IL PRETORE Letti gli atti del procedimento n. 36/1192 reg. esec. nei confronti di Guerra Daniela; O S S E R V A In data 24 ottobre 1990 gli ufficiali ed agenti del commissariato di pubblica sicurezza di Mirandola sequestravano un involucro di carta stagnola contenente sostanza stupefacente consegnato spontaneamente da Guerra Daniela. In base all'indagine chimico-tossicologica eseguita presso l'istituto di medicina legale di Modena si accertava che detta sostanza era costituita da eroina e rientrava nei limiti della dose media giornaliera. Guerra Daniela veniva convocata il giorno 30 novembre 1990 per il primo colloquio dinanzi al prefetto e manifestava la volonta' di sottoporsi al programma terapeutico e socio-riabilitativo. Il prefetto disponeva la sospensione del procedimento amministrativo e invitava Guerra Daniela a presentarsi presso il servizio pubblico per le tossicodipendenze della unita' sanitaria locale di Mirandola entro il 7 dicembre 1990. Con lettera del 7 dicembre 1990 il responsabile del Servizio tossicodipendenze comunicava al prefetto che Guerra Daniela si era presentata per la definizione del programma in data 5 dicembre 1990. Con lettera del 25 febbraio 1991 la unita' sanitaria locale comunicava al prefetto che non era stato possibile iniziare il programma perche' non esistevano le condizioni indispensabili. In data 9 aprile 1991 Guerra Daniela veniva convocata in prefettura per il secondo colloquio e di nuovo manifestava l'intenzione di sottoporsi al programma terapeutico. Di nuovo veniva invitata a presentarsi alla unita' santaria locale di Mirandola entro il termine del 16 aprile 1991. Con lettera dal 12 febbraio 1992 il responsabile del ser. t. informava il prefetto dell'interruzione del programma iniziato da Guerra Daniela. In data 13 marzo 1992 il prefetto trasmetteva il fascicolo al procuratore della Repubblica presso la pretura, ai sensi dell'art. 75, dodicesimo comma del d.P.R. n. 309/1990. In data 6 maggio 1992 il procuratore della Repubblica chiedeva al pretore la fissazione dell'udienza prevista dall'art. 666 del c.p.p. per l'applicazione nei confronti di Guerra Daniela delle misure di cui all'art. 76, lettere a) ed e), del d.P.R. citato. All'udienza in camera di consiglio del 6 ottobre 1992, assente l'interessata, la parti concludevano come da verbali in atti. Ritiene questo pretore di sollevare questione di legittimita' costituzionale degli artt. 75 e 76 del d.P.R. n. 309/1990 per violazione degli artt. 3, 25, 32 e 36 della Costituzione. L'art. 75, nono comma, prevede che la persona sorpresa in possesso di sostanze stupefacenti nei limiti della dose media giornaliera e convocata dinanzi al prefetto possa manifestare la volonta' di sottoporsi al programma terapeutico e socio-riabilitativo di cui all'art. 122. In tal caso il prefetto sospende il procedimento amministrativo e dispone che l'istante sia inviato al servizio pubblico per le tossicodipendenze per la predisposizione del programma, fissando un termine per la presentazione. In base al disposto dell'undicesimo comma dello stesso articolo, se l'interessato ha attuato il programma, ottemperando alle relative prescrizioni, il prefetto dispone l'archiviazione degli atti. Se risulta invece che l'interessato non si sia presentato al servizio per le tossicodipendenze nel termine fissato, non abbia iniziato il programma o lo abbia interrotto senza giustificato motivo, il prefetto, ai sensi del dodicesimo comma, convoca nuovamente il soggetto e lo invita al rispetto del programma, rendendolo edotto delle conseguenze cui puo' andare incontro. Qualora l'interessato non si presenti al secondo colloquio, rifiuti o interrompa nuovamente il programma, il prefetto, trasmette gli atti al procuratore della Repubblica perche' provochi l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 76 da parte del pre- tore. Una volta instaurato il procedimento dinanzi al pretore, il soggetto tossicodipendente puo', per la terza volta, manifestare l'intenzione di seguire il programma terapeutico. Anche il pretore, a norma dell'art. 76, settimo comma, provvede a sospendere il procedimento inviando il predetto al servizio tossicodipendenze. Se l'interessato segue il programma fino alla conclusione, il pre- tore dispone l'archiviazione degli atti, altrimenti revoca la sospensione e prosegue il procedimento. Il sistema sanzionatorio sopra descritto appare in contrasto con l'art. 32 della Costituzione in quanto introduce un trattamento terapeutico obbligatorio senza che ricorrano motivi di tutela della salute pubblica. Deve infatti giudicarsi obbligatorio non solo il trattamento imposto con la coazione diretta, ma anche quello imposto con la coazione indiretta della minaccia di una sanzione. Secondo l'interpretazione unanime della dottrina, l'art. 32 della Costituzione consente limitazioni al diritto alla salute, e quindi trattamenti sanitari obbligatori, solo a condizione che il trattamento imposto favorisca la salute del singolo chiamato a subirlo e, nello stesso tempo, tuteli la salute collettiva. Ai sensi dell'art. 72, secondo comma, della Costituzione, e' legittimo l'intervento coattivo quando la salute del singolo abbia ripercussioni sulla salute collettiva (esempio, interventi diretti a prevenire e reprimere malattie contagiose). E' invece illegittima l'imposizione di trattamenti sanitari al singolo, in relazione al suo proprio stato di salute, in mancanza di ripercussioni dirette sugli altri membri del corpo sociale. E' vero, come sostenuto da una parte della dottrina, che la salute del singolo e' anche in funzione del benessere e dell'ordine sociale; che la salute condiziona la produttivita' dell'individuo e l'adempimento dei suoi doveri nell'ambito dello Stato. L'individuo malato puo' rappresentare, oltre che un peso per la collettivita', anche un pericolo per la sicurezza, la moralita' e la proprieta' stessa dei cittadini. Tutto cio' e' pero' inidoneo a legittimare l'imposizione al singolo di trattamenti atti a modificare in senso positivo la sua sa- lute. La Costituzione garantisce i diritti e le liberta' fondamentali dei cittadini, mirando a realizzare un modello di societa' fondata sulla solidarieta' e sulla partecipazione di tutti all'organizzazione del paese. Essa pero' non puo' giustificare limitazioni a quegli stessi diritti e a quelle stesse liberta' per realizzare, attraverso l'imposizione, il benessere dei cittadini e la partecipazione (fittizia) di tutti alla vita del paese. Alla luce dell'art. 32 della Costituzione lo Stato, attraverso le proprie leggi, puo' e deve stimolare nei singoli la cura della propria salute ma non puo', in mancanza di pericolo diretto per la salute collettiva, imporre trattamenti sanitari con la forza oppure attraverso sanzioni tanto gravi da lasciare uno spazio minimo alla liberta' di scelta del soggetto. Viola pertanto l'art. 32 della Costituzione il sistema adottato dalla legge in esame, di sospendere il procedimento amministrativo e di rinunciare all'applicazione delle sanzioni limitative della libera' personale a condizione che il consumatore di stupefacenti si sottoponga ad un programma terapeutico e socio riabilitativo, pur in assenza di qualsiasi pericolo per la salute collettiva. Il secondo profilo di incostituzionalita' investe l'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990 perche' in contrasto con gli artt. 3 e 25 della Costituzione. Occorre premettere che il disegno di legge approvato dal Senato il 6 dicembre 1989 contemplava all'art. 72 le sanzioni di competenza prefettizia qualificate come amministrative (esse comprendevano anche il divieto di allontanarsi dal comune di residenza). L'art. 72- bis disciplinava le sanzioni, espressamente definite come "penali", inflitte dal pretore con sentenza. Nel testo definitivo approvato il 26 giugno 1990 le sanzioni prefettizie sono rimaste "amministrative" (da esse e' stato escluso il divieto di allontanarsi dal comune di residenza), quelle "penali", pur essendo rimaste identiche nel contenuto, sono state degradate a "misure" non meglio qualificate (e' tuttora presente qualche residuo dell'originaria natura penale come, ad esempio, il riferimento nell'art. 76, lett. e), all'"autore del reato"). L'art. 76 e' intitolato: "Provvedimenti dell'autorita' giudiziaria - Sanzioni penali in caso di inosservanza" (le senzioni penali sono quelle previste dall'ultimo comma; in ordine alla natura delle "misure", dottrina e giurisprudenza sono divise, anche se pare prevalente l'orientamento che attribuisce ad esse l'etichetta di sanzioni non penali, quindi amministrative - vedi Corte costituzionale sentenza n. 333/1991; contra vedi Cass., sezione sesta, 27 settembre 1991 in Foro it. 1992, 73, che fa riferimento alle sanzioni penali di cui all'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990). Il legislatore, pur degradando le sanzioni da penali a non penali, ne ha comunque affidato l'applicazione al pretore, prevedendo un procedimento giurisdizionalizzato, con la partecipazione necessaria di un difensore e con l'emissione di un decreto ricorribile per Cassazione (artt. 76, quinto comma, del d.P.R. e 666 del c.p.p.). Le misure di cui all'art. 76 lettere a), b), c), e) - limitatamente alla sospensione del passaporto - ed h) sono in palese contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Le misure consistenti nel divieto di allontanarsi dal comune di residenza, nell'obbligo di presentarsi almeno due volte nella settimana alla polizia di Stato o presso il comando dell'Arma dei carabinieri, la sospensione del passaporto, hanno un contenuto identico a quello delle misure cautelari previste rispettivamente dagli artt. 283, 282 e 281 del c.p.p. Il divieto di allontanarsi dal comune di residenza corrisponde inoltre al c.d. obbligo di soggiorno applicabile nei confronti delle persone sottoposte alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale (art. 3, terzo comma, della legge n. 1423/1956). L'obbligo di rientrare nella propria abitazione entro una determinata ora e di non uscirne prima di un'altra ora prefissata e l'obbligo di presentarsi all'autorita' di pubblica sicurezza nei giorni indicati corrispondono alle prescrizioni previste per il sorvegliato speciale (art. 5, terzo comma, e quinto comma, n. 2 della legge n. 1423/1956). Infine, la misura descritta alla lett. h) richiama espressamente la misura alternativa alla detenzione disciplinata dall'art. 47 della legge n. 354/1975. Il soggetto che e' stato colto in possesso di stupefacenti e che abbia rifiutato il programma terapeutico, cosi' commettendo un mero illecito amministrativo, viene sottoposto alle stesse misure limitative della liberta' personale previste: per coloro nei cui confronti esistono gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di delitti nonche' le esigenze cautelari di cui all'art. 274 del c.p.p.; per coloro rispetto a cui siano state accertate situazioni soggettive di pericolosita' in base agli indici di cui agli artt. 1 e 3 della legge n. 1423/1956; per coloro che siano stati condannati, con sentenza irrevocabile, alla pena detentiva per un tempo non superiore a due anni e sei mesi o a tre anni qualora si tratti di persone di eta' inferiore ai 21 anni o superiore ai 70. La disparita' di trattamento emerge in modo particolarmente grave se si considera che le misure di cui all'art. 76 possono essere inflitte anche congiuntamente. Il sistema sanzionatorio delineato dall'art. 76 ricorda per vari aspetti le misure di prevenzione di cui alla legge n. 1423/1956. Le misure previste dalle lettere a), b), c) e d) dell'art. 76 hanno un contenuto identico alle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell'obbligo di soggiorno ed alle prescrizioni ad esse inerenti. Tale identita' di contenuto rivela come la finalita' delle misure per i tossicodipendenti sia quella del controllo e della prevenzione rispetto alla commissione di reati. Il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, l'obbligo di presentarsi all'autorita' di P.S., l'obbligo di non uscire di casa prima di una certa ora e di non rincasare dopo una data ora stabilita non paiono in alcun modo finalizzati a prevenire l'uso di stupefacenti o a recuperare il tossicodipendente. Le misure per in consumatori di stupefacenti, analogalmente alle misure di cui alla legge n. 1423/1956, prescindono dalla commissione di reati e sono applicate dal giudice con la procedura dettata per gli incidenti di esecuzione. Per entrambe e' prevista la possibilita' di modifica (art. 76, sesto comma, del d.P.R. n. 309/1990 e art. 7, secondo comma della legge n. 1423/1956), coerentemente alla finalita' di prevenzione connessa ad un giudizio sulla pericolosita' della persona. Come e' noto, il fondamento costituzionale delle misure di prevenzione e' stato ravvisato nell'art. 25 della Costituzione, oltre che negli artt. 2 e 27 della Costituzione. Perche' le misure di prevenzione ante delictun siano conformi alla Costituzione e' necessario che la loro previsione e disciplina rispecchi il principio di legalita' e quello di tassativita'. A tal fine e' indispensabile che la misura di prevenzione sia espressamente contemplata dalla legge e che sia irrogabile solo in base all'accertamento di situazioni soggettive di pericolosita' i cui indici devono essere previsti tassativamente dalla legge e la cui prospettiva deve essere solo quella della cura, della riabilitazione e di ogni scopo rigorosamente legato all'esigenza di rendere piu' difficile al soggetto la commissione di reati. Sulle misure di prevenzione introdotte dalla legge n. 1423/1956 esiste una copiosa giurisprudenza. Si riportano di seguito alcune pronunce particolarmente significative ai fini che interessano. Presupposto di ciascuna misura di prevenzione e' sempre il comportamento antisociale dell'individuo, non gia' il suo modo di essere .. E' assolutamente erroneo ritenere che la citata legge del 1956 contenga una tipologia personale di varia ispirazione criminologica, essendosi voluto soltanto procedere ad una elencazione di misure in funzione di fattispecie tipiche .. la predeterminazione delle fattispecie nella legge assicura l'osservanza del principio di legalita'" (cosi' Cass. sezione prima, 16 gennaio 1976 in Giust. pen. 1976, II, 480). L'art. 1 della legge n. 1423/1956 "richiama comportamenti obiettivamente identificabili dai quali puo' desumersi la ricorrenza di una fattispecie di pericolosita' sociale e pertanto si deve escludere ogni possibile riferimento ad una pericolosita' sociale generica .." (cosi' Cass., sezione prima, 11 novembre 1986, n. 3427). "La legge 3 agosto 1988, n. 327, innovando profondamente il precedente regime giuridico, ha eliminato l'utilizzabilita', ai fini dell'applicazione di una misura di prevenzione, delle fattispecie nelle quali vi sia riferimento unicamente alla persona (oziosi e vagabondi) e ha delimitato le altre ipotesi, rapportabili alla condotta del pregiudicato, ai casi di censura basata su elementi di fatto .." (Cass., sezione quarta, 22 settembre 1989, c.c. 10 agosto 1989, n. 270). Particolarmente significativa e', al riguardo, la sentenza della Corte costituzionale del 22 dicembre 1980, n. 177 che ha dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 25, terzo comma, della Costituzione, l'art. 1, n. 3, della legge n. 1423/1956, nella parte in cui elenca tra i soggetti passibili delle misure di prevenzione coloro che, per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere. Nella motivazione della sentenza si legge: " ..decisivo e' che anche per le misure di prevenzione la fattispecie legale permetta di individuare la o le condotte dal cui accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico .. le condotte presupposte per l'applicazione delle misure di prevenzione, poiche' si tratta di prevenire reati, non possono non involgere il riferimento, esplicito o implicito, al o ai reati o alle categorie di reati della cui prevenzione si tratti ..". In ordine alla disposizione sulla cui illegittimita' era stata chiamata a pronunciarsi, la Corte ha sostenuto che: "i presupposti del giudizio di proclivita' a delinquere non hanno alcuna autonomia concettuale dal giudizio stesso. La formula legale non svolge, pertanto, la funzione di una autentica fattispecie .. La proclivita' a delinquere deve essere intesa come sinonimo di pericolosita' sociale ..". Dalle pronunce giurisprudenziali riportate si evince come la legittimita' costituzionale delle misure di prevenzione, in quanto limitative della liberta' personale, sia subordinata all'osservanza dei principi di legalita' e tassativita' sanciti dall'art. 25, terzo comma, della Costituzione (riferibile anche alle misure di prevenzione). L'applicazione della misura deve trovare il presupposto necessario in una fattispecie di pericolosita' sociale prevista dalla legge e questa fattispecie deve essere sufficientemente determinata in modo da costituire il parametro dell'accertamento giudiziale ed il fondamento della prognosi di pericolosita'. Le sanzioni applicabili ai consumatori di droghe (art. 76, lettere a), b), c) e d)), pur avendo natura e finalita' identiche alle misure di prevenzione e pur comportando una serie di limiti alla liberta' personale del soggetto, sono irrogabili sul presupposto di una mera presunzione di pericolosita' sociale fondata sul solo fatto del consumo, anche occasionale, di stupefacenti. Il legislatore del 1990 ha agganciato l'applicabilita' delle misure al presupposto del consumo di stupefacenti e del rifiuto del programma terapeutico e socio-riabilitativo. Ha considerato tale dato di fatto come sintomo di uno stato di tossicodipendenza sul quale ha costruito una presunzione di pericolosita' sociale. Il consumo di stupefacenti e' cosi' diventato sinonimo di pericolosita' sociale. Il giudice e' chiamato ad applicare le sanzioni limitative della liberta' personale ed aventi finalita' preventive utilizzando le informazioni previste dall'art. 76, quinto comma, concernenti esclusivamente lo stato di tossicodipendenza ed il rifiuto o l'esito negativo del programma terapeutico. L'applicazione delle sanzioni prescinde da qualsiasi indagine fondata su indici oggettivi di pericolosita' sociale e fa leva soltanto su indici oggettivi di pericolosita' sociale e fa leva soltanto sull'accertato consumo di stupefacenti. La legge attribuisce al pretore nella scelta delle misure un'assoluta discrezionalita', mancando qualsiasi parametro legislativo che permetta di individuare e graduare le sanzioni in base a concreti e obiettivi indici di pericolosita' sociale e in base al comportamento illecito da prevenire (non va dimenticato che le misure in esame sono applicabili pure ai consumatori, anche occasionali, di droghe leggere per i quali riesce gia' difficile formulare un programma terapeutico oltre che presumere una pericolosita' sociale). Facendo leva sulla ambiguita' tra il fatto del consumo di stupefacenti e lo status di tossicodipendente, il legislatore, per mezzo delle sanzioni di cui all'art. 76, ha inteso reprimere la situazione soggettiva di tossicodipendenza in quanto status dell'individuo non approvato dalla collettivita' ed in quanto potenziale causa di microcriminalita'. La disposizione di cui all'art. 76, lettere a), b), c) e d) viola i principi di legalita' e tassativita' sanciti dall'art. 25, terzo comma, della Costituzione (e riferibile anche alle misure di prevenzione ante delictum). Le misure per i tossicodipendenti, pur essendo assimilabili alle misure di prevenzione per natura e finalita', prescindono da un accertamento della situazione di pericolosita' sociale fondato su indici obiettivi tassativamente indicati dalla legge. Esse, di conseguenza, non hanno contenuto specifico rispetto al fatto presupposto e sono irrogabili dal pretore in maniera del tutto discrezionale, mancando qualsiasi aggancio tra il presupposto delle misure e la finalita' preventiva delle stesse. E' indubbio che il comportamento del tossicodipendente possa diventare pericoloso per la sicurezza pubblica. In tal caso, il nostro ordinamento consente di applicare misure limitative della liberta' personale previste dalla legge in conformita' alla Costituzione e motivate espressamente in base alla accertata pericolosita' sociale e non solo in virtu' dello stato soggettivo di tossicodipendenza. Un ultimo profilo di incostituzionalita' riguarda la misura prevista dall'art. 76, lett. f). L'obbligo di prestare un'attivita' a favore della collettivita', almeno per una giornata lavorativa, alla settimana, senza ricevere alcuna retribuzione, viola l'art. 36, primo comma della Costituzione. Tale disposizione sancisce il diritto inderogabile del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla qualita' e quantita' del lavoro prestato. Il principio costituzionale dell'obbligo di retribuzione e' rispettato anche dall'art. 22 della legge n. 354/1975 in riferimento al lavoro dei detenuti. Alla luce delle considerazioni svolte, le questioni di illegittimita' costituzionale sollevate appaiono non manifestamente infondate. La risoluzione di dette questioni e' inoltre rilevante ai fini del procedimento in corso dovendo questo pretore, una volta accertata l'esistenza dei presupposti che legittimano la richiesta del pubblico ministero, procedere all'applicazione di una o piu' delle misure elencate dall'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990.