IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza sciogliendo la riserva di decidere espressa all'udienza del 29 settembre 1992 nel procedimento di sorveglianza promosso da Tripi Paolino, nato a Palermo il 6 gennaio 1967, in atto detenuto nella casa circondariale di Palermo, con istanza del 25 novembre 1991 diretta ad ottenere la liberazione anticipata; Premesso che il condannato e' detenuto dal 15 maggio 1990 per espiare la pena di anni 2 mesi 9 giorni 10 di reclusione, inflittagli con sentenza della corte di appello di Palermo del 30 gennaio 1991 per rapina aggravata; Ritenuto che devesi eccepire d'ufficio l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, primo comma, seconda parte, della legge 26 luglio 1975, n. 354, cosi' come modificato dall'art. 15, primo comma, della legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui non consente la concessione di liberazione anticipata quando "si tratta di detenuti o internati per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale ovvero di detenuti o internati per i delitti di cui agli artt. 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, del codice penale e all'art. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80, secondo comma, del predetto testo unico approvato con d.P.R. n. 309/1990", per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione. Ed invero, il divieto di concessione di liberazione anticipata per i condannati sopra indicati, ivi compresa la fattispecie in esame, introduce una discriminazione priva di alcuna ragionevolezza e prescinde da qualsiasi funzione rieducativa della pena. Occorre preliminarmente prendere atto che il sistema delle misure alternative alla detenzione ha recentemente subito profonde modificazioni, prima per effetto della legge 12 luglio 1991, n. 203, che ha convertito con modificazioni il d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (che aveva ripreso una serie di decreti legge succedutisi dal novembre 1990), e poi a seguito della legge 7 agosto 1992, n. 356, che ha convertito con modificazioni il d.l. 8 giugno 1992, n. 306. Di fronte alle aggressioni sempre piu' sanguinarie ed eclatanti della criminalita' organizzata (dall'omicidio del giudice Livatino alla strage di Capaci e all'eccidio di via D'Amelio), si e' cosi' progressivamente affermato l'indirizzo di vietare la concessione di misure alternative alla detenzione per gli appartenenti alla criminalita' organizzata e, nello stesso tempo, di favorire la collaborazione con gli organi investigativi e giudiziari o la dissociazione di singoli affiliati. Il sistema attuale e' schematicamente il seguente: 1. - I condannati per i delitti di associazione di tipo mafioso (art. 416- bis del c.p.) o ad essa ricollegabili, di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 del c.p.) e di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 del d.P.R. n. 309/1990) sono esclusi dalla concessione di qualsiasi beneficio (ammissione al lavoro all'esterno, permessi premio, misure alternative alla detenzione). Solo nel caso che si tratti di "detenuti o internati che collaborano con la giustizia a norma dell'art. 58- ter" e' prevista la possibilita' di accesso ai suddetti benefici "fatta eccezione per la liberazione anticipata". Non possono, infatti, esservi dubbi sul fatto che la norma introdotta dall'art. 15 della legge n. 356/1992, con l'inciso "fatta eccezione per la liberazione anticipata", aggiuntivo rispetto al d.l. n. 306/1992, abbia inteso escludere la misura della liberazione anticipata per i collaboratori della giustizia. Che questa sia la giusta interpretazione si ricava non solo dall'evidente tenore letterale della norma, ma anche dalla lettura sistematica di tutta la normativa contenuta nella stessa legge concernente la c.d. protezione dei collaboratori, per i quali, se e' possibile accedere ai benefici indicati nell'art. 13 della legge n. 356/1992 anche in deroga alle disposizioni "relative ai limiti di pena", non esiste alcuna ragione trattamentale che giustifichi la concessione soltanto di una riduzione di 45 giorni di pena per ogni semestre. 2. - Per i condannati indicati al numero precedente che abbiano ottenuto la concessione di circostanze attenuanti di cui all'art. 62, n. 6, del c.p. (anche se il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna) o di cui all'art. 114 del c.p., o della diminuente di cui all'art. 116, secondo comma, del c.p., la concessione dei suddetti benefici (sempre con esclusione della liberazione anticipata) e' subordinata all'acquisizione di "elementi tali da escludere in maniera certa l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata". Si tratta, in particolare, di quelle forme di dissociazione dall'organizzazione criminale, che pur non raggiungendo il livello della vera e propria collaborazione, risultano pero' apprezzabili come presa di distanze dalla criminalita' organizzata. Anche in questi casi e' comunque esclusa la concessione di liberazione anticipata, stando al tenore letterale della disposizione che fa riferimento ai "benefici suddetti", che sono ovviamente quelli indicati nella prima parte dell'art. 15 per i collaboratori della giustizia. 3. - "I benefici suddetti" possono essere concessi ai condannati "per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale", per omicidio volontario, rapina ed estorsione aggravate e per detenzione di ingenti quantita' di sostanze stupefacenti, "solo se non vi sono elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata". Per questa categoria di condannati e' quindi consentito l'accesso ai benefici, in mancanza di elementi da cui possa desumersi l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata. Il tenore letterale della norma porta, pero', a escludere la liberazione anticipata dai benefici previsti per tali detenuti. Ed invero, anche in questo caso e' evidente che la locuzione adoperata "i benefici suddetti" fa riferimento ai benefici indicati nella prima parte dell'art. 15 per i collaboratori della giustizia. Che questa sia l'unica interpretazione possibile si ricava, per altro verso, dalla constatazione che nella quarta categoria di condannati presa in esame dall'art. 15 della legge n. 356/1992 "detenuti e internati per delitti dolosi" per i quali "il procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica .. l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata" si torna a fare riferimento alle "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI". Sicche' e' giusto concludere che se il legislatore avesse inteso comprendere la liberazione anticipata fra i benefici concedibili alal categoria di condannati in esame (artt. 575, 628, 629 cpv., del c.p., 73 e 80 cpv., d.P.R. n. 309/1990), non avrebbe dovuto usare il riferimento ai "benefici suddetti", ma avrebbe dovuto usare il riferimento ai "benefici suddetti", parlare di "misure alternative alla detenzione". Si deve, pertanto, registrare un progressivo irrigidimento della normativa penitenziaria nei confronti dei condannati appartenenti alla criminalita' organizzata, che nella presente fase sono esclusi dalla concessione di benefici del tipo dell'ammissione al lavoro all'esterno, dei permessi premiali e delle misure alternative alla detenzione, ivi comprese la liberazione anticipata. In questo quadro va, infatti preso atto che nella legge n. 356/1992 e' stato sciolto ogni dubbio dottrinario sulla qualificazione della liberazione anticipata come vera e propria misura alternativa alla detenzione. Gia' la suprema Corte si era recentemente pronunciata in tal senso, mentre ora diventa estremamente chiarificatorio l'inciso "fatta eccezione per la liberazione anticipata", aggiunto nel primo comma, lett. a), primo periodo, dell'art. 15 della legge di conversione del d.l. n. 306/1992, giacche' e' evidente che il legislatore ha voluto nella fattispecie evitare che la liberazione anticipata venisse ricompresa fra le misure alternative alla detenzione concedibili ai collaboratori della giustizia. Il problema e' pero' che non si capisce per quale motivo e' stato introdotto il divieto di liberazione anticipata per coloro che risultino condannati "per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale", per omicidio volontario, per rapina e estorsione aggravate, per detenzione di ingenti quantita' di sostanze stupefacenti. Posto, infatti, che l'interpretazione prospettata e' l'unica possibile, non sono chiare le ragioni per le quali ai condannati ora indicati sia vietata la concessione di liberazione anticipata, mentre sia possibile quella di altre misure alternative alla detenzione, ed anzi il divieto si presenta in contrasto con i principi contenuti in alcune norme costituzionali, e prima fra tutte nell'art. 3 della Costituzione. Ed invero, il divieto di liberazione anticipata, previsto per i condannati in questione, introduce nel nostro ordinamento penitenziario una discriminazione assolutamente ingiustificata e priva di qualsiasi ragionevolezza. Va, infatti, considerato che nell'ipotesi in cui dagli accertamenti esperiti e riferiti al tribunale di sorveglianza dovessero emergere "elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva", il detenuto non potrebbe ottenere alcuno dei benefici penitenziari. Nel caso in cui non dovessero essere acquisiti tali elementi comprovanti la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, il detenuto avrebbe invece accesso a tutti i benefici (ammissione al lavoro all'esterno, permessi premio, affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semiliberta'), ma non anche alla liberazione anticipata. In tal modo viene violato il principio di eguaglianza contenuto nell'art. 3 della Costituzione, poiche' e' stata introdotta nel nostro ordinamento penitenziario una discriminazione nei confronti della categoria di condannati in esame, senza una ragione giustificatrice. L'unica spiegazione possibile potrebbe ravvisarsi nel generale irrigidimento della normativa penitenziaria, ma, in tal caso, non ha alcun senso vietare la concessione di liberazione anticipata e consentire invece l'accesso ad altre piu' ampie misure alternative alla detenzione. Ed ancora, il divieto di liberazione anticipata per i condannati piu' volte citati contrasta con il principio e le finalita' rieducativi della pena sanciti dall'art. 27 della Costituzione. Non e' il caso di richiamare i contenuti del terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, per rimarcare che nella fattispecie non si e' fatto buon uso dei criteri di quello che con una felice espressione e' stato definito il "sinallagma carcerario", che consente di modulare la pena detentiva in funzione della personalita' del condannato, della sua attuale pericolosita' e delle possibilita' di reinserimento sociale. Ed invero, nell'ipotesi che il detenuto abbia dato prova di fattiva e consapevole partecipazione all'opera di rieducazione intrapresa nei suoi confronti dell'amministrazione penitenziaria, egli non ha piu' oggi diritto a ottenere una riduzione di pena di 45 giorni per ogni semestre di pena espiata, potendo invece contare, in presenza delle necessarie condizioni di ammissibilita', sulle piu' ampie misure previste dagli artt. 47 e 48 dell'ordinamento penitenziario. Ed e', quindi, paradossale che chi sia stato, per ipotesi e come nella fattispecie all'esame odierno del collegio, condannato a una pena inferiore a tre anni di reclusione per il reato di rapina aggravata ed abbia gia' espiato meta' della pena, non possa ottenere la liberazione anticipata e possa invece, ove prospetti un'adeguata opportunita' lavorativa o risocializzante all'esterno dell'istituto penitenziario, accedere all'affidamento in prova al servizio sociale e alla semiliberta'. Devesi, pertanto, denunciare l'illegittimita' costituzionale della normativa indicata per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.