IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro Montanaro Mauro, nato il 9 settembre 1973 a Padova, atto di nascita n. 3620/A.I., residente a Padova in via Buie n. 20, celibe, incensurato; gia' artigliere presso la quarta batteria missili di stanza in Fontanafredda (Pordenone) ed attualmente in congedo; libero imputato di esecuzione indebita e possesso ingiustificato di fotografie concernenti la forza, la preparazione, la difesa militare dello Stato (art. 90, primo comma e n. 4 del c.p.m.p.) perche', anteriormente al 28 aprile 1993, e comunque durante il servizio militare di leva, senza la necessaria autorizzazione eseguiva 25 fotografie riproducenti armi e sistemi d'arma e l'area riservata esistenti nella caserma "Zampa", sede della quarta batteria missili contraerea e, perche' la sera del 28 aprile 1993 veniva colto dai c.c. di Sacile in possesso ingiustificato delle medesime; documentazione concernente la forza, la preparazione e la difesa militare dello Stato. FATTO E DIRITTO Al soldato Montanaro Mauro e' contestato, innanzitutto, il reato p. c.p. dall'art. 90 primo comma, n. 1 del c.p.m.p., per aver eseguito venticinque fotografie riproducenti armi e sistemi d'arma e l'area riservata della caserma della quarta batteria missili controaerea di Fontanafredda. A conclusione del dibattimento, e' stata richiesta l'assoluzione, dal momento che dei sistemi d'arma dell'artiglieria controaerei si tratta liberamente in riviste specializzate. In subordine, la difesa ha anche chiesto che venga sollevata questione di legittimita' dell'art. 90, primo comma, n. 1, in relazione all'art. 3 della Costituzione. Il tribunale non puo' condividere le conclusioni nel merito delle parti, in quanto nelle riviste specializzate si tratta si' di queste armi in generale, ma non di certo delle notizie riservate cui si riferisce l'imputazione, e cioe' la dotazione di un ben determinato reparto sito nelle vicinanze di un importante aeroporto militare e la dislocazione dei sistemi missilistici in quella corrispondente area riservata; notizie, queste, comprese nell'elenco allegato al r.d. 11 luglio 1941, n. 1161 (Norme relative al segreto militare). Le venticinque fotografie in giudiziale sequestro, che il Montanaro deve aver eseguito durante il servizio militare, riproducono i sistemi d'arma e un plastico dell'area riservata di lancio e appaiono pertanto idonee a fornire, nel collegamento con altri dati, le suaccennate notizie. Non e' invece, manifestamente infondata, la questione di legittimita' prospettata dalla Difesa. Il reato previsto dall'art. 90 sussiste solo quando, come nella specie, non ricorre la finalita' di spionaggio, dal momento che l'art. 7, della legge 23 marzo 1956, n. 167 ha introdotto nel c.p.m.p. un art. 89- bis, che punisce con pene piu' severe quelle stesse condotte che sono descritte nell'art. 90 quando siano poste in essere a scopo di spionaggio. Questo, inoltre, punendo condotte preparatorie rispetto ai reati di procacciamento e rilevazione non a scopo di spionaggio, previsti rispettivamente dagli artt. 89 e 91 del c.p.m.p., e' applicabile solamente nel caso di insussistenza di questi ultimi. Il trattamento sanzionatorio comminato per il reato de quo e' irragionevolmente piu' grave rispetto a quello comminato per i reati di procacciamento e rivelazione, che comportano una diretta lesione del bene giuridico tutelato. Infatti, mentre la proporzione e' rispettata per le corrispondenti figure del codice penale (artt. 256, 257 e 260), le condotte delineate nell'art. 90, primo comma, del c.p.m.p. sono punite con la reclusione militare da cinque a dieci anni, pena piu' grave di quella, la reclusione militare da tre a dieci anni, prevista per il reato contemplato dall'art. 89. Quanto al trattamento sanzionatorio del reato previsto dall'art. 91, esso e' piu' severo, consistendo nella reclusione militare da cinque a ventiquattro anni, ma ugualmente sbilanciato rispetto a quello del reato previsto dall'art. 90, a causa dell'uguale misura, cinque anni, del minimo edittale. Ancora piu' grave sarebbe, poi, la violazione del principio costituzionale di uguaglianza, qualora si dovesse aderire all'interpretazione giurisprudenziale, secondo cui la disposizione dell'art. 93 del c.p.m.p., applicabile nel caso di procedimento o di rilevazione quando la notizia non sia segreta ma semplicemente riservata, non sarebbe correlabile anche all'art. 90 per configurare un reato punibile con pena sensibilmente inferiore, nell'ipotesi in cui fotografie, disegni, schizzi, ecc. siano atti a fornire non gia' notizie segrete, ma di mero carattere riservato. Del resto, per queste stesse ragioni, che ora vengono riferite all'ipotesi di reato del primo comma n. 1 dell'art. 90, la Corte costituzionale con la sentenza n. 49/1989 gia' ha dichiarato l'incostituzionalita' del primo comma, n. 4 dello stesso articolo. Oltre alla violazione del principio dell'art. 3 della Costituzione questo giudice ravvisa anche quella dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto la pena irragionevole e sproporzionata compromette ogni possibilita' di rieducazione. La dichiarazione di illegittimita' dell'art. 90, primo comma, n. 1 del c.p.m.p. dovrebbe, sempre a parere di questo tribunale, essere estesa, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ad ogni altra ipotesi di reato delineata nell'art. 90, ivi essendo previste condotte preparatorie rispetto a quella (a sua volta preparatoria) della disposizione qui impugnata. Al Montanaro e' contestato, inoltre, di essere stato in Sacile colto in possesso delle medesime fotografie. Fatto, questo, che non rientra piu' nella previsione dell'art. 90, primo comma, n. 4 del c.p.m.p., dal momento che questa disposizione e' stata caducata con la sentenza della Corte costituzionale, bensi' dell'art. 260, primo comma, n. 3 del c.p. In relazione a quest'ultima imputazione il problema della giurisdizione richiede un approfondimento. Com'e' noto, dispone l'art. 263 del c.p.m.p. che al giudice militare appartiene la cognizione dei reati militari, ed e' necessario, pertanto, determinare se presente, carattere di militarita' il reato p. e p. dell'art. 260 del c.p. Stabilisce, al riguardo, l'art. 37, primo comma, del c.p.m.p. che "qualunque violazione della legge penale militare e' reato militare". La disposizione, apparentemente inutile (essendo inconcepibile che l'interprete sia cosi' fantasioso da negare militarita' alla violazione della detta legge) e cosi' strutturata da lasciare un senso di incompletezza e l'aspettativa di un'ulteriore disposizione comportante che anche violazioni di altre leggi possano essere reato militare, nella realta' e' stata, invece, intesa quale autentica ed esaustiva definizione del reato militare. In altri termini, previa infrazione delle regole della sillogistica, essa e' stata convertita nella proposizione "qualunque reato militare e' violazione della legge penale militare". E si tratta di interpretazione cosi' quasi unanimamente pacifica da non aver a tutt'oggi reso necessaria alcuna pronuncia delle giurisprudenza regolatrice. Alla stregua dell'art. 37, primo comma, interpretato nel senso suindicato, e' evidente la conclusione che nella specie ne deriverebbe sul problema di giurisdizione: la violazione dell'art. 260 del c.p., in quanto legge penale comune, non puo' essere reato militare. Ma questo tribunale dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 37, primo comma, come sopra inteso, quale definizione del reato militare. Ne appare vulnerato, innanzitutto, il principio costituzionale dell'art. 3 in quanto reati ontologicamente identici, quale da un lato quello previsto dall'art. 90, primo comma, n. 1 del c.p.m.p. e dall'altro quello previsto dall'art. 260, n. 3 del c.p., il primo considerato militare ed il secondo comune, sono tuttavia assoggettati a diversi regimi giuridici (per elemento soggettivo, aggravanti, attenuanti, scriminanti, pene principali ed accessorie, effetti penali della condanna, ecc.). Si considerino, al riguardo, la parte generale del vigente c.p.m.p. e le leggi sullo stato giuridico delle varie categorie di militari. Naturalmente, l'irrazionalita' non e' solo di questo caso, perche' anzi essa e' elevata a sistema. Nell'esemplificazione occorre, tuttavia, attenersi a criter di stringatezza. Si consideri che, sulla base della comunemente accettata interpretazione dell'art. 37, primo comma, con le gia' evidenziate diverse conseguenze in ordine al complessivo regime giuridico, e' reato militare: l'abuso dell'ufficio di comando quando dia luogo a peculato o malversazione (artt. 215 e 216 del c.p.m.p.) ma non il generico abuso del medesimo ufficio; l'omicidio a danno del superiore o dell'inferiore (artt. 186 e 195 del c.p.m.p.) nelle situazioni indicate nell'art. 199 del c.p.m.p., ma non quando commesso nell'ambiente militare in qualsiasi altra circostanza; le lesioni volontarie (artt. 223 e 224 del c.p.m.p.) a danno di qualsiasi militare (parigrado, e inferiore e superiore al di fuori delle circostanze indicate nell'art. 199), ma mai l'omicidio preterinzionale o volontario; persino (t.s.m. 14 novembre 1969, C. Malavasi) l'eccesso colposo in una causa di giustificazione (art. 45 del c.p.m.p.), ma non il corrispondente reato colposo; il furto a danno di militare in luogo militare (art. 230 del c.p.m.p.), ma non la rapina avente identiche caratteristiche; la minaccia a danno di militare (art. 229 del c.p.m.p.), ma la non violenza privata o l'estorsione, pur trattandosi di forme delittuose in cui a volte si realizza il c.d. nonnismo; ecc. Il criterio, di diritto vivente, per il riconoscimento della militarita' del reato porta davvero all'applicazione di regimi giuridici diversi a reati ontologicamente identici. Ma dall'art. 37, primo comma, deriva anche un'ulteriore violazione del principio dell'art. 3 della Costituzione, in quanto reati aventi la medesima oggettivita' giuridica sono assoggettati a due diverse giurisdizioni. Quest'ultimo aspetto, in verita', non e' cosi' drammatico come il primo, dal momento che le regole processuali applicate dinanzi ai tribunali militari sono ormai quelle stesse, in ogni aspetto, che regolano il processo penale comune. Inoltre, le garanzie di indipendenza dei magistrati militari sono quelle stesse riconosciute alla magistratura ordinaria (leggi 7 maggio 1981, n. 180 e 30 dicembre 1988, n. 561). Rimane tuttavia un dato, posto bene in rilievo dalla Corte costituzionale con la stessa sentenza n. 49/1989 gia' ad altro riguardo citata, caratterizzante la giurisdizione militare, e sul quale questo tribunale fonda l'ulteriore profilo di apparente violazione dell'art. 3 della Costituzione. Si tratta della presenza nel Collegio giudicante dell'ufficiale delle Forze armate (art. 2, secondo comma, n. 3 della citata legge n. 180/1981) che, come argomenta la Corte, e' "chiamato a dare un qualificato contributo inerente alle peculiarita' della vita e dell'organizzazione militare; contributo consistente nell'aiutare il Collegio a fondare le proprie valutazioni sulla piena conoscenza e la piena comprensione dei molteplici aspetti del concreto atteggiarsi di quel settore; delle condizioni che lo caratterizzano e dei problemi che vi si pongono. Aspetti tutti che non possono non riflettersi sulla ricostruzione e valutazione degli elementi oggettivi e soggettivi dei fatti-reato sottoposti al giudizio del tribunale, anche alla luce di quei valori tipici dell'ordinamento militare che gia' la Corte ha ritenuto tali da concorrere a giustificare l'esistenza della speciale giurisdizione (sentenza n. 192/1976". Ora, se si e' per cio' in presenza di una giurisdizione speciale e specializzata, ne risulta dall'art. 37, primo comma, del c.p.m.p. vulnerato il principio dell'art. 3 della Costituzione, in quanto, tra reati ugualmente militari, solamente quelli compresi in quella "definizione" sono devoluti alla cognizione del giudice militare. La valorizzazione, operata della Corte costituzionale, del tribunale militare come giudice specializzato e quindi particolarmente idoneo a conoscere dei reati militari fa intravedere anche la violazione della garanzia del giudice "naturale", prevista dall'art. 25, primo comma, della Costituzione: l'art. 37, primo comma con la restrittiva "definizione" di reato militare comporta che non ogni reato di quel tipo sia attribuito alla giurisdizione appropriata. La disposizione qui impugnata appare, inoltre, in contraddizione con il principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia, di cui all'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto l'artificiosita' e irrazionalita' dei criteri di delimitazione della sfera di competenza dei tribunali militari porta a procedimenti particolarmente e inutilmente laboriosi, che spesso si svolgono in due fasi, una dinanzi al giudice militare e l'altra al giudice ordinario. Si pensi a che cosa accade quando, ad es., la distinzione tra le due giurisdizioni dipenda dalle alchimie dell'art. 199 del c.p.m.p., o al presente procedimento, in cui la configurabilita' del reato "comune" sembrerebbe condizionata dall'insussistenza del reato militare. Inoltre, a parere di questo tribunale, il principio dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, dovrebbe anche implicare che, una volta che si sia dato vita ad un apparato giudiziario certamente utile ma non indispensabile, questo sia impiegato nell'intera ampiezza del servizio che legittimamente puo' rendere alla comunita'. L'art. 37, primo comma, infine, appare in contrasto con l'art. 103, terzo comma, della Costituzione, dal momento che, nella sua corrente interpretazione, comporta che al giudice militare sia sottratta la cognizione dei reati militari che non siano violazione della legge penale militare. Questo tribunale di certo non ignora che la Corte costituzionale in numerose sentenze (nn. 29/1958, 81/1980, 207/1987, 78/1989 e 429 del 1992) ha stabilito che la disposizione dell'art. 103 costituzionalizza il limite nel tempo di pace della giurisdizione dei tribunali militari, senza una riserva di giurisdizione a loro favore. La questione, tuttavia, e' pur sempre riproponibile, in quanto la lettera della disposizione costituzionale (nella quale l'avverbio "soltanto" potrebbe valere esclusivamente a distinguere la giurisdizione del tempo di pace rispetto a quella del tempo di guerra) puo' consentire anche una diversa interpretazione. Inoltre, con la sentenza n. 16/1978, la stessa Corte ha considerato costituzionalmente obbligata l'esistenza dei tribunali militari. In definitiva, oltre alla questione riguardante l'art. 90 del c.p.m.p., questo tribunale ritiene di dover sollevare questione di legittimita' dell'art. 37, primo comma, del c.p.m.p., in relazione agli artt. 3, 25, primo comma, 97, primo comma, e 103, ultimo comma, della Costituzione. E' appena il caso di aggiungere che, con la propugnata caducazione dell'art. 37, primo comma, nel significato che gli e' stato finora conferito, la determinazione del concetto di reato militare sarebbe si' affidata all'interprete, ma non diversamente da quanto gia' avvenga per altre basilari nozioni, pure incidenti su problemi di giurisdizione. E soprattutto che il rischio di arbitri interpretativi si riduce al minimo, dal momento che da tempo la dottrina ha elaborato una nozione di reato militare, comprensiva non solo delle violazioni della legge penale militare, ma anche della legge penale comune quando nel fatto ricorrano positivi elementi di collegamento, gia' del resto presenti nella vigente speciale codificazione, con il sistema penale militare.