ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  286-  bis  del
 codice  di  procedura  penale,  come  introdotto  dal decretolegge 12
 novembre 1992, n. 431, e dal decreto-legge 12  gennaio  1993,  n.  3,
 promosso con ordinanza emessa il
 24  febbraio  1993  dal Giudice per le indagini preliminari presso il
 Tribunale di  Torino  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Forti
 Gianclaudio,  iscritta  al  n.  240  del  registro  ordinanze  1993 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  22,  prima
 serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 3  novembre  1993  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto  che  il  Giudice  per  le indagini preliminari presso il
 Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  2,  3,
 primo  comma, 27, terzo comma, 32, primo comma, 101, secondo comma, e
 111, primo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 dell'art. 286-bis del codice di procedura penale, come introdotto dal
 decreto-legge  12  novembre  1992,  n.  431,  e  dal decreto-legge 12
 gennaio 1993, n. 3;
      che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
    Considerato che il decreto-legge 12 novembre 1992, n. 431, non  e'
 stato  convertito  in legge entro il termine prescritto, come risulta
 dal comunicato pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  n.  8  del  12
 gennaio  1993  e  che altrettanto e' accaduto per il decreto-legge 12
 gennaio 1993, n. 3, come  risulta  dal  comunicato  pubblicato  nella
 Gazzetta  Ufficiale  n. 60 del 13 marzo 1993, sicche', in conformita'
 alla giurisprudenza di questa Corte (vedi, da  ultimo,  le  ordinanze
 nn. 292, 229, 116 e 51 del 1993), la questione deve essere dichiarata
 manifestamente inammissibile;
      che,  d'altra  parte,  nel  caso  di  specie il giudice a quo ha
 espressamente riconosciuto di  aver  gia'  fatto  applicazione  della
 norma impugnata allorche' ha disposto in sede di udienza di convalida
 la  misura  degli arresti domiciliari, deducendo, a tal proposito, la
 rilevanza della questione sotto il duplice profilo  che  "il  giudice
 era  tenuto  a  pronunciarsi  sulla  richiesta  del p.m. entro cinque
 giorni dalla stessa (art. 299 c. 3 c.p.p.) e  non  poteva,  pertanto,
 che definire la questione dello status libertatis dell'indagato sulla
 base      dell'attuale     normativa,     salvo     poi     eccepirne
 l'incostituzionalita'", e che, comunque, il giudice stesso "e' tenuto
 a riesaminare  l'attualita'  della  propria  decisione  in  punto  di
 liberta'  personale  con riferimento alle nuove e diverse esigenze di
 ordine cautelare che potranno di volta in volta presentarsi";
      che entrambi i rilievi svolti dal giudice  a  quo  in  punto  di
 rilevanza  sono  destituiti di fondamento, giacche', quanto al primo,
 anche a voler prescindere dal fatto che, essendo stato il  rimettente
 chiamato  a  pronunciarsi  de  libertate  in  sede  di  convalida, il
 referente normativo non e'  quello  offerto  dall'art.  299  comma  3
 c.p.p.  (riguardante  la  revoca  e  la  sostituzione  di misure gia'
 disposte)  ma  quello  dall'art.  391  comma  5  c.p.p.,  e'  agevole
 replicare che non e' certo la brevita' del termine a disposizione del
 giudice   una   circostanza   che   lo  legittimi  ad  una  sorta  di
 "applicazione provvisoria" di una norma ritenuta incostituzionale e a
 sollevare incidente solo in un secondo  momento;  paradosso,  d'altra
 parte,  svelato  dallo  stesso  dispositivo  dell'ordinanza  che, nel
 disporre "la  sospensione  del  giudizio  sulla  liberta'  personale"
 dell'imputato,  in  realta'  non produce effetti sospensivi di sorta,
 essendosi quel giudizio esaurito con l'adozione del provvedimento che
 ha disposto la misura;
      che anche il secondo degli accennati rilievi e' inconferente  ai
 fini  che  qui  interessano,  in  quanto  al  giudice  e'  consentito
 provvedere di ufficio alla revoca o alla  sostituzione  delle  misure
 nelle  sole  ipotesi  che  l'art.  299  comma 3 c.p.p. tassativamente
 enumera;  sicche',  non  ricorrendo  nella  specie  nessuna  di  tali
 ipotesi, e' evidente, allora, che il giudice a quo ha perso qualsiasi
 potere  di controllo sullo status libertatis, che potra' riespandersi
 solo a se'guito di una domanda delle parti  la  quale  darebbe  vita,
 peraltro, ad un nuovo procedimento incidentale;
      e   che,   pertanto,   la   questione   deve  essere  dichiarata
 inammissibile anche perche' priva del requisito della rilevanza;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;