LA CORTE DEI CONTI Uditi nella pubblica udienza dell'11 maggio 1994, con l'assistenza del segretario dott. Ermete Francocci, il presidente relatore, gli avvocati Antonio Fonzi e Sebastiano Petrucci, procuratori speciali della ricorrente e l'avv. Giuseppe Stipo dell'Avvocatura generale dello Stato per l'amministrazione resistente; Visto il ricorso iscritto al n. 179259 del registro di segreteria; Visti gli atti e i documenti tutti della causa; Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso prodotto dalla signora Mazziotti Maria Rosaria, domiciliata elettivamente in Roma, via Zara n. 13, presso l'avv. Antonio Fonzi avverso la sentenza n. 16 del 13 gennaio 1994 della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Lazio; F A T T O Con la suindicata sentenza la sezione giurisdizionale regionale per il Lazio della Corte dei conti ha respinto il ricorso preposto dalla signora Mazziotti Maria Rosaria, vedova dell' ex portalettere Colanero Nicola, non ritenendo sussistente il nesso causale tra la morte del dante causa e il servizio dal medesimo prestato. La ricorrente, nel contestare sinteticamente le argomentazioni della decisione, precisa di essere a conoscenza che le recenti norme sul decentramento giurisdizionale della Corte dei conti non prevedono l'appello avverso le sentenze delle sezioni regionali pronunciate in materia pensionistica. Ritenendo costituzionalmente illegittima tale mancata previsione, la ricorrente solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, quinto, settimo e ottavo comma, del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, per violazione degli artt. 3, 36, 38, 111 (ultimo comma) e 125 (secondo comma) della Costituzione. Il quinto comma dell'art. 1 ammette l'appello solo in materia di contabilita' pubblica; il settimo comma riduce la composizione del collegio delle sezioni riunite della Corte da undici a cinque votanti, l'ottavo comma dello stesso art. 1, infine, prevede la soppressione delle sezioni centrali competenti nella materia pensionistica dalla data di insediamento dell'ultima sezione regionale e, in ogni caso, dal 1$ gennaio 1995. A sostegno del proprio assunto la ricorrente ha svolto le seguenti argomentazioni: violazione dell'art. 3 della Costituzione in relazione anche agli artt. 36 e 38 della Costituzione. Il primo comma dell'art. 1 del decreto-legge istituisce le c.d. sezioni regionali della Corte dei conti, per le quali sarebbe stata piu' appropriata la denominazione "tribunali regionali pensionistici" (o contabili) in quanto giudicano, come i t.a.r. ed i tribunali ordinari, con collegi di tre magistrati (art. 5 della legge n. 658/1984 richiamato dall'art. 1 citato) ed inoltre, come per gli anzidetti tribunali gia' esistenti, i ricorrenti possono essere rappresentati in giudizio da procuratori legali e non piu' soltanto da avvocati cassazionisti (art. 6, quinto comma). L'unica differenza tra gli anzidetti tribunali gia' esistenti e le sezioni regionali della Corte dei conti e' data dalla diversa disciplina per cui contro le decisioni dei primi e' ammesso sempre l'appello, mentre avverso le decisioni delle seconde, non e' prevista alcuna ordinaria impugnativa: sicche' queste ultime decisioni restano come un'irrazionale eccezione alla normale appellabilita' delle sentenze emesse da tutti i tribunali periferici costituiti da tre giudici, che determina un'ingiusta disparita' di trattamento tra i cittadini titolari di diritti soggettivi di natura privatistica, che per la tutela e le loro ragioni agiscono innanzi ai tribunali ordinari, ed i cittadini che lamentano la lesione del loro diritto alla pensione mediante ricorso alle sezioni regionali della Corte dei conti. Ai primi infatti e' data la possibilita' di adire la Corte d'appello in caso di soccombenza mentre ai secondi e' negato qualsiasi mezzo di impugnativa, pur essendo evidente che anche questi ultimi sono titolari di diritti soggettivi perfetti come e' stato piu' volte affermato dalla stessa Corte costituzionale (v. per tutte la sentenza n. 8/1976). Ma piu' stridente appare l'iniquita' della nuova previsione normativa, se si considera il particolare valore etico e sociale delle pensioni spettanti agli ex dipendenti pubblici come "retribuzione differita", la cui rilevanza costituzionale e' sancita dall'art. 36 della Costituzione, e se si considera la loro funzione "alimentare" come strumenti intesi ad assicurare "i mezzi adeguati alle esigenze di vita" dei lavoratori anziani o invalidi, la cui rilevanza costituzionale, e' affermata dall'art. 38 della Costituzione (v. da ultimo la sentenza della Corte costituzionale n. 39/1993), e qui giova precisare che non si tratta della comune funzione alimentare attribuita agli analoghi obblighi del diritto civile, poiche' qui trattasi di una funzione alimentare di interesse pubblico nascente dalle fondamentali esigenze di previdenza e sicurezza sociale, sicche' per l'uno e per l'altro aspetto il diritto alla pensione dovrebbe ottenere una protezione piu' rigorosa e puntuale degli altri crediti di natura civilistica fatti valere innanzi ai tribunali ordinari, e tuttavia con la nuova normativa non solo non e' data una maggiore tutela ai diritti soggettivi dei pensionati e neppure e' prevista una protezione almeno uguale a quella degli altri diritti soggettivi, ma addirittura e' data una tutela deteriore con l'unico grado di giudizio avanti a un organo regionale. Giova anzi segnalare come questa forma di tutela e' assolutamente inedita in quanto, con la recente riforma, e' venuta meno anche la garanzia della piu' ampia collegialita' data dalle soppresse sezioni centrali della Corte dei conti. Inoltre, a rendere piu' vistosa la denunziata disparita' di trattamento sta la considerazione che innanzi al t.a.r., il ricorrente si duole normalmente della lesione di un mero "interesse legittimo" e tuttavia puo' fare valere le suo doglianze anche in un giudizio di secondo grado, mentre il dipendente pubblico in quiescenza, pure essendo titolare di un "diritto soggettivo perfetto", non gode della stessa possibilita': sicche' accadra' nel nostro ordinamento che il titolare di un'agenzia ippica o di una licenza di pesca che ha lamentato innanzi ad un tribunale amministrativo regionale la lesione del proprio interesse legittimo, in caso di soccombenza potra' agire in appello per far valere le proprie ragioni; mentre lo stesso potere di impugnativa non e' concesso al dipendente pubblico invalido o anziano che si dolga della lesione del suo diritto alla pensione, e resti soccombente davanti all'organo pensionistico regionale, benche' egli sia titolare di un diritto soggettivo che, come si e' detto, non e' un comune diritto di credito di natura privatistica ma e' un diritto di altissima rilevanza etico-sociale e costituzionale; violazione dell'art. 125, secondo comma, della Costituzione. L'art. 125, secondo comma, della Costituzione prevede che, "nella regione sono istituiti organi regionali di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito dalla legge della Repubblica". In questa norma e', quindi enunciato il principio costituzionale secondo cui "i tribunali regionali di giustizia amministrativa possono essere soltanto tribunali di primo grado che presumono cioe' un organo di appello e quindi non possono di regola pronunziarsi in unico grado". A questo principio si e' infatti attenuta la legge 6 dicembre 1971, n. 1034, che ha decentrato la giurisdizione generale di legittimita', istituendo i t.a.r. senza sopprimere ovviamente le sezioni giurisdizionali centrali del Consiglio di Stato che hanno assunto invece le funzioni di giudici d'appello rispetto alle decisioni dei tribunali amministrativi regionali. Il decreto n. 453/1993 e la legge n. 19/1994, al contrario, hanno disatteso radicalmente il menzionato principio, sancito dall'art. 125 citato, istituendo i tribunali pensionistici regionali sotto la equivoca denominazione di "sezioni regionali della Corte dei conti" e sopprimendo contemporaneamente tutte le sezioni centrali della Corte dei conti che avrebbero potuto assumere le funzioni di appello nel campo pensionistico. Ne' si puo' dubitare della fondamentale verita' che l'intera materia delle pensioni trattata dal decreto legge ed attribuita alla giurisdizione della Corte dei conti, rientri senza residui nel campo della "giustizia amministrativa" cui si riferisce l'anzidetto principio costituzionale, poiche' e' altrettanto chiaro che tutti i provvedimenti di pensioni (dei Ministeri, del direttore generale delle pensioni di guerra o dei direttori provinciali del tesoro) sono atti amministrativi esattamente come tutti gli altri atti che vengono impugnati e riesaminati dal t.a.r. e dal Consiglio di Stato. Va inoltre chiarito e precisato che le c.d. "sezioni regionali della Corte dei conti" non possono in alcun modo considerarsi come vere e proprie sezioni della Corte dei conti (simili a quelle centrali in via di soppressione) poiche', come si e' detto, esse non sono altro che organi periferici di grado inferiore che, come i t.a.r. e i tribunali ordinari, giudicano con collegi di tre magistrati. Chiaro e' quindi la violazione dell'art. 125 citato, in quanto il decreto legge ha istituito organi regionali di giustizia amministrativa (comunque si vogliano denominare) di "unico grado" anziche' di "primo grado" come espressamente richieste il dettato costituzionale. Ne' si puo' pensare che l'art. 125, nella disposizione riportata, si riferisca esclusivamente alla istituzione del t.a.r., poiche' non e' sostenibile che la Costituzione nel dettare il principio dell'art. 125 (che costituisce senza dubbio un passo avanti nel processo storico di attuazione dello Stato di diritto) abbia voluto limitare il principio ad una parte soltanto della giustizia amministrativa. A questa supposta interpretazione osta innanzi tutto il testo della norma costituzionale che si riferisce indistintamente a tutta la giustizia amministrativa, sicche' una distinzione fatta in sede di applicazione della normativa stessa sarebbe del tutto arbitraria: ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus. Ma soprattutto osta all'interpretazione restrittiva dell'art. 125 lo stesso art. 3 della Costituzione perche', se si tiene conto, che, come si e' visto, innanzi al t.a.r. ed al Consiglio di Stato vengono tutelati normalmente i meri "interessi legittimi" dei ricorrenti (che come e' noto sono posizioni giuridiche piu' labili rispetto ai "diritti soggettivi") sarebbe una vera aberrazione pensare che la Costituzione avrebbe voluto assicurare (col doppio grado di giurisdizione) una piu' piena tutela degli "interessi legittimi" ed invece avrebbe negato la stessa tutela ai "diritti pensionistici" degli ex dipendenti pubblici che, per di piu' (giova ripeterlo) sono diritti di conclamata rilevanza costituzionale. E' opportuno infine ricordare che gia' la Corte costituzionale, con la sentenza n. 52/1984 dichiaro' infondata la questione della inappellabilita' delle decisioni della Corte dei conti sollevata dal procuratore generale della Corte medesima in relazione all'art. 125, secondo comma, della Costituzione, ma se e' vero che la questione fu giudicata infondata in quella occasione, e' tuttavia decisiva, ai fini dell'attuale questione, la limitazione di riserva che la stessa Corte costituzionale pose alla propria pronunzia prevedendo che "il dispositivo della sentenza che la Corte sta per pronunziare non puo' estendersi alle sentenze rese in prima istanza dalle sezioni regionali della Corte dei conti perche' oggetto dell'incidente sono le sole decisioni delle sezioni giurisdizionali centrali della Corte". Il che (senza voler anticipare l'invocato giudizio di costituzionalita') significa che la questione attualmente sollevata e' tutta impregiudicata e meritevole di essere esaminata; violazione dell'art. 111, ultimo comma, della Costituzione. Ma il decreto legge si pone contro i principi costituzionali in maniera piu' ampia e radicale per la violazione dell'art. 111, ultimo comma, della Costituzione, il quale dispone che "contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione e' ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione". La recente riforma infatti ha soppresso in buona sostanza, l'organizzazione centrale che faceva della Corte dei conti un organo di giurisdizione superiore collocata sul medesimo piano del Consiglio di Stato (in virtu' della tradizione recepita e sancita dal riportato art. 111). Bisogna inoltre tenere presente che la c.d. riforma si e' voluta realizzare con singolare pervicacia mediante la decretazione d'urgenza (ben quattro sono stati i decreti che si sono susseguiti senza ottenere conversione in legge durante tutto il 1993) e gli autori del decreto, per non suscitare, evidentemente, prevedibili obiezioni in sede di conversione, hanno mascherato la gravita' del provvedimento di soppressione lasciando in vita due sole sezioni centrali (in collegi ridotti a tre votanti) con una parvenza di "sezioni riunite" (ridotte da undici a cinque votanti) attribuendo inoltre ai nuovi tribunali periferici il falso nome di sezione della Corte dei conti, che pero', del soppresso istituto hanno soltanto la materia da giudicare, ma non hanno ovviamente il prestigio, la composizione collegiale e le strutture essenziali che facevano dell'Istituto stesso un organo di giurisdizione superiore, nel senso rigoroso consacrato dalla Costituzione, quale era nella tradizione. Per valutare pienamente la portata delle limitazioni imposte al legislatore ordinario dal riportato ultimo comma dell'art. 111, bisogna andare indietro nel tempo e risalire alle circostanze storiche e tecnico-sistematiche recepite dalla stessa norma costituzionale, di cui si potra' in tale modo evidenziare la ratio. In questo ordine di idee bisogna stabilire innanzitutto a quale organizzazione si riferisce l'art. 111 quando sottrae le decisioni della Corte dei conti al riesame di diritto della Corte di cassazione. Questa organizzazione, all'epoca in cui fu varata la Costituzione (nel 1947) non poteva essere altra che quella in funzione con i connotati descritti dal t.u. 12 luglio 1934, n. 1214, il cui art. 4, secondo comma, prescrive che il numero dei votanti "non puo' essere minore di cinque per ciascuna delle sezioni giurisdizionali e di undici per le sezioni riunite". Questa e' la Corte dei conti cui si riferisce l'art. 111 della Costituzione e la composizione dei collegi che pronunzieranno le decisioni sottratte al ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, non puo' essere modificata con una legge ordinaria, perche' quella commissione collegiale e' un presupposto indefettibile della norma costituzionale. In altre parole si deve dire che in tanto la Costituzione limita il potere del singolo che voglia sostenere la sue ragioni in Cassazione, in quanto considera sufficientemente le sue ragioni attraverso il giudizio elaborato da un collegio di cinque votanti con l'eventuale concorso delle sezioni riunite (di undici votanti) come gia' disposto dal citato art. 4 del t.u. n. 1214. Il legislatore ordinario sara' quindi libero di ampliare o ridurre gli organici della Corte dei conti, come sara' libero di variare il numero delle sezioni giurisdizionali, ma nella sue scelte politiche incontra un triplice limite perche' da una parte non potra' mai ridurre il numero dei votanti nelle singole sezioni (numero stabilito dal riportato art. 4 del t.u. n. 1214 e cristallizzato con rilevanza costituzionale per l'art. 111 cit.) da altro lato potra' ridurre il numero delle sezioni stesse ma non potra' mai sopprimere in toto, perche' cosi' sopprime addirittura la Corte dei conti (nella sua funzione giurisdizionale) riducendo il campo di applicabilita' dello stesso art. 111, che verrebbe cosi' tacitamente abrogato per tutta la parte che si riferisce alla Corte dei conti (³³³). Ne', in terzo luogo, la legge ordinaria puo' variare la composizione collegiale della sezioni riunite, perche' la presenza di questo organo e' un altro presupposto essenziale del precetto costituzionale, posto che l'amplissima collegialita' delle sezioni riunite costituiva una ulteriore garanzia di obiettivita' e di giustizia (analoga a quella offerta dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato composta da tredici votanti) sia per la possibilita' di un maggiore approfondimento delle questioni di massima sia per assicurare l'unicita' dell'indirizzo giurisprudenziale ai fini della certezza del diritto, bilanciando cosi' la rilevante limitazione del ricorso per cassazione. Questi tre limiti, pero', sono stati tutti travalicati dal decreto convertito in legge, perche' delle nove sezioni centrali della Corte dei conti, sette sono state soppresse, due sono state lasciate in vita ma ridotte a collegi di tre votanti, e le sezioni riunite sono state ridotte da undici a cinque votanti. E' chiara quindi l'inconfessata volonta' distruttiva del legislatore ordinario nei confronti della Corte dei conti, la cui rilevanza costituzionale e' stata tenuta in evidente totale dispregio. Concludendo sulla questione della violazione dell'art. 111 in esame, si pone un ferreo dilemma perche' o si sostiene l'applicabilita' di tale norma alle nuove sezioni centrali e periferiche della Corte dei conti, oppure se ne riconosce l'inapplicabilita'. Nel primo caso si partirebbe dall'assunto che definiremo "nominalistico" nel senso che il legislatore ordinario non avrebbe violato la norma costituzionale stravolgendo radicalmente l'organizzazione della Corte dei conti, in quanto tale norma ha riguardo soltanto all'istituto che viene comunque designato con quel nome senza alcun riferimento alla sua organizzazione effettiva, sicche' non avrebbe alcun rilievo, (ai fini della limitazione del ricorso per cassazione) che le sezioni decidessero con un numero minore di votanti, ne' avrebbe rilievo l'evento della soppressione stessa dell'istituto, purche' la legge ordinaria vi sostituisse comunque un organo giudicante che conservasse quel nome ..³ La chiara erroneita' di questa tesi emerge dalla sua stessa enunciazione, perche' in estrema ipotesi, se questa venisse accettata, il legislatore ordinario potrebbe anche sostituire all'Istituto soppresso un giudice monocratico senza violare in alcun modo l'art. 111 e senza alcun riguardo alla proporzione delle garanzie giurisdizionali offerte finora al ricorrente nel giudizio pensionistico, rispetto alla pesante limitazione del ricorso per cassazione. Significativo e' inoltre il raffronto che si puo' fare tra il nuovo ridotto assetto organizzativo della Corte dei conti e quello di tutti gli altri organi di "giurisprudenza superiori". Non vi e' alcun dubbio infatti che la soppressa Corte dei conti (quella del t.u. del 1934 e dell'art. 111 della Costituzione) era nel novero delle "giurisdizioni superiori". A tal proposito bisogna tener presente che l'art. 4 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 (convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36) elenca gli organi di "Giurisdizione superiore" (davanti ai quali possono patrocinare soltanto gli avvocati iscritti all'albo speciale) comprendendovi oltre la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, anche il tribunale superiore della acque pubbliche, che giudica, secondo i casi, con cinque o sette votanti (art. 142 del t.u. 11 dicembre 1993, n. 1775) il tribunale supremo militare che giudica sempre con sette votanti (art. 44 del r.d. 9 aprile 1941, n. 1022) e la commissione tributaria centrale, che giudica in sezioni composte di cinque membri (art. 32 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639). Tra tutti questi organi un posizione di evidente preminenza (dopo la Corte suprema) era attribuita al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti in quanto anche prima della Costituzione le loro decisioni erano le uniche sottratte al ricorso per Cassazione, benche' i due istituti si pronunciassero in unico grado in evidente considerazione della loro particolare organizzazione interna. Ma l'esclusione del riesame della Corte suprema non e' stata mai (almeno fino alla conversione in legge del decreto impugnato) sottovalutata in dottrina o nel diritto positivo, e i giudizi in materia di giustizia amministrativa sono stati sempre circondati dalle necessarie garanzie, specialmente con l'ampia collegialita' degli organi giudicanti. Oggi pero' la Corte dei conti non solo ha perduto quella sua tradizionale posizione di preminenza (condivisa col Consiglio di Stato) rispetto agli altri organi di giurisdizione superiore, ma ha perduto anche i connotati che la facevano annoverare tra questi organi. E la perdita di questi connotati non e' un fatto irrilevante nella logica del sistema, perche', come gia' si e' accennato, ancor prima della Costituzione repubblicana le caratteristiche che conferivano ai due organi di giustizia amministrativa il rango di "giurisdizione superiore" erano anche la garanzia con cui veniva compensata in modo soddisfacente la grave limitazione del ricorso per cassazione. Inoltre se si volesse, per assurdo, ritenere legittima la nuova ridotta organizzazione centrale della Corte dei conti (rifiutando la tesi veridica secondo cui l'art. 111 presuppone essenzialmente l'organizzazione dell'Istituto delineata dall'art. 4 del t.u. n. 1214/1934) si dovrebbe spiegare in base a quele criterio (irreperibile) si troverebbero collocati sullo stesso piano il Cosiglio di Stato ed i tre sparuti collegi centrali della Corte dei conti consistenti (come si e' detto) nelle due sezioni che giudicano in appello con soli tre votanti (e che percio' potrebbero al massimo essere equiparate a sezioni di Corte d'appello) e le c.d. sezioni riunite (di cinque votanti) la cui composizione collegiale raggiunge appena quella di una sezione separata della soppressa Corte dei conti. Appare quindi evidente che tra i due istituti non esiste piu' alcun punto di equiparabilita' (nella composizione collegiale delle sezioni giurisdizionali o del massimo organo di adunanza delle sezioni stesse) ai fini dell'applicabilita' del riportato art. 111. E piu' paradossale diventa il raffronto, se, in coerenza con l'erronea tesi "nominalistica" si assume come decisiva la falsa denominazione data ai nuovi tribunali periferici, come "sezioni regionali della Corte dei conti", per cui l'art. 111 andrebbe applicato anche alle decisioni di questi tribunali (³³³) davanti ai quali sono ammessi a patrocinare non solo gli avvocati non cassazionisti ma anche i procuratori legali (art. 6, quinto comma, del decreto impugnato). Se invece si considera l'altro corno del dilemma e si riconosce che l'art. 111 in esame non puo' riferirsi alle decisioni delle c.d. sezioni della Corte dei conti (per tutte le considerazioni che precedono) allora deve ammettersi che il riferimento fatto dallo stesso art. 111 all'istituto anzidetto non ha piu' alcun significato reale, ne' alcuna ulteriore efficacia per la parte che si riferisce alla medesima Corte dei conti e che quindi la citata norma costituzionale si dovrebbe ritenere parzialmente abrogata per effetto della legge ordinaria .. (³³³); cosicche' non sarebbe piu' la Costituzione a regolare l'operato del legislatore ordinario ma sarebbe quest'ultimo a regolare gli effetti del dettato costituzionale³³³ Questo e' il dilemma che si presenta con le norme impugnate e che ne impone la declaratoria di illegittimita' costituzionale: tertium non datur. In conclusione la questione della legittimita' costituzionale che si solleva, riguarda le norme seguenti: a) l'art. 1, quinto comma, del d.P.R. 12 novembre 1993, n. 453, e della relativa legge di conversione 14 gennaio 1994, n. 19, in quanto ammette l'appello per la sola "materia di contabilita' pubblica" e non anche per quella delle "pensioni" (artt. 3, 36, 38, 125, secondo comma, della Costituzione); b) lo stesso art. 1 (quinto, settimo e ottavo comma) in quanto tale norma da una parte sopprime tutte le sette sezioni centrali della Corte dei conti competenti in materia di pensione (ottavo comma) e dall'altra parte riduce (da cinque a tre) il numero dei votanti delle residue due sezioni centrali (quinto comma) senza prevedere la sopravvivenza di alcune sezioni (di cinque votanti) come giudici di appello nella materia delle pensioni e della responsabilita': sezioni di numero adeguato per consentire la legittima composizione collegiale delle sezioni riunite che, come piu' volte e' stato detto, con il comma settimo citato, e' stato ridotto da undici a cinque votanti (art. 111, ultimo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del t.u. 12 luglio 1934, n. 1214). Sulla rilevanza della proposta questione si osserva che essa risulta evidente per quanto riguarda il quinto comma dell'art. 1 citato, nella parte in cui ammette l'appello "limitatamente alla materia di contabilita' pubblica" e non anche per la materia delle pensioni. Infatti il riconoscimento dell'illegittimita' di questa limitazione renderebbe senz'altro ammissibile l'appello. Rilevante e' inoltre la questione dell'illegittimita' della ridotta composizione collegiale delle due sezioni centrali della Corte dei conti sopravvissute alla legge di soppressione, in quanto se tale illegittimita' viene riconosciuta, si rende evidente che l'appello non era proponibile a una di quelle sezioni (stante la loro illegittima composizione) mentre la contemporanea declaratoria di illegittimita' dell'ottavo comma che ha soppresso tutte le altre sezioni centrali dell'istituto (competenti in materia pensionistica) comporterebbe la necessaria sopravvivenza delle sezioni stesse e quindi la piena ammissibilita' dell'appello proposto davanti alla terza sezione centrale legittimamente costituita e tuttora competente in materia di pensioni civili. L'unica questione non direttamente rilevante ai fini dell'ammissibilita' dell'appello e' quella che concerne l'illegittima riduzione del collegio delle sezioni riunite (settimo comma cit.) ma tale questione si impone inevitabilmente nel presente giudizio di costituzionalita', sia perche' nel verificare l'annientamento dei presupposti dell'art. 111 non puo' essere ignorato che la tradizionale ampia collegialita' delle sezioni riunite, unitamente alla tradizionale consistente composizione collegiale delle sezioni centrali, costituiva il complesso delle garanzie destinate a compensare la grave limitazione del ricorso in cassazione, sia per un evidente corollario in quanto una volta affermata l'illegittimita' della soppressione e della riduzione collegiale delle sezioni centrali (che tornerebbero quindi a giudicare con cinque votanti) non e' piu' concepibile di "conseguenza" (art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87) che il massimo collegio dell'istituto abbia la stessa composizione collegiale di una solo sezione. Tanto premesso, la ricorrente ha chiesto: in via preliminare che siano trasmessi gli atti alla Corte costituzionale per la decisione sulla proposta questione di costituzionalita' e, subordinatamente all'accoglimento dell'eccezione sollevata, l'accoglimento dell'appello col riconoscimento del diritto alla chiesta pensione privilegiata indiretta oltre interessi, e rivalutazione. L'Ente Poste si e' costituito in giudizio tramite l'Avvocatura generale dello Stato, che con memoria ha chiesto pronuncia di inammissibilita' del ricorso, previa dichiarazione di manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimita' costituzionale, con richiamo delle decisioni della Corte costituzionale nn. 52/1984, 69/1982, 62/1981, 117/1973 e 1/1970. All'odierna pubblica udienza gli avvocati Petrucci e Fonzi, per la ricorrente, hanno ribadito le considerazioni e richieste gia' esposte, non senza riferirle anche all'art. 3 del d.l. 29 aprile 1994, n. 262. La difesa dell'Ente Poste ha insistito nella richiesta di inammissibilita'del gravame. D I R I T T O 1. - La signora Mazziotti Maria ha proposto appello a questa sezione giurisdizionale della Corte dei conti avverso la sentenza 13 gennaio 1994, n. 16, emessa in materia pensionistica civile dalla sezione giurisdizionale per la regione Lazio, istituita in applicazione del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19. L'appello in questione e' certamente inammissibile alla luce della attuale normativa, la quale non prevede, avverso le sentenze delle neo istituite sezioni giurisdizionali regionali in materia pensionistica, la esperibilita' di alcun mezzo di gravame e segnatamente dell'appello alla Corte dei Conti in sede centrale. 2. - Di cio' consapevole, la ricorrente ha sollevato questione di legittimita' costituzionale della normativa introdotta con il citato d.l. e con la relativa legge di conversione, nella parte in cui non e' stata prevista la esperibilita' del suddetto mezzo di gravame contro le pronunce aventi ad oggetto pretese pensionistiche di ex pubblici dipendenti civili gia' di competenza, in unico grado, prima della novella legislativa, di questa sezione adita, la quale e' ancora operante in sede centrale in via transitoria, e lo sara' fino a quando non saranno entrate in funzione tutte le sezioni decentrate a livello regionale. Dall'esame della dedotta questione di legittimita' costituzionale deve tuttavia essere escluso, ad avviso della sezione, il punto riguardante la riduzione del collegio delle sezioni riunite (art. 1, settimo comma, della legge) che non appare direttamente rilevante ai fini dell'eventuale prosecuzione dell'instaurato giudizio d'appello. 3. - Ai fini della disamina, nei limiti indicati, della questione di legittimita' costituzionale, ci si deve, preliminarmente, dar carico, ex officio, del problema attinente alla legittimazione di questa sezione a procedere all'esame della prospettata questione ed alla sua eventuale remissione alla Corte verificatrice. Cio' in quanto potrebbe dubitarsi della sussistenza di una situazione legittimamente la sezione adita a procedere alla suddetta disamina, in considerazione della circostanza che funzioni di giudice di appello avverso pronunce, ancorche' in materia diversa da quella pensionistica, emesse dalle nuove sezioni regionali, sono state affidate esclusivamente alle sezioni prima e seconda della Corte dei conti in sede centrale; sicche' soltanto una di dette sezioni potrebbe essere considerata legittimata all'esame della sollevata questione. Questo problema, a ben riflettere, in definitiva si traduce in una valutazione afferente al giudizio di rilevanza della questione di costituzionalita' davanti al giudice a quo, sicche' appare indispensabile la sua soluzione in via preliminare rispetto ad ogni altra questione. Al riguardo, sembra potersi ragionevolmente ritenere che questa sezione adita abbia piena legittimazione a procedere alla suddetta disamina per le ragioni che seguono. La considerazione di fondo dalla quale occorre partire e' quella secondo la quale, nell'ordinamento precedente alla istituzione delle sezioni giurisdizionali regionali, questa sezione della Corte dei conti rivestiva la qualifica, ed esercitava la corrispondente funzione, di giudice unico del contenzioso pensionistico pubblico dei dipendenti civili dello Stato e di quelli iscritti alle casse di previdenza amministrate dalla direzione generale degli istituti di previdenza del Ministero del tesoro; funzione giustiziale che, sia pure in modo limitato, la sezione medesima nella attualita' continua a svolgere e svolgera' fino al 1$ gennaio 1995, o, comunque, fino a quando non sara' entrata in funzione l'ultima sezione giurisdizionale periferica, con la conseguenza che questa sezione sara', solo allora e da quel momento, soppressa. La suindicata competenza funzionale, riconosciutale dall'ordinamento generale ed ancora operante, sia pure in fase transitoria, legittima l'adita sezione alla valutazione, nella sua perdurante qualita' di giudice del contenzioso pensionistico civile, della prospettata questione di legittimita' costituzionale. Che anzi e' a dirsi che difficilmente potrebbe ravvisarsi una competenza funzionale delle sezioni prima e seconda ad occuparsi di tale problematica, non potendosi ravvisare in nessuna delle due un valido titolo di legittimazione nella sola circostanza d'essere giudice di secondo grado rispetto alle neo istituite sezioni periferiche, giacche' la materia rientrante nel relativo contenzioso e' del tutto avulsa da quella attinente al rapporto pensionistico dei dipendenti civili da pubbliche amministrazioni. E, sotto altro aspetto, la conferma della suddetta legittimazione della adita sezione si ha, ex adverso, considerando che l'eventuale risoluzione in senso positivo della dedotta eccezione di legittimita' costituzionale porterebbe alla inevitabile conclusione della sopravvivenza della sezione medesima a livello centrale come naturale giudice di appello avverso le sentenze emesse dagli organi giurisdizionali periferici in materia di pensioni civili. E neanche puo' ritenersi validamente prospettabile la tesi secondo cui questa sezione sarebbe carente di legittimazione, in quanto le pronunce da sottoporre al regime dell'appello, e dunque anche quella ora appellata, promanerebbero da sezioni giurisdizionali che, ancorche' operanti in sede decentrata, sarebbero equiordinate rispetto alla terza sezione o, piu' in generale, rispetto alle sezioni giurisdizionali centrali della Corte. Di qui la impossibilita' di configurare, nella posizione della terza sezione, quel livello funzionale superiore rispetto alle neo istituite sezioni regionali, che solo potrebbe giustificare il rimedio appellatorio avveso le pronunce dei primi giudici. Tale tesi non appare condivisibile. Essa e', in primo luogo, contraddetta dal dato formale, secondo cui il legislatore ha gia' previsto la proponibilita' dell'appello davanti a sezioni centrali della Corte (prima e seconda) in materia di "contabilita' pubblica" e, tra l'altro, in una composizione (tre componenti del collegio) identica a quella dei nuovi organismi periferici. Ma indipendentemente da tale considerazione, che pure e' di per se' risolutiva ed assorbente, deve osservarsi che nell'ordinamento processuale generale, di qualsiasi tipo di processo (civile, penale, amministrativo, tributario), il rapporto tra giudici periferici a competenza territorialmente limitata e giudici centrali a competenza sull'intero territorio nazionale e' sempre di carattere funzionale attinente ad un rapporto di sovraordinazione del secondo livello (quello centrale) sul primo (quello periferico). Ne' sono ravvisabili motivi che facciano dubitare della validita' di detto principio per quanto concerne il contenzioso pensionistico pubblico. E neppure as- sume rilievo alcuno la circostanza che la sentenza ora appellata davanti a questa sezione provenga dalla sezione giurisdizionale operante a Roma, attesa la competenza di questa territorialmente limitata alla regione Lazio, con la conseguenza della esistenza, nella specie, di quel rapporto di sovra-sotto ordinazione che giustifica la eventuale proponibilita' del mezzo di gravame in questione. In conclusione, pertanto, sembra potersi affermare con sufficiente attendibilita' che la sezione abbia legittimazione e titolo per procedere alla disamina della prospettata questione di legittimita' costituzionale della normativa introdotta dalle citate fonti, in rapporto alla complessa problematica del doppio grado di giurisdizione nella materia pensionistica. 4. - Le considerazioni innanzi svolte inducono, dunque, a ritenere sussistente la rilevanza della dedotta questione di legittimita' costituzionale agli effetti della eventuale ulteriore prosecuzione dell'instaurato giudizio di appello. L'esame deve, pertanto, essere portato sulla non manifesta infondatezza della questione stessa. La quale va esaminata, in primo luogo, in rapporto alla problematica rappresentata dal dubbio se esista, come principio di rango costituzionale, desumibile dall'art. 125, secondo comma della Costituzione, quello secondo il quale sussisterebbe un vincolo per il legislatore ordinario ad assicurare in ogni caso il doppio grado di giurisdizione a tutte le controversie di competenza di un giudice amministrativo, comune o speciale che esso sia. Tale dubbio e' stato risolto in sede dottrinaria e dalla stessa Corte verificatrice nel senso che non puo' ritenersi sussunto a livello costituzionale il suddetto principio del doppio grado di giurisdizione. L'art. 125, secondo comma, della Costituzione, infatti, nel prevedere che il legislatore dovesse istituire organi di giustizia amministrativa in ciascuna regione, non ha cristallizzato a livello costituzionale il principio del doppio grado, non potendosi neanche ritenere, a questo riguardo, sufficiente la esplicitazione contenuta nel testo del citato articolo della locuzione "di primo grado", che, per implicito, farebbe supporre necessario un secondo grado di giudizio. La piu' corretta interpretazione del testo costituzionale e' generalmente nel senso che il legislatore costituente non avrebbe inteso vincolare in modo assoluto quello ordinario alla introduzione del doppio grado di giurisdizione, ma lo avrebbe lasciato arbitro di scegliere la soluzione ritenuta piu' opportuna, pur in presenza della istituzione di organi decentrati di giustizia amministrativa in ciascuna regione. Ne' un particolare rilievo significativo, a questo proposito, potrebbe essere attribuito, in questa ottica, al fatto che il legislatore, con la legge 6 dicembre l971, n. l034, abbia optato per la generalizzazione del criterio del doppio grado per tutte le controversie affidate alla cognizione dei tribunali amministrativi regionali. Peraltro la Corte costituzionale, con sentenza n.52/l984, dichiaro' infondata la questione della inappellabilita' in materia pensionistica, sollevata anche in relazione all'art. 125, secondo comma, della Costituzione, non mancando, tuttavia, di osservare che "il dispositivo della sentenza che la Corte sta per pronunciare, non puo' estendersi alle sentenze rese in prima istanza dalle istituite sezioni regionali giurisdizionali della Corte dei conti perche' oggetto dell'incidente sono solo le decisioni delle sezioni giurisdizionali centrali della Corte". Cio' significa che la presente questione di legittimita costituzionale e' tuttora impregiudicata e meritevole di essere esaminata. 5. - A tale fine la sezione ritiene di dover porre in rapporto di stretta connessione logico-giuridica la disposizione contenuta nell'art. 125, secondo comma, della Costituzione, con quelle contenute negli artt. 3, 111, 97 della Costituzione e di procedere, quindi, ad un esame congiunto dei principi da esse desumibili, agli effetti della deliberazione della non manifesta infondatezza dell'eccezione di costituzionalia'. Al riguardo, appare dunque necessario procedere alla valutazione della conformita ai principi costituzionali cui si e' innanzi fatto riferimento della nuova normativa sopra citata, sotto vari profili. 5. a) Il primo profilo attiene al dubbio in ordine al possibile contrasto che e' dato ravvisare tra le disposizioni che non prevedono l'esperibili'ta dell'appello avverso le sentenze emesse dalle sezioni giurisdizionali regionali della Corte in materia di pensioni civili (ed anche militari e di guerra, ovviamente, ma il problema trascende l'ambito del giudizio instaurato dalla ricorrente) e il principio di parita' di trattamento di cui all'art. 3 della Costituzione, avuto riguardo, oltre che ai profili prospettati nel ricorso, alla diversita' di disciplina normativa ordinaria tra le varie situazioni soggettive proprie della sfera giuridica dei pubblici dipendenti sottoposti alla giurisdizione amministrativa in senso lato. Mentre, infatti, in tutta l'area della possibile tutela giurisdizionale assicurata ai pubblici dipendenti e' garantito sempre il doppio grado di giurisdizione, soltanto il contenzioso pensionistico viene ad essere caratterizzato da una scelta legislativa (sulla cui ragionevolezza si dira' piu' oltre) ancorata all'opposto principio dell'unicita' di grado del giudizio. E, si badi, non con l'affidamento delle relative controversie ad un unico giudice centralizzato, che avrebbe potuto giustificare l'unicita' di grado della giurisdizione, bensi' con l'introduzione di un sistema in cui i giudizi sono stati affidati a sezioni periferiche, cioe' ad organi di giustizia decentrata; organi cioe' le cui pronunce sono tradizionalmente, e del tutto logicamente, sottoposte al regime del riesame in un ulteriore grado di giudizio, secondo una secolare e mai smentita tradizione storico-giuridica. Desta, dunque, forti e fondate perplessita', attinenti al possibile contrasto con il richiamato principio di parita' di trattamento, una normazione ordinaria, la quale opera una discriminazione di mezzi di tutela giustiziale cosi' vistosa in ordine a situazioni soggettive che, pur nella loro differente qualificazione in termini di diritti ed interessi e nella loro diversa rilevanza durante o dopo il servizio attivo, sono pur sempre unificate dall'essere parti coessenziali di una unitaria sfera giuridica protetta, non fosse altro per la radicata affermazione che qualifica la pensione come la naturale proiezione, per il tempo successivo al collocamento a riposo, del diritto soggettivo del pubblico dipendente alla retribuzione per il lavoro svolto. In altre parole puo' apparire in contrasto con il principio costituzionale di parita', ex art. 3 della Costituzione, in rapporto a quanto disposto dal successivo art. 125, l'aver previsto un generalizzato doppio grado di giurisdizione per tutte le controversie tra dipendenti e p.a, con esclusione soltanto di quelle pensionistiche. L'eliminazione, attraverso il controllo di costituzionalita', di tale esclusione, porrebbe in equilibrio giustiziale tutte le situazioni soggettive comunque riconducibili al rapporto di impiego pubblico, tanto nella fase del servizio attivo, quanto in quella di quiescenza. 5. b) Un secondo profilo di possibile incostituzionalita' delle norme limitative in esame, attiene alla ingiustificata disparita' di trattamento tra posizioni soggettive proprie dei pubblici dipendenti ed ex dipendenti nell'ambito della speciale giurisdizione istituzionalmente affidata alla Corte dei conti. Mentre per le controversie di competenza della Corte, affidate alle neo istituite sezioni periferiche, attinenti ai giudizi in materia di contabilita' pubblica e quindi di responsabilita' amministrativa o contabile, e' garantito ai soggetti interessati il doppio grado di giurisdizione, alle sole controversie pensionistiche tale garanzia non e' assicurata; e cio' senza alcuna valida ragione concernente il tipo di giudizio o di organizzazione dell'apparato di giustizia cui appartiene lo stesso giudice, che giustifichi, sul pi- ano dell'equilibrio e della razionalita' delle scelte legislative, quella in concreto adottata dal legislatore con la legge n. 19/1994. Di qui una possibile valutazione in termini di violazione del principio di parita' anche in rapporto al suindicato profilo interno all'area della giurisdizione della Corte dei conti. 5. c) Un terzo non meno rilevante profilo di possibile contrasto tra la normativa in esame e il sopra richiamato principio costituzionale di parita' di trattamento e di divieto di operare ingiustificate discriminazioni a livello legislativo, e' ravvisabile alla luce di considerazioni piu' specificamente attinenti alla materia pensionistica. Se si pone mente, sul piano generale, alla tutela giustiziale che l'ordinamento doverosamente assicura al lavoratore quando sia venuto a cessare il servizio attivo e subentri la situazione di quiescenza, si deve constatare che l'affidamento al giudice, sia ordinario che amministrativo comune, nell'ambito delle rispettive aree di giurisdizione, e' oggi caratterizzato dalla costante garanzia del doppio grado di giurisdizione per il lavoratore collocato a riposo. Il lavoratore privato, infatti, gode istituzionalmente di tale garanzia per i principi propri che governano il processo civile, sia ordinario che del lavoro. Ma anche per quei pubblici dipendenti che, in virtu' della loro appartenenza a enti pubblici per i quali non op- era il meccanismo di devoluzione della giurisdizione pensionistica alla Corte dei conti, ricevono, anche sotto tale aspetto, tutela dal complesso organizzatorio t.a.r. - consiglio di Stato, e' assicurata dall'ordinamento generale del processo amministrativo l'esperibili'ta' dei mezzi di gravame di tipo impugnatorio e tra questi, fondamentalmente, dell'appello al giudice di secondo grado centralizzato. Soltanto nell'ambito della speciale giurisdizione pensionistica della Corte dei conti, e per la categoria dei pubblici dipendenti ad essa sottoposti, tale garanzia non c'e'. Di qui il legittimo dubbio che, anche sotto l'indicato profilo, sia ravvisabile un contrasto tra la normativa vigente ed il fondamentale principio di parita' di trattamento, questa volta riferito al confronto tra identiche posizioni soggettive sostanziali (il diritto al trattamento di quiescenza al termine del servizio attivo) spettanti a piu' categorie di lavoratori, per i quali non e' dato ravvisare, sotto l'indicato aspetto, ragionevoli differenziazioni sostanziali di situazioni soggettive protette, atte a giustificare una diversita' cosi' profonda di garanzie di giustizia. 6. La mancata previsione dell'appello in materia pensionistica si pone altresi' in contrasto, ad avviso della sezione, con il secondo e terzo comma dell'art. 111 della Costituzione. La prima delle indicate disposizioni ammette il ricorso in cassazione per violazione di legge avverso tutte le sentenze dei giudici ordinari o speciali; essa e', quindi, attributiva della funzione di "nomofilachia" alla Corte di cassazione, con conseguente costituzionalizaazione del ruolo ad essa assegnato dall'art. 65 dell'ordinamento giudiziario del 1941 (compito di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge). L'esclusione, sancita dal terzo comma dell'art. 111, della ricorribilita' in cassazione, per motivi di legittimita', delle decisioni della Corte dei conti, costituisce, peraltro, il riconoscimento, a livello costituzionale, della funzione anche della Corte dei conti come del Consiglio di Stato, di difesa del diritto obiettivo nel proprio ordine di competenze giurisdizionali (contenzioso contabile e pensionistico). Ma tale finalita', commessa dal Costituente alla Corte, inerisce essenzialmente, nel sistema, alla collocazione costituzionale del giudice: al suo essere, cioe', giudice supremo nel proprio ordine di giurisdizione. Questo assetto, regolato costituzionalmente, e' stato completamente stravolto dalla novella del 1994, in quanto: a) la funzione di nomofilachia attribuita dalla Costituzione alla Corte dei conti non e' piu' configurabile con riguardo alle decisioni delle istituite sezione regionali, onde e' da ritenere che la prevista soppressione delle sezioni centrali a competenza pensionistica violerebbe l'art. 111, terzo comma, della Costituzione; orbene, la previsione del doppio grado eviterebbe il sorgere di tale contrasto, in quanto continuerebbe a riservare alle sezioni centrali, quali giudici d'appello anche in materia pensionistica, la funzione di nomofilachia gia' attribuita dal Costituente alla Corte nella sua configurazione centralizzata; b) contro i provvedimenti decisori dichiarati inappellabili e' ammessa la ricorribilita' in cassazione per violazione di legge. Tale contemperamento (introdotto dalla Costituzione) dell'esclusione del doppio grado non puo' trovare applicazione nei confronti delle sentenze rese dalle istituite sezioni regionali della Corte dei conti, ostandovi il disposto dell'art. 111, terzo comma, della Costituzione, con la conseguenza che tali organi giurisdizionali vengono a configurarsi, nel nostro sistema processuale, come l'unico giudice (per cio' che concerne la materia delle pensioni) periferico di primo e di ultimo grado. I delineati contrasti con l'art. 111 della Costituzione (istituzione di un giudice periferico di ultimo grado; eliminazione della funzione di nomofilachia, costituzionalmente garantita, anche in materia pensionistica, alla Corte dei conti come configurata dall'ordinamento nel suo precedente assetto centralizzato: v. disp. VI trans. della Costituzione) derivano dalla mancata previsione, da parte del legislatore deI 1994, dell'appello, in materia pensionistica, dalle sezioni regionali alle sezioni centrali con competenza funzionale nella stessa materia. L'ammissione di questo mezzo impugnatorio consentirebbe, infatti, di salvaguardare l'opzione costituzionale (altrimenti compromessa dalla novella del 1994) risultante dal combinato disposto del secondo e terzo comma dell'art. 111 (ricorribilita' in cassazione per violazione di legge derogabile solo con riguardo a pronunce rese, nell'ambito delle proprie competenze giudiziarie, da un organo di vertice). 7. L'eccezione di illegittimita' costituzionale in esame, da ultimo, deve essere esaminata sotto l'ulteriore angolazione del possibile contrasto tra la normativa limitativa de qua e i principi costituzionali di ragionevolezza e di buon andamento della p.a., che, nella specie, devono essere congiuntamente presi in considerazione. La domanda che ci si deve porre e' se risponda ad un qualsivoglia criterio di ragionevolezza e di logica giuridica, collegata ad una razionale organizzazione degli apparati pubblici anche di giustizia, prevedere l'affidamento di un determinato tipo di controversie ad un giudice periferico, decentrato a livello regionale, e non prevedere, contestualmente, la possibilita' di appellare le sue sentenze al giudice di secondo grado che, si badi, non deve essere all'uopo istituito, ma gia' esiste; anzi esiste perche' ha esercitato e continua nell'attualita' ancora ad esercitare, sia pure in funzione di giudice di unico grado a livello centralizzato, proprio quella determinata funzione di giustizia, ora decentrata ai nuovi organismi periferici. In altri termini: poiche' nel nostro pur cosi' variegato ordinamento processuale non esiste un solo caso in cui le pronunce di un giudice periferico, vale a dire decentrato, rispetto al quale vi sia un livello superiore di organizzazione funzionale di apparato, siano sottratte ad ogni mezzo di impugnativa (eccettuato quello esperibile in presenza del c.d. "straripamento di potere"), non si vede proprio per quale ragione una simile stortura debba essere introdotta per il contenzioso pensionistico di istituzionale competenza della Corte dei conti. Cio' premesso, passando alla valutazione della questione di legittimita' costituzionale in termini piu' strettamente giuridici sotto il profilo suindicato, e' a dirsi che la scelta di riservare il regime dell'unico grado di giurisdizione alle sole controversie pensionistiche appare del tutto priva di ragionevolezza ed in contrasto sicuro con il principio del buon andamento, che deve governare il regime organizzatorio degli apparati della pubblica amministrazione intesa in senso lato. La giurisprudenza costituzionale ha piu' volte fatto riferimento al criterio di ragionevolezza delle scelte legislative come criterio cardine che deve muovere ed orientare l'agire del legislatore ordinario. Siffatta ragionevolezza e' del tutto assente nella scelta dell'affidamento ad un giudice periferico di competenze di cosi' grande rilievo istituzionale, senza la contestuale previsione di un rimedio di tipo appellatorio avverso le sue pronunce, pur in presenza di un livello superiore di apparato giustiziale gia' specificamente competente nella medesima materia. La irrazionalita' della scelta effettuata con la censurata normazione ordinaria fa ritenere, pertanto, non manifestamente infondata, anche sotto il profilo ora indicato, la relativa questione di costituzionalita', riconducibile, conclusivamente, alla violazione dei principi desumibili, congiuntamente, dagli artt. 3, 97, 111, secondo e terzo comma, e 125, secondo comma, della Costituzione.