ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 46 del  decreto
 del  Presidente  della Repubblica 28 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina
 dell'imposta di registro) promosso con ordinanza emessa il 23 ottobre
 1990 dalla Commissione  tributaria  Centrale,  sul  ricorso  proposto
 dall'"Organizzazione  Navobi  Italiana  S.p.A."  contro l'Ufficio del
 Registro di Suzzara iscritta al n. 103 del registro ordinanze 1992  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 10, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  3 giugno 1992 il Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza del 23 ottobre 1990 la  Commissione  tributaria
 centrale - nel giudizio avente ad oggetto l'istanza di rimborso della
 societa'  Organizzazione  Navobi Italiana S.p.A., diretta ad ottenere
 la restituzione di quanto asseritamente pagato in eccedenza a  titolo
 di  imposta per la registrazione di dieci atti di cessione di credito
 giacche' la base imponibile era stata  determinata  dall'Ufficio  sul
 valore  nominale  dei  crediti  (L. 1.366.167.116) anziche' sul minor
 importo  dell'effettivo  corrispettivo  della  cessione  (pari  a  L.
 4.900.000)  -  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.,
 questione incidentale di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  46
 d.P.R.  26  ottobre  1972  n.  634,  che  prevede  il criterio per la
 determinazione della base imponibile dell'imposta di registro in caso
 di cessione di crediti.
    La Commissione rimettente  rileva  che,  mentre  per  i  contratti
 traslativi  a titolo oneroso (tra cui anche le cessioni di contratto)
 la  base  imponibile  dell'imposta  di  registro  e'  costituita  dal
 corrispettivo  pattuito  (art.  41  d.P.R.  n.  634/72  cit.), per la
 cessione di crediti il valore imponibile e' rappresentato  "dal  loro
 importo, senza tener conto degli interessi non ancora maturati" (art.
 46); ne' per essi puo' farsi riferimento al valore venale dei crediti
 ceduti  atteso  che  tale criterio, richiamato dal successivo art. 48
 d.P.R. cit., riguarda atti che hanno ad oggetto beni e diritti  reali
 e non gia' crediti.
    Il   parametro,   accolto   dall'art.   46  cit.,  risulta  quindi
 disancorato da una reale  manifestazione  di  capacita'  contributiva
 (con  conseguente  sospetta  violazione  dell'art.  53 Cost.) perche'
 prescinde del tutto dal valore venale dei crediti  trasferiti,  quasi
 ponendo  una presunzione assoluta di corrispondenza di tale valore di
 scambio con il valore nominale dei  crediti  stessi  e  quindi  senza
 tener  conto  di  circostanze  che  possano  incidere  sul valore dei
 medesimi (quale la loro eventuale litigiosita' o, come  nel  caso  di
 specie,  la  ridotta  solvibilita'  del debitore in quanto dichiarato
 fallito).
    Sussiste  inoltre  -   secondo   la   Commissione   rimettente   -
 un'ingiustificata  disparita'  di  disciplina  (art.  3  Cost.) della
 cessione dei crediti rispetto a quella della cessione  di  contratto;
 per  quest'ultima infatti l'art. 41, primo comma, n. 4, d.P.R. 634/72
 cit.,  stabilisce  che la base imponibile dell'imposta di registro e'
 costituita dall'ammontare complessivo del corrispettivo pattuito  per
 la cessione o dal valore delle prestazioni ancora da eseguire.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
 concluso  per  l'inammissibilita' o la non fondatezza della questione
 sostenendo non  essere  desumibile  dall'art.  53  Cost.  un'esigenza
 costituzionale   di   assumere   sempre   come   base  imponibile  il
 corrispettivo dichiarato per la cessione, ed inoltre considerando che
 nel caso  della  cessione  di  crediti  solo  ex  post  e'  possibile
 verificare  l'effettivo  valore di realizzo del credito stesso. Ne' -
 ad avviso dell'Avvocatura - e' leso il principio di eguaglianza (art.
 3 Cost.) atteso che le fattispecie poste in comparazione (cessione di
 credito e cessione di contratto) non sono omogenee.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata  sollevata  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dell'art. 46
 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 (Disciplina dell'imposta  di  registro)
 nella  parte  in  cui  assoggetta  ad imposta di registro gli atti di
 cessione di crediti  considerando  come  valore  imponibile  il  loro
 importo, anziche' il corrispettivo della cessione.
    2.  -  La  definizione  di  base imponibile - nel regime anteriore
 all'entrata in vigore del testo unico delle disposizioni  concernenti
 l'imposta  di  registro (d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131) - e' contenuta
 in generale nell'art. 41 del d.P.R. n. 634 del 1972 (al quale occorre
 far riferimento  ratione  temporis  in  quanto  all'epoca  della  sua
 vigenza  sono  stati  registrati  gli atti di cessione dei crediti de
 quibus) e si articola (non gia' in  un  parametro  unitario,  ma)  in
 criteri  differenziati,  costituiti  essenzialmente dal corrispettivo
 pattuito o dal valore  del  bene  oggetto  dell'atto  assoggettato  a
 registrazione  (analogamente,  seppur  con  una formulazione in parte
 diversa, dispone attualmente l'art. 43 d.P.R. n. 131  del  1986).  Le
 norme  successive (artt. 42 e seg.) specificano la base imponibile in
 relazione a singole fattispecie; in particolare per la determinazione
 del valore  dei  crediti  occorre  far  riferimento  -  come  risulta
 dall'inequivocabile  tenore  letterale della norma e come esattamente
 ritiene la Commissione rimettente - all'art. 46 (di tenore analogo al
 corrispondente art. 49 d.P.R. n. 131 del 1986), che costituisce norma
 speciale  rispetto  ai  criteri  posti  dall'art.  41   (sulla   base
 imponibile) e dall'art. 48 (sul valore venale) del medesimo d.P.R. n.
 634 del 1972.
    Alla stregua di tale disposizione il valore imponibile dei crediti
 e' costituito dal loro importo, senza tener conto degli interessi non
 ancora  maturati;  esso quindi e' considerato pari al valore nominale
 del credito ceduto (peraltro analogamente a quanto previsto dall'art.
 24 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637 per  la  determinazione  della  base
 imponibile  dei  crediti  al  fine  dell'imposta  di  successione)  e
 rappresenta altresi' un criterio esclusivo perche' non  concorre  con
 alcun  altro;  in  particolare  non  concorre  con  il  criterio  del
 corrispettivo pattuito per la cessione, come viceversa disponeva,  in
 determinate ipotesi, il secondo comma dell'art. 52 d.P.R. n. 3269 del
 1923 (norma questa abrogata dall'art. 80 d.P.R. n. 634 del 1972).
    3.  -  Non  e'  fondata la questione di costituzionalita' sotto il
 profilo dell'art. 53 Cost.
    L'atto di cessione - non dissimilmente dal compimento di qualsiasi
 altro atto giuridico assoggettato a registrazione  -  costituisce  di
 per  se'  un  evidente  (e  in  realta'  non  contestato)  sintomo di
 capacita' contributiva in quanto "indice concretamente rivelatore  di
 ricchezza"  (sent.  n.  120  del  1972  e  sent. n. 62 del 1977), che
 giustifica,  sotto  il  profilo  della  legittimita'  costituzionale,
 l'imposizione in esame.
    Peraltro la censura del giudice rimettente riguarda essenzialmente
 il quantum (piuttosto che l' an) dell'imposizione, ritenuta eccedente
 l'effettiva   capacita'   contributiva   resa   manifesta   dall'atto
 registrato; eccedenza che nel caso di specie conseguirebbe  al  fatto
 che i crediti ceduti riguardavano imprese fallite e quindi avevano un
 valore intrinseco inferiore a quello nominale e pari al corrispettivo
 pattuito per la cessione.
    Ma  giova  ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte
 (sent. n. 62 del 1977 e n. 21 del 1975) non spetta al  giudice  delle
 leggi   "valutare   l'entita'   e   la   proporzionalita'  dell'onere
 tributario", salvo il controllo sotto il  profilo  dell'arbitrarieta'
 od irrazionalita' della misura dell'imposizione.
    Mette  conto allora rilevare che l'esclusivo riferimento al valore
 nominale del credito non puo' far  sospettare  che  in  tal  modo  si
 individui   una   base   imponibile  non  raccordata  alla  capacita'
 contributiva manifestata  con  l'atto  posto  in  essere,  e  percio'
 irragionevole  od arbitraria, in quanto la circostanza che il credito
 ceduto risulti in tutto  o  in  parte  insoddisfatto  rappresenta  un
 posterius  rispetto  al momento in cui avviene la cessione e quindi -
 costituendo uno specifico accadimento accertabile ex post - non offre
 un dato che abbia giuridica rilevanza al  fine  della  determinazione
 della base imponibile e rivesta tale univocita' di significato che la
 mancata  sua  considerazione da parte del legislatore possa ridondare
 in arbitrarieta' o irrazionalita' della misura  dell'imposizione.  E'
 al  momento della cessione del credito che si determina la variazione
 nel patrimonio (inteso come complesso dei  diritti)  dell'acquirente,
 variazione  che  e' pari al valore nominale del credito, perche' tale
 e'  l'oggetto  della  pretesa  azionabile;  mentre  e'  soltanto   un
 imperfetto   svolgimento   del   rapporto   obbligatorio  in  ragione
 dell'inadempimento del debitore  ad  alterare  l'effettivo  contenuto
 patrimoniale dell'atto giuridico posto in essere.
    L'inadempimento  del  debitore  e' quindi circostanza contingente,
 valutabile caso per caso, che non necessariamente  deve  rifluire  ex
 ante   (quale   possibilita'   o   probabilita'  d'insolvenza)  sulla
 determinazione  della  base  imponibile  dell'imposta;  viceversa  il
 valore nominale del credito rappresenta un criterio (generalizzato ed
 uniforme)  che  esprime  l'entita'  della variazione patrimoniale nel
 momento in cui questa consegue all'atto registrato ed e' pertanto im-
 mune da vizi di ragionevolezza (criteri non dissimili da questo hanno
 peraltro superato il vaglio  di  legittimita'  di  questa  Corte;  in
 particolare  e'  stata  ritenuta  l'idoneita'  del  reddito catastale
 rivalutato  a  costituire  un  "indice  effettivo   e   concreto   di
 rilevamento della capacita' contributiva": sent. 586 del 1987).
    In  linea  piu'  generale mette conto, d'altra parte, rilevare che
 nel caso di atti aventi ad oggetto  beni  immobili  o  diritti  reali
 immobiliari si ha che, ove il corrispettivo pattuito sia inferiore al
 valore  venale  del  bene  oggetto  dell'atto (evenienza possibile in
 ragione  di circostanze contingenti e riferibili al caso singolo, non
 dissimilmente dalla valutazione  prognostica  dell'inadempimento  del
 debitore nella cessione di crediti), la base imponibile e' costituita
 non  di  meno  da  tale  valore (cosi' l'art. 41, primo comma, n. 1),
 d.P.R. 634 del 1972 e, analogamente, l'art. 43,  primo  comma,  lett.
 a),  che  fa  riferimento  al  "valore" tout court), senza che rilevi
 quindi il minore corrispettivo pagato. E ancora, piu' in particolare,
 la solvibilita' del debitore non rileva al fine della  determinazione
 della  base  imponibile  degli  atti  con  i  quali viene prestata la
 garanzia personale o reale (base imponibile che e' costituita  sempre
 ed unicamente dalla somma garantita).
    Pertanto  non  e' affatto arbitrario, ne' irrazionale, il criterio
 adottato dal legislatore per determinare il  valore  dei  crediti  al
 fine dell'imposta di registro.
    4.  Ne'  e'  fondata  la  questione  di costituzionalita' sotto il
 profilo dell'art. 3 Cost.
    La disciplina della base  imponibile  nel  caso  di  cessione  del
 contratto  (art.  41  n.  4,  cit.) vede, si', il criterio del valore
 concorrere con quello del corrispettivo  pattuito  (alternativamente,
 nel  regime  del  d.P.R.  n. 634 del 1972; cumulativamente in quello,
 mutato in parte qua, del d.P.R. n. 131 del 1986), ma si tratta di  un
 diverso  atto  giuridico,  assoggettato  ad  una  diversa  disciplina
 sostanziale (artt. 1406 e seg. e non gia' artt. 1260  e  seg.  c.c.),
 che   implica  un  complesso  di  rapporti  trilaterali  ed  un'ampia
 tipologia di possibili prestazioni e controprestazioni. Esso pertanto
 non puo' essere utilmente allegato quale tertium comparationis.
    D'altra parte  quando  anche  si  considerasse  la  piu'  limitata
 fattispecie di una cessione di contratto in cui la prestazione ancora
 da  eseguire  fosse costituita proprio dall'adempimento di un debito,
 non gioverebbe - al fine della verifica della  denunciata  disparita'
 di  trattamento  - la maggiore assimilabilita' alla fattispecie della
 cessione  di  credito,  perche'  anche  riguardo  alla   prima   (non
 diversamente  dalla  seconda),  troverebbe  applicazione  il disposto
 dell'art. 46 cit. che, al fine dell'imposta  di  registro,  fissa  il
 valore  dei  crediti in generale e non gia' con esclusivo riferimento
 alla sola ipotesi della cessione degli stessi.