ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 47, comma primo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 ("Norme sull'ordinamento penitenziario") e successive modificazioni promosso con l'ordinanza emessa l'8 ottobre 1992 dal Tribunale di sorveglianza di Ancona nel procedimento di sorveglianza per l'affidamento in prova al servizio sociale del detenuto Mandolesi Remo iscritta al n. 105 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1993; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice relatore Renato Granata; Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza dell'8 ottobre 1992, il Tribunale di sorveglianza di Ancona - chiamato a deliberare sulla domanda di affidamento in prova al servizio sociale presentata da un condannato, per unico reato, a pena detentiva superiore ad anni tre - ha ritenuto rilevante (in quanto all'istante restava da espiare una pena residua inferiore al detto limite) e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost. - onde ha sollevato - questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 47, primo comma, dell'ordinamento penitenziario nella parte in cui (secondo l'esegesi del giudice di legittimita', non contraddetta, ad avviso del giudice a quo, dalla successiva norma interpretativa dell'art. 14- bis legge 1992 n. 356), ai fini della determinazione del limite di tre anni, ostativo alla concessione del suddetto beneficio, non consente la detrazione della pena gia' espiata, da quella originaria, ove inflitta in misura superiore al detto limite non per effetto di cumulo (di piu' pene inferiori ai tre anni) sibbene (come nella spe- cie) per unico reato. A determinare l'ipotizzata violazione del precetto dell'eguaglianza, secondo il Tribunale rimettente, sarebbe invero la norma dell'art. 8 del d.-l. n. 374/1992 (che innova, l'art. 94 del t.u. delle leggi in materia di stupefacenti, che aveva gia' inciso sull'art. 47- bis ordinamento penitenziario) - assunta come (sopravvenuto) tertium comparationis - la quale, "nei confronti di persona tossicodipendente od alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi", stabilisce ora espressamente che l'affidamento puo' essere concesso "se la pena detentiva inflitta" (resti) "nel limite di quattro anni o" (sia) "ancora da scontare nella stessa misura". Precisato che "l'innalzamento del limite da tre a quattro anni", ex art. 8 d.-l. cit., "non costituisce oggetto della verifica di legittimita' costituzionale", ritiene il tribunale che sia invece privo di giustificazione l'ancoraggio del parametro per l'affidamento (anche) alla pena residua, solo in favore dei tossicodipendenti che abbiano in corso o intendano sottoporsi a programma di recupero: per la disparita' di trattamento che, appunto, ne conseguirebbe sia in danno di condannati per altri reati sia, all'interno della stessa categoria dei tossicodipendenti, nei riguardi di quelli che non intendano intraprendere un siffatto programma, per i quali opera invece "lo sbarramento della pena originariamente inflitta" che, ai fini del beneficio, "deve essere contenuta entro il limite (3 o 4 anni) legislativamente fissato". 2. - Nel giudizio innanzi alla Corte, e' intervenuto il Presidente del Consiglio per sostenere in linea preliminare, l'inammissibilita' della impugnativa; e per contestarne, in subordine, nel merito, la fondatezza. Considerato in diritto 1. - Va esaminata in limine l'eccezione di inammissibilita' formulata dall'Avvocatura sul duplice rilievo della mancata conversione in legge del d.-l. n. 374/1992, il cui art. 8 risulta qui invocato come tertium comparationis; e delle "novita'" (rispetto a tale decreto) di quello successivo (n. 139) viceversa convertito nella legge n. 222 del 1993, che imporrebbe comunque, ad avviso della stessa Avvocatura, la restituzione degli atti al giudice a quo per il riesame della questione con riferimento alla "norma nuova". Siffatta eccezione va, pero', sotto ogni profilo disattesa, dovendosi constatare la indiscutibile presenza nell'ordinamento (art. 7 d.-l. n. 139/1993, convertito nella legge n. 222/1993) della norma interposta invocata dal tribunale rimettente. 2. - Nel merito, la questione e' infondata. Va rilevato in premessa che - proprio a seguito e sulla base della norma di dichiarata interpretazione autentica dell'art. 47 ordinamento penitenziario, contenuta nell'art. 14- bis della legge n. 356/1992, secondo cui per "pena inflitta", ai fini che ne interessano, deve intendersi "la pena da espiare in concreto, tenuto conto anche dell'applicazione di eventuali cause estintive" - le Sezioni unite della Corte regolatrice hanno ribaltato la propria precedente giurisprudenza (cui viceversa fa riferimento il giudice a quo), affermando (con recente sentenza n. 18 del 1993, conforme a plurime decisioni gia' adottate della Cassazione penale a sezione semplice) che, agli effetti della determinazione del limite di pena ostativo dell'affidamento in prova del condannato al servizio sociale, il quantum di pena espiata va detratto dalla pena originariamente erogata in misura superiore a quel limite, ancorche' per un unico reato. Ne consegue che il diritto vivente e' mutato, assumendo contenuto specularmente inverso a quello presupposto nell'ordinanza di rimessione. Per cui - risultando ora perfettamente identiche, in parte qua, sia la norma impugnata che quella assunta a tertium comparationis - evidentemente piu' non sussiste l'ipotizzata lesione del precetto costituzionale dell'eguaglianza. Dal che discende la non fondatezza della questione.