ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 7 e 8  del
 regio  decreto 2 aprile 1885, n. 3095 (Testo unico di legge 16 luglio
 1884, n. 2518 - serie III - con le disposizioni del titolo IV, porti,
 spiagge e fari, della preesistente legge 20  marzo  1865  sui  lavori
 pubblici),  dell'art.  91, lett. E), n. 5 (recte: art. 144, lett. D),
 n. 6) del regio decreto 3 marzo 1934, n.  383 (Approvazione del testo
 unico della legge comunale e provinciale) e dell'art. 4, primo comma,
 n. 1, della legge  9  luglio  1967,  n.  589  (Istituzione  dell'ente
 autonomo  del  porto di Trieste), promosso con ordinanza emessa il 20
 ottobre 1993 dalla Corte d'appello di Trieste nel procedimento civile
 vertente   tra   l'Amministrazione   provinciale   di    Trieste    e
 l'Amministrazione  del  tesoro  ed  altri,  iscritta  al  n.  784 del
 registro ordinanze 1993, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della
 Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1994;
    Visti  l'atto  di  costituzione della Provincia di Trieste nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice  relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  gli  avvocati  Ivone  Cacciavillani  e  Luigi  Manzi per la
 Provincia di Trieste e l'Avvocato dello Stato Antonino Freni  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.    -   Nel   corso   di   un   procedimento   civile   promosso
 dall'Amministrazione   provinciale   di   Trieste    nei    confronti
 dell'Amministrazione  del  tesoro  ed  altri,  avente  ad  oggetto la
 corresponsione di contributi per  le  opere  eseguite  nei  porti  di
 Trieste  e  di  Monfalcone,  ai sensi degli artt. 4, 7 e 8 del R.D. 2
 aprile 1885, n. 3095 e successive disposizioni, la Corte d'appello di
 Trieste, con ordinanza del 20 ottobre 1993 (R.O. n. 784 del 1993), ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dei  citati  artt.
 4, 7 e 8 del R.D. n. 3095 del 1885, che impongono a province e comuni
 la partecipazione alle spese per le opere portuali, nonche' dell'art.
 91,  lett. E), n. 5 - recte, dell'art. 144, lett. D), n. 6 - del R.D.
 3  marzo  1934,  n.  383  (Testo  unico  della   legge   comunale   e
 provinciale),  che  prevede i contributi per le predette opere tra le
 spese obbligatorie delle province, e dell'art. 4, comma primo,  n.  1
 della  legge 9 luglio 1967, n. 589, istitutiva dell'Ente autonomo del
 porto di Trieste, che colloca tra le risorse a disposizione dell'Ente
 per l'assolvimento dei suoi compiti i contributi obbligatori a carico
 dell'Amministrazione provinciale di Trieste.
    Secondo la prospettazione del Collegio  remittente,  la  normativa
 censurata  si  porrebbe  anzitutto in contrasto con gli artt. 5 e 128
 della Costituzione, che riconoscono l'autonomia  degli  enti  locali.
 L'imposizione  a  comuni  e  province  dell'onere di contribuire alle
 spese relative ad opere portuali in  aree  del  demanio  dello  Stato
 comprometterebbe  in  misura  rilevante  detta  autonomia  -  cui  e'
 estranea la funzione amministrativa nella materia portuale, riservata
 allo Stato dall'art. 88, n. 1 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616,  per
 quanto  riguarda  i porti di prima e seconda categoria, prima classe,
 fra i quali rientrano quelli di Trieste e di Monfalcone  -  incidendo
 soprattutto  nel  settore  finanziario  contabile  degl'indicati enti
 locali territoriali. Questo, si rileva nell'ordinanza di  rimessione,
 non e' piu', nell'attuale quadro ordinamentale, impostato sul sistema
 della  cosiddetta  "finanza  partecipativa"  ma  su quello a "finanza
 derivata", in cui il contributo statale non  e'  piu'  rapportato  al
 principio  della  "spesa storica", ma collegato a parametri obiettivi
 (valore numerico della popolazione residente, consistenza della  rete
 stradale, dimensioni territoriali, reddito medio pro-capite).
    Inoltre, l'art. 54 della legge 8 giugno 1990, n. 142, riconosce ai
 comuni   e   alle   province,  nell'ambito  della  finanza  pubblica,
 "autonomia finanziaria fondata  su  certezze  di  risorse  proprie  e
 trasferite"  che  verrebbe  compressa,  sostiene il giudice a quo, se
 essi  dovessero  affrontare  spese  per  le  opere  portuali  in aree
 demaniali dello Stato a beneficio non piu' solo proprio,  ma,  tenuto
 conto   dell'attuale   facilita'   di  accesso  a  tutti  i  porti  e
 specializzazione  dei  tipi  di  imbarchi,  a  vantaggio  dell'intera
 collettivita' nazionale.
    La  Corte  remittente  si  fa  carico  dell'ordinanza  della Corte
 costituzionale n. 892 del 1988, con la  quale  analoga  questione  e'
 stata dichiarata manifestamente infondata, ma ne ritiene opportuno un
 riesame  alla  stregua della sopravvenuta legge 8 giugno 1990, n. 142
 sull'ordinamento delle autonomie locali, ed in relazione  anche  alla
 mutata situazione nel ramo dei trasporti marittimi.
    Il  giudice  a  quo ravvisa, inoltre, nella normativa in questione
 una violazione degli artt. 23 e 53 della Costituzione.
    Sotto il primo profilo, rileva che l'art. 4 del R.D. n.  3095  del
 1885  fissa il contributo di province e comuni per le opere nei porti
 di seconda categoria, prima classe, in ragione del 20 per  cento,  ma
 e'  indeterminato  il  cespite imponibile sul quale detta aliquota va
 conteggiata. In  tale  situazione,  la  mancanza  di  una  previsione
 legislativa  che ponga limiti all'ente impositore, delegato a fissare
 il quantum del contributo, sarebbe  in  contrasto  con  il  principio
 costituzionale   alla   stregua   del   quale   nessuna   prestazione
 patrimoniale puo' essere imposta se non in base alla legge.
    Per quanto attiene all'art. 53  della  Costituzione,  il  collegio
 remittente  ne ravvisa il vulnus nel notevole ridimensionamento della
 capacita' contributiva degli enti locali quale risulta dall'onere del
 contributo per le spese portuali, che non sono incluse nei  requisiti
 oggettivi  in  base  ai  quali  gli  stessi  enti  locali ricevono la
 dotazione   d'istituto   direttamente   dallo   Stato    a    seguito
 dell'introduzione del sistema della "finanza derivata".
    2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si e' costituita la provincia
 di  Trieste,  adducendo argomenti in adesione a quelli dell'ordinanza
 di rimessione.
    3. - E', altresi', intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri  con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
 ha concluso per la inammissibilita' o la infondatezza della questione
 sollevata,  richiamandosi  alla  precedente  ordinanza  della   Corte
 costituzionale  n.  892 del 1988. Ha rilevato l'autorita' intervenuta
 che, contrariamente a quanto sostenuto dal  giudice  a  quo,  per  un
 verso  la "situazione nel ramo dei trasporti marittimi" non ha subito
 in epoca successiva alla ricordata pronuncia  modifiche  di  rilievo,
 per  l'altro  ne' nell'art. 54, ne' in altre disposizioni della legge
 n. 142 del 1990 si rinvengono norme in  contrasto  con  il  principio
 della  partecipazione  degli  enti  locali  alle spese portuali, gia'
 ritenuta ragionevole dalla Corte costituzionale.
    Del resto, tale disciplina non configura il concorso  nella  spesa
 come   una  prestazione  imposta  al  di  fuori  di  un  qualsivoglia
 collegamento  con  uno  specifico   interesse   della   collettivita'
 amministrata  da  province  e  comuni,  basandosi,  al contrario, sul
 presupposto che anche essa ne ritragga un beneficio,  e  si  presenta
 come rapportabile alla misura di questo. Sotto tale profilo, privo di
 pregio  si  rivelerebbe  il  riferimento  all'art. 23 Cost . Del pari
 infondata, infine, sarebbe la censura della  normativa  in  questione
 siccome   lesiva  dell'art.  53  della  Costituzione,  in  quanto  le
 argomentazioni  svolte al riguardo non avrebbero alcuna attinenza con
 la capacita' contributiva, ma  si  riferirebbero  solo  all'incidenza
 dell'onere  delle  spese per le opere portuali sulla possibilita' per
 gli  enti  contribuenti  di  una  diversa  utilizzazione  delle  loro
 risorse.
    4.  -  Nell'imminenza  dell'udienza  e'  stata  depositata memoria
 nell'interesse della provincia di Trieste, con la  quale  si  insiste
 per l'accoglimento della questione.
    Si  osserva, al riguardo, che il sistema di contribuzioni a carico
 di comuni e province, fissato dalla normativa  impugnata,  si  basava
 sulla  sostanziale contitolarita' della funzione di gestione portuale
 tra Stato, province e comuni, in quanto l'ente locale  era  in  fondo
 considerato  una  sorta  di  organo dello Stato. Con il nuovo assetto
 ordinamentale del  potere  locale  tracciato  dalla  Costituzione,  e
 attuato  settorialmente  con  il  d.P.R.  n.  616  del  1977  e, piu'
 organicamente, con la legge n. 142 del 1990,  si  sarebbe  verificata
 una incostituzionalita' sopravvenuta del vecchio quadro normativo. In
 particolare,  poi,  per  la  provincia  di  Trieste  - estromessa, in
 attuazione del trattato di Osimo, dell'amministrazione  del  porto  -
 essendo  il  contributo connesso alla partecipazione amministrativa e
 gestoria del porto, alla cessazione di  tale  partecipazione  sarebbe
 dovuta corrispondere la cessazione del contributo in esame.
    Nella  memoria  si  pone  in evidenza la rilevanza della questione
 sollevata dalla Corte d'appello di  Trieste  pur  in  presenza  della
 recente   legge  n.  84  del  28  gennaio  1994  sul  riordino  della
 legislazione  in  materia  portuale  che,  si  osserva,   abroga   le
 disposizioni  del  1885  a  far tempo dalla data di entrata in vigore
 della legge stessa, mentre i contributi contestati si riferiscono  ad
 anni precedenti.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  d'appello  di  Trieste dubita della legittimita'
 costituzionale degli artt. 4, 7 e 8 del R.D. 2 aprile 1885,  n.  3095
 (Testo  unico  di  legge 16 luglio 1884, n. 2518 - Serie III - con le
 disposizioni del titolo IV porti, spiagge,  fari  della  preesistente
 legge 20 marzo 1865 sui lavori pubblici), nonche' dell'art. 91, lett.
 E),  n.  5  - recte, dell'art. 144, lett. D), n. 6 - del R.D. 3 marzo
 1934, n. 383 (Testo unico  della  legge  comunale  e  provinciale)  e
 dell'art.  4,  primo  comma,  n. 1, della legge 9 luglio 1967, n. 589
 (Istituzione dell'Ente autonomo del porto di Trieste).
    Secondo il collegio remittente, l'indicata normativa, nell'imporre
 a province e comuni la partecipazione alle spese  relative  ad  opere
 portuali  in  aree  del demanio dello Stato, violerebbe gli artt. 5 e
 128 della Costituzione, che  garantiscono  l'autonomia  dei  predetti
 enti  locali,  nonche'  gli  artt. 23 e 53 della Costituzione, per la
 mancanza di una previsione legislativa  che  fissi  opportuni  limiti
 alla   misura   del   contributo  in  questione  e  per  gli  effetti
 pregiudizievoli che dalla imposizione di  tale  onere  derivano  alla
 capacita' contributiva di province e comuni.
    2. - Le questioni non sono fondate.
    L'art.  4  del R.D. n. 3095 del 1885 dispone che "le nuove opere e
 quelle di miglioramento e conservazione dei porti, dei fari  e  delle
 spiagge  sono  a  carico  dello  Stato,  delle  province e dei comuni
 secondo la natura loro e la importanza e grado di utilita' dei  porti
 e spiagge in cui vengono eseguite".
    L'art.  7  del  medesimo  decreto stabilisce, poi, che le spese di
 qualunque natura occorrenti ai porti  della  seconda  categoria  sono
 sostenute  "per  i  porti di prima classe in ragione dell'ottanta per
 cento dallo Stato e del venti per cento dalle province e dai comuni",
 e prosegue indicando percentuali diverse di ripartizione della  spesa
 in relazione alle diverse classi in cui i porti sono suddivisi.
    L'art.  8, infine, prevede che "le spese a carico delle province e
 dei comuni per porti di prima, seconda e  terza  classe  saranno  fra
 loro  ripartite nel modo seguente: una meta' a carico della provincia
 in cui il porto e' situato col concorso delle  province  che  abbiano
 interesse  alla  costruzione,  al miglioramento ed alla conservazione
 del porto; una meta' a carico del comune in cui il porto  e'  situato
 col  concorso  dei  comuni che abbiano interesse alla costruzione, al
 miglioramento ed alla conservazione del porto".
    La norma chiarisce, poi, che "sono da riguardarsi come province  e
 comuni  che  abbiano interesse alla conservazione ed al miglioramento
 dei porti e che dai medesimi ritraggano beneficio, quelli i quali  se
 ne  servono  per  la  esportazione  dei  loro  prodotti  agricoli  ed
 industriali e la importazione delle derrate e di  qualsivoglia  altro
 prodotto per uso e consumo dei rispettivi abitanti".
    L'ultimo  comma dell'art. 8 dispone che "le quote a carico di piu'
 province  o  di  piu'  comuni  si  ripartiranno  in  proporzione  del
 beneficio  che  ognuno di essi ritrae dal porto per dirette relazioni
 commerciali, tenuto conto del principale dei tributi  diretti,  della
 popolazione  e  della  distanza  dal  medesimo  e saranno fissate dal
 decreto reale di cui all'art. 3 della presente legge".
    L'art. 144, lett. D), n. 6 del R.D. 3 marzo 1934 n. 383 -  a  tale
 norma dovendosi intendere diretta la censura erroneamente rivolta dal
 collegio  remittente  all'art.  91, lett. E), n. 5 del medesimo testo
 normativo, il quale riguarda  le  spese  obbligatorie  a  carico  dei
 comuni,  non  pertinenti  al  giudizio  a  quo - indica, tra le spese
 provinciali  obbligatorie   concernenti   le   opere   pubbliche,   i
 "contributi   nelle   opere   di   miglioramento  e  nelle  spese  di
 manutenzione dei porti di prima,  seconda,  terza  e  quarta  classe,
 della seconda categoria e dei relativi fari e fanali".
    Infine, l'art. 4, comma primo, n. 1, della legge 9 luglio 1967, n.
 589,  istitutiva  dell'Ente autonomo del porto di Trieste, stabilisce
 che per l'assolvimento  dei  compiti  d'istituto,  l'ente  ha  a  sua
 disposizione  ed  amministra "i contributi obbligatori a carico dello
 Stato, della Regione, dell'amministrazione provinciale e  del  comune
 di Trieste . . .".
    Dall'esame  delle  disposizioni impugnate emerge con chiarezza che
 il criterio della ripartizione dell'onere delle spese  per  le  opere
 portuali tra lo Stato e gli enti locali, nel cui territorio o nel cui
 bacino  di  traffico  si  trovano  i  porti, e' quello del rispettivo
 interesse alla manutenzione ed allo  sviluppo  dei  porti  stessi.  E
 proprio  ai  fini dell'attribuzione dell'onere finanziario in ragione
 del grado di siffatto interesse, nel sistema portuale, quale  risulta
 dall'ordinamento  di  cui al R.D. 2 aprile 1885, n. 3095 (art. 1), si
 distinguono i porti in due categorie: la prima comprende  quelli  che
 interessano   la   sicurezza  generale  della  navigazione  ed  hanno
 finalita' attinenti a rifugio o alla difesa militare e alla sicurezza
 dello Stato, per i quali le spese correlate a tali finalita'  sono  a
 carico   esclusivo   dello   Stato  (art.  6),  mentre  alla  seconda
 appartengono  i  porti  che  interessano  esclusivamente il commercio
 marittimo. Nell'ambito di questa seconda categoria, si delinea  (art.
 2)  una  ulteriore  classificazione  dei porti in quattro classi - in
 relazione alla entita' del traffico e del movimento  commerciale  che
 vi  si  svolge  -  a  ciascuna  delle  quali corrisponde (art. 7) una
 diversa misura dell'onere di partecipazione alle spese per  le  rela-
 tive opere marittime a carico di province e comuni.
    Vale  la  pena  di  contestare subito in linea generale un rilievo
 della sentenza della Corte triestina, fondato sulla natura  demaniale
 dell'opera  portuale  e  sulla  automatica, implicita connessione che
 questa dovrebbe comportare sull'incidenza della relativa spesa.
    La demanialita' si riflette sul  requisito  dell'appartenenza  del
 bene,  il  cui  titolare,  quando si tratta di demanio statale, e' lo
 Stato. Ma appartenenza e titolarita' non esauriscono il  collegamento
 tra  bene  ed ente, che e' caratterizzato anche dai benefici connessi
 al  funzionamento  ed  all'attivita'  che  il  bene  e'  destinato  a
 perseguire.  Di qui l'individuazione di diversi soggetti, destinatari
 di attivita' e servizi e legittimati a sopportare oneri, nelle misure
 rimesse  a  valutazioni  normative   discrezionali,   inerenti   alla
 manutenzione  e  alla  gestione delle opere, che rendono possibili le
 attivita' e i servizi predetti.
    3. - La ragionevolezza del collegamento  di  siffatti  oneri  alla
 utilita'  ed  ai  vantaggi  economici  che  agli  enti locali possono
 derivare dal  traffico,  che  si  svolge  nei  porti  insistenti  nei
 rispettivi  territori, pone la disciplina dei contributi per le opere
 portuali, quale dianzi descritta, in grado di resistere alle  censure
 ad essa rivolte.
    Secondo  il  collegio  remittente,  le  norme  impugnate, in parte
 risalenti al lontano 1885, a  seguito  dell'assetto  normativo  delle
 autonomie  locali  previsto dalla Costituzione del 1948 ed in base al
 d.P.R. n. 616 del 1977  -  che,  all'art.  88,  n.  1.  riserva  alla
 competenza  statale  le  funzioni amministrative concernenti le opere
 marittime nei porti di prima categoria e di seconda categoria, classe
 prima  (tra  i  quali  sono  compresi  quelli  che  qui  interessano)
 trasferendo  alle  regioni quelle in materia di opere nei porti dalla
 seconda classe in poi - violerebbero i principi contenuti negli artt.
 5 e 128 della Costituzione, che tutelano l'autonomia  di  province  e
 comuni,  gravati d'un onere di contributo in materie rientranti nella
 competenza dello Stato.
    Richiamata l'osservazione gia'  svolta  circa  i  destinatari  dei
 benefici  e l'onere di contribuzione, e' da contestare l'affermazione
 del giudice remittente, secondo la quale l'attuale  possibilita'  che
 l'utenza  portuale  sia  generalmente  diffusa,  e  non  limitata  ai
 soggetti pubblici a quei beni piu' direttamente collegati, priverebbe
 di giustificazione l'onere di contribuzione degli  enti  locali  alle
 spese in questione.
    E'  da  rilevare  in  proposito che la distinzione e la diversita'
 della posizione delle province e dei comuni territorialmente connessi
 ai porti rispetto a quella delle altre categorie di utenti,  oltre  a
 caratterizzarsi  per  riflessi  quantitativi,  si  determina  per  il
 carattere di benefici  ex  re,  in  quanto  derivanti  proprio  dalla
 posizione  territoriale, che consente talune peculiari utilizzazioni,
 che giustificano il riferimento non  improprio  al  concetto  di  uso
 speciale di determinate collettivita'.
    3.1 - Osserva inoltre la Corte che analoga questione, sollevata in
 riferimento  agli  artt.  3,  5  e  128  della Costituzione, e' stata
 risolta nei medesimi sensi con l'ordinanza n. 892 del  1988,  con  la
 quale  si  e'  anche  osservato  che  le  autonomie  locali  ricevono
 riconoscimenti nei limiti ed in base alle attribuzioni previste dalle
 leggi dello Stato che ne  determinano  gli  oneri  economici,  in  un
 sistema  di finanza pubblica allargata nel quale i trasferimenti sono
 disposti tenendo conto degli oneri gravanti sugli stessi enti locali.
    La citata ordinanza e' stata tenuta presente dal  giudice  a  quo,
 che,  tuttavia,  ne  ha  sollecitato il riesame alla luce della nuova
 disciplina delle autonomie locali, di cui alla legge 8  giugno  1990,
 n.  142.  Questa,  all'art. 54, riconosce ai comuni ed alle province,
 nell'ambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata  su
 certezza  di risorse proprie e trasferite, che "verrebbe compressa in
 funzione della propria politica di investimento nella gestione  delle
 entrate  e  delle  uscite"  a causa delle spese per le opere portuali
 eseguite su aree demaniali dello Stato.
    3.2 - La menzionata disposizione della legge n. 142 del  1990  non
 sembra  introdurre,  al  riguardo,  alcun elemento innovatore tale da
 renderla incompatibile con il principio  della  partecipazione  degli
 enti locali alle spese in questione, fondata sul piu' volte ricordato
 interesse di tali enti al traffico portuale.
    Ne'  vale  osservare,  come  fa il giudice a quo, che nell'attuale
 sistema "a finanza derivata", i trasferimenti erariali in  favore  di
 province e comuni non sono piu' rapportati alla c.d. "spesa storica",
 ma  ripartiti  "in  base  a criteri obiettivi che tengano conto della
 popolazione,   del   territorio    e    delle    condizioni    socio-
 economiche,nonche'  in  base  ad  una  perequata  distribuzione delle
 risorse che tenga conto degli squilibri di fiscalita'  locale"  (art.
 54, comma quinto, legge n. 142 del 1990).
    Siffatti   parametri   rispondono,  come  rilevato  nella  memoria
 dell'Avvocatura generale dello Stato,  in  modo  piu'  adeguato  alla
 esigenza   di  una  equa  ripartizione  delle  risorse  in  relazione
 all'evolversi di indici rivelatori  dei  fabbisogni  effettivi  degli
 enti  locali, tra i quali rientrano anche quelli attinenti alle opere
 portuali, per la quota, correlata alle rispettive utilita', che viene
 posta a loro carico.
    4. - La Corte d'appello di Trieste denuncia altresi' il  contrasto
 delle norme in questione con gli artt. 23 e 53 della Costituzione.
    Sotto il primo profilo, osserva che, se l'art. 7 del R.D. del 1885
 indica  il  contributo di province e comuni per le opere nei porti di
 seconda categoria, prima classe, nella misura del  venti  per  cento,
 esso  lascia, tuttavia, indeterminato il cespite imponibile sul quale
 detta aliquota va conteggiata, con conseguente  mancanza  di  limiti,
 legislativamente fissati, al quantum del contributo.
    Il rilievo e' infondato.
    La  giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l'art. 23 della
 Costituzione,  secondo  il  quale  nessuna  prestazione  personale  o
 patrimoniale  puo'  essere imposta se non in base alla legge, afferma
 il principio che la legge non puo'  lasciare  all'arbitrio  dell'ente
 impositore  la  determinazione  della prestazione, ma deve indicare i
 criteri  idonei   a   delimitare   la   discrezionalita'   dell'ente,
 nell'esercizio  del  potere attribuitogli (sent. n. 27 del 1979, n. 2
 del 1962). La Corte ha peraltro affermato che lo stesso principio  e'
 rispettato  anche  in assenza di una espressa indicazione legislativa
 dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito  di
 discrezionalita'   dell'amministrazione,  purche'  gli  stessi  siano
 desumibili  dalla  destinazione  della   prestazione   ovvero   dalla
 composizione   e   dal   funzionamento   degli  organi  competenti  a
 determinarne la misura (sentt. nn. 90 del 1994, 507 del 1988, 67  del
 1973,  21  del 1969, 55 del 1963, 51 del 1960 e 4 del 1957), o quando
 esista, per l'emanazione dei provvedimenti amministrativi concernenti
 le prestazioni,  un  modulo  procedimentale  a  mezzo  del  quale  si
 realizzi  la  collaborazione  di  piu'  organi,  al  fine  di evitare
 eventuali arbitri dell'amministrazione (sent. n. 34 del 1986).
    Nel caso in esame, determinazioni arbitrarie dell'ente  impositore
 sono  escluse  sia dalla esatta individuazione della destinazione del
 contributo - la partecipazione alle spese portuali,  che  come  sopra
 chiarito,   e'  in  funzione  dell'interesse  dell'ente  locale  allo
 sviluppo del porto  che  insiste  nel  suo  territorio  -  sia  dalla
 composizione  degli  organi  - consiglio d'amministrazione e comitato
 direttivo - dell'Ente autonomo del porto  di  Trieste,  chiamati,  ai
 sensi  della  legge  istitutiva dello stesso (legge 9 luglio 1967, n.
 589) e successive modificazioni, a formare la volonta'  dell'ente  in
 ordine  alle  opere  da eseguire e relative previsioni di spesa, sia,
 infine,  dal  sistema,  disciplinato  dalla  stessa   normativa,   di
 controlli della regolarita' della gestione amministrativa e contabile
 dell'ente.
    5.   -  Del  pari  infondato  e'  il  sospetto  di  illegittimita'
 costituzionale della normativa impugnata per contrasto con l'art.  53
 della  Costituzione  sotto  il  profilo  della rilevante attenuazione
 della capacita' contributiva degli enti locali quale  risulterebbe  a
 seguito  dell'onere  del contributo per le spese portuali, di entita'
 non preventivamente determinabile, con conseguente impossibilita'  di
 programmazione dell'attivita' amministrativa generale.
    L'art. 53 della Costituzione, sotto questo angolo visuale, e' male
 invocato, poiche' esso stabilisce il principio della correlazione tra
 la   misura   del  concorso  alle  spese  pubbliche  e  la  capacita'
 contributiva, e non puo' essere invocato come dato normativo, diretto
 a salvaguardare la destinazione di  determinate  risorse  finanziarie
 per  esigenze, di esclusiva valutazione dell'ente locale, rispetto ad
 altre   destinazioni,   anch'esse   legislativamente    previste    e
 quantitativamente  determinate, in una equilibrata visione di tutti i
 diversi soggetti tenuti.
    6. - Per la completezza della valutazione e' da  rilevare  che  la
 recente  legge  28  gennaio  1994,  n.  84,  nel  quadro del generale
 riordino del sistema portuale, dispone,  tra  l'altro,  all'art.  13,
 secondo  comma,  che  dal  1›  gennaio  1994 (termine differito al 31
 dicembre 1994 dall'art. 2 del d.l. 14 aprile 1994, n. 231, in  attesa
 della  conversione  in  legge) cessano di essere erogati i contributi
 alle organizzazioni portuali (tra le quali l'Ente autonomo del  porto
 di  Trieste),  previsti  dalle rispettive leggi istitutive. La stessa
 legge, all'art. 27, comma quinto,  stabilisce  che  i  contributi  di
 province  e  comuni  chiamati  a  concorrere alle spese sostenute dai
 consorzi autonomi dei porti secondo le disposizioni di cui  al  regio
 decreto 16 gennaio 1936, n. 801 e successive modificazioni, di cui al
 decreto  11  aprile  1926,  n. 736, nonche' di cui al regio decreto 2
 aprile 1885, n. 3095, non sono  piu'  erogati  a  partire  da  quelli
 esigibili  dal  1› gennaio 1993 e riguardanti le spese effettuate dal
 1991, disponendo, poi, al comma ottavo,  l'abrogazione  di  tutte  le
 disposizioni del testo unico approvato con lo stesso regio decreto n.
 3095 del 1885 e del relativo regolamento di attuazione (regio decreto
 26  settembre  1904,  n. 713) incompatibili con le disposizioni della
 stessa legge.
    Tali  innovazioni  legislative,  che   non   potrebbero   comunque
 esplicare  rilievo  nella  vicenda  sottoposta all'esame della Corte,
 relativa a contributi riferentisi ad anni precedenti - cosi' come non
 potrebbe esplicare rilievo  la  abrogazione,  disposta  dall'art.  64
 della  legge  n.  142  del  1990, della norma, pure impugnata, di cui
 all'art. 144 del testo unico della legge comunale e  provinciale  del
 1934 - sono frutto di una nuova e diversa valutazione, rientrante nel
 potere  del  legislatore,  delle  complessive esigenze di riforma del
 sistema portuale anche sotto l'aspetto delle risorse necessarie.