ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 1, secondo
 comma e  16,  della  legge  17  febbraio  1992,  n.  179  (Norme  per
 l'edilizia residenziale pubblica), promossi con ricorsi delle Regioni
 Toscana,  Umbria, Emilia-Romagna e Veneto, notificati rispettivamente
 il  27  ed  il  30  marzo 1992, depositati in cancelleria il 1› e l'8
 aprile successivo ed iscritti ai nn. 33, 34, 39  e  40  del  registro
 ricorsi 1992;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi gli  avvocati  Alberto  Predieri  per  la  Regione  Toscana,
 Alberto   Predieri   e   Maurizio  Pedetta  per  la  Regione  Umbria,
 Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Mario Bertolissi e
 Luigi Manzi per la Regione Veneto e  l'Avvocato  dello  Stato  Franco
 Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con due ricorsi d'identico contenuto, notificati il 27 marzo
 1992, la Regione Umbria e la Regione Toscana hanno proposto,  in  via
 principale,  questioni  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 16
 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, in riferimento  agli  artt.  3,
 115, 117, 118 e 128 Cost.
    Nei  ricorsi  si premette che la legge n. 179 del 1992 (intitolata
 "Norme  per  l'edilizia  residenziale  pubblica"),   ha   configurato
 nell'art.  16  un nuovo strumento di governo territoriale, denominato
 "programma integrato d'intervento", la cui formazione e' promossa dai
 comuni al fine di "riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio  ed
 ambientale".  Tale  figura  o  schema  di intervento e' approvato dal
 Consiglio  comunale  ed  e'  caratterizzato  da  una  pluralita'   di
 funzioni,  dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi
 comprese le opere  di  urbanizzazione,  in  una  dimensione  tale  da
 incidere  sulla  riorganizzazione urbana, e dal possibile concorso di
 piu' operatori e  risorse  finanziarie,  pubblici  e  privati  (comma
 primo).  Proposte di programmi di interventi integrati possono essere
 presentate da soggetti pubblici e privati, relativamente "a  zone  in
 tutto  o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione
 al fine della  loro  riqualificazione  urbana  e  ambientale"  (comma
 secondo).  Ove  il  programma  sia  in  contrasto  con  gli strumenti
 urbanistici previgenti, e' prevista la presentazione di  osservazioni
 da  parte  di  associazioni,  di  cittadini  o di enti, da inviare al
 comune entro  quindici  giorni  dall'esposizione  nell'albo  e  dalla
 pubblicazione  sul  giornale  locale.  Programma  e osservazioni sono
 trasmessi alla regione entro dieci giorni e nei centocinquanta giorni
 successivi  la  regione  provvede  ad  approvare  il  programma  o  a
 richiedere   modifiche:   in   mancanza  di  qualsiasi  provvedimento
 regionale nel detto termine il programma si intende approvato  (comma
 quarto).
    Le  regioni  ricorrenti  osservano che la legge prevede, nei primi
 due commi dell'art. 16, un nuovo  tipo  di  intervento  territoriale,
 gia'  in  se'  lesivo  dell'autonomia normativa regionale; inoltre la
 legge  stessa  disciplina  assai  minuziosamente  l'anzidetta   nuova
 figura,  determinandone non solo l'oggetto e la finalita', i soggetti
 promotori  e  l'efficacia,  ma  definendo,  altresi',  in   tutti   i
 particolari,  il procedimento di formazione, nel quale e' indicata la
 posizione reciproca del comune e della regione, stabilendo i  termini
 e le modalita' di formazione e approvazione, fino alla previsione del
 silenzio-assenso in caso d'inerzia regionale.
    Alle regioni e' demandato - insieme con l'approvazione dei piani o
 la  richiesta  di modifiche - unicamente di concedere i finanziamenti
 inerenti al settore dell'edilizia residenziale  ad  esse  attribuiti,
 con  priorita'  a  quei  comuni  che  provvedono  alla formazione dei
 suddetti programmi, nonche' di destinare parte delle somme  derivanti
 dagli   stanziamenti   della  legge  alla  formazione  dei  programmi
 integrati.
    Cosi' disponendo, secondo le regioni  ricorrenti,  l'art.  16  non
 concreta  una disciplina inerente all'edilizia residenziale pubblica,
 ma  attiene  alla  materia  urbanistica,  riservata  alla  competenza
 legislativa regionale, ai sensi del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
    Rientra   infatti   nella   potesta'   legislativa   regionale  la
 determinazione delle procedure e  della  programmazione  urbanistica,
 con  riferimento  all'intero  territorio  (e  non solo agli aggregati
 urbani) ed alla localizzazione degl'insediamenti di ogni  genere  con
 le relative infrastrutture.
    Allo  Stato  resta  la  competenza  ad  emanare  soltanto norme di
 principio;  cosicche'  l'art.  16,  contenendo   una   normativa   di
 dettaglio, lederebbe le competenze regionali in materia urbanistica.
    Secondo  le  regioni  ricorrenti,  lesione  all'autonomia  ed alla
 potesta' legislativa regionale e' determinata  inoltre  dall'art.  16
 anche in riferimento alle competenze regionali in materia di edilizia
 residenziale  pubblica,  nella  quale  lo Stato puo' emanare soltanto
 normativa di principio e non puo' quindi introdurre,  come  ha  fatto
 con  l'art.  16  della  legge  n.  179 del 1992, "programmi integrati
 d'intervento", disciplinandone  dettagliatamente  gli  effetti  e  la
 procedura,  con  un  ulteriore  elemento  d'irrazionalita', derivante
 dalla rottura dell'attribuzione integrale della materia alla regione.
    Si rileva, poi, che la previsione e la disciplina posta  dall'art.
 16  della legge n. 179 del 1992 dei programmi integrati di intervento
 formulati e gestiti dai comuni, viene ad incidere  anche  sull'ordine
 delle funzioni e delle competenze degli enti locali quale e' definito
 dalla  legge  8  giugno  1990,  n.  142  sul  nuovo ordinamento delle
 autonomie locali.
    In particolare, la possibilita' che la nuova figura  di  programmi
 integrati determini varianti di qualsiasi previsione urbanistica, sia
 comunale,  che  provinciale  o regionale, scardinerebbe il sistema di
 relazioni posto dalla legge n. 142 del 1990, violando  le  competenze
 regionali e comunali.
    2.  -  Dinanzi  a  questa Corte si e' costituito il Presidente del
 Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello
 Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
    Nell'atto di costituzione si sostiene che i  "programmi  integrati
 d'intervento"  sono  piani  di  zona  aventi  valore  di  concessione
 edilizia per le costruzioni ad essi inerenti, di  portata  innovativa
 ridotta,  in quanto risultati analoghi potevano gia' essere raggiunti
 con strumenti urbanistici previgenti (si citano al riguardo  i  piani
 previsti  dall'art.  27  e  segg.  della legge 5 agosto 1978, n. 457;
 quelli di cui all'art. 4 del d.-l. 23 gennaio 1982, n. 9, conv. nella
 legge 25 marzo 1982, n. 94 e all'art. 35 della legge 22 ottobre 1971,
 n. 865).
    Passando all'esame delle singole censure  contenute  nei  ricorsi,
 l'Avvocatura  dello  Stato  osserva  nell'atto di costituzione che il
 silenzio-assenso e' un istituto di carattere generale, legittimamente
 utilizzato nel caso  di  specie  dal  legislatore  statale  a  tutela
 dell'autonomia  comunale.  Quanto  alla  derogabilita'  da  parte dei
 programmi in  questione  dei  previgenti  strumenti  urbanistici,  si
 tratta di una caratteristica tipica dei piani di zona.
    Per  quel  che  riguarda  poi,  l'emanazione  di  una normativa di
 dettaglio, l'Avvocatura osserva che il carattere di  dettaglio  o  di
 principio  di norme statali "rileva unicamente al fine di valutare la
 possibilita' del legislatore regionale di sovrapporre proprie norme a
 quelle statali e non al fine della invalidazione di  queste  ultime".
 Ne',  d'altro  canto,  la legge 8 giugno 1990, n. 142 avrebbe escluso
 che nelle materie di competenza  regionale  la  legge  statale  possa
 attribuire  direttamente  ai  comuni  determinate  funzioni  ai sensi
 dell'art. 118, primo comma, Cost.
    3. - Analogo ricorso ha  proposto  la  Regione  Veneto,  con  atto
 notificato  il  30  marzo  1992,  con  il  quale  si  deduce del pari
 l'illegittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 117 e  128
 Cost., dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179.
    Nel  ricorso  si  rileva  e si contesta, l'illegittimita' di detto
 articolo  che,  prevedendo   e   disciplinando   dettagliatamente   i
 "programmi  integrati  d'intervento",  stabilendone  le finalita', il
 contenuto, gli effetti e la procedura, viola le  competenze  legisla-
 tive  in  materia di edilizia residenziale pubblica e di urbanistica,
 attribuite alle regioni dall'art. 117 Cost. e dal d.P.R.  n. 616  del
 1977,  con  riferimento,  al  riguardo, anche alla legge n.   142 del
 1990.
    Si insiste, altresi', sull'assenza  di  esigenze  di  salvaguardia
 degl'interessi  nazionali  o  d'interessi unitari e indivisibili, che
 possano giustificare la disciplina dettata dall'art. 16 pur attenendo
 la norma a materie di competenza regionale.
    Anche nel giudizio cosi'  promosso,  dinanzi  a  questa  Corte  e'
 intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio
 dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che  il  ricorso  sia
 dichiarato  non  fondato,  con  osservazioni  e rilievi in gran parte
 conformi a quelli esposti in relazione ai ricorsi gia' indicati.
    4. - Con ricorso 30  marzo  1992  la  Regione  Emilia  Romagna  ha
 impugnato,  a  sua  volta, l'art. 1, comma secondo, e l'art. 16 della
 legge n. 179 del 1992, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117 Cost.
    Nel ricorso si lamenta che con detto art.  16  il  legislatore  ha
 alterato  radicalmente il quadro dei principi fondamentali in materia
 di pianificazione urbanistica.
    Secondo la regione, tale normativa contrasterebbe innanzitutto con
 l'art. 3 Cost., avendo irrazionalmente sovvertito tutti  i  princi'pi
 della  materia;  sarebbe parimenti violato l'art. 97 Cost., in quanto
 la disciplina ha eliminato ogni verifica  tecnica  sui  programmi  in
 questione,  demandandone  la  formulazione e l'approvazione ad organi
 politici,  "palesemente  inidonei  a   compiere   quelle   imparziali
 verifiche  tecnico-amministrative  di  cui  la  fase  attuativa della
 pianificazione abbisogna".
    Il suddetto art. 16, inoltre, secondo la regione, avrebbe  violato
 anche l'art. 117 Cost., attenendo a materia demandata alla competenza
 legislativa  regionale,  nella  quale  lo Stato puo' emanare soltanto
 norme di principio.
    Un   particolare  profilo  d'illegittimita',  poi,  viene  dedotto
 riguardo  all'equiparazione  tra   approvazione   del   programma   e
 concessione  edilizia,  non  essendo fatta salva la "necessita' degli
 speciali nulla osta e autorizzazioni che la legislazione  vigente,  a
 tutela  di valori costituzionali, prevede come necessari, affidandoli
 ad autorita' dotate di particolare competenza tecnica,  quali  quelle
 preposte  alla tutela dei valori architettonici, artistici, storici e
 paesistici". La suddetta  equiparazione  lederebbe  l'art.  9,  comma
 secondo, Cost.
    Illegittime  sarebbero,  infine, anche le disposizioni finanziarie
 dettate nei commi 7 e 9  dell'art.  16,  nonche'  nel  comma  secondo
 dell'art.  1  della  legge  n.  179 del 1992, essendo esse viziate da
 incongruita'  e  incoerenza,  in  quanto   i   "programmi   integrati
 d'intervento"   sarebbero   sostanzialmente   estranei  alla  materia
 dell'edilizia    residenziale    pubblica,    cosicche'    non     si
 giustificherebbe l'imposizione alle regioni di destinare ai programmi
 integrati  parte dei finanziamenti assegnati a tale edilizia (art. 1,
 comma secondo), ne'  la  priorita'  nell'assegnazione  dei  fondi  ai
 comuni  (art. 16, comma settimo), ne' l'intervento contributivo dello
 Stato (art. 16, comma nono).
    Anche in tale giudizio, dinanzi a questa Corte  e'  intervento  il
 Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  chiedendo  che il ricorso sia dichiarato non
 fondato e respinto, con  argomentazioni  in  gran  parte  analoghe  a
 quelle  gia'  esposte. In particolare rileva la inidoneita' dei piani
 integrati d'intervento  di  disattendere  piani  paesistici  o  piani
 territoriali  (con  o  senza valenza paesistica), o piani settoriali,
 ovvero di escludere la necessita' dei procedimenti previsti da  altre
 leggi a tutela dei beni culturali e ambientali.
    Osserva,  infine,  che  la  doglianza  relativa  all'art. 1, comma
 secondo, deve essere frutto di un errore, avendo l'articolo  un  solo
 comma.  Essa  va  riferita, infatti, all'art. 2, comma secondo: su di
 essa e su quelle relative ai commi 7 e 9 dell'art.  16,  l'Avvocatura
 si e' riservata di argomentare in una successiva memoria.
    5.  -  Successivamente  le  regioni  ricorrenti  hanno  depositato
 memorie, insistendo nelle rispettive  conclusioni  e  contestando  le
 argomentazioni dell'Avvocatura generale dello Stato.
    In particolare le Regioni Umbria e Toscana sottolineano la lesione
 della riserva di legge regionale stabilita dall'art. 3 della legge n.
 142  del 1990 ed evidenziano che la stessa Avvocatura dello Stato da'
 atto che l'art. 16 della legge n. 179 del 1992  riguarda  materia  di
 competenza regionale e contiene norme di dettaglio.
    Ferma restando ogni riserva sulla loro legittimita', dette regioni
 non  si  oppongono  all'interpretazione  dei  commi  terzo  e  quarto
 dell'art. 16 nel senso che le norme ivi contenute abbiano  un  valore
 meramente  suppletivo e siano destinate, percio', ad operare solo fin
 quando le regioni non abbiano emanato proprie norme in argomento.
    La Regione Emilia-Romagna,  a  sua  volta  insiste  sul  carattere
 innovativo  della normativa impugnata, che - fra l'altro - elimina la
 differenziazione tra il momento della pianificazione urbanistica e il
 momento della sua  attuazione.  Deduce  che  "i  programmi  integrati
 configurano  macroscopiche  convenzioni  di lottizzazione, liberate a
 monte dal freno della pianificazione generale, a valle del  controllo
 sulla  concreta  edificazione costituito dalla concessione edilizia",
 nonche' dalla valutazione degli organi tecnici operanti in materia.
    Quanto  alla possibilita' d'interpretare l'art. 16 nel senso che i
 programmi integrati d'intervento debbano  rispettare  i  preesistenti
 strumenti   urbanistici   ed   essere   accompagnati   dalle  normali
 autorizzazioni attinenti alla tutela dei beni culturali e ambientali,
 nonche' alla sicurezza e alla sanita', la regione la contesta, tenuto
 conto  dell'espressa  statuizione  (art.   16,   comma   quarto)   di
 derogabilita'  delle  previsioni  urbanistiche  e  la mancanza, nella
 procedura, di ogni accenno alle suddette autorizzazioni.
    La Regione Veneto,  infine,  insiste  sull'invasione  della  sfera
 riservata  alla competenza regionale, in carenza di interessi unitari
 che la possano giustificare.
                        Considerato in diritto
    1. - I ricorsi proposti investono questioni analoghe  o  connesse;
 essi vanno riuniti e decisi con un'unica sentenza.
    2.  - Le questioni di costituzionalita' sollevate consistono nello
 stabilire se l'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 - preved-
 endo e  disciplinando  un  nuovo  strumento  urbanistico,  denominato
 "programma   integrato   d'intervento"   (avente   la   finalita'  di
 riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale), in  se
 stesso  considerato  e  nella  relativa  disciplina operativa, con la
 previsione della procedura di promozione, approvazione ed efficacia -
 contrasti:
       a) con gli artt. 115, 117 e  118  Cost.,  in  quanto  rientrano
 nella  competenza legislativa regionale tanto la determinazione delle
 procedure  e  della  programmazione  urbanistica,   con   riferimento
 all'intero      territorio     regionale,     alla     localizzazione
 degl'insediamenti e alle relative infrastrutture, quanto  la  materia
 dell'edilizia  residenziale  pubblica,  potendo  lo  Stato emanare al
 riguardo solo norme di principio (questione  proposta  dalle  Regioni
 Umbria, Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna);
       b)  con  gli  artt.  3,  115,  117, 118 e 128 Cost., poiche' la
 disciplina da parte dell'art. 16 della legge  n.  179  del  1992  dei
 programmi  integrati  di  intervento, formulati e gestiti dai comuni,
 viene ad incidere sull'ordine delle funzioni e delle competenze degli
 enti locali, quale e' definito dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, che
 e' legge di principio e non puo' essere  derogata  "se  non  mediante
 espressa modificazione delle sue disposizioni", mentre l'art. 16 l'ha
 derogata   implicitamente,   prevedendo  la  possibilita'  che  detti
 programmi  costituiscano  variante   di   qualsiasi   previsione   di
 strumentazione   urbanistica,   sia   comunale,   che  provinciale  o
 regionale, violando le competenze regionali e comunali  e  disponendo
 irragionevolmente  che  la  regione possa richiedere modificazioni al
 programma sottopostole, senza che sia contestualmente  previsto  come
 debba  essere  risolto il conflitto col proponente in caso di mancato
 accoglimento della richiesta (ricorsi delle Regioni Umbria, Toscana e
 Veneto);
       c) con l'art. 3 Cost., avendo derogato ai principi fondamentali
 in materia di programmazione urbanistica, consentendo  una  procedura
 semplificata  e  meno  garantista  proprio in relazione ad interventi
 che, per la loro  complessita',  richiedevano  maggiori  garanzie,  a
 fronte  degl'interessi  economici  coinvolti  (ricorso  della Regione
 Emilia-Romagna);
       d) con l'art. 97 Cost., in quanto la disciplina da esso dettata
 ha  eliminato  ogni  verifica  tecnica  sui  programmi  in questione,
 demandandone la formulazione e  l'approvazione  ad  organi  politici,
 inidonei    a   compiere   quelle   imparziali   verifiche   tecnico-
 amministrative necessarie nella fase attuativa  della  pianificazione
 (ricorso della Regione Emilia- Romagna);
       e)  con  l'art.  9, secondo comma, Cost., in quanto deroga alle
 norme che impongono speciali nulla osta ed  autorizzazioni  a  tutela
 dei valori architettonici, artistici e paesistici coinvolti dal piano
 (ricorso della Regione Emilia-Romagna).
    La   Regione   Emilia-Romagna   ha  proposto  anche  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma,  della  legge
 17  febbraio  1992,  n. 179 e, specificamente, dei commi sette e nove
 dell'art. 16, in riferimento all'art. 3  Cost.,  deducendo  che  essi
 contengono  disposizioni  finanziarie  viziate  da irrazionalita', in
 quanto i "programmi integrati d'intervento" sarebbero sostanzialmente
 estranei alla materia dell'edilizia residenziale pubblica,  cosicche'
 non  si  giustifica  l'imposizione,  ivi  prevista,  alle  regioni di
 destinare parte dei finanziamenti assegnati all'edilizia residenziale
 pubblica ai programmi integrati, ne' la  priorita'  nell'assegnazione
 dei fondi ai comuni, ne' l'intervento contributivo dello Stato.
    L'impugnativa  dell'art. 1, secondo comma, della legge 17 febbraio
 1992, n. 179 - come si evince dal contesto del ricorso -  in  effetti
 va riferita all'art. 2, comma secondo, della legge in esame.
    3.  - Va premesso che la legge 17 febbraio 1992, n. 179, nell'art.
 16 configura  un  nuovo  strumento  di  programmazione  territoriale,
 denominato  programma  integrato  di  intervento. La normativa che lo
 concerne  ha  carattere  provvisorio  (art.  1  della   legge)   fino
 all'entrata in vigore della nuova disciplina dell'intervento pubblico
 nell'edilizia residenziale.
    Il  primo comma dell'anzidetto art. 16 stabilisce che, "al fine di
 riqualificare il  tessuto  urbanistico,  edilizio  ed  ambientale,  i
 comuni  promuovono la formazione di programmi integrati. Il programma
 integrato e' caratterizzato dalla presenza di pluralita' di funzioni,
 dalla integrazione di diverse tipologie di intervento,  ivi  comprese
 le  opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla
 riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di piu' operatori  e
 risorse finanziarie pubblici e privati". Il secondo comma dispone che
 "soggetti  pubblici e privati, singolarmente o riuniti in consorzio o
 associati  fra  di  loro,  possono  presentare  al  comune  programmi
 integrati  relativi  a  zone  in  tutto  o  in  parte  edificate o da
 destinare  anche  a   nuova   edificazione   al   fine   della   loro
 riqualificazione urbana ed ambientale".
    Del  nuovo strumento non sono determinati gli obiettivi specifici,
 che ne consentano  la  collocazione  qualificata  nel  sistema  degli
 interventi    sul    territorio   e   cio'   anche   in   conseguenza
 dell'unificazione  in  un  unico  disegno   di   legge   governativo,
 concernente  i  programmi integrati, di diverse proposte parlamentari
 di legge, non ispirate ad un concetto unitario e ad  una  valutazione
 omogenea   della  funzione  del  nuovo  strumento  nel  quadro  della
 disciplina "urbanistica, edilizia ed ambientale".
    Si coglie, invero nell'anzidetto schema programmatico l'obbiettivo
 plurifunzionale,   riconducibile   alle   ora   enunciate   categorie
 (urbanistica, edilizia e ambientale), anche se non appaiono del tutto
 precisi i limiti di operativita' e di coordinamento con gli strumenti
 tipici di disciplina di settore, soprattutto in relazione ai piani di
 coordinamento  e  a  quelli  paesistici,  nonche' ai piani regolatori
 generali.
    Siffatta incertezza non sembra peraltro riflettersi in  modo  tale
 sulle  competenze  regionali,  da  dar  fondamento  alle questioni di
 legittimita' costituzionale dei primi due commi  dell'art.  16  della
 legge n. 179 del 1992, sollevate in riferimento agli artt. 115, 117 e
 118 Cost.
    E' da rilevare subito che le ora dette censure si riferiscono allo
 schema  di  programma  integrato come tipo in se', prescindendo cioe'
 dagli effetti concreti che esso  e'  destinato  ad  esplicare  e  che
 formano  oggetto  di apposite impugnative. Tale ambito e' chiaramente
 delimitato nei ricorsi dal riferimento al primo e secondo comma della
 legge n. 179, il cui contenuto si  e'  gia'  indicato.  Detti  commi,
 concernendo  gli  scopi, le caratteristiche ed i soggetti legittimati
 alla formazione dei  nuovi  programmi  di  intervento,  non  invadono
 settori  di  competenza  regionale,  dato  che  regolano  materie che
 appartengono alla competenza dello Stato.
    Spetta, invero, a  quest'ultimo  la  determinazione  del  tipo  di
 intervento  programmatico  destinato  ad  operare  su  tutto  il  suo
 territorio e diretto a fissare le linee  essenziali  e  gli  elementi
 caratteristici  di  una  nuova  figura.  Si  tratta  di  normativa di
 principio,  che  non  puo'  trovare  ostacolo   nella   potesta'   di
 programmazione  territoriale attribuita alle Regioni, in quanto fissa
 schemi e modelli, che consentono a detta potesta'  di  esplicarsi  in
 modo unitario ed omogeneo.
   L'art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 e' chiaro in tal senso, quando
 nella  lett. a) attribuisce allo Stato, nell'esercizio della funzione
 di  indirizzo  e  di  coordinamento,  l'identificazione  delle  linee
 fondamentali  dell'assetto  del territorio nazionale, con particolare
 riferimento  all'articolazione  territoriale  degli   interventi   di
 interesse statale, alla tutela ambientale ed ecologica del territorio
 ed alla difesa del suolo.
    Per  queste  ragioni si supera anche il profilo della censura, che
 ravvisa la violazione delle  competenze  regionali,  collegandola  al
 combinato  disposto  degli  artt. 3 e 15 della legge n. 142 del 1990,
 che attribuisce alla regione, con il concorso degli enti locali dalla
 legge stessa indicati (provincia e comune), la  determinazione  degli
 obiettivi   generali   della   programmazione   economico-sociale   e
 territoriale, nonche' la disciplina dell'approvazione e del  concorso
 dei  comuni  alla  formazione  dei  programmi pluriennali e dei piani
 territoriali di coordinamento.
    Questa Corte (sent. 15 luglio 1991, n. 343) ha  chiarito  l'ambito
 della   competenza   regionale   nel   quadro   della  programmazione
 territoriale, come regolata dalla legge n. 142 del 1990 e i limiti di
 incidenza su essa delle  competenze  dei  diversi  soggetti  pubblici
 territoriali stabilite dalla legge stessa.
    Pare   qui   opportuno   rilevare   che   la  Corte  ha  affermato
 l'appartenenza alle regioni del potere di individuare, nelle  materie
 ad  esse  attribuite,  il carattere unitario nei rispettivi territori
 delle  relative  funzioni  e  l'ambito   di   incidenza   del   piano
 territoriale   di  coordinamento  provinciale  condizionato  da  tale
 preventiva individuazione, ma non ha toccato il tema della competenza
 statale  nella determinazione di schemi o tipi uniformi di intervento
 sul territorio, rispetto ai  quali  valgono  le  considerazioni  gia'
 svolte;  da  esse  discende il riconoscimento allo Stato dei relativi
 poteri normativi.
    4. - Quanto alle altre censure di legittimita' proposte sempre nei
 confronti del primo e secondo comma dell'art. 16 della legge n.  179,
 in   riferimento  agli  artt.  3,  9,  97  e  128  Cost.,  si  rileva
 innanzitutto che, nei giudizi d'impugnazione di leggi statali in  via
 principale,  le  regioni,  pur  potendo dedurre unicamente la lesione
 delle proprie competenze legislative  stabilite  dalla  Costituzione,
 sono  legittimate  ad invocare, a tal fine, anche precetti diversi da
 quelli contenuti nel titolo  quinto  della  Costituzione  purche'  ne
 colleghino  la  violazione  -  come  avviene  nel  caso  di  specie -
 all'incidenza sull'autonomia regionale  (cfr.  sentenze  n.  343  del
 1991; n. 407 del 1989; n. 961 del 1988).
    Le censure non sono, peraltro, fondate.
    L'impugnativa,  anche  in  questa  parte,  ha sempre ad oggetto la
 norma  che  prevede  il  nuovo  tipo  di   intervento   territoriale,
 denominato  "programma  integrato",  prescindendo  dalla  valutazione
 della sua azione e dei suoi effetti. Non e' dato  riscontrare,  nella
 detta  configurazione  dello  schema  dell'intervento, irrazionalita'
 censurabili in base all'art. 3 Cost. o elementi in contrasto  con  il
 principio  del buon andamento della p.a. ovvero con la disciplina dei
 rapporti tra regioni  ed  enti  locali  minori,  ne'  infine  con  le
 esigenze della tutela del paesaggio.
    La   normativa   censurata   ha   invero,  carattere  ricognitivo-
 descrittivo dello strumento, per quanto riguarda il suo oggetto, e fa
 riferimento astratto ai soggetti pubblici e privati  che  vi  possono
 partecipare,   senza   delineare   alcuna  azione  concreta  ad  essi
 riferibile, con mancanza di interferenza sull'ambito regionale.    E'
 da  segnalare  inoltre  la  funzione  di  coordinamento,  che e' nota
 qualificante della nuova figura programmatica, funzione che,  in  se'
 considerata, non e', per se stessa, lesiva.
    Anche  in  riferimento  ai  parametri ora indicati sono quindi non
 fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionali  del  primo  e
 secondo comma dell'art. 16.
    5. - Fondate sono, invece, le censure che hanno ad oggetto i commi
 terzo,  quarto,  quinto,  sesto  dell'art. 16 con riguardo agli artt.
 115, 117, 118, 3 e 97 della Costituzione.
    Si tratta di normativa delle operazioni concrete  o  di  carattere
 finanziario  che,  dopo  la  configurazione-descrizione  del  tipo di
 strumento, compiuta nei primi tre commi dello stesso art. 16,  regola
 il programma integrato nell'azione e negli effetti.
    Si  dispone che tale programma e' approvato dal consiglio comunale
 e l'approvazione ha "gli effetti dell'art. 4 della legge  28  gennaio
 1977, n. 10".
    Qualora  il  programma  sia  in  contrasto con le previsioni degli
 strumenti urbanistici, la delibera di approvazione e'  soggetta  alle
 osservazioni  da  parte  di  associazioni, di cittadini e di enti, da
 inviare  al  comune  entro  quindici  giorni  dalla  data  della  sua
 esposizione   all'albo   pretorio.  Il  programma,  con  le  relative
 osservazioni,  e'  trasmesso  alla  regione  entro  dieci  giorni   e
 quest'ultima  deve  provvedere  alla approvazione o alla richiesta di
 modifiche entro i  successivi  centocinquanta  giorni,  "trascorsi  i
 quali  si  intende  approvato"  (comma  quarto).  Il  programma  puo'
 derogare alle disposizioni planovolumetriche previgenti in  relazione
 ai  singoli edifici, purche' non sia superata la densita' complessiva
 preesistente dell'intero ambito territoriale (comma  quinto)  e  puo'
 essere  realizzato anche al di fuori della programmazione urbanistica
 pluriennale prevista dall'art. 13 della legge n. 10 del  1977  (comma
 sesto).
    La disciplina ora esposta determina gli effetti sostanziali, oltre
 che   il  meccanismo  di  formazione  del  programma  integrato,  con
 particolare  riferimento  al  potere  di  deroga  alla   legislazione
 urbanistica  vigente. Sotto questo aspetto e' evidente l'incidenza di
 essa sulla potesta' legislativa (art.  117,  primo  comma,  Cost.)  e
 sulle  attribuzioni  amministrative  (art.  118,  primo comma, Cost.)
 delle Regioni, con violazione dell'autonomia garantita dall'art.  115
 Cost.
    In  base  al terzo e quarto comma dell'art. 16 della legge n. 179,
 il programma integrato opera come strumento di governo delle materie,
 alle quali si riferisce, a regime normativo privilegiato e con potere
 di deroga agli strumenti urbanistici in vigore,  in  base  alla  sola
 approvazione  del  consiglio  comunale, resa particolarmente incisiva
 dall'operativita' della regola del silenzio-assenso  da  parte  della
 regione (quarto comma).
    Detti  programmi  sono  dotati,  poi,  di  particolare energia per
 quanto  attiene  alla  fase   procedimentale   del   rilascio   delle
 concessioni  edilizie,  per effetto della soppressione della verifica
 della conformita' del progetto concreto alle  previsioni  del  piano.
 Esemplare  al riguardo e' il terzo comma dell'art. 16 che attribuisce
 ai programmi integrati "gli effetti di cui all'art. 4 della legge  28
 gennaio 1977, n. 10".
    Si  determina  cosi'  una grave deroga al principio di distinzione
 tra  programmazione  territoriale,  come  diretta   a   regolare   la
 destinazione  e l'uso del territorio, e legittimazione all'esecuzione
 dell'opera,  conferita  al  soggetto  interessato  con  il   rilascio
 dell'atto    amministrativo    senza   il   controllo   di   coerenza
 dell'intervento specifico con gli indirizzi programmatici,  controllo
 particolarmente  necessario, per l'osservanza, che esso consente, del
 precetto dell'art. 4, comma primo, della stessa legge n. 10 del 1977,
 secondo  il  quale  la  concessione  e'  data  in  conformita'   alle
 previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi.
    L'unificazione  di  momenti  diversificati sulla base di una lunga
 tradizione della legislazione urbanistica, realizzata  nel  programma
 integrato  si riflette sulla determinazione e sul funzionamento della
 licenza edilizia, che viene a configurarsi come  elemento  automatico
 della  previsione  programmatica;  si priva, cosi', l'atto concessivo
 della  necessaria  autonomia,  che  e'  la  base  necessaria  per  la
 ponderazione  degli  interessi  coinvolti  e  per l'adeguamento della
 concessione alle esigenze del programma stesso.
    Quanto  all'interpretazione  differenziata  data  al  comma  terzo
 dell'art. 16 dalla Regione Emilia-Romagna, secondo la quale la regola
 del  silenzio-assenso  farebbe riferimento non gia' al rilascio della
 licenza edilizia, ma alla procedura  di  approvazione  dei  programmi
 integrati,  resa  particolarmente incisiva per il funzionamento della
 regola stessa, e' da rilevare  che,  pur  essendo  configurabili  nei
 confronti  della  regione  comportamenti  che  rendono  operante tale
 principio  (e  il  quarto  comma  dell'art. 16 ne rende significativo
 esempio), nella fattispecie prevista dal  terzo  comma  dell'articolo
 cit., il riferimento all'art. 4 legge n. 10 del 1977 sembra contenere
 il richiamo alla concessione edilizia.
    Il  giudizio  di  legittimita' della norma impugnata deve, quindi,
 limitarsi a questo angolo visuale, alla stregua delle  considerazioni
 svolte.
    6.  -  I  risultati  operativi  del  nuovo  strumento territoriale
 appaiono in contrasto  con  le  esigenze  di  un  razionale  uso  del
 territorio,   con  possibilita'  di  interventi  indiscriminati,  non
 confortati dall'assistenza di meccanismi diversificati  e  di  organi
 tecnici,   con  conseguenti  limitazioni  della  stessa  potesta'  di
 annullamento dell'atto concessivo, non accompagnato nella  formazione
 e nell'azione di adeguate misure di riscontro.
    E'  da  rilevare, inoltre, che i commi quinto e sesto dell'art. 16
 della legge n. 179 del 1992 consentono  una  deroga  molto  ampia  ai
 preesistenti  limiti  planovolumetrici; contravvenendosi cosi' ancora
 al principio, posto dall'art. 4, primo comma, della legge n.  10  del
 1977,  espressione di lunga prassi normativa, della conformita' della
 concessione agli strumenti urbanistici.
    La  possibilita'  che  il   programma   integrato   determini   le
 modificazioni di precedenti previsioni urbanistiche, con l'impiego di
 procedimento   eventuale   ed  elastico  di  garanzia  (quarto  comma
 dell'art. 16), si pone come ulteriore causa di alterazione del quadro
 dei rapporti tra competenze attribuite  alle  regioni  ed  agli  enti
 locali  nel  vigente sistema di programmazione urbanistica, nelle sue
 articolazioni   territoriali   e   di   settore.    Risulta    chiara
 l'irrazionalita'  ed  il contrasto della normativa che la produce col
 principio  di  buon   andamento   della   pubblica   amministrazione,
 considerata anche la gia' detta mancanza del diversificato contributo
 degli organi e uffici competenti in base alle norme generali.
    Va  dichiarata,  pertanto,  l'illegittimita'  del  terzo,  quarto,
 quinto e sesto comma dell'art. 16 della legge 17  febbraio  1992,  n.
 179.
    7.  -  I  ricorsi  proposti dalle Regioni Umbria, Toscana e Veneto
 investono  l'intero  art.  16  della  legge  n.  179  del  1992,   in
 riferimento agli art. 115, 117, 118, 3 e 128 Cost., ma non contengono
 alcuna  specifica  motivazione  dell'impugnativa con riguardo ai suoi
 ultimi tre  commi,  i  quali  contengono  disposizioni  di  carattere
 finanziario.   Viceversa,  la  Regione  Emilia-Romagna  ha  impugnato
 espressamente i commi settimo e nono dell'art. 16, nonche' l'art.  2,
 comma secondo, della legge n. 179 del 1992, deducendo che le relative
 disposizioni  finanziarie  sono viziate da irrazionalita', prevedendo
 che lo Stato e  le  regioni  utilizzino  parte  dei  fondi  destinati
 all'edilizia residenziale pubblica per il finanziamento dei programmi
 integrati d'intervento, i quali sarebbero estranei a tale materia.
    In  mancanza della necessaria, adeguata proposizione di motivi, va
 dichiarata  l'inammissibilita'  dei  ricorsi  delle  Regioni  Umbria,
 Toscana  e  Veneto,  in  riferimento  all'enunciata censura dei commi
 ottavo e nono della legge n. 179 del 1992 (cfr. le sentenze n. 49 del
 1991 e n. 1111 del 1988).
    Quanto, invece, all'impugnativa che si riferisce  agli  artt.  16,
 comma  nono,  e  2, comma secondo, della legge n. 179, proposta dalla
 Regione  Emilia-Romagna,  va  osservato  che  tali  norme   sono   da
 interpretare  nel  contesto  generale nel quale esse si collocano. In
 tale quadro ragioni sostanziali, oltre che di riferimento al sistema,
 comportano  che  i  finanziamenti  in  questione  dovranno o potranno
 essere destinati dalle regioni o dallo Stato, ai programmi  integrati
 ai sensi, rispettivamente, del secondo comma dell'art. 2, del settimo
 e  nono  comma  dell'art.  16,  soltanto  se  detti  programmi  siano
 riferibili all'edilizia residenziale pubblica.
    In base alla valutazione interpretativa ora esposta, la  questione
 non  appare fondata, tenuto anche conto che i vincoli di destinazione
 previsti dall'art. 2, comma secondo e 16  -  ad  eccezione,  come  si
 dira',  del  comma  settimo  - non sono incompatibili con il rispetto
 dell'autonomia regionale, consentendosi alle regioni  nell'ambito  di
 una  priorita'  stabilita,  in  relazione  ad  interessi valutati dal
 legislatore nazionale di particolare rilevanza ed intensita'  margini
 di  discrezionalita'  nella  distribuzione  e  nella  gestione  degli
 interventi, secondo scelte ad esse riservate  (cfr.  al  riguardo  le
 sentenze n. 279 del 1991 e n. 505 del 1989).
    E'  da  accogliere,  invece,  la  censura con riferimento al comma
 settimo, che fa obbligo alle regioni  di  concedere  i  finanziamenti
 inerenti  al  settore dell'edilizia residenziale con priorita' a quei
 comuni che provvedono alla formazione dei programmi integrati.
    Com'e' noto, la materia  dell'edilizia  residenziale  pubblica  e'
 devoluta  alla  competenza  legislativa regionale, ai sensi dell'art.
 117, primo comma, Cost.; in tale  materia  confluiscono  attribuzioni
 inerenti  all'urbanistica ed ai lavori pubblici d'interesse regionale
 (sentenza n. 16 del 1992). La  normativa  interposta  del  d.P.R.  24
 luglio  1977,  n.  616,  sul  presupposto della competenza regionale,
 riserva allo Stato la sola determinazione dei criteri di assegnazione
 degli alloggi (art. 88, n. 13), conferendo alle regioni  ampi  poteri
 di  programmazione  e di gestione degli interventi pubblici (art. 93,
 primo comma), nonche' l'organizzazione del servizio, da esercitare in
 conformita' dei principi  stabiliti  dalla  legge  di  riforma  delle
 autonomie locali (sentenze n. 594 del 1990; nn. 1115 e 727 del 1988).
    Una  volta  devoluti  alle  regioni i poteri di gestire i fondi in
 materia  di  edilizia  residenziale,  spetta  all'autonomia  di  esse
 destinarli, nel loro oggetto e modalita', senza vincoli imposti dallo
 Stato.  La  destinazione  preferenziale,  operata  dalla legge n. 179
 (comma settimo dell'art. 16), di detti fondi ai  programmi  integrati
 costituisce    una    deviazione   dal   criterio   base,   alterando
 irrazionalmente il principio della  competenza  decisoria  regionale,
 che  ben  potrebbe  esplicarsi  con  la destinazione dei fondi stessi
 all'edilizia residenziale  comunale,  prescindendo  dal  criterio  di
 priorita' determinato dalla adozione dei programmi integrati.
    Va   pertanto   dichiarata   l'illegittimita'  del  comma  settimo
 dell'art. 16  della  legge  impugnata,  che  vi'ola  l'art.  3  della
 Costituzione.