionale.
    In base alle disposizioni richiamate, il personale infermieristico
 delle UU.SS.LL. va collocato a riposo al compimento del  sessantesimo
 anno  di  eta', salva la possibilita' di essere mantenuto in servizio
 fino al compimento del sessantacinquesimo  anno,  qualora  non  abbia
 raggiunto   l'anzianita'  contributiva  massima  utile  prevista  dal
 proprio ordinamento pensionistico.
    2. - Individuata la normativa in atto vigente, il  tribunale  puo'
 ora  procedere  all'esame della pretesa fatta valere dalla ricorrente
 con l'atto introduttivo del giudizio.
    La signora Calogero  Maria  Antonia,  operatore  professionale  di
 seconda   categoria  (infermiera  generica),  nata  a  Messina  il  2
 settembre 1926, e' stata assunta presso l'ente ospedaliero  "Piemonte
 e  regina  Margherita"  di Messina con delibera n. 897 del 14 gennaio
 1981, all'eta' di cinquantaquattro anni, avendo titolo all'elevazione
 del limite  di  eta'  per  l'accesso  all'impiego,  perche'  invalida
 civile.
    A  seguito  della soppressione degli enti ospedalieri, a decorrere
 dal 1º  gennaio  1983  la  predetta  e'  transitata  alle  dipendenze
 dell'U.S.L. n. 41 di Messina Nord.
    Con  deliberazione  del  Comitato  di  gestione dell'U.S.L. del 10
 giugno 1986, n. 873/C la signora  Calogero  e'  stata  trattenuta  in
 servizio  fino  al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', ai
 sensi della legge 25 febbraio 1982, n. 54.
    Con successiva determinazione del 14 febbraio 1991 n.  348/C  (non
 notificata  all'interessata),  il comitato di gestione dell'U.S.L. ha
 deliberato di collocare a riposo la predetta dipendente  a  decorrere
 dal 2 settembre 1991.
    Con  nota  prot.  n. 8253/15460 del 18 aprile 1991 (non recapitata
 all'interessata e restituita  dall'Ufficio  postale  di  Messina  per
 compiuta giacenza) il presidente del comitato di gestione dell'U.S.L.
 ha comunicato alla signora Calogero il suo collocamento a riposo.
    Con  successiva lettera prot. n. 16343 del 27 luglio 1991, diretta
 al Ministero del  tesoro  -  Direzione  generale  degli  istituti  di
 previdenza,  e  per conoscenza alla dipendente, l'U.S.L. ha trasmesso
 la documentazione necessaria per la liquidazione dell'indennita'  una
 tantum.
    Avendo  cosi'  avuto  notizia  del  proprio collocamento a riposo,
 l'interessata con lettera raccomandata del 7 agosto 1991  ha  chiesto
 di  essere  trattenuta  in  servizio,  per conseguire il diritto alla
 pensione minima.
    Con il presente gravame la signora Calogero ha impugnato avanti  a
 questo  tribunale  la deliberazione con la quale e' stato disposto il
 suo collocamento a riposo, deducendo l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  53 del d.P.R. n. 761/1979, nella parte in cui non consente
 il mantenimento in servizio fino al compimento del settantesimo anno,
 per conseguire il diritto a pensione.
    3. - La delibera n. 348/C del 14 febbraio 1991, con  la  quale  il
 comitato  di  gestione  ha  disposto  il  collocamento a riposo della
 ricorrente a decorrere dal  2  settembre  1991,  appare  conforme  al
 combinato  disposto  di  cui  all'art.  53  del d.P.R. n. 761/1979 ed
 all'art. 6  del  d.-l.  22  dicembre  1981  n.  791,  convertito  con
 modificazioni in legge 26 febbraio 1982, n. 54.
    Correttamente  quindi  l'U.S.L. intimata ha applicato la normativa
 vigente, che non poteva essere disattesa o disapplicata.
    Cio' dovrebbe comportare, allo stato, la reiezione della richiesta
 di inibitoria.
    Tuttavia,  prima  di  adottare  una  pronuncia  in  proposito,  il
 tribunale  deve  verificare la conformita' ai precetti costituzionali
 dell'art. 53 del d.P.R. n.  761/1979  e  dell'art.  6  del  d.-l.  n.
 791/1981,  convertito  in  legge  n.  54/1982, nella parte in cui non
 prevedono il mantenimento in servizio fino al  settantesimo  anno  di
 eta'  dei  dipendenti  delle  UU.SS.LL., i quali non abbiano maturato
 l'anzianita' minima richiesta dal proprio  ordinamento  pensionistico
 per ottenere il trattamento di quiescenza.
    La  questione  e'  indubbiamente  rilevante, atteso che, ove fosse
 accolta, comporterebbe l'illegittimita' e quindi il travolgimento del
 provvedimento del comitato di gestione n. 348/C del 14 febbraio 1991,
 tempestivamente e ritualmente impugnato.
    Ritiene  il  collegio  che   la   questione   sia   altresi'   non
 manifestamente infondata.
    L'art. 36 della Costituzione statuisce, quale principio cardine di
 una  Repubblica  fondata  sul  lavoro (art. 1), che "il lavoratore ha
 diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita'  e  qualita'
 del  suo  lavoro  ed  in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed
 alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa".  Il  successivo  art.
 38,  secondo  e terzo comma, sancisce che "i lavoratori hanno diritto
 che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro  esigenze
 di  vita  in  caso  di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia,
 disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno  diritto
 all'educazione ed all'avviamento professionale".
    Posto che per l'accesso ai pubblici impieghi e' in genere statuito
 un  limite  massimo di eta' (limite che gia' previsto in anni trenta,
 venne elevato ad anni trentacinque dalla legge 3 giungo 1978, n. 288,
 ed e' stato ora portato ad anni quaranta,  tranne  talune  eccezioni,
 dalla  legge  27  agosto  1989,  n.  25,  e salve le maggiorazioni di
 legge), normalmente nel pubblico impiego il problema del collocamento
 a riposo per raggiunti limiti di eta' senza diritto a pensione non si
 pone, potendo solo variare la misura del  trattamento  pensionistico,
 in relazione all'anzianita' contributiva maturata.
    Tuttavia a prescindere dalla possibilita' che il limite di accesso
 allo  impiego  sia  elevato  per  situazioni  familiari e contingenti
 (quali lo stato di coniugato ed il numero  di  figli),  alcune  norme
 dirette  a  favorire  il  collocamento  di  particolari  categorie di
 lavoratori parzialmente invalidi o in  condizione  sociale  disagiata
 (art.  1  della  legge 2 aprile 1968, n. 482) consentono l'assunzione
 anche senza concorso oltre il detto limite e fino al  compimento  del
 cinquantacinquesimo anno di eta'.
    Cio'  comporta che in questi casi, al compimento dell'eta' massima
 fissata per il collocamento a riposo, i lavoratori appartenenti  alle
 categorie  "protette"  (perche'  piu'  svantaggiate)  potrebbero  non
 raggiungere  il  periodo  di  contribuzione  minima  necessaria   per
 maturare il diritto a pensione.
    Per  evitare  tale  inconveniente,  talune  leggi regionali per il
 personale appartenente ai propri ruoli hanno previsto che  il  limite
 di  eta' per il collocamento a riposo possa essere derogato, nel caso
 in cui non sia maturata l'anzianita'  di  servizio  oltre  il  limite
 previsto   per   la  sua  categoria  professionale  e  per  il  tempo
 strettamente necessario per il raggiungimento dell'anzianita'  minima
 pensionabile,  con  il limite, in genere ritenuto non valicabile, del
 settantesimo anno di eta'.
    Tali disposizioni regionali (legge regione Calabria riapprovata il
 31 luglio 1986 e legge regione Campania  riapprovata  il  9  dicembre
 1986) sono state ritenute dalla Corte costituzionale non in conflitto
 con  l'art.  117  della  Costituzione,  che  impone  alle  regioni di
 uniformarsi,  nella   loro   attivita'   legislativa,   ai   principi
 fondamentali  contenuti nelle leggi dello Stato, e con l'art. 4 della
 Costituzione, che pure e' inteso a garantire a tutti i  cittadini  il
 diritto  al  lavoro,  promuovendo le condizioni che rendano effettivo
 tale diritto.
    Nel riconoscere con sentenza n. 238 del 24 febbraio-3  marzo  1988
 la legittimita' costituzionale di tali leggi, la Corte costituzionale
 ha  posto  in evidenza che l'esigenza di mantenere eccezionalmente in
 servizio un impiegato per un numero di anni sufficienti per  ottenere
 il  minimo  della  pensione  va  ricondotta,  in  via generale, ad un
 interesse tutelato dalla Costituzione come diritto del lavoratore  in
 quanto  tale  (art.  38,  secondo comma, della Costituzione), nei cui
 confronti  appare  perfino  indifferente  la   circostanza   che   il
 dipendente  risulti  inserito  in un rapporto d'impiego pubblico o in
 uno di tipo privato.
    Con la medesima sentenza la Corte ha  chiarito  che  non  si  puo'
 rinvenire  nella  legislazione  statale  un principio consistente nel
 divieto assoluto di mantenere in servizio i  dipendenti  che  abbiano
 raggiunto  il  limite  massimo  di  eta'  lavorativa legislativamente
 fissato per la categoria interessata. Al contrario, il principio oggi
 vigente permette che l'anzidetto limite possa essere  eccezionalmente
 derogato   a  fini  assicurativi  o  previdenziali.  Cio'  in  quanto
 l'ordinamento deve tendere a "conferire il  massimo  di  effettivita'
 alla  garanzia  del  diritto  sociale  alla pensione, sotto forma del
 diritto ad una giusta retribuzione differita, riconosciuto  dall'art.
 38, secondo comma, della Costituzione".
    Con  due recenti decisioni la Corte costituzionale e' andata oltre
 tale mera enunciazione  di  principio,  dichiarando  l'illegittimita'
 costituzionale  di  due disposizioni di legge statale, concernenti il
 collocamento a riposo per limiti di eta' del personale della scuola e
 del personale civile e militare dello Stato. In particolare:
       A) con sentenza n. 444 del  26  settembre-12  ottobre  1990  la
 Corte  ha  dichiarato  incostituzionale  l'art. 15, terzo comma della
 legge 30 luglio 1973, n. 477, nella parte  in  cui  non  consente  al
 personale  direttivo,  ispettivo,  docente e non docente della scuola
 assunto  dopo  il  1º  ottobre  1974  e   che   al   compimento   del
 sessantacinquesimo anno di eta' non abbia raggiunto il numero di anni
 richiesto  per  ottenere  il  minimo  della  pensione, di rimanere in
 servizio, su richiesta, fino  al  conseguimento  di  tale  anzianita'
 minima e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'.
    A  parametro della riconosciuta incostituzionalita' della norma e'
 stato  preso  non  piu'  l'art.  3,  e   quindi   il   principio   di
 ragionevolezza  della  normativa,  bensi'  proprio l'art. 38, secondo
 comma, della Costituzione, che mira a garantire a tutti i  lavoratori
 mezzi  adeguati  alle  loro  esigenze  di vita in caso di infortunio,
 malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
    Con la medesima decisione la Corte ha evidenziato l'evoluzione del
 quadro  normativo,  a  seguito  dell'entrata in vigore della legge 28
 febbraio 1990, n. 37, che ha reso  applicabili  ai  dirigenti  civili
 dello  Stato  le  disposizioni  dell'art.  15 della legge n. 477/1973
 relativa al personale scolastico;
       B) con sentenza n. 282  del  3-18  giugno  1991,  la  Corte  ha
 dichiarato  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma,
 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (testo  unico  delle  norme  sul
 trattamento  di  quiescenza  dei  dipendenti  civili e militari dello
 Stato), nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato,
 che al raggiungimento del limite di eta' per il collocamento a riposo
 non abbia compiuto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo
 della  pensione,  di  rimanere  in  servizio  su  richiesta  fino  al
 conseguimento  di  tale  anzianita'  minima,  e comunque non oltre il
 settantesimo anno di eta'.
    In tale occasione  la  Corte  ha  riconosciuto  che  il  principio
 secondo  cui  il  personale  che al compimento del sessantacinquesimo
 anno - quale che sia  la  data  di  assunzione  -  non  abbia  ancora
 maturato  il  diritto  a  pensione, puo' essere mantenuto in servizio
 fino al raggiungimento dell'anzianita' minima necessaria, ha "valenza
 generale".
    Tenuto conto delle affermazioni che precedono, la possibilita'  di
 derogare  al  limite  di  eta'  per il collocamento a riposo, al solo
 scopo di completare il periodo minimo  di  servizio  richiesto  dalla
 legge  per  il  conseguimento  del  diritto  a  pensione, deve essere
 riconosciuta anche al personale  dipendente  del  servizio  sanitario
 nazionale.
    4. - Va rilevato altresi' che con legge 19 febbraio 1991, n. 50 e'
 stato  disposto  che "i primari ospedalieri che non abbiano raggiunto
 il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire  il
 massimo  della  pensione  possono  chiedere  di  essere trattenuti in
 servizio fino al raggiungimento di tale anzianita' e, comunque,  fino
 al  settantesimo  anno  di eta'", con salvezza delle deroghe previste
 dall'art. 6 della legge n. 336/1964 e del d.-l. n. 402/1982.
    Orbene, se il legislatore si e' preoccupato  di  salvaguardare  la
 posizione dei dirigenti civili dello Stato, cui ha esteso la norma di
 settore  del  personale della scuola (art. 15, secondo e terzo comma,
 della legge n. 477/1973), norma  che  ormai  va  applicata  anche  al
 personale  assunto in ruolo dopo il 1º ottobre 1974, e se il medesimo
 legislatore ha avvertito la necessita' di salvaguardare con la  legge
 n. 50/1991 la posizione previdenziale del personale medico di livello
 apicale  che al conseguimento del sessantacinquesimo anno di eta' non
 consegua il massimo della  pensione,  appare  sicuramente  iniquo  ed
 irrazionale  il  non  consentire  al personale dei livelli inferiori,
 munito di minor  reddito  e  certamente  di  piu'  ridotta  capacita'
 economica,  di  permanere in servizio oltre il limite d'eta' previsto
 in via generale, per maturare almeno il diritto alla pensione minima.
    In questo caso non viene vulnerato solo l'art. 38, secondo  comma,
 della Costituzione, che impone allo Stato di assicurare al lavoratore
 idonei sussidi per affrontare l'invalidita' e la vecchiaia; ne' viene
 solo  vulnerato  il  successivo terzo comma del medesimo art. 38, che
 pur prevede il diritto all'avviamento professionale degli invalidi  e
 dei  minorati  (si  e' visto che le norme che consentono l'assunzione
 oltre il limite ordinario e fino ai cinquantacinque anni di eta' sono
 in genere quelle previste a favore delle c.d. "categorie protette" di
 invalidi civili o socialmente bisognose).
    In  tal  modo  risultano  violati  altresi'  gli artt. 3 e 4 della
 Costituzione, in quanto si prevede il mantenimento in  servizio,  per
 categorie  meno bisognose (Dirigenti civili dello Stato, medici delle
 UU.SS.LL.  in  posizione  apicale)  e  per  esigenze  anche  di  mero
 incremento  della  base  pensionabile fino al massimo dell'anzianita'
 contributiva, mentre si nega lo  stesso  trattamento  a  coloro  che,
 appartenenti  a  categorie  meno  abbienti e piu' deboli, chiedono di
 permanere in servizio al limitato fine di conseguire il minimo  della
 pensione.
    Ne'  si  venga  a  dire  che  tale  particolare  trattamento trova
 giustificazione nel fatto che il  personale  del  servizio  sanitario
 nazionale,  per  le particolari mansioni svolte, inerenti alla tutela
 della  salute  dei  cittadini,  deve  essere  mantenuto  in  servizio
 soltanto    fino    al    raggiungimento    del    limite   di   eta'
 legislativamentestabilito, superato il quale si  avrebbe  sicuramente
 un calo di efficienza, che procurerebbe un danno certo all'utenza.
    Tale rilievo va superato, dal momento che:
       A)  se  cio'  fosse vero, neppure i primari ospedalieri (la cui
 attivita' sicuramente incide sulla salute dei ricoverati  molto  piu'
 di  quanto  possa  incidere  l'attivita'  del  personale  subalterno)
 potrebbero essere  mantenuti  in  servizio  fino  al  compimento  del
 settantesimo  anno  di eta' e le norme che consentono tale permanenza
 dovrebbero essere dichiarate costituzionalmente illegittime,  perche'
 in contrasto con l'art. 32, primo comma della Costituzione;
       B)   l'efficenza  dei  lavoratori  non  puo'  essere  collegata
 unicamente alla loro eta', ma dipende da numerosi altri  fattori,  il
 principale  dei  quali  e'  l'effettivo  stato  di  salute  (fisica e
 mentale).
    Il mantenere in servizio un dipendete  ultrasessantacinquenne  non
 comporta  necessariamente  un  calo  di  efficienza, in quanto il suo
 stato di salute puo', mantenersi buono.
    Ove  poi  tale  soggetto  non  fosse  in  grado,  per  le  proprie
 condizioni  fisiche  o mentali, di svolgere l'attivita' lavorativa di
 competenza, l'amministrazione potrebbe  sempre  avvalersi  di  taluni
 rimedi  previsti  dall'ordinamento  (quali  l'utilizzazione  in altri
 compiti o, nei casi di assoluta inidoneita', la dispensa dal servizio
 per motivi di salute), per  modificare  o  fer  cessare  il  rapporto
 d'impiego.
    In base alle considerazioni che precedono, l'art. 53 del d.P.R. n.
 761/1979  e  l'art. 6, primo comma del d.-l.  n. 791/1981, convertito
 in legge n. 54/1982, nella parte in cui non consentono  al  personale
 del servizio sanitario nazionale, che al raggiungimento del limite di
 eta'  per  il  collocamento  a riposo non abbia compiuto il numero di
 anni richiesto per ottenere il minimo della pensione, di rimanere  in
 servizio,  su  richiesta,  fino  al  conseguimento di tale anzianita'
 minima e, comunque non oltre il settantesimo anno di  eta',  appaiono
 in contrasto con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 4 e
 38, secondo comma, della Costituzione.
    Circa la rilevanza della questione prospettata, va evidenziato che
 la  sorte  del  ricorso  e'  indissolubilmente  legata  all'esito del
 giudizio di costituzionalita'  dei  citati  art.  53  del  d.P.R.  n.
 761/1979,  ed  art. 6, primo comma del d.-l. n. 791/1981, dal momento
 che  la  domanda  della ricorrente puo' essere accolta solo in quanto
 risulti   fondata   la   sollevata    questione    di    legittimita'
 costituzionale.