ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4- bis, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), come sostituito dall'art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1994 dal Tribunale di sorveglianza di Roma nel procedimento relativo alle istanze proposte da Manzoni Mario, iscritta al n. 540 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Roma ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4- bis, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), come sostituito dall'art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui prevede che l'affidamento in prova al servizio sociale non possa essere concesso a coloro che, avendo ricoperto un ruolo marginale nel fatto criminoso, rientrante in una delle fattispecie tipicamente indicate dalla medesima disposizione, abbiano necessariamente prestato una condotta di collaborazione con la giustizia "oggettivamente irrilevante", in difetto del riconoscimento di una delle attenuanti previste dagli artt. 62 n. 6, 114, e 116, secondo comma, cod. pen. ; che ad avviso del remittente tale norma contrasterebbe con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, in quanto l'uguaglianza dinanzi alla pena significa innanzi tutto proporzione della pena rispetto alle personali responsabilita' ed alle esigenze che ne conseguono, e il trattamento penitenziario deve, per espresso dettato normativo, essere improntato ai criteri di proporzionalita' ed individualizzazione nel corso di tutta l'esecuzione della pena; che sarebbe inoltre violato l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, atteso che l'irretroattivita' della legge penale sancita da tale precetto costituzionale si estenderebbe "a tutte le norme che si riferiscono al quadro sanzionatorio", e che al momento dell'entrata in vigore della normativa in questione l'istante vantava tutti i requisiti di legge perche' fosse valutata nel merito la concedibilita' del beneficio richiesto; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione; Considerato che il procedimento a quo concerne l'applicabilita' dell'affidamento in prova al servizio sociale di un condannato alla pena di anni quattro di reclusione per il delitto previsto dall'art. 75 della legge n. 685 del 1975; che, secondo quanto dedotto dal giudice a quo, sarebbe stata accertata l'assenza di collegamenti attuali dell'istante con la criminalita' organizzata, e, tenuto conto del positivo percorso rieducativo segui'to durante l'espiazione della pena, nonche' dell'entita' della pena espiata, non sussisterebbero ostacoli, al di fuori di quello derivante dalla norma sottoposta a censura, all'esame del merito della domanda; che questa Corte, con sentenza n. 357 del 1994, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4- bis, primo comma, secondo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, come sostituito dall'art. 15, primo comma, lettera a), del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui non prevede che i benefici di cui al primo periodo del medesimo comma (tra cui l'affidamento in prova al servizio sociale), possano essere concessi anche nel caso in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, come accertata nella sentenza di condanna, renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata; che, tenuto conto sia della accertata rottura dei collegamenti del condannato con la criminalita' organizzata sia della entita' della pena al medesimo inflitta, non e' da escludere l'incidenza della suddetta pronuncia nel procedimento pendente dinanzi al giudice remittente; che, pertanto, appare opportuno disporre la restituzione degli atti al medesimo giudice, affinche', alla luce del nuovo quadro normativo, valuti se la questione da esso sollevata sia tuttora rilevante;