IL PRETORE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile n. 3051-92 del ruolo generale promossa da Giuseppe Farina contro il prefetto di Salerno ai sensi dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689. IN FATTO Giuseppe Farina proponeva tempestiva opposizione avverso ordinanza ingiunzione n. 8591-91 dell'8 settembre 1992 con la quale il prefetto di Salerno gli aveva ingiunto il pagamento della somma di lire 705.600 oltre alle spese, per aver violato la disposizione di cui all'art. 1 della legge 11 gennaio 1986, n. 3. Nei motivi dell'opposizione il ricorrente eccepiva l'illegittimita' costituzionale della norma impositiva dell'obbligo a carico dei conducenti di motoveicoli di indossare il casco protettivo. Il pretore fissava l'udienza di comparizione delle parti e la prefettura depositava gli atti relativi all'accertamento ed alla contestazione dell'infrazione, indi, all'esito della discussione orale, il pretore adottava la presente ordinanza. IN DIRITTO Ritiene questo pretore che la questione di incostituzionalita' della citata normativa, sollevata sotto molteplici profili, non sia manifestamente infondata e sia indubbiamente rilevante. 1. - Il ricorrente ha tra gli altri dedotto, quale motivo di illegittimita' costituzionale della normativa in questione, la manifesta irragionevolezza del severo regime sanzionatorio previsto dall'art. 3 della legge 11 gennaio 1986, n. 3, per l'inottemperanza all'obbligo di usare il casco in relazione a distinte ipotesi disciplinate dal Codice della Strada nel testo vigente all'epoca della commessa infrazione, che sanzionavano con minor severita' comportamenti ponenti in pericolo beni la cui tutela assume carattere preminente nella scala dei valori indicata dalla stessa Costituzione. Detto rilievo fu gia' evidenziato nel corso del dibattito parlamentare precedente l'emanazione della discussa normativa dall'on. Pierluigi Onorato, il quale si domandava "se non siano forse eccessive le sanzioni amministrative previste dal testo unificato, anche perche' le eventuali lesioni colpose sono a proprio danno" (in atti Camera, IX legisl, parere IV commissione, seduta 23 maggio 1984). Invero il citato art. 3 della legge n. 3/1986 dispone che, nel caso di violazione dell'obbligo di indossare il casco, ove si tratti di motoveicoli, la sanzione amminsitrativa ammonta da L. 100.000 a L. 500.000, sanzione che viene comminata per un comportamento posto in essere da un soggetto che, non indossando il casco, pone in pericolo esclusivamente la propria salute, nei cui confronti la collettivita' vanta solo un mero "interesse" (cfr. art. 32 della Costituzione). L'art. 102 del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, e successive modificazioni (vecchio Codice della strada), puniva invece con la ben piu' modesta sanzione amministrativa del pagamento di una somma da L. 25.000 a L. 100.000 e, nei casi piu' gravi, da L. 30.000 a L. 250.000, colui il quale manteneva durante la guida una velocita' tale da porre in pericolo l'altrui incolumita', che e' "fondamentale diritto dell'individuo" (cfr. art. 32 della Costituzione). Cosi' pure era punito con sanzioni tutto sommato assai piu' modeste, rispetto a quelle previste per l'inottemperanza all'uso del casco obbligatorio, colui il quale violava, mettendo a repentaglio la vita di terze persone, le disposizioni in materia di sorpasso (art. 106: da L. 20.000 a L. 50.000 e, nelle ipotesi piu' gravi - es. sorpasso tra TIR - da L. 100.000 a L. 250.000). Analogamente, non poteva non apparire di immediata evidenza la palese sproporzione esistente tra il severo regime sanzionatorio imposto dalla legge n. 3/1986 per i trasgressori all'obbligo di indossare il casco e quello assai piu' mite disciplinato dalla legge n. 143/1989 per coloro i quali non indossano le cinture di sicurezza (da L. 60.000 a L. 100.000, ridotte alla meta' se la violazione e' commessa in centro abitato). A tale palese disparita' di trattamento ha tardivamente posto rimedio il legislatore, che, con gli artt. 171, secondo comma, e 172, ottavo comma, del d.P.R. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), ha uniformato i regimi sanzionatori previsti per i contravventori all'obbligo di indossare il casco e per i contravventori all'obbligo di indossare le cinture di sicurezza, attenuano il rigore delle sanzioni previste per i primi (implicitamente ritenute troppo gravose) ed aumentandone il peso di quelle previste per i secondi (implicitamente ritenute troppo blande), in tal modo riconoscendo implicitamente la fondatezza delle obiezioni avanzate nei confronti dell'eccessivo rigore del regime sanzionatorio in precedenza previsto per i controvventori all'obbligo di indossare il casco. Gli artt. 1 e 3 della legge 11 gennaio 1986, n. 3, ed in particolare il regime sanzionatorio da dette norme introdotto, sembrano pertanto contrastare - nel senso sopra enunciato - con l'art. 3 della Costituzione e con la scala di valori espressa dalla stessa Carta costituzionale ed in particolare dall'art. 32 della Costituzione, sperequazione che assume contorni tali da non riuscire sorretta da ogni, benche' minima ragionevolezza. 2. - Il ricorrente deduce ancora l'illegittimita' costituzionale della citata normativa rilevando il diverso trattamento riservato dalla legge ai maggiorenni canducenti di motoveicoli nel ciclo urbano ed ai maggiorenni conducenti di ciclomotori. Invero l'art. 1 della legge 11 gennaio 1986 - giustamente - esonera dall'obbligo di indossare il casco protettivo durante la circolazione i maggiorenni alla guida di ciclomotori, in ragione delle limitate prestazioni di detti veicoli e delle caratteristiche strutturali di pericolo ridotto degli stessi (cfr. relazione Signorile, Min. trasporti, in atti Camera, IX legisl., stampato n. 1286), mentre impone agli stessi maggiorenni l'uso del casco anche all'interno dei centri abitati, ove vigono limiti di velocita' di poco superiori (50 kmh., v. art.142, primo comma, Nuovo codice della strada) a quello imposto per legge ai ciclomotori (40 kmh., v. art. 142, terzo comma, Nuovo codice della strada). Il diverso trattamento riservato dalla legge ai maggiorenni conducenti di motoveicoli nel ciclo urbano ed ai maggiorenni conducenti di ciclomotori, appare ingiustificato e discriminatorio, considerato che, se e' vero che ai secondi le condizioni del mezzo non permettono di superare il limite di velocita' di 40 kmh., e' pur vero che chi viaggia in citta' alla guida di un motociclo rispettando - come dovrebbe essere di regola - i limiti di velocita' imposti (spesso persino inferiori a quello di 50 kmh.), si trova nelle medesime condizioni ma viene comunque ad essere assoggettato ad un obbligo, quello di indossare il casco protettivo, che, a parita' di condizioni, la legge non impone ai maggiorenni conducenti di ciclomotori. Tutto cio' non puo' non apparire disciminatorio ed illogico, considerato, oltretutto, che le condizioni di sicurezza sono certamente maggiori per i motocicli, aventi ben altri impianti frenanti e ben altra tenuta di strada in ragione di pneumatici di maggior sezione e di una piu' robusta struttura del telaio, rispetto ai ciclomotori. In sostanza, la legge 11 gennaio 1986, n. 3, cosi' come l'art. 171, primo comma, lett. a-b del Nuovo codice della strada, che ne riproduce sostanzialmente le disposizioni in nulla innovando su tale punto alla normativa precedente, sarebbero viziate da incostituzionalita' nella parte in cui obbligano a comportamenti diversi cittadini maggiorenni (i ciclomotoristi ed i motociclisti) che si trovano nelle medesime condizioni: circolazione urbana, a bassa velocita' imposta, su veicoli a motore a due ruote. L'art. 1 della legge 11 gennaio 1986, n. 3, e l'art. 171, primo comma, lett. a-b, del Nuovo codice della strada, che ne riproduce sostanzialmente le disposizioni in nulla innovando su tale punto alla normativa precedente, sembrano pertanto contrastare - nel senso sopra enunciato - con l'art. 3, primo comma, in relazione agli artt. 13, primo comma, e 16, primo comma, della Costituzione. 3. - Una ulteriore censura di incostituzionalita' rivolta dal ricorrente alla normativa sul casco obbligatorio posto dalla legge 11 gennaio 1986, n. 3, e, successivamente, dall'art. 171, primo comma, lett. a-b del Nuovo codice della strada che ne riproduce sostanzialmente le disposizioni in nulla innovando alla normativa precedente, attiene alla illegittimita' sotto il profilo costituzionale di un obbligo imposto al cittadino maggiorenne di proteggersi, obbligo che si sostanzia in un vero e proprio trattamento sanitario, pur se preventivo, imposto per legge a chiunque, anche se maggiorenne, si ponga alla guida di un motociclo. Tale imposizione sembra porsi in contrasto con l'art. 32 della Costituzione che, in materia sanitaria, autorizza forme di ingerenza del potere statale nella sfera individuale del cittadino solo quando sia posto in pericolo il diritto alla salute di terzi individui. Invero, mentre per il cittadino la salute e' un diritto - cosi' come in tal modo sono qualificati i diritti di liberta', circolazione ed in genere di estrinsecazione della personalita' - la collettivita' nei confronti della salute dell'individuo vanta un mero interesse, figura giuridica di minor rilievo rispetto ai diritti di liberta' del singolo, che in nessun caso possono ad essa essere subordinati. Pertanto, mentre e' da ritenersi giusta la sottoposizione del cittadino ad obblighi coercitivi per ragioni sanitarie quando sia in gioco, contrapposto ai diritti di liberta' dell'individuo, il diritto alla salute di un numero indeterminato di persone, sembra essere al contrario illegittima ogni imposizione o limitazione che sia dettata da un mero interesse della collettivita' alla tutela della salute del singolo o, ancor meno, da motivazioni riconducibili a generiche esigenze di limitazione dei costi economici derivanti alla collettivita' dagli incidenti stradali. Invero, se di costi economici si vuol parlare, sembra giusto considerare anche l'aggravio di costi che puo' di converso derivare dal minor uso di un mezzo piu' agile, leggero, economico e meno inquinante com'e' la moto, dall'aumento del traffico con le ore di lavoro conseguentemente perse, dal maggior consumo di carburante e dall'aumento del grado di inquinamento atmosferico nelle aree urbane, apparendo invero evidente che la legge che ha introdotto l'obbligo del casco ha indotto molti a rinunciare all'uso dei veicoli a due ruote proprio in citta', laddove al contrario ogni porzione di mobilita' sottratta all'auto e trasferita su di un veicolo a due ruote si trasformerebbe in una diminuzione della congestione, a cagione del minore spazio occupato, e in una diminuzione dell'inquinamento armosferico. Peraltro, analoghe valutazioni, in un assetto costituzionale diverso, per se fondato su principi comuni con il nostro, hanno indotto negli Stati Uniti d'America la Corte suprema a pronunziarsi in piu' occasioni nel senso della illegittimita' costituzionale di leggi statali che imponevano ai motociclisti maggiorenni l'uso obbligatorio del casco protettivo (People of State of Illinois v. D. Fries, 42, III, 2d 446; American Motorcycle Association v. Davids, 11 Mich. app. 351, 198 N. W 2D 72), indirizzo dal quale e' derivata negli U.S.A. la prevalente adesione da parte degli stati federali al principio della liberta' di scelta per i motociclisti maggiorenni, attualmente in vigore in 29 dei 51 stati U.S.A. D'atro canto, anche nel nostro paese, nel corso del dibattito parlamentare era sembrato in un primo momento pacifico, prima che prevalessero considerazioni di carattere emotivo, che dall'obbligo avrebbero dovuto rimanere esclusi i motociclisti maggiorenni. Si ricordi, ad esempio, l'intervento della Sen. Marinucci (in Atti Senato, IX legisl., 8a commissione ll.pp. in sede deliberante, seduta 11 dicembre 1985), la quale si dichiaro' "favorevole ad una soluzione che preveda l'obbligo del casco per i minori", rilevando "altresi' che la previsione legislativa sulla obbligatorieta' del casco servira' a far maturare un costume e quindi a far diffondere l'uso di questo mezzo protettivo anche tra gli adulti". Del medesimo tenore furono, nel corso della stessa seduta dell'11 dicembre 1985, anche gli interventi dei senatori Mitrotti e Fontanari. Lo stesso sottosegretario ai trasporti S. Melillo, nel presentare il disegno di legge governativo in commissione il 15 marzo 1984, partiva dal "presupposto di tutelare il giovane che non ha raggiunto la maggiore eta', puntando sul senso di responsabilita' del cittadino maggiorenne" (in atti Camera, IX legisl., IV commissione, seduta 15 marzo 1984), posizione che inizialmente sembrava pacifica, come risulta anche dagli interventi, nel corso del dibattito parlamentare, dei deputati Raffaello Rubino, Damiano Poti' e Mauro Dutto (in atti Camera, IX legisl., IV commissione, seduta 31 maggio 1984). Gli artt. 1, 2 e 3 della legge 11 gennaio 1986, n. 3, e l'art. 171 commi primo, lett. a-b, e terzo del Nuovo codice della strada, che ne riproduce sostanzialmente le disposizioni in nulla innovando su tale punto alla normativa precedente, sembrano pertanto contrastare - nel senso sopra enunciato - con l'art. 32 della Costituzione. Precisata nei termini sopra enunciati la non manifesta infondatezza della questione di incostituzionalita' della citata normativa sollevata dal ricorrente sotto molteplici profili, e consequenziale la sua rilevnaza per l'applicabilita' o meno della sanzione amministrativa prevista a carico del trasgressore.