IL PRETORE
    Letti  gli  atti  del  procedimento  n.  36/1192  reg.  esec.  nei
 confronti di Guerra Daniela;
                             O S S E R V A
    In data 24 ottobre 1990 gli ufficiali ed agenti del  commissariato
 di  pubblica  sicurezza  di  Mirandola  sequestravano un involucro di
 carta   stagnola   contenente   sostanza   stupefacente    consegnato
 spontaneamente da Guerra Daniela.
    In   base   all'indagine   chimico-tossicologica  eseguita  presso
 l'istituto di medicina  legale  di  Modena  si  accertava  che  detta
 sostanza  era  costituita da eroina e rientrava nei limiti della dose
 media giornaliera.
    Guerra Daniela veniva convocata il giorno 30 novembre 1990 per  il
 primo  colloquio  dinanzi  al  prefetto  e manifestava la volonta' di
 sottoporsi  al  programma  terapeutico  e   socio-riabilitativo.   Il
 prefetto  disponeva  la sospensione del procedimento amministrativo e
 invitava Guerra Daniela a presentarsi presso il servizio pubblico per
 le tossicodipendenze della unita' sanitaria locale di Mirandola entro
 il 7 dicembre 1990.
    Con lettera del 7  dicembre  1990  il  responsabile  del  Servizio
 tossicodipendenze  comunicava  al  prefetto che Guerra Daniela si era
 presentata per la definizione del programma in data 5 dicembre 1990.
    Con lettera del  25  febbraio  1991  la  unita'  sanitaria  locale
 comunicava  al  prefetto  che  non  era  stato  possibile iniziare il
 programma perche' non esistevano le condizioni indispensabili.
    In  data  9  aprile  1991  Guerra  Daniela  veniva  convocata   in
 prefettura   per   il   secondo  colloquio  e  di  nuovo  manifestava
 l'intenzione di sottoporsi al programma terapeutico. Di nuovo  veniva
 invitata a presentarsi alla unita' santaria locale di Mirandola entro
 il termine del 16 aprile 1991.
    Con  lettera  dal  12  febbraio  1992  il responsabile del ser. t.
 informava il prefetto dell'interruzione  del  programma  iniziato  da
 Guerra Daniela.
    In  data  13  marzo  1992  il prefetto trasmetteva il fascicolo al
 procuratore della Repubblica presso la pretura,  ai  sensi  dell'art.
 75, dodicesimo comma del d.P.R. n. 309/1990.
    In  data 6 maggio 1992 il procuratore della Repubblica chiedeva al
 pretore la fissazione dell'udienza prevista dall'art. 666 del  c.p.p.
 per  l'applicazione  nei  confronti di Guerra Daniela delle misure di
 cui all'art. 76, lettere a) ed e), del d.P.R. citato.
    All'udienza in camera di consiglio del  6  ottobre  1992,  assente
 l'interessata, la parti concludevano come da verbali in atti.
    Ritiene  questo  pretore  di  sollevare  questione di legittimita'
 costituzionale degli artt.  75  e  76  del  d.P.R.  n.  309/1990  per
 violazione degli artt. 3, 25, 32 e 36 della Costituzione.
    L'art. 75, nono comma, prevede che la persona sorpresa in possesso
 di  sostanze  stupefacenti  nei limiti della dose media giornaliera e
 convocata dinanzi  al  prefetto  possa  manifestare  la  volonta'  di
 sottoporsi  al  programma  terapeutico  e  socio-riabilitativo di cui
 all'art. 122. In  tal  caso  il  prefetto  sospende  il  procedimento
 amministrativo  e  dispone  che  l'istante  sia  inviato  al servizio
 pubblico  per  le  tossicodipendenze  per  la   predisposizione   del
 programma, fissando un termine per la presentazione.
    In  base  al disposto dell'undicesimo comma dello stesso articolo,
 se l'interessato ha attuato il programma, ottemperando alle  relative
 prescrizioni, il prefetto dispone l'archiviazione degli atti.
    Se  risulta  invece  che  l'interessato  non  si sia presentato al
 servizio per le tossicodipendenze  nel  termine  fissato,  non  abbia
 iniziato  il  programma  o  lo  abbia  interrotto  senza giustificato
 motivo,  il  prefetto,  ai  sensi  del  dodicesimo   comma,   convoca
 nuovamente  il  soggetto  e  lo  invita  al  rispetto  del programma,
 rendendolo edotto delle conseguenze cui puo' andare incontro.
    Qualora  l'interessato  non  si  presenti  al  secondo  colloquio,
 rifiuti o interrompa nuovamente il programma, il prefetto,  trasmette
 gli   atti   al   procuratore   della   Repubblica  perche'  provochi
 l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 76 da  parte  del  pre-
 tore.
    Una  volta  instaurato  il  procedimento  dinanzi  al  pretore, il
 soggetto tossicodipendente puo',  per  la  terza  volta,  manifestare
 l'intenzione di seguire il programma terapeutico. Anche il pretore, a
 norma   dell'art.   76,  settimo  comma,  provvede  a  sospendere  il
 procedimento inviando il predetto al servizio tossicodipendenze.
    Se l'interessato segue il programma fino alla conclusione, il pre-
 tore  dispone  l'archiviazione  degli  atti,  altrimenti  revoca   la
 sospensione e prosegue il procedimento.
    Il  sistema  sanzionatorio sopra descritto appare in contrasto con
 l'art. 32 della  Costituzione  in  quanto  introduce  un  trattamento
 terapeutico  obbligatorio  senza che ricorrano motivi di tutela della
 salute pubblica.
    Deve infatti  giudicarsi  obbligatorio  non  solo  il  trattamento
 imposto  con  la  coazione  diretta,  ma  anche quello imposto con la
 coazione indiretta della minaccia di una sanzione.
    Secondo l'interpretazione unanime della dottrina, l'art. 32  della
 Costituzione  consente  limitazioni  al diritto alla salute, e quindi
 trattamenti  sanitari  obbligatori,  solo   a   condizione   che   il
 trattamento  imposto  favorisca  la  salute  del  singolo  chiamato a
 subirlo e, nello stesso tempo, tuteli la salute collettiva.
    Ai sensi dell'art.  72,  secondo  comma,  della  Costituzione,  e'
 legittimo  l'intervento  coattivo  quando la salute del singolo abbia
 ripercussioni sulla salute collettiva (esempio, interventi diretti  a
 prevenire  e  reprimere  malattie  contagiose). E' invece illegittima
 l'imposizione di trattamenti sanitari al singolo, in relazione al suo
 proprio stato di salute, in mancanza di ripercussioni  dirette  sugli
 altri membri del corpo sociale.
    E' vero, come sostenuto da una parte della dottrina, che la salute
 del singolo e' anche in funzione del benessere e dell'ordine sociale;
 che   la   salute   condiziona   la  produttivita'  dell'individuo  e
 l'adempimento dei suoi doveri nell'ambito  dello  Stato.  L'individuo
 malato  puo'  rappresentare,  oltre che un peso per la collettivita',
 anche un pericolo per la sicurezza,  la  moralita'  e  la  proprieta'
 stessa dei cittadini.
    Tutto  cio'  e'  pero'  inidoneo  a  legittimare  l'imposizione al
 singolo di trattamenti atti a modificare in senso positivo la sua sa-
 lute.
    La Costituzione garantisce i diritti e  le  liberta'  fondamentali
 dei  cittadini,  mirando  a realizzare un modello di societa' fondata
 sulla solidarieta' e sulla partecipazione di tutti all'organizzazione
 del paese. Essa pero' non  puo'  giustificare  limitazioni  a  quegli
 stessi  diritti e a quelle stesse liberta' per realizzare, attraverso
 l'imposizione,  il  benessere  dei  cittadini  e  la   partecipazione
 (fittizia) di tutti alla vita del paese.
    Alla  luce dell'art. 32 della Costituzione lo Stato, attraverso le
 proprie leggi, puo' e  deve  stimolare  nei  singoli  la  cura  della
 propria  salute  ma  non puo', in mancanza di pericolo diretto per la
 salute collettiva, imporre trattamenti sanitari con la  forza  oppure
 attraverso  sanzioni  tanto  gravi da lasciare uno spazio minimo alla
 liberta' di scelta del soggetto.
    Viola  pertanto  l'art.  32 della Costituzione il sistema adottato
 dalla legge in esame, di sospendere il procedimento amministrativo  e
 di   rinunciare  all'applicazione  delle  sanzioni  limitative  della
 libera' personale a condizione che il consumatore di stupefacenti  si
 sottoponga  ad un programma terapeutico e socio riabilitativo, pur in
 assenza di qualsiasi pericolo per la salute collettiva.
    Il secondo profilo di incostituzionalita' investe  l'art.  76  del
 d.P.R.  n.  309/1990  perche' in contrasto con gli artt. 3 e 25 della
 Costituzione.
    Occorre premettere che il disegno di legge approvato dal Senato il
 6 dicembre 1989 contemplava all'art. 72  le  sanzioni  di  competenza
 prefettizia qualificate come amministrative (esse comprendevano anche
 il divieto di allontanarsi dal comune di residenza).
    L'art.  72-  bis  disciplinava le sanzioni, espressamente definite
 come "penali", inflitte dal pretore con sentenza.
    Nel testo definitivo approvato  il  26  giugno  1990  le  sanzioni
 prefettizie  sono  rimaste "amministrative" (da esse e' stato escluso
 il divieto di allontanarsi dal comune di residenza), quelle "penali",
 pur essendo rimaste identiche nel contenuto, sono state  degradate  a
 "misure"  non meglio qualificate (e' tuttora presente qualche residuo
 dell'originaria  natura  penale  come,  ad  esempio,  il  riferimento
 nell'art. 76, lett. e), all'"autore del reato").
    L'art. 76 e' intitolato: "Provvedimenti dell'autorita' giudiziaria
 -  Sanzioni  penali in caso di inosservanza" (le senzioni penali sono
 quelle previste  dall'ultimo  comma;  in  ordine  alla  natura  delle
 "misure",  dottrina  e  giurisprudenza  sono  divise,  anche  se pare
 prevalente l'orientamento che  attribuisce  ad  esse  l'etichetta  di
 sanzioni   non   penali,   quindi   amministrative   -   vedi   Corte
 costituzionale sentenza  n.  333/1991;  contra  vedi  Cass.,  sezione
 sesta,  27  settembre  1991  in Foro it. 1992, 73, che fa riferimento
 alle sanzioni penali di cui all'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990).
    Il legislatore, pur degradando le sanzioni da penali a non penali,
 ne ha comunque affidato  l'applicazione  al  pretore,  prevedendo  un
 procedimento  giurisdizionalizzato,  con la partecipazione necessaria
 di un difensore e con  l'emissione  di  un  decreto  ricorribile  per
 Cassazione (artt. 76, quinto comma, del d.P.R. e 666 del c.p.p.).
    Le   misure   di  cui  all'art.  76  lettere  a),  b),  c),  e)  -
 limitatamente alla sospensione del passaporto - ed h) sono in  palese
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
    Le  misure  consistenti  nel divieto di allontanarsi dal comune di
 residenza,  nell'obbligo  di  presentarsi  almeno  due  volte   nella
 settimana  alla  polizia  di  Stato o presso il comando dell'Arma dei
 carabinieri,  la  sospensione  del  passaporto,  hanno  un  contenuto
 identico  a  quello  delle  misure cautelari previste rispettivamente
 dagli artt. 283, 282 e 281 del c.p.p.
    Il divieto di allontanarsi dal  comune  di  residenza  corrisponde
 inoltre  al c.d. obbligo di soggiorno applicabile nei confronti delle
 persone sottoposte alla  misura  di  prevenzione  della  sorveglianza
 speciale  (art.  3, terzo comma, della legge n. 1423/1956). L'obbligo
 di rientrare nella propria abitazione entro una determinata ora e  di
 non   uscirne  prima  di  un'altra  ora  prefissata  e  l'obbligo  di
 presentarsi all'autorita' di pubblica sicurezza nei  giorni  indicati
 corrispondono  alle prescrizioni previste per il sorvegliato speciale
 (art. 5, terzo comma, e quinto comma, n. 2 della legge n. 1423/1956).
    Infine,  la  misura descritta alla lett. h) richiama espressamente
 la misura alternativa alla detenzione disciplinata dall'art. 47 della
 legge n. 354/1975.
    Il soggetto che e' stato colto in possesso di stupefacenti  e  che
 abbia  rifiutato  il programma terapeutico, cosi' commettendo un mero
 illecito  amministrativo,  viene  sottoposto   alle   stesse   misure
 limitative  della  liberta'  personale  previste:  per coloro nei cui
 confronti esistono  gravi  indizi  di  colpevolezza  in  ordine  alla
 commissione  di delitti nonche' le esigenze cautelari di cui all'art.
 274 del c.p.p.; per coloro  rispetto  a  cui  siano  state  accertate
 situazioni  soggettive  di  pericolosita'  in base agli indici di cui
 agli artt. 1 e 3 della legge n. 1423/1956; per coloro che siano stati
 condannati, con sentenza irrevocabile, alla  pena  detentiva  per  un
 tempo  non  superiore  a  due anni e sei mesi o a tre anni qualora si
 tratti di persone di eta' inferiore ai 21 anni o superiore ai 70.
    La disparita' di trattamento emerge in modo particolarmente  grave
 se  si  considera  che  le  misure  di cui all'art. 76 possono essere
 inflitte anche congiuntamente.
    Il sistema sanzionatorio delineato dall'art. 76 ricorda  per  vari
 aspetti le misure di prevenzione di cui alla legge n. 1423/1956.
    Le  misure  previste  dalle  lettere  a), b), c) e d) dell'art. 76
 hanno  un  contenuto  identico  alle  misure  di  prevenzione   della
 sorveglianza   speciale   e   dell'obbligo   di   soggiorno  ed  alle
 prescrizioni ad esse inerenti.
    Tale identita' di contenuto rivela come la finalita' delle  misure
 per  i tossicodipendenti sia quella del controllo e della prevenzione
 rispetto alla commissione di reati.
    Il divieto di allontanarsi dal comune di residenza,  l'obbligo  di
 presentarsi  all'autorita'  di  P.S., l'obbligo di non uscire di casa
 prima di una certa ora e di non rincasare dopo una data ora stabilita
 non  paiono  in  alcun  modo  finalizzati  a   prevenire   l'uso   di
 stupefacenti o a recuperare il tossicodipendente.
    Le  misure  per in consumatori di stupefacenti, analogalmente alle
 misure di cui alla legge n. 1423/1956, prescindono dalla  commissione
 di  reati  e  sono applicate dal giudice con la procedura dettata per
 gli incidenti di esecuzione.
    Per entrambe e' prevista la possibilita'  di  modifica  (art.  76,
 sesto  comma,  del  d.P.R.  n. 309/1990 e art. 7, secondo comma della
 legge n. 1423/1956),  coerentemente  alla  finalita'  di  prevenzione
 connessa ad un giudizio sulla pericolosita' della persona.
    Come  e'  noto,  il  fondamento  costituzionale  delle  misure  di
 prevenzione e' stato ravvisato nell'art. 25 della Costituzione, oltre
 che negli artt. 2 e 27 della Costituzione.
    Perche' le misure di prevenzione ante delictun siano conformi alla
 Costituzione e'  necessario  che  la  loro  previsione  e  disciplina
 rispecchi il principio di legalita' e quello di tassativita'.
    A  tal  fine  e'  indispensabile  che la misura di prevenzione sia
 espressamente contemplata dalla legge e che sia  irrogabile  solo  in
 base all'accertamento di situazioni soggettive di pericolosita' i cui
 indici  devono  essere  previsti  tassativamente dalla legge e la cui
 prospettiva deve essere solo quella della cura, della  riabilitazione
 e  di  ogni  scopo  rigorosamente legato all'esigenza di rendere piu'
 difficile al soggetto la commissione di reati.
    Sulle  misure  di  prevenzione introdotte dalla legge n. 1423/1956
 esiste una copiosa giurisprudenza. Si  riportano  di  seguito  alcune
 pronunce particolarmente significative ai fini che interessano.
    Presupposto  di  ciascuna  misura  di  prevenzione  e'  sempre  il
 comportamento antisociale dell'individuo, non gia'  il  suo  modo  di
 essere  ..  E' assolutamente erroneo ritenere che la citata legge del
 1956  contenga  una  tipologia   personale   di   varia   ispirazione
 criminologica, essendosi voluto soltanto procedere ad una elencazione
 di  misure in funzione di fattispecie tipiche .. la predeterminazione
 delle fattispecie nella legge assicura l'osservanza del principio  di
 legalita'" (cosi' Cass. sezione prima, 16 gennaio 1976 in Giust. pen.
 1976, II, 480).
    L'art.   1   della  legge  n.  1423/1956  "richiama  comportamenti
 obiettivamente identificabili dai quali puo' desumersi la  ricorrenza
 di  una  fattispecie  di  pericolosita'  sociale  e  pertanto si deve
 escludere ogni possibile riferimento  ad  una  pericolosita'  sociale
 generica .." (cosi' Cass., sezione prima, 11 novembre 1986, n. 3427).
    "La  legge  3  agosto  1988,  n.  327,  innovando profondamente il
 precedente regime giuridico, ha eliminato l'utilizzabilita', ai  fini
 dell'applicazione  di  una  misura  di prevenzione, delle fattispecie
 nelle quali vi sia riferimento  unicamente  alla  persona  (oziosi  e
 vagabondi)  e  ha  delimitato  le  altre  ipotesi,  rapportabili alla
 condotta del pregiudicato, ai casi di censura basata su  elementi  di
 fatto  .."  (Cass., sezione quarta, 22 settembre 1989, c.c. 10 agosto
 1989, n. 270).
    Particolarmente significativa e', al riguardo, la  sentenza  della
 Corte  costituzionale  del 22 dicembre 1980, n. 177 che ha dichiarato
 illegittimo,  per  violazione  dell'art.  25,  terzo   comma,   della
 Costituzione,  l'art.  1, n. 3, della legge n. 1423/1956, nella parte
 in cui elenca tra i soggetti passibili delle  misure  di  prevenzione
 coloro  che,  per  le  manifestazioni  cui  abbiano dato luogo, diano
 fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere.
    Nella motivazione della sentenza si legge:  "  ..decisivo  e'  che
 anche  per le misure di prevenzione la fattispecie legale permetta di
 individuare la o le condotte dal cui accertamento nel  caso  concreto
 possa  fondatamente  dedursi  un  giudizio prognostico .. le condotte
 presupposte per l'applicazione delle misure di  prevenzione,  poiche'
 si   tratta   di  prevenire  reati,  non  possono  non  involgere  il
 riferimento, esplicito o implicito, al o ai reati o alle categorie di
 reati della cui prevenzione si tratti ..".
    In ordine alla disposizione sulla  cui  illegittimita'  era  stata
 chiamata  a  pronunciarsi,  la Corte ha sostenuto che: "i presupposti
 del giudizio di proclivita' a delinquere non hanno  alcuna  autonomia
 concettuale  dal  giudizio  stesso.  La  formula  legale  non svolge,
 pertanto, la funzione di una autentica fattispecie .. La  proclivita'
 a  delinquere  deve  essere  intesa  come  sinonimo  di pericolosita'
 sociale ..".
    Dalle pronunce  giurisprudenziali  riportate  si  evince  come  la
 legittimita'  costituzionale  delle  misure di prevenzione, in quanto
 limitative della liberta' personale, sia  subordinata  all'osservanza
 dei  principi di legalita' e tassativita' sanciti dall'art. 25, terzo
 comma,  della  Costituzione  (riferibile   anche   alle   misure   di
 prevenzione).
    L'applicazione della misura deve trovare il presupposto necessario
 in  una  fattispecie  di pericolosita' sociale prevista dalla legge e
 questa fattispecie deve essere sufficientemente determinata  in  modo
 da   costituire  il  parametro  dell'accertamento  giudiziale  ed  il
 fondamento della prognosi di pericolosita'.
    Le sanzioni applicabili ai consumatori di droghe (art. 76, lettere
 a), b), c) e d)), pur avendo natura e finalita' identiche alle misure
 di prevenzione e pur comportando una serie di  limiti  alla  liberta'
 personale  del  soggetto, sono irrogabili sul presupposto di una mera
 presunzione di pericolosita'  sociale  fondata  sul  solo  fatto  del
 consumo, anche occasionale, di stupefacenti.
    Il  legislatore  del  1990  ha  agganciato  l'applicabilita' delle
 misure al presupposto del consumo di stupefacenti e del  rifiuto  del
 programma terapeutico e socio-riabilitativo. Ha considerato tale dato
 di  fatto come sintomo di uno stato di tossicodipendenza sul quale ha
 costruito una presunzione di pericolosita' sociale.
    Il  consumo  di  stupefacenti  e'  cosi'  diventato  sinonimo   di
 pericolosita' sociale.
    Il  giudice  e' chiamato ad applicare le sanzioni limitative della
 liberta' personale ed  aventi  finalita'  preventive  utilizzando  le
 informazioni   previste   dall'art.  76,  quinto  comma,  concernenti
 esclusivamente lo stato di tossicodipendenza ed il rifiuto o  l'esito
 negativo del programma terapeutico.
    L'applicazione  delle  sanzioni  prescinde  da  qualsiasi indagine
 fondata su indici  oggettivi  di  pericolosita'  sociale  e  fa  leva
 soltanto  su  indici  oggettivi  di  pericolosita'  sociale e fa leva
 soltanto sull'accertato consumo di stupefacenti.
    La  legge  attribuisce  al  pretore  nella  scelta  delle   misure
 un'assoluta    discrezionalita',    mancando    qualsiasi   parametro
 legislativo che permetta di individuare e  graduare  le  sanzioni  in
 base a concreti e obiettivi indici di pericolosita' sociale e in base
 al  comportamento  illecito  da  prevenire (non va dimenticato che le
 misure  in  esame  sono  applicabili  pure  ai   consumatori,   anche
 occasionali,  di  droghe  leggere  per  i quali riesce gia' difficile
 formulare  un  programma  terapeutico   oltre   che   presumere   una
 pericolosita' sociale).
    Facendo  leva  sulla  ambiguita'  tra  il  fatto  del  consumo  di
 stupefacenti e lo status di tossicodipendente,  il  legislatore,  per
 mezzo  delle  sanzioni  di  cui  all'art.  76, ha inteso reprimere la
 situazione  soggettiva  di   tossicodipendenza   in   quanto   status
 dell'individuo   non  approvato  dalla  collettivita'  ed  in  quanto
 potenziale causa di microcriminalita'.
    La disposizione di cui all'art. 76, lettere a), b), c) e d)  viola
 i  principi  di  legalita' e tassativita' sanciti dall'art. 25, terzo
 comma,  della  Costituzione  (e  riferibile  anche  alle  misure   di
 prevenzione ante delictum).
    Le  misure  per i tossicodipendenti, pur essendo assimilabili alle
 misure di prevenzione per  natura  e  finalita',  prescindono  da  un
 accertamento  della  situazione  di  pericolosita' sociale fondato su
 indici  obiettivi  tassativamente  indicati  dalla  legge.  Esse,  di
 conseguenza,   non   hanno  contenuto  specifico  rispetto  al  fatto
 presupposto e sono  irrogabili  dal  pretore  in  maniera  del  tutto
 discrezionale,  mancando  qualsiasi aggancio tra il presupposto delle
 misure e la finalita' preventiva delle stesse.
    E'  indubbio  che  il  comportamento  del  tossicodipendente possa
 diventare pericoloso per la  sicurezza  pubblica.  In  tal  caso,  il
 nostro  ordinamento  consente  di  applicare  misure limitative della
 liberta'  personale  previste  dalla  legge   in   conformita'   alla
 Costituzione   e   motivate  espressamente  in  base  alla  accertata
 pericolosita' sociale e non solo in virtu' dello stato soggettivo  di
 tossicodipendenza.
    Un  ultimo  profilo  di  incostituzionalita'  riguarda  la  misura
 prevista dall'art. 76, lett. f).
    L'obbligo di prestare un'attivita' a favore  della  collettivita',
 almeno  per  una  giornata lavorativa, alla settimana, senza ricevere
 alcuna retribuzione, viola l'art. 36, primo comma della Costituzione.
    Tale disposizione sancisce il diritto inderogabile del  lavoratore
 ad  una  retribuzione  proporzionata  alla  qualita'  e quantita' del
 lavoro prestato.
    Il  principio  costituzionale  dell'obbligo  di  retribuzione   e'
 rispettato  anche dall'art. 22 della legge n. 354/1975 in riferimento
 al lavoro dei detenuti.
    Alla  luce  delle   considerazioni   svolte,   le   questioni   di
 illegittimita'  costituzionale  sollevate appaiono non manifestamente
 infondate.
    La risoluzione di dette questioni e' inoltre rilevante ai fini del
 procedimento in corso dovendo questo  pretore,  una  volta  accertata
 l'esistenza dei presupposti che legittimano la richiesta del pubblico
 ministero,  procedere  all'applicazione  di  una  o piu' delle misure
 elencate dall'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990.