IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti gli atti dell'emarginato procedimento, osserva.
                               F A T T O
    Il procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di
 Matera,  aderendo  ad  analoga istanza contenuta nell'atto di querela
 presentato dalla Fiat Sava S.p.a. di Torino, nei confronti  di  Fusco
 Mario, per il reato p. e p. dell'art. 10 del r.d-l. 15 marzo 1927, n.
 436,  ha  chiesto a questo g.i.p. di disporre il sequestro preventivo
 dell'autoveicolo marca Fiat, tipo 154, targato MT 137478,  telaio  n.
 0124119.
    Nell'indicato   lamento   penale   la   societa'   querelante   ha
 rappresentato:
      d'aver finanziato l'acquisto del mezzo, soggetto ad "  ..ipoteca
 legale .." in proprio favore;
      d'aver  chiesto  ed  ottenuto  dal  pretore  di  Matera, sezione
 distaccata di Rotondella, provvedimento di sequestro ex  art.  7  del
 r.d.l. n. 426/1927, in quanto il debitore aveva trascurato di pagare
 alcune rate di rimborso del prestito;
      che  l'ufficiale  giudiziario  non  ha  rinvenuto il bene, ed ha
 redatto verbale negativo di sequestro;
      che  il  debitore,  sottraendo  il  veicolo  alla  garanzia  del
 credito, ha posto in essere il reato oggetto di querela.
                             D I R I T T O
    E'   opportuno   premettere   che  la  piu'  evoluta  dottrina  ha
 evidenziato come uno dei cardini del moderno diritto  penale  sia  il
 "principio della necessaria lesivita' od offensivita' del reato".
    Lo  stesso  implica  che un dato comportamento in tanto puo' esser
 previsto quale oggetto di sanzione penale, in quanto esso leda o, per
 lo meno, metta in serio pericolo beni giuridici di rilievo.
    A  causa  della  sua  gravita',  la  sanzione penale viene percio'
 considerata, negli ordinamenti  di  ispirazione  liberal-democratica,
 quale extrema ratio.
    Essa  e'  posta,  percio',  ad esclusivo presidio delle condizioni
 essenziali della convivenza civile e dei beni che vengono socialmente
 ritenuti  piu'  meritevoli  di  protezione  giuridica,   quanto   non
 diversamente tutelabili.
    In  sostanza,  all'intervento  punitivo  statuale  e' riconosciuto
 l'ambito piu' ristretto possibile.
    Nel nostro ordinamento, siffatta concezione,  dell'utilizzo  dello
 strumento  penale in casi di "stretta necessita'", ha permeato di se'
 la stessa Carta costituzionale.
    Espressione ne sono gli articoli che hanno affermato:
      il principio di riserva di legge in materia penale (25,  secondo
 comma);
      quello  della  personalita'  (al  contrario  di  altre  forme di
 responsabilita') della pena (27, primo comma), e della sua necessaria
 finalizzazione ad una fusione rieducativa (27, terzo comma);
      quello della  inviolabilita'  e  normale  incoercibilita'  della
 liberta' personale (13);
      quello  della  supremazia  assoluta  dele  valore della dignita'
 umana e della persona e del favore per la sua  piena  estrinsecazione
 mediante  l'abbattimento  di  vincoli ed ostacoli economici e sociali
 che ne limitino lo sviluppo (2 e 3).
    Atteso il carattere primario e fondamentale della Costituzione fra
 le fonti  dell'odinamento  statutale,  conseguenza  necessaria  della
 costituzionalizzazione del cennato principio e' che da quella bisogna
 ricavare  orientamento  per stabilire quali siano i beni, che in essa
 hanno diretta o implicita protezione, per i quali  trova  eccezionale
 legittimazione  la  tutela  penale  ed  e' consentito far assurgere a
 fattispecie di reato i comportamenti  che  li  ledano  o  mettano  in
 pericolo.
    Tanto  premesso, si osserva che la normativa in esame (art. 10 del
 r.d-l. n. 436/1927: "Disciplina dei contratti di compravendita  degli
 autoveicoli  ed  istituzione  del  pubblico  registro automobilistico
 presso le sedi dell'Automobil Club  d'Italia")  prevede  la  sanzione
 penale  della  reclusione  sino  a sei mesi e della multa sino a lire
 centomila per chi possedendo o detenendo, anche se  proprietario,  un
 autoveicolo oggetto del privilegio legale o convenzionale debitamente
 iscritto,  in  prima  persona,  oppure  prestando consenso all'azione
 d'altri, lo distrugga,  guasti,  deteriori,  ovvero  lo  occulti,  o,
 comunque, lo sottragga alla garanzia del creditore privilegiato.
    Tale  normativa,  in sostanza, sancisce una stravagante ed anomala
 ipotesi di responsabilita' penale per inadempimento, o,  meglio,  per
 il  pericolo  d'inadempimento,  di  obbligazioni  civilistiche e, con
 l'eccezione dell'omologo e coevo art. 10 del r.d.l. 29 luglio  1927,
 n.  1509  ("Provvedimento  per  l'ordinamento del credito agrario del
 Regno"), costituisce una singolarita' per il sistema vigente.
    Invero, come e' stato evidenziato  in  dottrina,  nell'ambito  dei
 delitti  contro  il  patrimonio (bene che e', come e' ovvio, ritenuto
 meritevole di tutela), il legislatore non sanziona penalmente le mere
 violazioni contrattuali, pur  se  capaci  di  provocare  gravi  danni
 patrimoniali,   ma   soltanto  certe  modalita'  di  aggressione  del
 patrimonio stesso.
    In siffatto contesto, assumono cosi' rilievo, ai fini della tutela
 penale, la sottrazione materiale della cosa nel furto, l'induzione in
 errore   nella  truffa,  l'approfittamento  dello  stato  di  bisogno
 nell'usura, il previo proposito di non adempiere e la  dissimulazione
 del   proprio   stato   d'incapacita'   patrimoniale  nell'insolvenza
 fraudolenta.
    Archiviato  come   un   arcaico   residuato   storico   l'istituto
 dell'arresto  per  debiti,  il  reato di cui alla legge citata sembra
 riecheggiarne il tristo ricordo.
    Esso appare, percio', in assoluta  dissonanza  con  l'ordinamento,
 avvenuto   riguardo   alla  scala  gerarchica  del  valore  dei  beni
 socialmente rilevanti, su delineata,  ricavabile  dalla  lettura  del
 dettato  costituzionale  e  dalla  quale bisogna desumere non solo le
 direttive programmatiche di tutela che devono ispirare il legislatore
 per la normazione futura, ma anche il criterio per  il  controllo  di
 legittimita' costituzionale della legislazione gia' esistente.
    E  la dissonanza si rileva ancor piu' evidente se si considera che
 tale reato, per cui e' prevista la pena della  reclusione  in  uno  a
 quella  della  multa,  e'  individuato  addirittura  come delitto: in
 contraddizione, cioe', con la scarsa considerazione sociale del  bene
 compromesso  e  dell'entita'  dell'offerta arrecata, ed in contrasto,
 quindi, con il "principio di meritevolezza" della pena, che di quello
 di "stretta necessita'" della stessa e' corollario.
    Invero, i comportamenti che la norma sanziona,  caratterizzati  da
 una, peraltro solo potenziale, lesivita' dell'interesse del venditore
 o finanziatore dell'acquisto di autoveicoli o del creditore che abbia
 su  tale  tipo  di  bene  privilegio convenzionale, non sembrano piu'
 raggiungere un livello di gravita' tale  da  risultare  intollerabili
 per  il contesto sociale o, comunque, da farli ritenere non ovviabili
 mediante il ricorso alla (sola) forma di tutela  rappresentata  dalla
 responsabilita' da illecito civile.
    La disposizione appare come il reliquato di tempi, oramai lontani,
 in  cui  il tipo di beni che essa protegge evevano una importanza che
 loro non e' certamente piu' riconosciuta.
    Analogamente,  non  e'  piu'  ragionevolmente  ed  equitativamente
 possibile  attribuire  particolare  significato, tale da giustificare
 l'intervento tutorio  penale,  alle  ragioni,  meramente  creditorie,
 della potenziale vittima (d'inadempimento) che essa individua.
    Ma v'e' di piu'.
    Poiche'   la   responsabilita'   penale   e'  in  esso  "comunque"
 ricollegata alla semplice sottrazione  del  bene  alla  garanzia  del
 creditore,  l'art. 10 della legge citata tipizza come illecito penale
 una condotta che e' ritenuta pericolosa in forza di una  mera  regola
 di  esperienza alla quale, in fatto, ben puo' dimostrarsi falsa (e la
 ritenuta esposizione a rischio del tutto inesistente).
    Esso,  percio',  delinea  e  concretizza  un  reato  di   pericolo
 presunto,  ossia  una  ipotesi  normantiva che si pone, come e' stato
 autorevolmente osservato in dottrina, in contrasto con quel principio
 (costituzionalizzato) di necessaria lesivita' il quale, si e'  detto,
 condiziona ed ispira il diritto penale.
    Alla  stregua  di  tanto,  non  e' palesemente infondato, a parere
 dell'ufficio, sospettare  che  l'art.  10  del  r.d.l.  n.  436/1927
 contrasti con la normativa fondamentale dello Stato.
    I  parametri  sono  quelli degli artt. 2, 3 secondo comma, 13, 25,
 secondo comma, e 27, primo e terzo comma, per  via  della  violazione
 del   principio   di   necessaria   lesivita',  della  ingiustificata
 compressione  dei  valori  della  dignita'  umana  e  della  liberta'
 personale,   e  dell'irragionevolezza  della  scelta  legislativa  di
 prevedere per un tipo d'illecito (per  lo  meno  divenuto)  privo  di
 particolare   rilevanza  sociale  e  di  concreta  pericolosita',  la
 sanzione piu' grave, per giunta nella forma congiuntamente  detentiva
 e  pecuniaria,  correlata  alla  qualificazione  dello  stesso  quale
 delitto.
    Ne', infine, e' da  trascurare,  chiamando  ancora  a  riferimento
 l'art. 3 della Costituzione, che la norma instaura una ingiustificata
 disparita'  di  trattamento, sia tra le varie categorie di creditori,
 attesa la tutela particolare riconosciuta solo  a  quelli  che  siano
 venditori o finanziatori dell'acquisto di autoveicoli, o che su detti
 mezzi  abbiano  comunque  privilegio,  sia  tra le varie categorie di
 debitori,   in   considerazione   della    previsione    di    penale
 responsabilita'  per  i  soli  debitori  proprietari,  in  possesso o
 detentori di autoveicoli oggetto di privilegio.
    La rilevanza della questione e' di palmare evidenza.
    Soltanto se la norma sospettata non e' incostituzionale, il  reato
 sussiste  ed  occorre  che l'ufficio prenda in esame la richiesta del
 requirente.