IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile pendente in grado di appello iscritta al n. 1084/1994 del r.g.c. ed avente ad oggetto integrazione del trattamento pensionistico tra l'I.N.P.S. (proc. avv. U. Mancusi) e Mazzetti Carlo (proc. avv. G. Paribocci). 1. - Carlo Marzetti, gia' dipendente della S.N.I.A. Viscosa S.p.a. e della Societa' sviluppo industriale - collocato in regime di integrazione salariale nei periodi 1 agosto 1979-30 aprile 1981 (Snia) e 1 maggio 1981-31 maggio 1988 (Soc. Sviluppo Industriale - Gepi) - attualmente titolare di pensione VO 10014638 con decorrenza 1 gennaio 1989 (pre-pensionamento), ha convenuto in giudizio innanzi il pretore di Rieti in funzione di giudice del lavoro l'I.N.P.S. assumendo che l'ente previdenziale aveva determinato il trattamento di quiescenza, in applicazione del combinato disposto degli artt. 8, quarto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 155, e 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, prendendo a riferimento della retribuzione annua pensionabile le ultime 260 settimane contributive, antecedenti la decorrenza della pensione. 1.1. - Poiche' esse coincidono integralmente con parte del periodo in cui fu posto in regime di integrazione salariale, soggetto a contribuzione c.d. figurativa e a retribuzione notoriamente inferiore a quella percepita in regime ordinario del rapporto di lavoro, la liquidazione dell'assegno pensionistico risulta determinata in misura sensibilmente piu' ridotta rispetto a quella che sarebbe derivata tenendo conto dei soli contributi obbligatori gia' versati e sufficienti, all'atto dell'ammissione alla integrazione salariale, a far conseguire il trattamento pensionistico di anzianita' al raggiungimento dell'eta' pensionabile. Chiedeva, dunque, procedersi al ricalcolo della misura della pensione. 1.2. - Contumace l'I.N.P.S., il pretore, senza sollevare la questione di legittimita' costituzionale - peraltro prospettata dal ricorrente - del combinato disposto delle norme sopra citate, nella parte in cui non e' previsto che in ipotesi di lavoratore dipendente prepensionato perche' sottoposto ad integrazione salariale, il quale abbia gia' conseguito in costanza di rapporto di lavoro la prescritta anzianita' assicurativa e contributiva obbligatoria, e per il quale la pensione sia liquidata sulla base del concorso della contribuzione figurativa, non possa essere comunque liquidata una pensione di importo inferiore a quella che sarebbe spettata tenendo conto soltanto della mera contribuzione obbligatoria, accoglieva il ricorso, ritenendo di poter sussumere il caso di specie nell'ambito della previsione normativa creata dalla sentenza interpretativa di accoglimento n. 307 del 18 maggio 1989 della Corte costituzionale. 2. - Avverso la sentenza pretorile interpone appello l'I.N.P.S., chiedendone la riforma sul presupposto che la declaratoria di incostituzionalita' richiamata dal primo giudice, riguardando il diverso caso di dipendente che aveva proseguito volontariamente nell'assicurazione generale obbligatoria, non puo' esplicare i suoi effetti nel procedimento in esame, nonostante l'apparente analogia della fattispecie. 3. - La questione di legittimita' costituzionale, riproposta dall'appellato, nel presente giudizio, relativamente all'art. 3, ottavo comma, della legge n. 297/1982 appare senz'altro rilevante e non manifestamente infondata. 3.1. - Non avendo l'appellante impugnato la decisione pretorile in ordine alla sussistenza dei requisiti contributivi obbligatori, sul punto si e' formato il giudicato, talche' deve ritenersi per incontrovertibile che il Marzetti, al raggiungimento dell'eta' pensionabile, avrebbe avuto diritto al trattamento di anzianita', sulla base della sola contribuzione obbligatoria, nella misura calcolata dal patronato INAS-CISL, cui si era rivolto, pari a L. 1.193.327 mensili, a fronte di una contribuzione di n. 1240 settimane, comprensiva anche del periodo accreditabile ai sensi dell'art. l6 della legge n. 155/1981 (cd. pre-pensionamento). Invece, facendo stretta applicazione della disposizione di cui all'art. 3, ottavo comma, della legge n. 297/1982, l'I.N.P.S. aveva determinato la misura della pensione in L. 951.997, calcolando la retribuzione pensionabile annua sulla scorta di quanto percepito nelle ultime 260 settimane, durante le quali erano stati accreditati esclusivamente contributi figurativi e la retribuzione era costituita da una mera integrazione salariale, inferiore allo stipendio mensile. Non v'e' dubbio, percio', che debba comunque farsi applicazione della norma citata, la cui rigida previsione pone non infondati dubbi di legittimita' costituzionale. 3.2. - E' noto che gia' in precedenza la Corte costituzionale ha pronunciato sentenze dichiarative di illegittimita' costituzionale della norma de qua, per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione, nella parte in cui "non prevede che, in caso di prosecuzione volontaria nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti da parte del lavoratore dipendente che abbia gia' conseguito in costanza di rapporto di lavoro la prescritta anzianita' assicurativa e contributiva, la pensione liquidata non possa essere inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell'eta' pensionabile sulla base della sola contribuzione obbligatoria" (Corte costituzionale n. 307/1989 citata) e per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione "nella parte in cui non prevede che, nel caso di esercizio durante l'ultimo quinquennio di contribuzione di attivita' lavorativa, meno retribuita da parte di un lavoratore che abbia gia' conseguita la prescritta anzianita' contributiva, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell'eta' pensionabile, escludendo da computo, ad ogni effetto, i periodi di minore retribuzione, in quanto non necessari ai fini del requisito dell'anzianita' contributiva minima" (Corte costituzionale 22-30 giugno 1994, n. 264). In particolare il giudice delle leggi, ribadito che attiene alle scelte politiche operate dal legislatore il criterio di individuazione del periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile, ha affermato essere tali scelte sindacabili "da questa Corte nella misura in cui esse diano luogo a risultati palesemente irrazionali o comunque contrari ai principi costituzionali che regolano la materia" (sentenza n. 264/1994). 3.3. - Orbene, non pare possa dubitarsi dell'irragionevolezza della norma in esame anche nel caso del lavoratore che, gia' raggiunto il requisito della contribuzione previdenziale minima in costanza di rapporto di lavoro, venga collocato in regime di integrazione salariale e percio' assoggettato a contribuzione figurativa, la quale sia cronologicamente coincidente, in tutto o in parte, con le ultime 260 settimane contributive antecedenti la decorrenza del trattamento pensionistico. In tal caso, infatti, il parametro della retribuzione annua pensionabile viene calcolato sulla base di un salario notoriamente inferiore a quello percepito in precedenza, cosi' che - nonostante l'incremento del parametro dell'anzianita' contributiva - la misura del trattamento pensionistico e' minore di quella calcolata sulla sola contribuzione obbligatoria. Tra l'altro non puo' non rilevarsi come l'irrazionalita' della norma (e l'iniquita' del risultato cui conduce la sua indifferenziata applicazione) e' ancor piu' evidente ove si consideri che la flessione del parametro della retribuzione annua pensionabile non e', nell'ipotesi prospettata, ascrivibile a libera scelta del lavoratore, il quale, oltre la falcidia salariale impostagli da eventi esterni alla sua volonta' (e solo in parte recuperabile con l'ammissione al regime di integrazione salariale), deve anche subire un ingiustificato depauperamento del trattamento pensionistico. Appare dunque non manifestamente infondato il contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, in punto di principio di ragionevolezza delle leggi e di adeguatezza del trattamento di quiescenza. 4. - Appare, invece, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, quarto comma, della legge n. 155/1981 nella parte in cui prevede che "i periodi di sospensione, per i quali e' ammessa l'integrazione salariale, sono riconosciuti utili d'ufficio per il conseguimento del diritto alla pensione per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti e per la determinazione della sua misura", anche se cio' comporta un pregiudizio al lavoratore in punto di determinazione del trattamento pensionistico. Come infatti chiarito dalla citata sentenza n. 264/1994 della Corte costituzionale, la questione di costituzionalita' della norma che disciplina l'integrazione contributiva e' sostanzialmente superata dalla censura rivolta alla norma che stabilisce quale sia il periodo da prendere a riferimento per la determinazione della retribuzione annua pensionabile.