(Legge regione Toscana riapprovata il 18 maggio 1993). Ricorso per il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, nei confronti della regione Toscana, in persona del presidente della giunta regionale in carica, avverso la delibera legislativa riapprovata con la maggioranza assoluta dal consiglio regione il 18 maggio 1993, comunicata al commissario del Governo il 22 maggio 1993, ed intitolata "indennita' di funzione dei dirigenti legge reg. n. 41/1990, art. 38". Con telegramma 30 dicembre 1991 il Governo ha rinviato la delibera legislativa poi riapprovata. La motivazione della sentenza Corte costituzionale 11 marzo 1993, n. 80, si chiude con le parole "rimane comunque integro il potere dello Stato di incidere per modificare, nel rispetto dei principi costituzionali, il regime del trattamento di quiescenza (anche del personale dipendente dalle regioni e dagli enti locali) onde determinare, com'e' sua spettanza, l'ambito, i presupposti e l'estensione". Questo e' punto fermo da quale occorre iniziare la trattazione. L'art. 46 del d.P.R. 3 agosto 1990, n. 333, recita: "Le nuove misure degli stipendi (non anche delle indennita' e in genere dei trattamenti economici accessori). hanno effetto. sul trattamento ordinario di quiescenza normale e privilegiato, sulle indennita' di buonuscita e di licenziamento."; e le nuove misure degli stipendi hanno conglobato (art. 43 del predetto d.P.R.) le integrazioni tabellari e le indennita' di cui rispettivamente all'art. 33, terzo comma, ed all'art. 34, primo comma, lett. c), del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268. Da queste norme e' dunque stabilito (rectius, puntualizzato) il collegamento tra retribuzioni e trattamenti pensionistico e di fine rapporto. Di una mera puntualizzazione si e' trattato, posto che la regola era gia' rinvenibile nell'art. 30, comma 2.1, aggiunto al d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, dalla legge di conversione 26 aprile 1983, n. 131, ed in altre anteriori disposizioni di legge accuratamente indicate nella circolare 3 settembre 1991, n. 8/I.P., del Ministero del tesoro (in Gazzetta Ufficiale n. 212 del 10 settembre 1991). La delibera legislativa ora sottoposta all'esame di codesta Corte definisce le "caratteristiche" delle indennita' di funzione dei dirigenti previste dall'art. 38 della legge reg. Toscana 9 aprile 1990, n. 41 (in Boll. Uff. reg. Toscana dell'11 aprile 1990). Poiche' tali "caratteristiche" rilevano essenzialmente per la c.d. "quiescibilita'" e per il trattamento di fine rapporto, la delibera predetta nella realta' disciplina materia non di competenza regionale, e quindi contrasta con l'art. 117 della Costituzione: stabilire se un emolumento debba o meno qualificarsi "fisso" "continuativo" e "generalizzato" spetta allo Stato, che a tale qualificazione procede incidentalmente con autonoma e non subalterna valutazione dei connotati dell'emolumento. Non puo' ammettersi che, mediante uno strumento indiretto, il legislatore regionale ponga norme di rilievo essenzialmente pensionistico. Cio' rilevato sulla logicamente preliminare questione di competenza, si rileva altresi' che la delibera legislativa contrasta anche con i "limiti" alla legislazione regionale posti dall'art. 117 della Costituzione e con i parametri (essi pure indicati nel telegramma di rinvio) degli artt. 3 e 97 della Costituzione. In ordine a questi due profili, occorre anzitutto osservare che le indennita' delle quali si tratta, ancorche' variamente quantificate, assorbono le indennita' di presenza e sono correlate alla esclusione del personale dirigenziale "dagli istituti icentivanti. compreso il compenso per lavoro straordinario" (art. 38, sesto comma, del citato d.P.R. n. 333/1990). Questi "istituti incentivanti" ed il premio di presenza sono sicuramente esclusi dalla "retribuzione annua contributiva"; riconoscere piu' favorevoli "caratteristiche" alle indennita' di funzione dirigenziale sarebbe irrazionale e disarmonico e potrebbe innescare rivendicazioni emulative del personale non dirigenziale. In secondo luogo il tuttora vigente art. 16, terzo comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077, dispone che "in nessun caso sono da comprendersi nella retribuzione annua contributiva. le indennita' di carica e di grado. e gli assegni analoghi a quelli sopra indicati". Non pare contestabile che le indennita' di funzione dirigenziale siano da includersi in quelle "di carica" o quanto meno analoghe a queste. Il telegramma di rinvio, conformatosi alla menzionata circolare, ha tollerato la inclusione nella base contributiva della indennita' de qua per la parte relativa al coefficiente minimo 0,1; invero persino questa tolleranza sembra poco coerente con il citato art. 16. In terzo luogo occorre precisare che la regione Toscana non ha adottato la "scelta organizzativa" invece fatta dalla regione Lombardia con la legge reg. Lombardia 8 maggio 1990, n. 38, di ridurre i dirigenti ai soli effettivi responsabili di "strutture direzionali"; scelta cui conseguono da un lato un drastico contenimento del numero dei dirigenti, e d'altro lato il cessare del rapporto di impiego al venir meno della funzione. La citata legge reg. Toscana n. 41/1990 prevede, all'art. 38, sesto comma, che i dirigenti possono esser tali anche "senza responsabilita'" (lettere B) e D) ed anche con "posizione di ricerca, di ufficio" (lettera C), e, all'art. 39, terzo comma, che "il risultato negativo della gestione" non comporta cessazione del rapporto di impiego ma solo assegnazione a funzioni di minore responsabilita'. Si e' dunque in una situazione molto diversa da quella considerata nella menzionata sentenza n. 80/1993; il dirigente toscano puo' ricevere, di anno in anno, indennita' di funzione di diverso (ed anche minore) coefficiente; e cio' risulta incompatibile con i connotati della fissita' e continuita'. Mentre si richiamano le argomentazioni (pervero, fin troppo "aperte") contenute nella citata circolare interpretativa 3 settembre 1991, si sottolinea come il principio di eguaglianza abbia trovato numerose applicazioni ad opera di codesta Corte nelle pronunce in materia pensionistica e di trattamento di fine rapporto. Consentire a ciascuna regione di "manipolare" la delimitazione delle "retribuzioni contributive" (in una disordinata e costosa rincorsa) inevitabilmente vulnererebbe il principio anzidetto, senza alcun rapporto con la salvaguardia delle particolari autonomie (posto che la materia pensionistica spetta allo Stato). D'altro canto sembrano ravvisabili connessioni anche tra un armonico e razionale assetto della normativa nella materia dianzi considerata ed i principi di "buongoverno" indicati nell'art. 97 della Costituzione. Prima di concludere, giova segnalare che la giurisprudenza dei giudici "comuni" e' tutt'altro che univocamente orientata nel senso di una facile superabilita' delle delimitazioni poste dalla legge alla inclusione di trattamenti accessori nelle retribuzioni annue contributive. Si indica, ad esempio, la recentissima decisione Cons. Stato, IV, 8 febbraio 1993, n. 163 (che conferma altre precedenti). Per quanto precede si chiede di dichiarare la illegittimita' costituzionale della delibera legislativa regionale impugnata;