LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento camerale, iscritto al n. 33/II C/A del registro di segreteria, sull'istanza dei signori Luigi Coscia, Michele Pepe, Giuseppe Patella, Aldo Manzolino, Raffaele Fortunato, Domenico Albano e Costantino De Sabato, tutti rappresentati e difesi dall'avv. prof. Giulio Correale, per la sospensione della esecuzione della decisione n. 52/1993 pronunciata dalla sezione giurisdizionale per la regione Puglia. Vista la suindicata decisione con la quale i predettti sono stati condannati, in solido, al pagamento, in favore dell'erario, della complessiva somma di L. 35.000.000, oltre interessi e spese legali; Vista la domanda di sospensione proposta contestualmente all'atto di appello; Udita, all'udienza camerale del 17 gennaio 1994, il consigliere relatore ed udito altresi' l'avv. Giulio Correale, nell'interesse dei suoi assistiti, nonche' il p.m.; RITENUTO IN FATTO Con decisione n. 52/1993 (depositate il 26 luglio 1993), la Sezione giurisdizionale per la regione Puglia condannava gli amministratori della U.S.L. FG/6 di Lucera menzionati in epigrafe al pagamento, in solido, della somma di L. 35.000.000, oltre interessi legali e spese di giudizio. Avverso detta pronuncia, le parti soccombenti, col patrocinio dell'avv. Giulio Correale, proponevano rituale appello e congiunta istanza di sospensione, ai sensi dell'art. 91, secondo comma, r.d. 13 agosto 1933, n. 1038. Tale domanda, venuta all'esame di questa sezione all'udienza camerale del 17 gennaio 1994, e' stata discussa, intervenuti il prof. Correale e il p.m., davanti a un collegio costituito di tre magistrati, giusta quanto disposto dall'art. 1, quinto comma, della legge 14 gennaio 1994, n. 19, di conversione del d.l. 15 novembre 1993, n. 453. CONSIDERATO IN DIRITTO La pronuncia che la sezione e' chiamata ad emettere va, ad avviso del collegio, preceduta dalla soluzione di una questione di legittimita' costituzionale, attinente alla propria composizione. 1. - Con il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, e' stato completato il decentramento a livello regionale delle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, che, limitato inizialmente alla sola regione Sicilia (d.lgs. 6 maggio 1948, n. 655), era proseguito dapprima con l'istituzione di una sezione nella regione Sardegna (legge 8 ottobre 1984, n. 658) e poi con quelle nelle tre regioni Campania, Calabria e Puglia (d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203). Questa riforma, ora compiuta, e' paragonabile, per la sua portata e la sua estensione a tutto il territorio nazionale, a quella realizzata nel 1971, nell'ambito della giustizia amministrativa, con l'istituzione dei T.A.R. e completa il parallelismo esistente tra la Corte dei conti e il Consiglio di Stato, come si ricava dal dettato costituzionale, quando disciplina le loro funzioni giurisdizionali (artt. 103 e 111) o non giurisdizionali (art. 100) o il potere di nomina di alcuni dei guidici della Corte costituzionale (art. 135, in questo caso insieme anche con la suprema magistratura ordinaria). Quanto agli appelli avverso le sentenze delle sezioni giurisdizionali regionali in materia contabile, gia' il decreto-legge n. 453/1993 aveva introdotto una notevole innovazione, sottraendone la competenza alle sezioni riunite e attribuendola alle sezioni giurisdizionali centrali, trasformate da giudici di primo grado - funzione ad esaurimento che conservano in via temporanea - in giudici d'appello. Al Senato, in sede di conversione, e' stato presentato e approvato un emendamento, che ha ridotto il numero dei componenti delle dette sezioni centrali da cinque a tre, con il manifestato intento di "snellire i collegi", compresi quelli delle sezioni riunite, ridotti da sette a cinque (v. reseconto sommario del 30 novembre 1993). Intento che, se apprezzabile sul piano dell'enunciazione teorica, sembra trascurare finalita' non meno meritevoli di considerazione, quali quelle del migliore utilizzo del personale e, soprattutto, di una maggiore e piu' approfondita ponderazione in sede di giudizio d'appello. Al criterio dello snellimento dei collegi, infatti, non si accorda un'economica di personale, in quanto ad un collegio di cinque (presidente e quattro consiglieri-relatori) corrisponde, secondo esperienza, una maggiore produttivita' rispetto ad uno di tre (presidente e due relatori), non essendo realisticamente pensabile che il presidente, anche ammesso che voglia gravarsi di aggiuntive funzioni di relatore di singoli guidizi, possa assumere un carico di pari peso a quello degli altri componenti del collegio. Ma, soprattutto, non si puo' negare che l'apporto di un maggior numero di giudici assicura in appello un riesame piu' approfondito di ciascuna vertenza. Nell'ambito della magistratura ordinaria, pur nell'identita' numerica dei collegi dei tribunali e delle Corti d'appello, si riscontra il correttivo della qualifica superiore, rivestita dai magistrati che compongono queste ultime. Nella Corte dei conti non pare sussistere altro modo, per assicurare una maggiore dialettica e ponderazione, che quello offerto dal maggior numero dei componenti dell'organo giudicante d'appello, data l'assoluta identita' di qualifiche (presidente e consiglieri) rivestita da componenti sia delle sezioni regionali sia delle sezioni centrali (mancata articolazione di qualifiche, della cui costituzionalita', in relazione all'art. 107, terzo comma, pure sarebbe lecito dubitare). In effetti, la previsione di un giudice di appello in sede centrale, avente la stessa composizione numerica, e, in astratto, gli stessi requisiti di professionalita' del giudice di prima istanza in sede regionale, appare contrastare le oggettive esigenze di coerenza e di razionalita', insiste nell'ordinamento. Contrasto tanto piu' avvertibile, quando si condideri che il legislatore, modellando il nuovo assetto organizzativo della magistratura contabile su uno schema molto vicino a quello della magistratura amministrativa, ha finito con l'assegnare alla Corte dei conti, come giudice di secondo grado, un ruolo funzionalmente analogo a quello del Consiglio di Stato, come organo giurisdizionale, con non razionale giustificazione dei differenziati criteri sottesi alla struttura dei rispettivi collegi giudicanti (ai sensi dell'art. 1, ultimo comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186, infatti, il Consiglio di Stato pronuncia, in sede giurisdizionale, "con l'intervento di uno dei presidenti e di quattro consiglieri", ossia con collegi a composizione piu' allargata rispetto a quelli dei T.A.R.). Ove alla base del menzionato emendamento fosse stato presente il cennato confronto con la giurisdizione ordinaria di merito, il confronto stesso parrebbe mal posto, in quanto la Corte dei conti, la quale, come sottolineava la Corte costituzionale nella sentenza n. 226/1976, e' annoverata dalla Costituzione (art. 135, secondo comma) tra le superiori magistrature ordinaria e amministrative, deve essere posta a raffronto soprattutto con il Consiglio di Stato, per le ragioni gia' dette. Anche la Corte di cassazione, peraltro a sezioni semplici, giudica con collegi composti di cinque magistrati ( art. 67, primo comma, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12). Ma la differneza piu' sostanziale tra le sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei conti e le corti d'appello, e' costituita dal fatto che le sentenze delle prime, cosi' come quelle emesse dalle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato sugli appelli proposti avverso le sentenze dei T.A.R. non ammettono alcuna superiore istanza, salvo il ricorso in cassazione, esperibile, pero', soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111, ultimo comma, della Costituzione). Da una indagine comparativa sulla struttura dei vari organi giurisdizionali esistenti si puo' rilevare: a) la preferenza, anzitutto, del legislatore per la collegialita', anche in primo grado: ai giudici monocratici sono riservate le cause di minore rilevanza; b) una collegialita' ampliata tutte le volte che la pronuncia di riesame spetti alle magistrature superiori; c) in sintesi, il principio desumibile dalle norme positive, che un riesame della controversia assoggettata a gravame, si accompagna alla costituzione di un giudice di rango superiore, il quale, per la piu' delicata e, ad un tempo, autorevole funzione giustiziale che gli compete, viene comunemente identificato in un organo giudicante che, per composizione e grado di professionalita' ed esperienza, offra sufficiente garanzie di accentuata sensibilita' giuridica per una piu' meditata e giusta decisione. La recente legge sulla Corte dei conti va, come si e' visto, in tutt'altra direzione. 2. - La rilevata disarmonia venutasi a creare nella struttura della Corte dei conti in sede di appello, rispetto alle altre magistrature superiori, non sembra conforme, pertanto, al principio del buon andamento, fissato dall'art. 97, primo comma, della Costituzione, al quale deve informarsi anche l'organizzazione degli uffici giudiziari. Non sembra invero ipotizzabile alcuna correlazione logica tra il ridotto apporto cognitivo, promanante da un piu' limitato confronto delle opinioni e delle valutazioni espresse in sede collegiale, e l'obiettivo soddisfacimento delle specifiche esigenze funzionali proprie degli organi giudicanti di elevato rango, dai quali ci si attende una decisione il piu' possibile immune da vizi. Ma anche per altro riguardo non sembra rispettato il principio ora richiamato. Rispetto ad una struttura assolutamente identica, sia quanto alle qualifiche dei magistrati che la compongono, sia quanto al numero dei votanti, delle sezioni regionali e delle sezioni centrali della Corte dei conti, diversa risulta invece la composizione dell'ufficio del p.m. Infatti, mentre innanzi alle sezioni regionali le funzioni del p.m. sono esercitate da un vice procuratore generale, con funzioni di procuratore regionale (o da altro magistrato assegnato all'ufficio, che puo' essere anche un sostituto procuratore generale), innanzi alle sezioni centrali, invece, le dette funzioni sono esercitate dal procuratore generale (o da un vice procuratore generale). Nell'organizzazione di questo ufficio risulta, percio', rispettata l'esigenza di cui all'art. 107, terzo comma, della Costituzione, dell'articolazione cioe' delle funzioni per qualifiche, al contrario di quanto avviene, invece, nell'ambito dell'organo giudicante. Quanto all'assistenza legale dei convenuti, essa, a sua volta, puo' essere svolta innanzi alle sezioni regionali - in applicazione analogica della norma dettata per i giudizi pensionistici (art. 6, quinto comma, della citata legge n. 19/1994) - da professionisti iscritti all'albo degli avvocati o dei procuratori, mentre innanzi alle sezioni centrali puo' essere svolta soltanto dagli avvocati iscritti negli albi delle magistrature superiori (art. 1, terzo comma, del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con il r.d. 13 agosto 1933, n. 1038). 3. - La disposizione in esame appare, inoltre, in contrasto, per i prospettati dubbi di ragionevolezza e di congruita', con l'art. 3 della Costituzione, essendo bene noto che l'essenza del principio di uguaglianza impone, tra l'altro, un trattamento adeguatamente differenziato di situazioni tra loro diverse. Non e' chi non veda come diversamente si atteggi l'interesse delle parti in causa in relazione al fine dell'attuazione della giustizia in un procedimento di primo o di secondo grado. Per altro verso, l'irragionevolezza intrinseca della disposizione normativa appare evidente, quando si rifletta che, nel caso di controversie anche di modestissimo valore, un pubblico dipendente potra' contare su una struttura degli organi di giustizia amministrativa piu' garantista di quella cui si trovera' invece assoggettato, se sia convenuto in giudizio per un presunto danno, che potra' comportare la condanna al pagamento di somme anche molto elevate. Disparita' che apparirebbe ancor piu' evidente se gia' fosse previsto l'appello avverso le decisioni delle sezioni regionali in materia pensionistica (v. art. 125, secondo comma, della Costituzione, e sentenze costituzionali n. 69/1982 e n. 52/1984). 4. - La disposizione in argomento, riflettendosi negativamente sugli equilibri della dialettica processuale, sembra limitare ingiustificamente, per difetto di condizioni oggettivamente idonee ad assicurare nel miglior modo un giusto provvedimento decisorio, la piena estrinsecazione, in ogni grado del procedimento, della difesa delle parti. La nuova norma appare, quindi, confliggente anche con l'art. 24 della Costituzione. 5. - La ridotta composizione degli organi di appello della giurisdizione contabile sembra violare altresi' l'art. 111, ultimo comma, della Costituzione che limita il ricorso in Cassazione contro le decisioni della Corte dei conti ai soli motivi inerenti alla giurisdizione. Tale limitazione sembra trovare fondamento anche nella struttura allora esistente delle sezioni giudicanti della Corte stessa, quale disciplinata dall'art. 4, secondo comma, del testo unico 12 luglio 1934, n. 1214, che costituiva, al pari della composizione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, l'evidente presupposto della citata norma costituzionale. 6 - Ulteriori motivi di grave perplessita' sorgono dall'applicazione della norma in questione agli appelli avverso le decisioni della sezione giurisdizionale per la regione siciliana, cosi' come precedentemente disciplinati dal d.lgs. 6 maggio 1948, n. 655, in attuazione dell'art. 23 dello statuto, in quanto in tale decreto d.lgs. (artt. 3, ultimo comma, e 4, ultimo comma) e' stabilito che: "contro le decisioni della sezione giurisdizionale .. e' ammesso l'appello alle sezioni riunite della Corte dei conti, ai sensi dell'art. 67 del testo unico, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214", nella composizione, ovviamente, stabilita dall'art. 2, primo comma, della legge n. 161/1953 e cioe' con undici magistrati. La legge n. 19/1994 sembra aver ignorato il diverso rango che spetta ai decreti attuativi dello statuto siciliano, approvato con legge costituzionale. 7. - Considerazione a parte merita il regime temporaneo, destinato a durare fino alla data di insediamento dell'ultima delle sezioni giurisdizionali regionali, ma, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 1994 (art. 1, ottavo comma, legge n. 19/1994). Infatti, in tale periodo transitorio, le sezioni giurisdizionali centali I e II, nei numerosi casi in cui continuano ad esercitare la giurisdizione di primo grado (art. 11 della legge 8 ottobre 1984, n. 658, richiamato dall'art. 1, ottavo comma, della legge n. 19/1994; art. 1, quarto comma, della legge n. 19/1994; art. 1, ottavo comma, della legge n. 19/1994), conservano (art. 2, primo comma, della legge 21 marzo 1953, n. 161) la composizione di cinque magistrati, al pari, del resto, delle altre sezioni centrali, competenti nelle materie pensionistiche, per le quali non e' previsto l'appello, e destinate ad essere soppresse (art. 1, ottavo comma, della legge n. 19/1994). La riduzione a tre componenti e' stabilita dall'art. 1, quinto comma, della legge n. 19/1994, con esclusivo riferimento alla loro competenza di giudici d'appello. Talche', le predette sezioni si trovano ora a giudicare, in prima grado, con collegi di cinque magistrati e, in appello, con collegi di tre. Le considerazioni innanzi svolte vengono avvalorate da un'ulteriore constatazione del dato normativo in relazione alla competenza delle sezioni riunite in materia d'appello nello stesso periodo transitorio. La competenza in grado d'appello attribuita alle sezioni giurisdizionali centrali concerne le sentenze emanate dalle sezioni giurisdizionali regionali. Si deve, pertanto, ritenere che gli appelli da proporre avverso le sentenze emesse in primo grado dalle sezioni prima e seconda, comprese quelle che esse potranno emettere fino al 31 dicembre 1994, continuano ad essere attribuiti alle sezioni riunite, ai sensi dell'art. 67 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e nella composizione stabilita dall'art. 2, primo comma, della citata legge n. 161/1953 (cioe' con undici componenti). La nuova composizione di cinque magistrati e' prevista, infatti, dalla nuova legge esclusivamente per giudicare i conflitti di competenza e le questioni di massima. Ne' si puo' ipotizzare alcun'altra soluzione, in quanto non troverebbe alcun fondamento normativo. 8. - In base alle considerazioni sopra illustrate, il Collegio dubita che, in relazione agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, la norma in argomento possa dirsi costituzionalmente legittima. Dati di riferiti dubbi, si ritiene, pertanto, di dover sollevare, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale della norma stessa, apparendo non manifestamente infondata, alla stregua delle considerazioni svolte. 9. - La questione e' altresi' certamente rilevante, non potendo il presente giudizio essere definito, indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata. Attenendo essa, infatti, alla regolare costituzione dell'organo giudicante, ne consegue che l'eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma, non determinando alcun vuoto legislativo, confermerebbe soltanto che questo giudice e' inidoneo, nell'attuale composizione, a pronunciarsi sull'appello devoluto al suo giudizio. Si dovrebbe provvedere, quindi, a comporre l'organo stesso, in conformita' alla pronuncia della Corte costituzionale, cioe' secondo l'art. 2, primo comma, della legge n. 161/1953. 10. - Nell'inviare gli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione sollevata, non sembra a questo giudice che i dubbi prospettati siano preclusi dalle recenti ordinanze n. 590/1988 e n. 10 del 1994, con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale concernenti la composizione di collegi giudicanti, con riferimento all'art. 108 della Costituzione, essendo stati assunti a base della presente ordinanza altri parametri costituzionali, atteso che la discrezionalita' del legislatore non sembra poter sfociare nell'arbitrio, nella illogicita', nella irrazionalita', specie se comportano per di piu' una difformita' di trattamento di cittadini che versano nella medesima situazione giuridica ne' che, all'interno dello stesso organo giurisdizionale, situazioni assolutamente identiche vengono trattate diversamente, come sopra illustrato. Non e' inutile, infine, rammentare, nei limiti della sua valenza, la sentenza n. 212/1984, con la quale la Corte costituzionale, travolgendo l'intero d.P.R. 29 aprile 1982, n. 240, istitutivo di una senzione giurisdizionale e delle sezioni riunite della Corte dei conti in Sardegna, dichiaro' in particolare, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del decreto stesso, che riduceva da 5 a 3 il numero di componenti del collegio giudicante.