TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE
    Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  nella  causa  in  sede  di
 legittimita'  ed in sede di giudizio di rinvio, iscritta al n. 46 del
 ruolo dell'anno 1993, vertente tra la societa' Anonima Siciliana  per
 irrigazioni   (S.A.S.I.),   con  sede  in  Palermo,  in  persona  del
 presidente Matteo Lo Bianco, rappresentata e  difesa  dagli  avvocati
 Ernesto  e Michele Conte, presso i quali e' elettivamente domiciliata
 in Roma, via E.Q. Visconti n. 99; ricorrente, contro il Ministero dei
 lavori pubblici e delle finanze, in persona dei rispettivi  titolari,
 rappresentati  e  difesi  dall'avvocatura  generale  dello Stato, con
 domicilio presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi n. 12; nonche'
 contro  il  comune   di   Palermo,   in   persona   del   commissario
 straordinario,  rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Antonelli
 Camposarcuno e Vito Lo Verde,  elettivamente  domiciliato  presso  il
 primo  in  Roma,  Lungotevere  dei  Mellini  n. 24; resistenti, e nei
 confronti dell'ente di sviluppo agricolo di Palermo;  non  costituito
 in  giudizio  per l'annullamento del decreto del Ministero dei lavori
 pubblici, adottato, di concerto con quelle delle finanze, in data  21
 gennaio 1989, n. 142.
                               F A T T O
    Con  R.D.  27 aprile 1924, n. 7039, venne rilasciata alla societa'
 Generale Elettrica della Sicilia (S.G.E.S.) (cui  poi  e'  subentrato
 l'E.N.E.L.)  la  concessione  di  derivare, per la durata di anni 60,
 acqua dal fiume Belice, allo  scopo  di  produrre  energia  elettrica
 nelle  due  centrali  di Casuzze e di Villagrazia di Palermo, nonche'
 per la utilizzazione delle acque di scarico per la irrigazione di  un
 vasto comprensorio.
    Con  istanza del 24 luglio 1926, la S.G.E.S. e la societa' Anonima
 Siciliana Irrigazioni (S.A.S.I.) chiesero  al  Ministero  dei  lavori
 pubblici  il  nullaosta  per  il subingresso della seconda alla prima
 nella concessione per la  parte  relativa  alla  utilizzazione  delle
 acque per fini irrigui.
    Con successiva istanza del 15 maggio 1936, esse chiesero che fosse
 loro autorizzato il trapasso della concessione delle acque utilizzate
 a valle del primo salto in contrada Casuzze sia per forza motrice che
 per  uso  irriguo, secondo quanto tra loro pattuito con atto notarile
 del giorno precedente.
    Con istanza del  6  febbraio  1937,  la  S.A.S.I.  chiese  che  le
 venissero  concesse  in  sanatoria  alcune  varianti per una migliore
 utilizzazione delle acque irrigue.
    Nessuno dei procedimenti veniva portato a compimento, sebbene  nel
 frattempo  la  S.A.S.I.  avesse, anche con il contributo dello Stato,
 realizzate alcune opere di derivazione  ed  esercitato  di  fatto  la
 utenza con la creazione di una efficiente rete irrigua.
    Approssimandosi   la   data  26  aprile  1984  di  scadenza  della
 concessione intestata alla  S.G.E.S.  e  per  essa  all'E.N.E.L.,  la
 S.A.S.I. chiedeva, con istanza del 29 novembre 1983, il rinnovo della
 concessione stessa a suo nome.
    L'Amministrazione dei lavori pubblici ometteva di provvedere e nel
 frattempo,  con istanze del 16 marzo e del 6 dicembre 1984, il comune
 di Palermo e l'ente di  sviluppo  agricolo  di  Palermo  presentavano
 domande di concessione delle stesse acque.
    Con  ricorso  a  questo  tribunale,  previa  diffida  ad adempiere
 notificata il 27 settembre 1984, la S.A.S.I.  impugnava  il  silenzio
 rifiuto  formatosi  sulle  proprie  istanze  suindicate del 15 maggio
 1936, del 6  febbraio  1937  e  del  23  novembre  1983,  che  veniva
 dichiarato illegittimo con sentenza del 4 ottobre 1985, n. 69.
    Infine,  con decreto 21 gennaio 1989, n. 142, adottato di concerto
 con quello delle finanze, il Ministero dei lavori pubblici  rigettava
 tutte  le  ricordate  istanze  e disponeva, ai sensi dell'art. 28 del
 testo unico 11 dicembre 1933, n.  1775  il  passaggio  in  proprieta'
 dello   Stato  di  tutte  le  opere  realizzate  dalla  S.A.S.I.  per
 l'esercizio in via di fatto dell'utenza. Si riservava di provvedere a
 parte sulla istanza subordinata della medesima S.A.S.I. per una nuova
 concessione insieme alle domande avanzate dal  comune  di  Palermo  e
 dall'Ente sviluppo agricolo.
    La  S.A.S.I.  impugnava in questa sede il menzionato provvedimento
 ministeriale, deducendo i seguenti quattro motivi:
    1) Violazione del principio generale dell'ammissibilita'  di  atti
 amministrativi retroattivi e violazione del giudicato derivante dalla
 sentenza  di  questo  tribunale n. 69/1985, nonche' eccesso di potere
 per  manifesta  ingiustizia  ed  erroneita'  della  motivazione,   in
 relazione  all'assunto  del  provvedimento  impugnato che non sarebbe
 stato possibile provvedere sulle domande a utenza scaduta.
    2) Violazione, sotto altro profilo, dello stesso cennato principio
 e degli artt. 28 e 30 del testo unico  11  dicembre  1933,  n.  1775,
 nonche'  eccesso  di  potere  per  perplessita'  ed  erroneita' della
 motivazione, in relazione, anche qui, all'assunto  del  provvedimento
 impugnato   dell'impossibilita'   di   attribuire  a  posteriori  una
 condizione giuridica favorevole ad un soggetto, senza  verificare  le
 legittime aspettative dei terzi.
    3)  Illegittimita'  derivata  del  provvedimento  di  diniego  del
 rinnovo della concessione per effetto  dei  vizi  del  rigetto  della
 iniziale domanda di subingresso della S.A.S.I. alla S.G.E.S.
    4)  Violazione  degli  artt.  28  e  30  dei citato testo unico n.
 1775/1933, nonche' eccesso di potere per perplessita'  e  illogicita'
 della  motivazione  nel  punto  in  cui  il  provvedimento dispone il
 passaggio senza indennizzo delle opere realizzate dalla S.A.S.I. allo
 Stato,  una  volta che la S.A.S.I. e' stata tenuta fuori dal rapporto
 di concessione dell'utenza di che trattasi.
    Con  sentenza  del  3  dicembre  1990,  n.  86,  questo  tribunale
 annullava  il  provvedimento ministeriale, accogliendo il secondo dei
 riportati motivi di impugnazione e assorbendo gli altri tre.
    Senonche', con sentenza delle sezioni unite  in  data  5  febbraio
 1993,  n.  1457,  la suprema Corte di cassazione, in accoglimento del
 ricorso proposto  dal  comune  di  Palermo  e  dalle  amministrazioni
 statali,  ha  cassato  con rinvio la sentenza di questo tribunale. La
 suprema Corte ha, infatti, ritenuto  erroneo  l'assunto,  su  cui  si
 fonda  la sentenza cassata, che il Ministero dei lavori pubblici, una
 volta accertato giudizialmente, con la sentenza del 4  ottobre  1985,
 n.  69,  la illegittimita' della sua ultraquarantennale omissione nel
 provvedere sulle istanze della S.A.S.I., sarebbe stato in obbligo  di
 esaminare  "ora  per  allora" le istanze stesse, con riferimento alla
 situazione  di  fatto  e  di  diritto  esistente  al  momento   della
 presentazione  delle  domande  di  nullaosta  (1936) e di varianti in
 sanatoria  (1937).  Si  sarebbe  dovuto,  viceversa,   applicare   il
 principio   giurisprudenziale,  secondo  cui  l'esame  delle  istanze
 rivolte  alla  pubblica  amministrazione,  dopo  l'annullamento   del
 silenzio-rifiuto  formatosi  su  di  esse,  va  condotto  secondo  la
 situazione di fatto e diritto esistente, non gia'  al  momento  delle
 domande,   ma   a   quello   di   notificazione  della  pronuncia  di
 illegittimita' del silenzio.
    Di qui la riassunzione in questa sede della causa da  parte  della
 S.A.S.I.  con  atto del 10 maggio 1993, nel quale viene contestato il
 potere della Corte di cassazione di ritenersi competente a  conoscere
 della  impugnazione  avverso  le  sentenze  di  tribunale  per motivi
 diversi da quelli attinenti la giurisdizione.
    Con atti del 7 giugno e 2 luglio 1993, si sono costituiti anche in
 questa fase del giudizio il  comune  di  Palermo  e,  col  patrocinio
 dell'avvocatura   generale  dello  Stato,  il  Ministero  dei  lavori
 pubblici e delle finanze, chiedendo il rigetto del ricorso.
    In data 3 dicembre 1993, la societa' ricorrente  ha  prodotto  una
 memoria illustrativa.
    Con  provvedimento  del  giudice delegato in data 7 giugno 1993 e'
 stata sospesa l'esecuzione del provvedimento ministeriale impugnato.
                             D I R I T T O
    1.  -  In  via  pregiudiziale  va  esaminata  la  questione  della
 legittimita' costituzionale dell'art. 201 del testo unico 11 dicembre
 1933,  n.  1775,  in  relazione  all'art. 111, secondo e terzo comma,
 della Costituzione, secondo l'applicazione che ne fa la suprema Corte
 di cassazione.
    Invero, quest'ultima assume che l'impugnazione in cassazione delle
 sentenze del tribunale superiore delle acque  pubbliche  in  sede  di
 giurisdizione  amministrativa  possa aver luogo, oltre che per motivi
 di giurisdizione, come stabilito  dall'art.  201  citato,  anche  per
 violazione  di  legge, analogamente alle pronunce di tutti gli organi
 giurisdizionali speciali, ai  sensi  dell'art.  111,  secondo  comma,
 della Costituzione.
    Gran  parte  della  dottrina  ritiene,  invece,  che  esse  vadano
 impugnate in cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione,
 alla stessa stregua delle decisioni del consiglio di Stato, ai  sensi
 dell'art. 111, terzo comma, della Costituzione, perche' concernono la
 funzione  giurisdizionale di legittimita' dell'azione amministrativa,
 sottratta, nell'ordinamento  vigente,  alla  cognizione  del  giudice
 ordinario  e  sono,  pertanto,  conoscibili dalla Corte di cassazione
 esclusivamente nell'ambito  del  suo  compito  di  regolatrice  delle
 giurisdizioni.
    Nonostante  la  costante  giurisprudenza al riguardo dalla suprema
 Corte, la questione non ha cessato di formare oggetto di dibattito ed
 essa viene ormai sollevata con sempre maggiore frequenza sia  davanti
 alla stessa Corte di cassazione (vedi sentenze ss.uu. nn. 5888/1992 e
 8348/1993) che davanti questo tribunale in sede di giudizio di rinvio
 (vedi anche i ricorsi n. 34/1993 e n. 109/1993).
    Il  collegio  ravvisa,  pertanto,  la  necessita' di un intervento
 risolutivo della Corte costituzionale, anche nella  prospettiva  piu'
 generale  di avviare in tal modo a chiarimento i problemi dell'esatta
 collocazione  -  nell'ambito  degli  organi  giurisdizionali  -   del
 tribunale  superiore  delle  acque  in  sede  di legittimita' e della
 rispondenza o meno all'attuale sistema di  giustizia  amministrativa,
 nel  quale e' stato introdotto il doppio grado di giudizio, delle sue
 pronunce in unico grado.
    E poiche' le ragioni che militano a favore della tesi  dottrinaria
 non  appaiono  manifestamente infondate, il collegio ritiene di dover
 rimettere d'ufficio alla  Corte  costituzionale  la  questione  della
 corretta applicazione dell'art. 201 del testo unico 11 dicembre 1933,
 n. 1775, in relazione all'art. 111 della Costituzione.
    2. - Cio' premesso in via generale, sul tema possono essere svolte
 in particolare le seguenti considerazioni.
    L'art.  201 del testo unico n. 1775/1933 stabilisce che "contro le
 decisioni del tribunale superiore delle acque pubbliche nelle materie
 contemplate  nell'art.  143   (cioe'   in   sede   di   giurisdizione
 amministrativa)  e' ammesso il ricorso alle sezioni unite della Corte
 di cassazione soltanto per incompetenza o eccesso di potere a termini
 dell'art. 3 della legge 31 marzo 1877, n. 3761",  ossia,  secondo  la
 formula  usata  poi  nell'art.  362  del  cod. proc. civ., per motivi
 attinenti alla giurisdizione.
    La disposizione era analoga a quella prevista per le decisioni del
 consiglio di Stato dall'art. 48 del testo unico 26  giugno  1924,  n.
 1954.
    E'  entrata poi in vigore la Carta costituzionale, il cui art. 111
 dispone  che  "contro  le  sentenze  ..  pronunciate   dagli   organi
 giurisdizionali  ordinari  o  speciali  e'  sempre ammesso ricorso in
 cassazione per violazione di legge .. (secondo comma) e  che  "contro
 le  decisioni  del  consiglio  di  Stato  e  della Corte dei conti il
 ricorso in cassazione  e'  ammesso  per  soli  motivi  inerenti  alla
 giurisdizione" (terzo comma).
    La  suprema  Corte  ha  ritenuto  che, in applicazione del secondo
 comma della norma costituzionale, le sentenze del tribunale superiore
 delle acque in sede di giurisdizione anministrativa siano impugnabili
 in cassazione, oltre che  per  motivi  inerenti  alla  giurisdizione,
 anche  per  violazione di legge, analogamente alle decisioni di tutti
 gli altri organi giurisdizionali speciali.
    Richiamandosi  poi  al  tenore  letterale  del  terzo  comma,  che
 nell'indicare  i  provvedimenti  giurisdizionali  avverso  i quali e'
 ammesso il ricorso in  cassazione  solo  per  motivi  attinenti  alla
 giurisdizione  menziona  esclusivamente le decisioni del consiglio di
 Stato  e  della  Corte  dei  conti,  ha  escluso che la norma potesse
 riguardare anche le decisioni del  tribunale  superiore  delle  acque
 nella  sede  di  cognizione  diretta (Cass. ss.uu. 13 luglio 1951, n.
 1948; 14 agosto 1951, n. 2518; 7 agosto 1953,  n.  2675;  19  gennaio
 1954,  n.  91;  22  giugno  1955, n. 1933; 21 gennaio 1957, n. 195; 9
 marzo 1965, n. 378; 2 febbraio 1973, n.  311;  8  novembre  1976,  n.
 4076; 21 novembre 1986, n. 6839).
    La Corte suprema ha in tal modo ritenuto, per un verso, che l'art.
 201 del testo unico n. 1775 del 1933 sia stato abrogato dall'art. 111
 della  Costituzione  o quanto meno necessiti d'essere integrato dalla
 norma  costituzionale,  e,  per  l'altro,  che  sia  irrilevante   la
 circostanza che il tribunale superiore abbia sostituito nella materia
 delle  acque  il  consiglio di Stato e che le sue decisioni siano del
 tutto simili a quelle di quest'ultimo.
    Alla stregua, inoltre, della giurisprudenza della  medesima  Corte
 di cassazione, secondo cui per violazione di legge deve intendersi la
 violazione  di  ogni norma, tanto sostanziale quanto processuale, ivi
 compresi i vizi della motivazione, di cui all'art. 360, n. 5 del cod.
 proc. civ. (salvo  le  indicazioni  contenute  nella  sentenza  delle
 sezioni  unite  11  febbraio  1992,  n. 5888), il sistema processuale
 delineato dagli artt. 200 e 201  del  testo  unico  n.  1775/1933  e'
 risultato modificato e parificato per tutte le sentenze del tribunale
 superiore  delle  acque  pronunciate  sia  in grado di appello che in
 unico grado.
    Da ultimo, puo' essere ricordata la sentenza delle sezioni unite 6
 luglio 1993, n. 8348.
    Ora il collegio ritiene  che  la  configurazione  delineata  dalla
 Corte di cassazione non sia conforme all'art. 111, terzo comma, della
 Costituzione,  e  che  l'eccezione  stabilita  per  le  decisioni del
 consiglio di Stato  sia  riferibile  anche  a  quelle  del  tribunale
 superiore delle acque in sede di legittimita'.
    Invero,  quest'ultimo,  che  ha  sostituito  il consiglio di Stato
 nella materia delle acque pubbliche, ha una giurisdizione generale di
 legittimita', come il consiglio di Stato, con gli stessi poteri e gli
 stessi  limiti:  puo'  annullare  gli  atti  amministrativi  e  anche
 modificarli (art. 198 del testo unico n. 1775/1933); non puo' emanare
 decisioni  di  condanna,  se  non  per  quanto  riguarda  le spese di
 giudizio.
    Gli stessi principi che valgono per i giudizi innanzi al consiglio
 di  Stato  reggono  anche  lo  svolgimento  dei  giudizi  innanzi  al
 tribunale  superiore;  dopo la sentenza della Corte costituzionale 31
 gennaio  1991,  n.  42  e'  stato  anche  eliminato  il   presupposto
 processuale  della  definitivita'  dell'atto  impugnabile  avanti  al
 tribunale superiore, come per il ricorso  giurisdizionale  avanti  ai
 tribunali  amministrativi  regionali. I vizi di legittimita' sono gli
 stessi che la giurisprudenza amministrativa ha eleborato, specie  per
 la figura dell'eccesso di potere nei suoi vari profili.
    Allo  stesso  regime  di impugnazione erano sottoposte, come si e'
 visto, prima delll'entrata in vigore del testo costituzionale, sia le
 pronunce del tribunale superiore delle acque  che  del  consiglio  di
 Stato.
    Orbene, si ritiene che tale identita' di principi e regole non sia
 stata  alterata  dall'art. 111 della Costituzione, nel senso che esso
 avrebbe modificato  le  precedenti  disposizioni  sulla  impugnazione
 delle sentenze del tribunale superiore delle acque, mentre le avrebbe
 lasciate  integre  per  le  decisioni  del consiglio di Stato, con la
 conseguenza che  decisioni,  aventi  il  medesimo  oggetto,  e  cioe'
 pronunce  su  ricorsi  contro  atti  amministrativi per incompetenza,
 eccesso di potere  e  violazione  di  legge  a  tutela  di  interessi
 legittimi,  sarebbero  soggette a un sistema diverso di impugnazione:
 una volta sarebbero soggette al solo  ricorso  per  motivi  attinenti
 allla  giurisdizione,  altra volta al ricorso anche per violazione di
 legge.
    L'eccezione   riservata   dall'art.   11,   terzo   comma,   della
 Costituzione  alle  decisioni del consiglio di Stato trova sostegno -
 come emerge anche dai lavori  preparatori  del  testo  costituzionale
 (resoconto  dell'assemblea  costituente  del 27 novembre 1947, pagina
 2593) - non gia' in ragioni subiettive per un particolare riguardo al
 consiglio  di  Stato,  ma  nel  sistema  generale   della   giustizia
 amministrativa,  secondo il quale la tutela degli interessi legittimi
 costituisce  materia  del  tutto  fuori  dal   campo   dell'Autorita'
 giudiziaria ordinaria.
    Ne  consegue  che  l'eccezione, avendo la sua ragione d'essere nel
 carattere delle funzioni giurisdizionali,  che  sono  esercitate  dal
 consiglio  di  Stato,  non  puo'  logicamente che riguardare anche il
 tribunale superiore  delle  acque,  che  esercita  ugualmente  quelle
 funzioni.
    Il  diverso  assunto  derivante  da  una interpretazione meramente
 letterale della norma costituzionale porta alla  conclusione  che  la
 Corte  di  cassazione  possa  essere  investita da quella particolare
 competenza di  merito,  che  e'  necessaria  per  la  verifica  della
 legittimita'  amministrativa,  nell'ambito  dell'eccesso  di  potere,
 nonche' della facolta' di sindacato e di emissione dei  provvedimenti
 interinali,   quali   la   sospensione   dell'esecutivita'  dell'atto
 amministrativo, la nomina del commissario ad acta per le ordinanze di
 sospensione del provvedimento negativo e la stessa  istruttoria,  che
 e'  necessaria,  ancorche'  con  i  tipici  limiti, avanti al giudice
 amministrativo.
    Non invano il nostro ordinamento, anche dopo  la  istituzione  dei
 tribunali   amministrativi   regionali,  assegna  al  supremo  organo
 amministrativo, che e' il consiglio di Stato, il potere di  un  esame
 di  merito.  D'altra  parte,  una  potesta'  limitata al controllo di
 legittimita'  non  puo'  essere  esercitata  su  di  un  giudizio  di
 legittimita'  senza identificarsi in un gravame, cioe' in un appello;
 il controllo di mera legittimita' della suprema Corte sulla pronuncia
 del giudice civile in tanto e'  possibile  in  quanto  si  opera  una
 scissione  fra  fatto  e  diritto,  ma in un giudizio di legittimita'
 sulla legittimita' questa scissione non ha contenuto.
    Da questo profilo, inoltre, la estensione dell'eccezione,  di  cui
 al  terzo  comma dell'art. 111 della Costituzione, alle pronunzie del
 tribunale superiore non comporta che  tale  estensione  debba  essere
 operata  a  favore di tutte le giurisdizioni amministrative speciali,
 perche' il tribunale superiore, avendo  sostituito  il  consiglio  di
 Stato, con la stessa funzione e gli stessi poteri gia' assegnati alla
 quinta  sezione,  ha  una  posizione chiara rispetto ad altri giudici
 speciali,  che  non  rientrano  nel   complesso   degli   organi   di
 giurisdizione amministrativa, che fanno capo al consiglio di Stato.
    Rispetto  a questi ultimi il discorso richiederebbe la trattazione
 della piu' ampia questione relativa alla impugnabilita'  avanti  alla
 Corte di cassazione anche delle loro pronunce.
    Il  collegio si limita ad osservare che eventuali equivoci possono
 derivare dall'uso dei termini "giudice amministrativo" e  "giudice  o
 giurisdizione  speciale",  che e' promiscuo nella pratica, ma che non
 appare corretto in dottrina, come e' stato piu' volte notato.
    Si deve, infatti, considerare che la giurisdizione e' basata su un
 sistema binario, nel quale  coesistono  due  ordini  di  giudici,  il
 giudice   dei  diritti  soggettivi  ed  il  giudice  degli  interessi
 legittimi, e nel quale, quindi, la magistratura amministrativa, lungi
 dall'essere una magistratura speciale, e' la magistratura "ordinaria"
 degli interessi legittimi.
    Vero e' che fra le due giurisdizioni vi sono momenti di  comunione
 per l'esistenza di casi (che sono pero' tassativi), in cui al giudice
 amministrativo  e  attribuita  la  cognizione  di  diritti soggettivi
 (giurisdizione esclusiva) e al giudice  ordinario,  indipendentemente
 dal potere di disapplicazione, e' riconosciuto il potere di annullare
 o  riformare  l'atto  amministrativo  (in materia di stato civile, di
 sanzioni  depenalizzate,  tributaria  ed  elettorale).  Tuttavia,  la
 concessione  di  tali  poteri  non  muta  la  natura  rispettivamente
 amministrativa o civile del giudice, ne' lo trasforma in  un  giudice
 speciale.
    Ora,  alla  stregua  di  cio',  non  dovrebbe  esservi dubbio che,
 almeno, il tribunale superiore delle  acque  pubbliche,  in  sede  di
 legittimita',  debba  essere collocato nell'ordine della magistratura
 ordinaria amministrativa, e  non  possa  essere  considerato  giudice
 speciale.
    D'altronde,  quanto  a tale qualificazione allargando il discorso,
 il tutto si incentra nella individuazione  dei  segni  distintivi  di
 essa,  ai sensi dell'art. 102, secondo comma della Costituzione e sul
 suo riverbero - per quello che qui interessa  -  sull'interpretazione
 del successivo art. 111.
    Escluso,  per le ragioni gia' viste, che il giudice amministrativo
 sia giudice speciale, e' anche da escludere  che  possa  considerarsi
 speciale   qualsiasi  giudice  che  venga  istituito  nella  dinamica
 dell'ordinamento, certamente non calcificato a tipologie  determinate
 ne'  per  quel che attiene alla perennita' di esse nel tempo, ne' per
 quel che riguarda  la  distribuzione  fra  i  giudici  delle  diverse
 materie. (v. Corte costituzionale 14 gennaio 1986, n. 4).
    Nel  significato  letterale del vocabolo, ogni giudice e' speciale
 rispetto  ad  altro  giudice,  altrimenti  da  questo  non   potrebbe
 distinguersi:  muta  il  nome  e la composizione (pretore, tribunale,
 Corte d'assise ecc.), la competenza (esclusiva o meno, per materia  e
 valore,   oltreche'   per   territorio),  che  da'  la  misura  della
 giurisdizione (di legittimita' o  di  merito),  e  la  particolarita'
 della  struttura  (giudice  onorario  o  togato,  con  la presenza di
 elementi non togati, in via  di  specializzazione  di  altro  giudice
 analogo  ovvero di strutturazione essenziale, come il tribunale per i
 minorenni, la Corte di assise o i tribunali di sorveglianza), sicche'
 la specialita', di cui all'art. 102 della Costituzione, non  e'  data
 dalla  diversita'  rispetto  ad un paradigma che si assume comune, al
 punto da costituire ai  sensi  dell'art.  102,  secondo  comma  della
 Costituzione,  un  limite  della facolta' di variare l'ordinamento da
 parte del legislatore ordinario.
    Invero, quanto alla composizione, si hanno giudici, a composizione
 mista, tradizionalmente considerati ordinari (tribunale per i minori,
 Corte di  assise,  tribunale  di  sorveglianza  ovvero,  rispetto  al
 consiglio  di  Stato, il consiglio di giustizia amministrativa per la
 regione   siciliana   e   il   tribunale   regionale   di   giustizia
 amministrativa  per  il Trentino-Alto Adige e la sua sezione autonoma
 di Bolzano).
    Quanto alle parti, per le  quali  il  giudice  e'  istituito,  pur
 prescindendo  dalle  materie del pubblico impiego e pensionistica, vi
 sono  giudici,  anch'essi  non  considerati  speciali,  riservati   a
 determinate categorie di soggetti (tribunali per i minorenni, giudici
 militari,  consigli di ordini professionali, sezione disciplinare del
 consiglio superiore della magistratura).
    In relazione, poi, all'oggetto del contendere, vi e' diversita' di
 giudici  sia  per  la  "razione"  di  giurisdizione  attribuita   per
 competenza che per la materia trattata, indipendentemente dalla summa
 divisio  fra giudice dei diritti e giudice degli interessi (Corte dei
 conti  e  le  sue  sezioni  giurisdizionali  regionali,   commissioni
 tributarie,  commissioni  in  tema  di  brevetti,  commissari  per la
 liquidazione degli usi civici, giunte e collegi arbitrali in tema  di
 espropriazioni e trasferimento di beni).
    Anche  il  riferimento al rito si manifesta inidoneo a distinguere
 il giudice speciale  dall'ordinario,  perche',  a  prescindere  dalla
 differenza  di procedura fra giudice civile e giudice amministrativo,
 v'e' una differenza  di  procedura  anche  nell'ambito  dello  stesso
 giudice civile, a seconda che si guardi al tipo di giudice (onorario,
 monocratico  o collegiale, di legittimita' o di merito), alla materia
 (civile,  monitoria,  di  esecuzione,  fallimentare  ecc.)   o   alla
 struttura (civile, penale, del lavoro).
   Non  e'  possibile,  percio',  individuare  nei  tratti  comuni  di
 distinzione fra giudici diversi di un ordinamento la  specialita'  di
 un  giudice. Questa non puo' discendere che da una configurazione che
 incida   negativamente   sulle   condizioni   che   legittimano    la
 distribuzione  di  compiti  giudiziari  e che attengono alle garanzie
 costituzionali: esemplificando, un giudice, per il quale sia previsto
 la  assunzione   di   componenti,   senza   garanzia   del   criterio
 dell'imparzialita',  ovvero venga riservato a soggetti determinati in
 modo arbitrario e non secondo una categoria  generale,  ovvero  abbia
 una  composizione  arbitrariamente  variabile  (e  da  questo profilo
 verrebbe in sospetto  perfino  il  nuovissimo  tribunale  monocratico
 rispetto al collegiale e viceversa), ovvero abbia potesta' diverse da
 quelle  riservate  alla giurisdizione (common law anziche' civil law,
 fuori dei casi del giudizio  di  equita'  e  dei  limiti  in  cui  e'
 ammesso),  oppure  sia  istituito  in periodi determinati, per luoghi
 determinati o contingenze particolari, e cosi' via.
    Per converso, non sembra che possa qualificarsi come  speciale  un
 giudice  che  sia strutturato in modo adeguato alla specialita' della
 materia devolutagli, con compiti e potesta' che non sono  diverse  da
 quelle che spetterebbero al giudice omologo.
    Con  riguardo a cio', il tribunale superiore delle acque pubbliche
 non  e'  un  giudice  speciale,  perche'  assume   due   composizioni
 specializzate  e,  in  ciascuna  di  esse,  assolve  con la procedura
 propria, e con gli stessi poteri del giudice omologo - per  tutte  le
 parti  che  possono  essere  interessate,  senza  discriminazione  di
 soggetti e secondo una generale attribuzione per materia - al compito
 giurisdizionale ordinario sia per la  materia  civile,  con  apposita
 composizione,  che  per la materia amministrativa, con altra adeguata
 composizione. E  questa  affermazione  trova  pieno  riscontro  nella
 giurisdizione  della  Corte  di cassazione, per la quale il tribunale
 superiore delle acque pubbliche viene considerato giudice  ordinario,
 nella  composizione di cinque membri, ossia quando giudica in secondo
 grado sulle pronunce dei tribunali regionali, e giudice speciale (nel
 senso di giudice amministrativo) quando giudica  in  unico  grado  in
 materia amministrativa.
    E  difatti,  il  tribunale  superiore  delle  acque  pubbliche  e'
 costituito da due  giudici,  uno  civile  e  l'altro  amministrativo,
 secondo  i  normali  paradigmi,  ed ha una composizione specializzata
 nell'un caso  e  nell'altro,  con  la  presenza,  nel  primo,  di  un
 consigliere  di Stato e di un tecnico e con la presenza, nel secondo,
 di due consiglieri di cassazione. Ed e' anche da escludere, ancorche'
 soltanto  per  l'unita'   e   l'autonomia   dell'ufficio,   che   sia
 rispettivamente  una  sezione  specializzata  della  cassazione o una
 sezione del consiglio di Stato. D'altronde, sotto tale profilo,  esso
 non  rappresenta  un caso isolato nell'ordinamento, perche' spesso in
 una stessa  unita'  amministrativa  di  ufficio  si  trovano  giudici
 distinti  con  composizione  e competenza diverse (sezioni cosiddette
 specializzate;  Corte  di  assise  di  primo  e  di   secondo   grado
 amministrativamente  incardinate  nel  tribunale  e  nella  Corte  di
 appello, ma da essi distinte).
    Ad ogni modo, qualunque sia la ricostruzione teorica del tribunale
 superiore delle acque pubbliche, restano chiari taluni  suoi  profili
 che sono sufficienti e confortanti per la questione che viene rimessa
 alla  Corte  costituzionale:  a)  esso,  specialmente  se si guardano
 distintamente  le  due  strutture  e  funzioni,  non  presenta  alcun
 carattere  di  specialita', nel senso negativo previsto dall'art. 102
 della Costituzione; b) le sue due composizioni hanno il loro  omologo
 rispettivamente  in una sezione della Corte della cassazione e in una
 sezione del consiglio di Stato, con le specializzazioni del  caso  in
 relazione  alla  materia  (le  diversita'  riscontrabili non appaiono
 rilevanti sia per quanto  esposto  sia  perche'  anche  il  tribunale
 regionale  - sulla cui natura non v'e' piu' dubbio in dottrina ne' ve
 n'e' stato in  giurisprudenza  -  presenta  anomalie  similari  e  si
 discosta dalle comuni sezioni specializzate, in quanto non aggiunge i
 tecnici  alla  normale  composizione  del  giudice,  ma modifica tale
 composizione: due magistrati ed un tecnico anziche'  tre  -  modifica
 ancor piu' rilevante rispetto alla pregressa composizione delle Corti
 di appello - ); c) e' manifesta l'unita' amministrativa dell'ufficio,
 che ha una sua ragione d'essere logica e storica: storica, perche' in
 origine,  col  decreto  del  1916, il tribunale era unico ed in unico
 grado, per diritti e interessi legittimi, nell'intero territorio,  in
 omaggio  alle  molteplici  e  note ragioni di unita' giurisdizionale;
 logica, perche', una volta  diviso  il  nuovo  giudice,  proprio  per
 ovviare  all'accusa di specialita' (che gli e' rimasta vischiosamente
 attribuita) si e' mantenuta  l'unita'  dell'ufficio,  allo  scopo  di
 ottenere   almeno   che,  in  sede  di  gravame  e  nell'unico  grado
 amministrativo,  nonostante  la  innegabile  distinzione,  vi   fosse
 comunita'  di elementi e di indirizzo, dato che in definitiva sono le
 stesse persone a comporre l'organo giudiziario, sorrette  dall'unita'
 di  struttura e di guida, che garantisce la finalita' normativa; d) a
 differenza degli altri giudici,  denominati  a  torto  o  a  ragione,
 speciali,  il  tribunale superiore ha competenze nette, assolutamente
 non inquinate da potesta' anomale, sia  come  giudice  ordinario  che
 come giudice amministrativo.
    In conclusione, la configurazione del regime di impugnazione delle
 sentenze  del  tribunale  superiore  delle acque pubbliche in sede di
 legittimita',  discendente  dall'interpretazione  dell'art.  201  del
 testo  unico n. 1775/1933, in relazione all'art. 111, secondo e terzo
 comma, della Costituzione, fatta,  propria  della  suprema  Corte  di
 cassazione, sembra porsi, per le ragioni avanti esposte, in contrasto
 con  lo  stesso art. 111, nonche' col principio di uguaglianza di cui
 all'art. 3 della  medesima  Costituzione,  tenuto  conto  del  regime
 differenziato  cui  vengono  sottoposte  le  decisioni  del tribunale
 superiore delle acque,  rispetto  alle  decisioni  del  consiglio  di
 Stato,  sebbene  entrambe  siano espressione di una medesima funzione
 giurisdizionale, retta da principi e regole identiche.
    Si pone, altresi', in contrasto con gli artt. 103, 111 e 113 della
 Costituzione,  che  hanno  conservato  il   sistema   binario   della
 giurisdizione,  basato  sulla  distinzione  tra  diritti soggettivi e
 interessi legittimi, nonche' con gli stessi  confini  della  potesta'
 giurisdizionale  attribuita  alla  suprema  Corte soltanto in sede di
 legittimita' e non anche di merito.
    3. - Quanto all'ammissibilita' della questione avanti  alla  Corte
 costituzionale,  non  dovrebbe  costituire ostacolo il fatto che essa
 appaia  diretta,  non  gia'  alla   denuncia   della   illegittimita'
 costituzionale  di  una  norma  (nel  caso,  dell'art. 201 piu' volte
 menzionato), ma alla denuncia della  presunta  non  conformita'  alla
 Costituzione della sua concreta applicazione.
    La  questione, pur cosi' impostata, appare ugualmente suscettibile
 di esame da parte della  Corte  costituzionale,  cui  va  debitamente
 rimessa.
    Invero, si e' in presenza di un'ipotesi di verifica di conformita'
 alla Costituzione di norme anteriori ad essa, in relazione alla quale
 la  Corte costituzionale ha rivendicato la propria competenza, avendo
 affermato che  le  questioni  relative  alla  compatibilita'  di  una
 disposizione  legislativa con una norma costituzioaale sono questioni
 di legittimita' costituzionale, di esclusiva sua competenza,  e  che,
 se  i  comuni  organi  giudiziari decidono rispetto ad una norma, nel
 senso della sua abrogazione ad opera della Costituzione, e'  tuttavia
 suo   potere  e  dovere  pronunciarsi  in  ordine  alla  legittimita'
 costituzionale della norma  stessa  (Corte  costituzionale  8  aprile
 1958, n. 27 e 27 giugno 1958, n. 40).
    Parimenti,  l'ammissibilita'  della  questione non sembra preclusa
 dalla circostanza  che  il  tribunale  superiore  delle  acque  viene
 considerato  come  organo  appartenente all'ordine giudiziario e come
 tale non abilitato a sottoporre alla  Corte  costituzionale  pronunce
 della  suprema  corte  quale  organo  di vertice dello stesso ordine,
 poiche' ad esso sono in ogni caso attribuite funzioni giurisdizionali
 non rientranti nella cognizione della magistratura "ordinaria" e cio'
 lo legittima a porre  un  problema,  all'evidenza  costituzionale,  a
 salvaguardia  del  corretto  svolgimento  di quelle funzioni, secondo
 regole che siano conformi alla Costituzione.
    Con  riguardo  all'ipotesi che la questione dibattuta attenga alla
 materia dei conflitti tra giurisdizioni, in relazione alla contestata
 competenza della suprema Corte a conoscere degli interessi  legittimi
 in  materia  di  acque  pubbliche,  e' da soggiungere che la sentenza
 della cassazione, qui presa in considerazione, non e'  stata  assunta
 dalle  sezioni  unite, quale giudice dei conflitti, (che escluderebbe
 qualsiasi   possibilita'   di   giudizio   da   parte   della   Corte
 costituzionale,  per  i  noti effetti derivanti dall'art. 37, secondo
 comma, della legge 11  marzo  1953,  n.  87),  anzitutto  perche'  la
 pronuncia    attiene    soltanto   al   merito   della   legittimita'
 amministrativa e, in secondo luogo, perche' essa non  avrebbe  potuto
 sollevare un conflitto.
    L'ipotesi  conflittuale  considerata,  e', infatti, ben diversa da
 quella consueta (gia' regolata alla legge 31 marzo 1887  n.  3761  e,
 poi, dagli artt. 37, 41, 360 n. 1, 362 e 368 del c.p.c.), perche' nel
 giudizio  di  impugnazione,  per  il  quale  le  sezioni  unite hanno
 ritenuto la propria competenza,  non  si  contrappone  alcun  giudice
 diverso,  ma,  constatando  che  la legge ordinaria, non contraddetta
 dalla norma costituzionale, esclude la impugnazione, si  contesta  la
 legittimita'   del  comando  giurisdizionale,  che  impone  il  nuovo
 giudizio ed obbliga il giudice  di  rinvio  a  violare  il  giudicato
 precedentemente formatosi.
    Analogamente accadrebbe se, impugnando una pronuncia del consiglio
 di  Stato  per  motivi  diversi dalla giurisdizione, le sezioni unite
 statuissero sul merito della legittimita' amministrativa.
    Del resto, ove si volesse configurare  una  dualita'  di  giudici,
 sarebbe  evidente  che le sezioni unite potrebbero affermare o negare
 la propria giurisdizione, ma non  risolvere  un  conflitto  che  esse
 medesime verrebbero a porre.
    Occorre, anzi, al riguardo, osservare come nella ricostruzione del
 regime  di impugnazione delle decisioni del tribunale superiore delle
 acque in sede di legittimita',  la  Corte  suprema,  mentre  parifica
 detto  tribunale  agli  altri organi giurisdizionali speciali, quanto
 all'impugnazione in cassazione delle sue decisioni per violazione  di
 legge,  non  attribuisca, poi, i ricorsi, non involgenti questioni di
 giurisdizione, alle sezioni semplici,  analogamente  ai  ricorsi  dal
 medesimo  contenuto,  avverso  le  pronunce  dei giudici speciali, ai
 sensi dell'art. 374 del cod. proc. civ. e ritenga, in tal  modo,  per
 tale  aspetto,  la  vigenza  degli artt. 200 e 201 del testo unico n.
 1775/1933, che demandano alle sezioni unite la cognizione di  ricorsi
 avverso  entrambi  i  tipi di decisione del tribunale superiore delle
 acque, sia in grado di appello che in unico grado.
    non  puo'  sottacersi  neppure  la  modifica   del   sistema   che
 deriverebbe  dalla possibilita' di un giudizio di legittimita' su una
 pronuncia di mera legittimita' amministrativa, con la gia'  censurata
 conseguenza  di attribuire alla Corte di cassazione una giurisdizione
 attinente al merito di un giudizio  di  legittimita'  amministrativo,
 come piu' sopra si e' chiarito.
    E',  infine,  di  immediata  evidenza  la  rilevanza  nel presente
 giudizio della questione in argomento.
    4.  -   In   conclusione,   il   collegio,   seppure   sollecitato
 dall'eccezione   della  societa'  ricorrente,  ritiene  di  sollevare
 d'ufficio la questione della conformita'  alle  norme  costituzionali
 sopraindicate   del   regime  di  impugnazione  delle  decisioni  del
 tribunale  superiore  delle  acque pubbliche in sede di legittimita',
 configurato dalla suprema Corte di cassazione.