IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 1430/1992
 proposto da Marco Di Russo rappresentato e difeso dall'avv.  Domenico
 Caiazza con il quale e' elettivamente domiciliato in Latina presso la
 segreteria  della  sezione,  contro  il  Ministero  della  difesa, in
 persona   del   Ministro   pro-tempore   rappresentato    e    difeso
 dall'Avvocatura  generale dello Stato presso la quale e' domiciliato,
 ex-lege, in Roma, per l'annullamento del provvedimento del  consiglio
 di  leva  di  La  Spezia  n. 17395 del 30 giugno 1992 con il quale e'
 stata respinta la domanda di dispensa dagli obblighi militari;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  del  Ministero  della
 difesa;
    Vista  la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno delle
 proprie difese;
    Visti gli atti della causa;
    Relatore alla pubblica udienza del 5 febbraio 1993 il  consigliere
 dott. Salvatore Raponi;
    Udito,   l'avv.   dello  Stato  M.  Nicoli  per  l'amministrazione
 resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con ricorso notificato  il  12  ottobre  1992,  depositato  il  14
 successivo  il  dig.  Marco  Di  Russo  impugna  la deliberazione del
 consiglio di leva di mare di La Spezia  30  giugno  1992,  n.  17395,
 conosciuta  attraverso la comunicazione della capitaneria di porto di
 Gaeta in data 22 luglio 1992 e la notificazione del comune  di  Gaeta
 dell'11 agosto 1992, con la quale e' stata respinta la domanda intesa
 ad ottenere la dispensa dall'obbligo della ferma di leva.
    L'istante,  premesso  di  essere  orfano  di  lavoratore  autonomo
 deceduto per causa inerente allo svolgimento  della  attivita'  e  di
 avere  chiesto  la  dispensa  dall'obbligo  di  leva  in  applicazioe
 dell'art. 9, secondo comma, della legge 11 agosto 1991, n.  269,  che
 ha  modificato  e  integrato  gli artt. 21 e 22 della legge 31 maggio
 1975, n. 191, dispensa non concessa per mancanza del titolo  invocato
 essendo  il  padre  lavoratore  autonomo  e non subordinato, deduce i
 seguenti motivi chiedendo l'annullamento dell'atto impugnato:
      1) violazione dell'art. 9 della legge n. 269/1991 ed eccesso  di
 potere  sotto  i  profili del travisamento dei fatti e del difetto di
 motivazione;
      2) in via subordinata, illegittimita' costituzionale della norma
 in questione per violazione dei principi di cui agli artt. 1,  3,  4,
 41 e 52 della Costituzione.
    L'avvocatura  dello  Stato,  costituita  in  giudizio, sostiene la
 legittimita'  dell'operato  dell'amministrazione  in  ragione   della
 tassativita' dei casi di dispensa, chiedendo il rigetto del ricorso.
    Con  ordinanza  collegiale  n.  698  del  23 ottobre 1992 e' stata
 accolta la domanda incidentale di sospensiva.
    Alla pubblica udienza del 5 febbraio 1993 il ricorso e' passato in
 decisione.
                             D I R I T T O
    Il ricorrente, orfano di caduto sul lavoro, ha chiesto la dispensa
 dagli obblighi militari di leva ai sensi dell'art. 22,  primo  comma,
 n.  10,  della  legge  31  maggio  1975,  n. 191, nel testo integrato
 dall'art. 9, secondo comma, della legge 11 agosto 1991, n. 269.
    Il consiglio di leva di mare di La Spezia ha respinto  la  domanda
 non  ravvisando  l'esistenza  del  titolo  invocato "poiche' il padre
 dell'arruolato non svolgeva, al momento  del  decesso,  attivita'  di
 lavoro subordinato".
    E,  in  effetti,  come  risulta dal certificato dell'I.N.A.I.L. in
 data 13 giugno 1992 depositato in  atti,  il  padre  del  ricorrente,
 svolgeva,  al  momento  del  decesso,  attivita'  di  lavoro autonomo
 (artigiano - idraulico), mentre la disposizione invocata prevede  che
 possa  conseguire  la  dispensa dalla ferma di leva il "primo o altro
 figlio maschio di genitore caduto in servizio o nello svolgimento  di
 altra  attivita'  di  lavoro  subordinato  .."  chiaramente limitando
 l'applicazione del beneficio agli  orfani  di  lavoratori  dipendenti
 pubblici  o  privati  (come  si deduce dalle espressioni "servizio" e
 "altra attivita' di lavoro subordinato".
    Restano, dunque, esclusi gli  orfani  dei  caduti  sul  lavoro  in
 genere  e,  piu'  specificamente,  gli orfani dei lavoratori deceduti
 nell'esplicazione della loro  attivita',  non  essendo  tale  ipotesi
 contemplata nell'elencazione dei casi dispensa contenuta nell'art. 22
 citato,  salva la facolta' del Ministro per la difesa di determinare,
 in occasione della chiamata  alla  leva  di  ciascuna  classe,  e  in
 relazione  a  circostanze  eccezionali  e temporanee, altri titoli di
 dispensa in aggiunta a quelli legislativamente previsti.
    Il   ricorrente   sostiene   l'interpretazione   estensiva   della
 disposizione  di  cui  al  n. 10 dell'art. 22 della legge n. 191/1975
 sebbene la stessa riferisca il beneficio della dispensa  soltanto  ai
 figli  dei  lavoratori  dipendenti  deceduti  per  causa di servizio,
 sull'assunto che sia possibile il ricorso  all'analogia  dal  momento
 che il legislatore minus dixit quam voluit.
    In via subordinata, sostiene l'incostituzionalita' della norma con
 riferimento  ai  principi  di  cui  agli artt. 1, 3, 4, 41 e 52 della
 Costituzione.
    Il collegio non ritiene di poter condividere la  tesi  prospettata
 in   via  principale  in  considerazione  della  natura  obbligatoria
 (costituzionalmente  sancita)  del  servizio  militare  inteso   come
 attuazione  del  piu' generale dovere giuridico e morale di difendere
 la  Patria:  cio'  comporta,  essendo  i  limiti  e  i   modi   della
 "obbligatorieta'"  regolati  dalla  legge,  che  i  casi  di dispensa
 dall'obbligo non possono essere stabiliti in via  interpretativa,  ma
 vanno   necessariamente   ricondotti   a   quelli   espressamente   e
 tassativamente previsti dalla legge.
    Il ricorso dovrebbe essere, conseguentemente, respinto.
    Appare  peraltro  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
 questione di costituzionalita' sollevata in via subordinata,  essendo
 evidente  che  la sua soluzione positiva condurrebbe all'accoglimento
 del ricorso in esame.
    E in effetti, escludendo dal beneficio della dispenza i figli  dei
 lavoratori  autonomi deceduti per causa di servizio non sembra che il
 legislatore    abbia    correttamente    esercitata    la     propria
 discrezionalita'.
    Tale  esclusione  non  risponde, invero, a nessuna logica e genera
 gravi e  ingiustificate  discriminazioni  tra  i  cittadini  chiamati
 all'assolvimento degli obblighi militari e che versino in particolari
 situazioni familiari.
    La limitazione del beneficio agli orfani dei lavoratori dipendenti
 sembra  innanzitutto  postulare  che  questi soffrano della morte del
 padre (o della madre) necessariamente piu' dei figli  dei  lavoratori
 autonomi;  ma  e'  evidente  che  il  dolore,  il  disagio  morale ed
 economico sono, almeno in linea di principio, uguali per  gli  uni  e
 per gli altri.
    Spesso  il lavoratore autonomo e' un modesto artigiano (come nella
 fattispecie) che lascia in caso di decesso una  situazione  economica
 certamente  peggiore  di  quella  che,  invece,  la  legge  considera
 rilevante ai fini  della  concessione  della  dispensa  ai  figli  di
 lavoratori  dipendenti,  anche  se  con  elevati  redditi e posizione
 sociale.  Basti  confrontare   la   condizione   dei   figli   orfani
 dell'imbianchino  con  quella  degli  orfani  di  dirigenti di grosse
 aziende private o  pubbliche,  di  primari  ospedalieri,  di  docenti
 universitari etc.
    La  disposizione  in  esame  non si sottrae, quindi, ai denunciati
 prifili di incostituzionalita' in quanto:
      a) pone il lavoro autonomo in una posizione  deteriore  rispetto
 al  lavoro  subordinato  in  contrasto  con il principio fondamentale
 affermato nell'art. 1 della Costituzione secondo cui l'Italia e'  una
 Repubblica fondata sul lavoro, senza distinzioni;
      b)   non   consente  agli  orfani  dei  lavoratori  autonomi  di
 usufruire, a parita' di condizioni familiari, sociali ed  economiche,
 degli  stessi  benefici  (dispensa  dagli obblighi di leva) accordati
 agli  orfani  (maschi)  dei  lavoratori   subordinati,   con   palese
 violazione  del generale principio di uguaglianza sancito dall'art. 3
 della   Costituzione,   essendo   inaccettabile    che    i    limiti
 all'obbligatorieta' del servizio militare postulati dallo stesso art.
 52  della  Costituzione  (che  riconosce  la sacralita' del dovere di
 difendere la Patria) valgano solo per alcune categorie di orfani  del
 lavoro;
      c)   penalizza,   in   particolare,   la  scelta  di  esercitare
 un'attivita' di lavoro autonomo, pur enfaticamente tutelata dall'art.
 4 della Costituzione e, piu' in generale, comprime l'effettivita' del
 principio della liberta' di iniziativa  economica  privata  affermato
 dall'art. 41.
    L'esclusione dal beneficio della dispensa del primo o altro figlio
 maschio  di  lavoratore  autonomo  contenuta nell'art. 22 n. 10 della
 legge n. 191/1975, nel testo integrato dall'art.  9,  secondo  comma,
 della  legge n. 269/1991, appare tanto piu' illogica e irrazionale se
 si considera che la dispensa e' accordata, dal n. 11 dell'art. 22, al
 primo o altro figlio maschio di genitore invalido per servizio o  del
 lavoro (sia esso autonomo o subordinato).
    In  conclusione,  per tutte le esposte considerazioni, il collegio
 ritiene  di  dover  chiedere  la  verifica  della   costituzionalita'
 dell'art.  22,  n.  10),  della  legge  n.  191/1975,  come  aggiunto
 dall'art. 9, secondo comma, della legge n. 269/1991  nella  parte  in
 cui  esclude  dalla  dispensa  il  primo  o  altro  figlio maschio di
 genitore deceduto nello svolgimento di attivita' di lavoro autonomo.
    La rilevanza della  questione  sollevata  e'  evidente  in  quanto
 investe  la  norma  sulla  quale si fonda il provvedimento impugnato,
 onde la sua soluzione condiziona l'esito del ricorso.
    Deve  essere,  pertanto,  sospeso  il  giudizio  con   conseguente
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.