LA COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'intendenza di finanza di Roma contro Scipioni dott. Vincenzo per l'annullamento della decisione della commissione tributaria di secondo grado di Roma, n. 88080784 emessa in data 17 ottobre 1988. F A T T O Con decisione n. 866241113 del 17 dicembre 1986, la commissione tributaria di primo grado di Roma respinse il ricorso proposto dal dott. Scipioni Vincenzo avverso il silenzio-rifiuto dell'intendenza di finanza di Roma, formatosi sull'istanza con la quale egli aveva richiesto il rimborso dell'intera Irpef, trattenutagli sull'indennita' di buonuscita E.N.P.A.S., facendo tuttavia "salvi gli effetti di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 178/1986". Per l'annullamento di tale atto decisionale proponeva appello la predetta intendenza di finanza, eccependo che non le sarebbe stata trasmessa la copia conforme del ricorso, ex art. 17 del d.P.R. n. 636/1972. Il contribuente contestava l'affermazione dell'ufficio esibendo documentazione dimostrativa. La commissione di secondo grado, con decisione n. 88080784 del 17 ottobre-15 novembre 1988, respingeva l'appello proposto dall'intendenza, osservando che il contribuente aveva documentato con l'esibizione della ricevuta della cartolina di ritorno, il rituale invio all'ufficio della copia del ricorso proposto innanzi alla commissione tributaria di primo grado. Nel merito, confermava la decisione di primo grado "non essendovi contestazioni da parte dell'ufficio" e, per l'effetto, dichiarava doversi escludere dalla imposizione Irpef, sia la quota di indennita' pari al 35,21% (relativa al contributo del 2,50% versato dall'interessato, in conformita' della circolare n. 31/1986) sia l'ulteriore quota pari a 6/56 = 10,7%, in relazione ai sei anni a riscatto, con contributo a totale carico del contribuente, oltre alle detrazioni previste dagli artt. 2 e 4 della legge 26 settembre 1985, n. 482, per ciascun anno preso a base di commisurazione. Cio' anche in quanto nessuna contestazione in merito era stata avanzata dall'ufficio. Avverso tale decisione l'intendenza di finanza di Roma ha proposto ricorso a questa commissione tributaria centrale ribadendo l'eccezione della mancata trasmissione ai suoi uffici della copia conforme del ricorso proposto innanzi alla commissione tributaria di primo grado, eccependo l'inammissibilita' del gravame deciso in primo grado per intempestiva proposizione, ai sensi dell'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973, dell'istanza di rimborso del 27 luglio 1984, poiche' tale seconda istanza sarebbe stata "una inutile ripetizione della prima istanza, per l'importo di L. 13.498.484, prodotta nell'anno 1980": il che avrebbe "reso il rapporto tributario definito", con la conseguenza di non essere piu' suscettibile di beneficiare degli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 178/1986. La difesa del contribuente, dopo aver ribadito che copia del ricorso proposto innanzi alla commissione tributaria di primo grado era stata inviata all'intendenza di finanza a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, ha evidenziato che l'eccezione di tardivita della domanda di rimborso era stata sollevata per la prima volta solo innanzi alla commissione tributaria centrale, e ha osservato che comunque era infondata. Cio' in quanto la seconda domanda di rimborso era stata proposta dal contribuente il 27 luglio 1984, dopo diciassette mesi e due giorni dalla riliquidazione dell'indennita' di buonuscita, portata a sua conoscenza il 25 febbraio 1983, e quindi entro il termine di diciotto mesi posto dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973. Nel merito, infine, il contribuente ha richiesto la reiezione del gravame intendentizio e l'integrale conferma della decisione della commissione di secondo grado, vale a dire l'esenzione dell'imposizione fiscale: a) di una quota dell'indennita' di buonuscita pari al 35,21% (relativo al contributo del 2,50% versata dal dipendente), in conformita' da quanto disposto dal Ministero delle finanze con la nota circ. n. 31/1986; b) delle detrazioni dell'imponibile previste dagli artt. 2 e 4 della legge 26 settembre 1985 n. 482 per ciascun anno preso a base di commisurazione; c) di un ulteriore quota pari ai 6/56 = 10,71% dell'indennita' in relazione ai sensi anni ammessi a riscatto, con contributo a totale carico del contribuente. D I R I T T O Questa commissione tributaria centrale, rilevando che la ricorrente intendenza di finanza nulla ha eccepito in ordine alle statuizioni di merito contenute nella impugnata decisione della commissione di secondo grado, non puo' che confermare dette statuizioni ad eccezione di quella concernente l'esenzione della quota dei 6/56 dell'indennita', relativa agli anni ammessi a riscatto con contributo a totale carico dell'interessato, al fine di proporre al riguardo questione di legittimita' costituzionale. La questione nasce da taluni principi, in base ai quali l'ecc.ma Corte costituzionale, con sentenza n. 42 del 22 gennaio-5 febbraio 1992 ha dichiarato non fondata l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 2 della legge 26 settembre 1985, n. 482, per contrasto con l'art. 53 della Costituzione, nella parte in cui non escludeva dall'imposizione Irpef la quota di indennita' di buonuscita Enpas, corrispondente alle anzianita' convenzionali ammesse a riscatto, con onere a totale carico del dipendente statale. Al riguardo, il giudice remittente, vale a dire la sezione XIV di questa commissione tributaria centrale, sosteneva che tale quota dell'indennita', non potesse "essere legittimamente tassata nella stessa misura della parte di indennita' riferibile ai contributi a carico dello Stato e, per di piu', in maniera deteriore rispetto alle indennita' percepite in relazione ai contratti di assicurazione sulla vita, per le quali e prevista (art. 6 della legge n. 482/1985) la detrazione dall'imponibile del coacervo dei premi versati". Cio' perche' la Corte costituzionale, con sentenza n. 178/1986, aveva avvertito che, "al fine di assicurare il rispetto del principio della capacita' contributiva, non dovevano essere sottoposte ad imposizione somme affluite al fondo, in base a contribuzioni gravanti sul dipendente", ed inoltre che "non appare razionale la tassazione anche di quella parte di indennita' di buonuscita erogate dall'Enpas percepite in correlazione ai contributi versati dallo Stato, che gravano sui dipendenti statali ..", onde la conclusione che, "per la parte afferente in via virtuale a tale contribuzione, e illogico e arbitrario ritenere che la indennita' di buonuscita si profili come reddito, quale che sia la concezione economica e giuridica che al riguardo si segue". Peraltro, sulla base di tali specifiche considerazioni il Ministero delle finanze, con la circ. 8 agosto 1986, n. 31, agli organi dipendenti, provvide ad articolate istruzioni, per una corretta e tempestiva attuazione della ricordata sentenza n. 178/1986, faceva espressa "riserva di ulteriori comunicazioni" in merito alle modalita' di applicazione della medesima "sentenza .. a fattispecie analoghe a quella espressamente considerata" (relativa al contributo del 2,50% a carico del dipendente), con chiaro riferimento ai "servizi e periodi" di tempo riscattabili con "contributo a totale carico dell'interessato", ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032. Senonche', contro tale presunzione interpretativa del Ministero, la Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 42/1992, ha motivato la non illegittimita' costituzionale del prelievo fiscale Irpef sulla quota di buonuscita "afferente in via virtuale" alla contribuzione per i "servizi e periodi" ammessi a riscatto con onere a totale carico del dipendente, con la circostanza che "il riscatto e collegato ad una determinazione di volonta' dell'interessato", il quale esercita, in tal modo, una "facolta'" conferitagli dal t.u. unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato. Il carattere volontario, dunque, della fruizione del "diritto di riscatto .. differenzia - la rleativa quota dell'indennita' di buonuscita - dalla parte di indennita' connessa ai periodi di effettiva prestazione del servizio", per non essere "correlata ad un rapporto previdenziale automatico e ad un meccanismo contributivo istituzionalmente e cumulativamente riferibile al datore ed al prestatore di lavoro": cio' che, a giudizio della Corte costituzionale, giustifica "la diversita' del regime impositivo", che "e il risultato di una valutazione non irrazionale del legislatore nell'esercizio della sua discrezionalita'". Con riguardo a tale specifica conclusione, occorre, tuttavia, precisare che, nella controversia portata all'esame di questa commissione tributaria centrale, il contribuente reclama, sulla base della decisione della commissione di secondo grado, l'esenzione della quota afferente agli anni ammessi a riscatto a totale suo carico, invocando l'applicazione di una norma diversa da quella recata dall'art. 2 della legge n. 482/1985, e cioe' l'applicazione dell'art. 17 del t.u. delle imposte sui redditi (d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), come modificato dal d.l. 16 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 154. Con tale norma, il legislatore del 1988 rivedendo ex-novo la materia delle esenzioni Irpef concernenti le indennita' di fine rapporto, ha incisivamente modificato la seconda parte del primo comma dell'art. 17 del t.u. 1986, sostituendola con una normativa a carattere generale, applicabile tanto ai dipendenti pubblici quanto ai lavoratori con contratto di lavoro subordinato (e assimilati) di diritto privato. Il testo originario dell'art. 17 parlava, infatti, della sola "indennita' di buonuscita corrisposta ai pubblici dipendenti dal fondo di previdenza dell'E.N.P.A.S." e del "contributo del 2,50% posto a carico del dipendente"; la nuova norma, invece, si riferisce allo "ammontare netto delle indennita' equipollenti al trattamento di fine rapporto, comunque denominate, alla cui formazione concorrono contributi previdenziali posti a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati", con la precisazione che tale "ammontare netto .. e computato previa detrazione di una somma pari alla percentuale di tale indennita', corrispondente al rapporto, alla data del collocamento a riposo o alla data in cui e' maturato il diritto alla percezione, fra l'aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati e l'aliquota complessiva del contributo stesso versato all'ente, cassa o fondo di previdenza". Secondo tale nuova e piu' generale normativa, recata dall'art. 1, comma 3- ter, della legge 13 maggio 1988, n. 154, quella parte dell'indennita' (equipollente al trattamento di fine rapporto, comunque denominata) che risulti formata da contributi previdenziali a totale carico del dipendente, va sottratta all'imposizione fiscale, in conformita', nel caso di specie, di quanto ha statuito la commissione tributaria di secondo grado accogliendo la richiesta del contribuente, non contestata dall'intendenza di finanza. Senonche', pur non sottacendo che la nuova legge non fa alcuna distinzione tra contributi volontari ed obbligatori, pur tuttavia non si puo' ignorare che il riscatto di cui trattasi sia "collegato ad una determinazione di volonta' dell'interessato" e, dunque, ad una sua "facolta'", e non gia' ad un suo obbligo legale. Ed e' tale circostanza modale, che alimenta il dubbio di costituzionalita' di questa commissione centrale, dovendosi al riguardo stabilire se la facoltativita', che caratterizza l'istituto del riscatto oneroso dei servizi pregressi e dei "periodi" ad essi assimilati possa assurgere a principio costituzionale, che escluda l'esenzione impositiva della correlativa quota di indennita' di fine rapporto e se, di conseguenza, una disposizione di legge ordinaria, che consenta, invece, tale esenzione - come e' il caso dell'art. 1, comma 3- ter della legge 13 maggio 1988, n. 154, del quale invoca l'applicazione il contribuente - incorra nella lesione di un .. principio preclusivo, ponendosi fuori dall'ordinamento costituzionale. Al riguardo, posto che appare corretto prendere a riferimento i due noti parametri costituzionali, rappresentati sia dalla salvaguardia della "finalita' previdenziale" della quota di indennita' afferente al contributo di riscatto sia dalla considerazione, che si deve accordare alla "capacita' contributiva" del lavoratore (artt. 38 e 53 della Costituzione), non sembrerebbe che i requisiti di volontarieta' e facoltativita' del "diritto di riscatto" possano o debbano necessariamente determinare la caducazione del carattere previdenziale degli accantonamenti dell'interessato, finalizzati al conseguimento di una quota addizionale di indennita' di fine rapporto, a maggiore tutela del futuro suo e della sua famiglia. Ne' potrebbe della quota considerarsi "reddito tassabile", dal momento che essa e' solo il risultato della maturazione nel tempo dei frutti, prodotti dai provvidi accantonamenti, effettuati dal beneficiario dell'indennita' in tempi antecedenti al collocamento a riposo. Del resto l'ampio margine di discrezionalita' in materia riconosciuto al legislatore, sembra non negargli la possibilita' di promuovere iniziative previdenziali socialmente qualificanti, attraverso consentite forme di esenzione fiscale, tanto piu' che il favore accordato all'accantonamento dei contributi di riscatto ricollega il loro immanente fine previdenziale alla "tutela" ed allo "incoraggiamento" del risparmio, assunti dallo Stato a suoi fini istituzionali, ai sensi dell'art. 47 della Costituzione. Inoltre la prevista esenzione tributaria, disposta dal lagislatore del 1988, appare compensativamente bilanciata, dal punto di vista finanziario, dall'affidabile congruita' dei contributi (posti a totale carico dell'interessato), la cui determinazione si avvale del sofisticato impiego del calcolo attuariale. In base alle considerazioni innanzi esposte appare rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 38 e 53 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3- ter, della legge 13 maggio 1988, n. 154. Gli atti vanno conseguentemente rimessi alla Corte costituzionale, previa sospensione del presente giudizio.