ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 380, secondo
 comma, lettera e), del codice di procedura penale, promossi con n.  2
 ordinanze  emesse  il  25 febbraio ed il 21 marzo 1992 dal Pretore di
 Milano, nel procedimento di convalida dell'arresto di Cara Graziella,
 iscritte ai nn. 395 e 396 del registro ordinanze  1992  e  pubblicate
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  35,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 16 dicembre 1992 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Dovendo  provvedere  alla  convalida  dell'arresto  di  Cara
 Graziella, il Pretore di Milano ha sollevato d'ufficio, con ordinanza
 del  25  febbraio  1992, una questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 380, secondo comma, lettera e),  del  codice  di  procedura
 penale,  "nella  parte  in  cui  impone l'arresto nella flagranza del
 delitto, consumato o tentato, di  furto,  ricorrendo  la  circostanza
 aggravante  prevista  dall'art.  625,  comma  I, n. 2, prima ipotesi,
 anche nel caso in cui la violenza sulle cose abbia cagionato un danno
 esiguo, tale da non potere integrare un deterioramento di  una  certa
 consistenza".
    Premesso  che nella specie il tentato furto aveva avuto ad oggetto
 una giacca ed un "tailleur" sottratti dai banchi  di  vendita  di  un
 grande  magazzino  e  che la violenza sulle cose era consistita nella
 rottura, tramite un tagliaunghie,  delle  placche  antitaccheggio,  e
 rilevato  che  tale aggravante sussisterebbe anche nell'ipotesi della
 rottura dell'involucro di cellophan di una musicassetta,  il  Pretore
 rimettente  osserva  che  con  le  previsioni di cui al secondo comma
 dell'art. 380 il legislatore delegato ha dato attuazione al  criterio
 direttivo  (c.d.  qualitativo)  enunciato  al n. 32 dell'art. 2 della
 legge delega per l'arresto obbligatorio in flagranza, predeterminando
 le fattispecie delittuose  rispondenti  alle  "speciali  esigenze  di
 tutela della collettivita'" da esso postulate.
    Dopo  aver  ricordato la delimitazione di tale concetto operata da
 questa Corte - a proposito dell'abrogato art. 1 della  legge  n.  152
 del  1975  - con la sentenza n. 1 del 1980, nonche' quella dettata in
 tema di misure cautelari dall'art. 274, primo comma, lettera  c),  in
 attuazione  della  direttiva  n.  59  della  delega, il giudice a quo
 sottolinea l'ulteriore circoscrizione che nel caso in esame si desume
 dal ricorso all'aggettivo "speciali" ed assume che la direttiva n. 32
 sarebbe violata - e con essa l'art. 76 della Costituzione - in quanto
 la norma non limita l'obbligo dell'arresto alle  ipotesi  in  cui  il
 furto  con  violenza  sulle  cose  sia  tale  da porre in pericolo le
 condizioni di base della sicurezza  collettiva,  imponendolo  percio'
 anche  nei  casi  in  cui  la  violenza  abbia  comportato  un  danno
 estremamente esiguo. L'assimilazione di tali casi ad altri nettamente
 differenti sotto il profilo del disvalore e della sintomaticita'  del
 fatto  (es.  furto  di  denaro  o  preziosi mediante perforamento con
 lancia termica del  caveau  di  una  banca)  comporterebbe,  inoltre,
 violazione dell'art. 3 della Costituzione. Sotto il medesimo profilo,
 il giudice a quo sottolinea che l'arresto e' invece facoltativo (art.
 381,  comma quarto, cod.  proc. pen. ) per fattispecie obiettivamente
 piu' gravi, suscettibili di determinare nella collettivita'  un  piu'
 intenso allarme, quali il furto commesso da persona che porta indosso
 armi,  da  tre  o  piu'  persone,  ovvero  con destrezza; e che della
 necessita'  di  distinguere  a  seconda  dell'entita'  del  fatto  il
 legislatore  si e' dato carico recentemente per i delitti concernenti
 sostanze stupefacenti  o  psicotrope,  per  i  quali  si  e'  escluso
 l'obbligo  dell'arresto  laddove  per  i mezzi, per la modalita' o le
 circostanze dell'azione ovvero per  la  qualita'  e  quantita'  delle
 sostanze,  i  fatti  previsti  dall'art.  73  d.P.R.  n. 309 del 1990
 risultino di lieve entita' (art. 2 legge n.   314 del  1991,  che  ha
 sostituito  la  lettera h) del secondo comma dell'art. 380 cod. proc.
 pen.).
    1.1. - La medesima questione, motivata in termini  sostanzialmente
 identici,  e'  stata  nuovamente  sollevata  dallo  stesso Pretore di
 Milano, con ordinanza del 21 marzo 1992, nel corso di  un  successivo
 procedimento  per  analogo  reato  nei  confronti della medesima Cara
 Graziella.
    2. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  deduce innanzitutto
 l'inammissibilita' per irrilevanza delle  questioni  sollevate,  rese
 inutili  dall'essersi  i  giudici a quibus spogliati della cognizione
 sull'arresto. Infatti i procedimenti  di  convalida  dell'arresto  si
 sono   conclusi   con   le  pronunce,  contestuali  all'ordinanza  di
 rimessione, di "immediata liberazione dell'arrestata ..  sul  rilievo
 della carenza di valido titolo di detenzione".
    Una   seconda   ragione   di  inammissibilita'  discende,  secondo
 l'Avvocatura, dal fatto che viene richiesta un'addizione  alla  norma
 impugnata  che  non  e'  concordemente  descritta,  dato che la prima
 ordinanza accenna al "danno esiguo", la seconda ai "mezzi adoperati";
 e ad una pronuncia  additiva  non  puo'  pervenirsi  quando  v'e'  da
 compiere una scelta tra piu' alternative.
    La  questione  sarebbe  comunque  infondata nel merito, essendo il
 furto con violenza sulle cose un  reato  gravemente  offensivo,  come
 puo' desumersi dall'ingente quantita' di risorse che la collettivita'
 e'  costretta  a  dedicare  alla  difesa privata da esso; ed andrebbe
 altresi' considerato  che  il  timore  dell'arresto  obbligatorio  e'
 l'unica  effettiva  remora  per  persone  che  del  furto  fanno  una
 "normale" attivita' "lavorativa".
     Il richiamo, poi, agli enunciati della sentenza n.  1  del  1980,
 sarebbe  improprio, dato che essa atteneva non alla flagranza ma alla
 cessazione  delle  esigenze  cautelari  c.d.  finali  della  custodia
 (allora  preventiva) e dunque al venir meno dello stato di detenzione
 in rapporto alla pericolosita' potenziale  del  soggetto;  e  d'altra
 parte  l'apprezzamento  delle  particolarita'  del  caso concreto ben
 puo',  una  volta  che  l'arresto  sia  convalidato,  determinare  la
 cessazione rapida della custodia ex art. 391 cod. proc. pen.;
     Infine,  secondo  l'Avvocatura,  non sarebbe prospettabile un sia
 pur limitato vizio di irrazionalita' ex art.  3  della  Costituzione,
 giacche'  la connotazione generale e astratta della norma esclude che
 possano  introdursi,  in  una  disposizione  vincolante  all'arresto,
 selettori  equivoci  o  zone  grigie,  come  prospettato  dai giudici
 remittenti allorche' sostanzialmente ipotizzano pronunce additive che
 inseriscano nella normativa criteri vaghi e arbitrari.
                        Considerato in diritto
    1. - Data l'identita' delle questioni  sollevate,  i  due  giudizi
 vanno riuniti.
    Con le ordinanze indicate in epigrafe, il Pretore di Milano dubita
 che  l'art.  380,  secondo comma, lettera e), cod. proc. pen. , nella
 parte in cui  prevede  l'arresto  obbligatorio  nella  flagranza  del
 delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose (art. 625, primo
 comma,  n.  2,  cod.  pen.  ) anche nelle ipotesi in cui questa abbia
 cagionato un danno esiguo, contrasti:
      con l'art. 76 della Costituzione,  non  potendosi  in  tal  caso
 ravvisare  quelle  "speciali  esigenze di tutela della collettivita'"
 che la direttiva n. 32 dell'art.  2  della  legge  delega  pone  come
 requisito (c.d. qualitativo) per l'obbligatorieta' dell'arresto;
      con  l'art. 3 della Costituzione, dato che la mancata esclusione
 dell'obbligatorieta'    dell'arresto    comporta    un'ingiustificata
 parificazione  con  le ipotesi piu' gravi dello stesso delitto di cui
 all'art. 625, n. 2, cod. pen. ed  un'ingiustificata  differenziazione
 rispetto  sia  ad  altre  ipotesi  di  furto  aggravato  per le quali
 l'arresto  e'  solo  facoltativo,  sia   rispetto   alla   esclusione
 dell'obbligatorieta'  dell'arresto  prevista per i delitti in materia
 di sostanze stupefacenti qualora i fatti siano di lieve entita'.
    2. - L'Avvocatura dello Stato sostiene che le  predette  questioni
 sarebbero  inammissibili per irrilevanza, dato che nei casi di specie
 i procedimenti di convalida dell'arresto  si  sono  conclusi  con  le
 pronunce,  contestuali  alla  ordinanza  di rimessione, di "immediata
 liberazione  dell'arrestata  ..  sul  rilievo della carenza di valido
 titolo di detenzione".
    L'eccezione non e' fondata, dato che presuppone un'interpretazione
 di tale provvedimento antitetica rispetto al  tenore  testuale  delle
 due   ordinanze,   con   le  quali  e'  stata  disposta  "l'immediata
 trasmissione degli atti alla  Corte  Costituzionale,  sospendendo  il
 giudizio  di  convalida  in  corso".  In realta', il provvedimento di
 liberazione dell'arrestata era imposto, in  entrambi  i  casi,  dalla
 disposizione  di  cui  all'art. 391, settimo comma, ultima parte, del
 codice di rito, il quale - nel  testo  sostituito  dall'art.  25  del
 decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 - prevede testualmente che
 "l'arresto  o  il  fermo  cessa  di avere efficacia se l'ordinanza di
 convalida non e' pronunciata o depositata nelle quarantotto ore  suc-
 cessive  al  momento in cui l'arrestato o il fermato e' stato posto a
 disposizione del giudice". Poiche'  tale  disposizione  ricollega  la
 perdita   di  efficacia  dell'arresto  alla  carenza,  per  qualsiasi
 ragione, di un  provvedimento  positivo  di  convalida  nel  suddetto
 termine,  e'  ovvio  che  l'impossibilita' di rispettarlo conseguente
 all'elevazione della questione comportava (o avrebbe  di  li  a  poco
 ineludibilmente  comportato)  l'intervento  di tale autonoma causa di
 carenza   di   valido   titolo   di   detenzione,    a    prescindere
 dall'esaurimento  del procedimento di convalida, che con le ordinanze
 era stato contestualmente sospeso. Tale procedimento non puo' percio'
 ritenersi esaurito, ne' di esso i giudici si sono spogliati: e la sua
 persistenza nonostante la liberazione  trova  ragione  nell'interesse
 generale ad una pronuncia sulla legittimita' dell'arresto, che ha pur
 sempre determinato una privazione di liberta'.
    La  rilevanza  della  questione,  dunque,  permane, trattandosi di
 stabilire  se  la  liberazione  dell'arrestata   debba   considerarsi
 conseguente  all'applicazione  dell'art.  391, settimo comma, ovvero,
 piu' radicalmente, alla caducazione  con  effetto  retroattivo  della
 disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti.
    Del  pari  infondata  e'  l'eccezione di inammissibilita' che trae
 spunto dalla parziale divergenza tra i petita delle due ordinanze, in
 quanto  -  a  parte  che  questi  sono   sostanzialmente   simili   -
 l'alternativita'   delle  prospettazioni  che  puo'  comportare  tale
 conclusione processuale deve essere insita in ciascuna delle  singole
 ordinanze,  si'  da  suscitare dubbio circa la pronuncia richiesta, e
 non puo' invece riscontrarsi  quando  si  rinvenga  in  provvedimenti
 distinti, che devono formare oggetto di valutazione autonoma.
    3.  -  La  questione non merita analitiche considerazioni sotto il
 profilo dell'invocato principio di uguaglianza, dato che, quando  una
 norma e' astrattamente applicabile ad una pluralita' di situazioni, i
 margini  di  discrezionalita'  che  vanno riconosciuti al legislatore
 sono tali da non consentire, in via generale,  un  raffronto  tra  le
 varie  fattispecie  che conduca a ritenere vulnerato il canone di cui
 all'art. 3 della Costituzione.
    Considerata,   invece,   in   riferimento   all'art.   76    della
 Costituzione, la questione e' fondata.
    La  legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, al punto 32 dell'art. 2,
 ha fissato i principi direttivi in tema di arresto obbligatorio nella
 flagranza di reato, indicando al legislatore delegato i  criteri  per
 determinare  i  reati,  consumati  o  tentati, in flagranza dei quali
 l'arresto e' obbligatorio. Un primo criterio assume come parametro la
 pena  prevista  in  astratto  per  il  reato commesso (reclusione non
 inferiore nel minimo a cinque anni e nel  massimo  a  venti  anni)  e
 indica  quindi  come  obbligatorio  l'arresto  di  chi  e'  colto  in
 flagranza di reati che - per l'entita' della pena prevista - sono  di
 rilevante  (o rilevantissima) gravita'. Con un secondo criterio viene
 affidato al legislatore delegato il compito  di  prevedere  l'arresto
 obbligatorio  anche  in  flagranza  di altri reati - puniti in misura
 meno severa - ma tali per cui  la  indicata  misura  sia  imposta  da
 "speciali esigenze di tutela della collettivita'". E' con riferimento
 a  quest'ultima  specifica  direttiva  che il legislatore delegato ha
 previsto casi di arresto obbligatorio "eccezionali"  nella  flagranza
 di  vari  reati  e  tra  questi  ultimi  anche  del  delitto di furto
 aggravato dalla violenza sulle cose (artt. 624 e  625,  n.  2,  prima
 ipotesi).
    La  Relazione  al  progetto preliminare del codice (p. 95-96), per
 precisare "il significato piu' pregnante  della  locuzione  'speciali
 esigenze  di  tutela  della  collettivita''"  -  "che caratterizza la
 direttiva in senso fortemente limitativo"  -  afferma  esplicitamente
 che  esso  va  "colto nelle indicazioni contenute nella sentenza n. 1
 del  1980  della  Corte  costituzionale  ed  in  quelle   esplicitate
 nell'art.  279  del progetto preliminare del 1978 i cui principi sono
 stati trasfusi nell'art. 274 comma 1 lett.  c),  in  tema  di  misure
 cautelari".  E  ricorda,  da  un  lato,  che la Corte, nella predetta
 sentenza  "giudicando  dell'art.  1  l.  22  maggio  1975,   n.   152
 (Disposizioni   a   tutela  dell'ordine  pubblico)  ha  ritenuto  che
 l'espressione, indubbiamente  generica,  "esigenza  di  tutela  della
 collettivita'"  trova  delimitazione e senso concreto, sia pure nel e
 dal contesto della legge 152 del 1975,  in  relazione  ai  reati  che
 hanno  quali  caratteristiche  l'uso  di  armi  o  di  altri mezzi di
 violenza  contro  le  persone,  la  riferibilita'  ad  organizzazioni
 criminali comuni e politiche, la direzione lesiva verso le condizioni
 di  base  della  sicurezza  collettiva  e  dell'ordine  democratico";
 dall'altro, che l'art.  274,  primo  comma,  lettera  c)  stabilisce,
 analogamente,  che  le  misure  cautelari vanno disposte "quando, per
 specifiche modalita' e circostanze del fatto e  per  la  personalita'
 dell'imputato,  sussiste  il  concreto  pericolo  che questi commetta
 gravi delitti della stessa indole di quelli  per  cui  si  procede  o
 diretti  contro la sicurezza collettiva o l'ordine democratico ovvero
 gravi delitti di criminalita' organizzata".
    In riferimento a quest'ultima  norma,  la  Relazione  al  progetto
 preliminare  (p.  71-72)  precisa  -  a  proposito  del  concetto  di
 "esigenze di tutela della collettivita'" - che  "utilizzandosi  anche
 indicazioni  ricavabili  dalla  giurisprudenza  costituzionale, ed in
 parte recepite dalla stessa legislazione vigente,  si  sono  pertanto
 individuate  due  -  e  due sole - categorie di fattispecie criminose
 (quelle dei gravi delitti diretti contro la  sicurezza  collettiva  o
 l'ordine  costituzionale  e  quella dei gravi delitti di criminalita'
 organizzata) la cui potenziale realizzazione da parte  dell'imputato,
 ricavabile  da  specifiche  modalita'  e  circostanze  del  fatto che
 attualmente  gli  si  addebita   nonche'   dalla   sua   personalita'
 globalmente considerata, integra di per se' l'"esigenza cautelare" in
 questione;  mentre,  con  riferimento  ad  ogni  altra situazione, la
 "tutela   della   collettivita'"   dovra'  concretarsi  nel  pericolo
 specifico di  commissione  di  delitti  collegati,  sul  piano  della
 medesimezza di indole, a quello per cui si e' imputati".
    Quanto  all'art.  380  qui  specificamente esaminato, la Relazione
 conclude che,  in  definitiva,  "si  e'  ritenuto  di  seguire,  come
 criterio  di massima per la predeterminazione degli 'altri delitti ..
 avuto riguardo a speciali esigenze di tutela della collettivita''  di
 cui  alla  lett.  b)  della  direttiva  32, quello che ha riferimento
 all'essere il delitto grave e diretto contro la sicurezza  collettiva
 o l'ordine costituzionale o l'essere un grave delitto di criminalita'
 organizzata";
    Che  l'intento  del  legislatore  delegante  in materia di arresto
 obbligatorio in flagranza fosse particolarmente restrittivo e volto a
 contenere tale misura precautelare  in  un  alveo  di  eccezionalita'
 risulta quindi chiaramente dalla stessa Relazione al codice; ed e' al
 riguardo  significativo che, mentre rispetto alla custodia in carcere
 si  e'  abbandonato,  nella  direttiva  n.  59,  il  requisito  della
 "inderogabilita'" delle esigenze di tutela della collettivita' (v. il
 testo  della  corrispondente direttiva n. 58 approvato dall'Assemblea
 della  Camera  dei  deputati  il  18  luglio  1984),  per   l'arresto
 obbligatorio  in  flagranza  si  e'  invece mantenuto il carattere di
 "specialita'" di tali esigenze.
    4. - Se si esaminano i  casi  rispetto  ai  quali  il  legislatore
 delegato,  nel  formulare  l'art.  380,  secondo  comma,  ha ritenuto
 sussistenti le suddette "speciali" esigenze, e'  dato  riscontrare  -
 sulla  scorta  di un efficace categorizzazione dottrinaria - che esse
 sono state individuate nella salvaguardia dell'ordine  costituzionale
 (lettere  a),  i)  e  talune  previsioni della lettera l)), ovvero da
 forme  di  criminalita'  organizzata  (lettera  l),  nell'ipotesi  di
 delitti  concernenti  le associazioni di tipo mafioso, e lettera m)),
 ovvero della sicurezza e incolumita' pubblica (lettere b), g), h),  e
 lettera  e),  prima  ipotesi), o ancora della liberta', incolumita' e
 sicurezza individuale da comportamenti posti in essere con  mezzi  di
 violenza personale (lettere d) e f)).
    Che il delitto di furto aggravato dalla violenza sulle cose non si
 presti    agevolmente    ad    essere   accostato   ad   una   simile
 categorizzazione, e per cio' stesso ai criteri che  l'hanno  dettata,
 sembra   alla   Corte   potersi   desumere   dallo   stesso  tipo  di
 argomentazioni  addotte  dal   legislatore   a   sostegno   del   suo
 inserimento. Nella Relazione al progetto preliminare del codice, pre-
 via  una  discutibile  considerazione  unitaria  di tale delitto e di
 quelli di rapina ed estorsione, si afferma che la previsione per essi
 dell'arresto obbligatorio in flagranza "trova giustificazione, da  un
 lato  nell'estrema  diffusione di tali reati, di guisa che non sembra
 del tutto improprio un riferimento al criterio - sia  pur  ampiamente
 inteso  -  di sicurezza collettiva, e dall'altro nella considerazione
 che la coscienza  sociale  ritiene  naturale  ed  imprescindibile  la
 misura  coercitiva  a  carico  del  fur  manifestus per lo scandalo e
 l'emozione che tale reato suscita, di guisa che, confinato  il  reato
 (con  quelli  di rapina ed estorsione semplice) fra i casi di arresto
 facoltativo,  verrebbe  sottratto  al  privato  -  la  cui   facolta'
 d'arresto   e'   opportuno   mantenere  per  i  soli  casi  d'arresto
 obbligatorio - ogni potere coercitivo con  l'insorgere  di  possibili
 questioni ove il reo fosse 'trattenuto'";
    La  congruita'  di  tale  motivazione  rispetto  al criterio delle
 "speciali"  esigenze  di  tutela  della  collettivita'  dettato   dal
 legislatore  delegante  va  qui  esaminata  non  con riferimento alla
 totalita' delle ipotesi sussumibili nell'ambito della fattispecie  di
 furto  (consumato  o  tentato)  aggravato  dalla violenza sulle cose,
 bensi' solo in relazione al caso in cui esso sia tale  da  comportare
 un  danno  di  speciale  tenuita':  nozione,  questa, cui i giudici a
 quibus, pur  adottando  espressioni  diverse,  hanno  sostanzialmente
 inteso  riferirsi,  come  si  desume dalle argomentazioni prospettate
 nelle ordinanze e dalle fattispecie concrete oggetto di esame.
    5. - Per valutare  se  le  "speciali"  esigenze  di  tutela  della
 collettivita'  ricorrano  o  meno  rispetto  ad una fattispecie cosi'
 delimitata, occorre, ad avviso della Corte, che  essa  sia  esaminata
 alla  stregua  della considerazione che l'ordinamento positivo fa dei
 suoi dati caratterizzanti, e cioe'  del  reato  di  furto  aggravato,
 dall'attenuante  del  danno  di  speciale  tenuita'  e  dell'istituto
 dell'arresto obbligatorio in flagranza.
    Sotto il primo profilo, occorre ricordare che questa Corte, con la
 sentenza n. 268 del  1986,  ha  sottolineato  che  i  principi  della
 Costituzione   hanno   radicalmente   mutato  la  considerazione  che
 l'ordinamento attribuisce "ai valori dell'essere e  dell'avere",  si'
 che  la  legislazione  che  ne  e'  seguita  ha  attenuato  il rigido
 trattamento riservato dal codice Rocco al reato  di  furto  aggravato
 eliminando  (attraverso le modifiche all'art. 69 cod. pen. introdotte
 con il decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella legge  7
 giugno   1974,   n.   220)   la  limitazione  posta  al  giudizio  di
 bilanciamento tra aggravanti e attenuanti e consentendo che anche  le
 sole  attenuanti  generiche  neutralizzino o persino prevalgano sulle
 aggravanti  del  furto:  onde  la  "gravita'  di  questo  delitto  e'
 attualmente, percio', soltanto nell'astratta comminazione della pena,
 ma  non  lo e' piu' nella realta' dell'esperienza giuridica, come ben
 dimostra  la  casistica  giudiziaria,  ispirata  ai  nuovi   principi
 costituzionali";
    Sotto  il secondo profilo, occorre innanzitutto considerare che il
 nuovo codice processuale stabilisce che la circostanza attenuante  di
 cui  all'art.  62,  n. 4, cod. pen. - applicabile, secondo il diritto
 vivente, anche al furto tentato - rientra, a differenza di  tutte  le
 altre  attenuanti,  tra  i  fattori di cui si deve tener conto per la
 determinazione della pena ai fini sia dell'applicazione delle  misure
 cautelari   (art.   278),   sia   della  sottoposizione  delle  varie
 fattispecie  delittuose  al  regime   dell'arresto   obbligatorio   o
 dell'arresto  facoltativo  in  flagranza, sia, infine, della verifica
 circa la sussistenza dei  livelli  di  pena  edittale  richiesti  per
 disporre o procedere al fermo di indiziato di delitto (art. 379);
    In  secondo  luogo,  va  tenuto  presente  che  una  piu' incisiva
 considerazione, in via generale, della speciale  tenuita'  del  danno
 emerge  dall'ampliamento dell'originario art. 62, n. 4 effettuato con
 l'art. 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19,  ove  e'  stabilito  che
 l'attenuante  ricorre  non  solo quando un danno di speciale tenuita'
 sia arrecato alla persona offesa nei delitti contro il patrimonio,  o
 che comunque offendono il patrimonio, ma anche quando sia di speciale
 tenuita'  l'evento  dannoso  o  pericoloso nei delitti determinati da
 motivi di lucro, sempreche' si sia agito per  conseguire,  o  si  sia
 comunque conseguito un lucro di speciale tenuita';
    Ne',  infine,  e' priva di rilievo ai fini in discorso la modifica
 allo stesso art. 380, secondo comma,  introdotta  con  l'art.  2  del
 decreto-legge  8  agosto 1991, n. 247, convertito con legge 5 ottobre
 1991, n.  314,  con  cui  si  e'  stabilito  -  integrando  il  testo
 originario della lettera h) - che l'arresto obbligatorio in flagranza
 per i delitti concernenti sostanze stupefacenti e psicotrope puniti a
 norma  dell'art.  73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 va escluso se,
 per i mezzi, le modalita' o le circostanze dell'azione ovvero per  la
 quantita'  e  qualita'  delle sostanze i fatti ivi previsti siano "di
 lieve entita'";
    Sotto il terzo profilo, vanno  qui  richiamate  le  considerazioni
 gia'   svolte   dianzi   circa  l'eccezionalita'  -  nell'ottica  del
 legislatore delegante - dell'istituto  dell'arresto  obbligatorio  in
 flagranza:  eccezionalita' che e' sottolineata non solo dal requisito
 di  "specialita'"  delle  esigenze  di  tutela  della   collettivita'
 richieste  perche' vi si possa ricorrere, ma anche dal fatto che, nel
 contempo, lo stesso legislatore ha abolito i casi di  obbligatorieta'
 della  custodia  cautelare  in carcere ed ha previsto condizioni piu'
 rigorose che nel passato per il fermo di indiziati di delitto;
    6. - Attenuazione della gravita' del delitto  di  cui  agli  artt.
 624-625   cod.   pen.   ,   piu'   incisiva   ed  autonoma  rilevanza
 dell'attenuante del danno  di  speciale  tenuita'  ed  eccezionalita'
 dell'arresto  obbligatorio  in  flagranza  convergono,  dunque, a far
 escludere che, nell'ottica del  legislatore  delegante,  tale  misura
 potesse essere prevista per la fattispecie in esame;
    In  tale  quadro,  le  gia' riferite giustificazioni addotte nella
 Relazione al progetto preliminare non appaiono affatto persuasive;
    Non  lo  e',  innanzitutto,  quella  che  fa  perno  sull'"estrema
 diffusione"  del  reato di furto aggravato dalla violenza sulle cose,
 sia perche' di un tale criterio non vi  e'  traccia  nella  direttiva
 dettata  dal legislatore delegante, sia perche' non minore diffusione
 hanno altre ipotesi di furto aggravato (ad es., dalla destrezza)  per
 le quali l'arresto in flagranza e' previsto come solo facoltativo;
    Ne' piu' convincente e' la tesi secondo cui "la coscienza sociale"
 riterrebbe   "naturale  e  imprescindibile"  l'arresto  nei  casi  in
 questione, sia per l'evidente genericita'  ed  opinabilita'  di  tale
 criterio,  sia  perche',  ove  anche  lo si adottasse, si perverrebbe
 probabilmente  a  conclusioni  opposte,   potendosi   ragionevolmente
 presumere  che  quanto  meno  una  parte  rilevante  dei membri della
 comunita' riterrebbe piu' equo consentire alla polizia giudiziaria di
 procedere facoltativamente, anziche' obbligatoriamente,  all'arresto,
 cosi'  evitando  tale  misura traumatica quando, ad esempio, il danno
 arrecato sia particolarmente lieve ed il fatto sia  da  addebitare  a
 persona  a  carico  della  quale non possano essere sollevati rilievi
 circa la condotta anteatta;
    Ne' e' decisivo,  infine,  l'argomento  secondo  cui  l'inclusione
 della  fattispecie  in  esame  tra  i  casi  di  arresto  facoltativo
 comporterebbe la sottrazione al privato di ogni potere  coercitivo  -
 "con   l'insorgere   di   possibili   questioni   ove  il  reo  fosse
 'trattenuto'" - perche' nulla  impedirebbe  al  legislatore,  ove  lo
 ritenesse,  di  prevedere  espressamente, nell'art. 383, la specifica
 attribuzione al privato del potere di arrestare chi fosse colto nella
 flagranza del furto aggravato in questione; e del resto, un  problema
 analogo,   ma   che   il   legislatore   non  ha  ritenuto  degno  di
 considerazione, potrebbe porsi, ad esempio, per il caso del furto con
 destrezza;
    Alla  stregua  delle suesposte considerazioni, l'art. 380, secondo
 comma,  lettera  e)  del  codice  di  procedura  penale  deve  essere
 dichiarato   incostituzionale,  per  violazione  dell'art.  76  della
 Costituzione, nella parte in cui prevede  l'arresto  obbligatorio  in
 flagranza  per  il  delitto  di  furto, quando ricorre la circostanza
 aggravante di cui all'art. 625, primo comma, n. 2, prima ipotesi  del
 codice  penale  ma concorre la circostanza attenuante di cui all'art.
 62, n. 4 dello stesso codice.