IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Sciogliendo la riserva espressa in limine all'udienza preliminare dell'8 novembre 1994 ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 2180/92 r.n.r. contro Parodo Angelo imputato, del delitto: a) di tentato omicidio continuato (articoli 56, 575, 81 cpv. del c.p.) per avere in Carloforte, la sera del 28 settembre 1992, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di Serrenti Marco e Serrenti Efisio, esplodendo contro di loro almeno sei colpi di fucile, senza che gli eventi si compissero per cause indipendenti dalla sua volonta'; b) del delitto di detenzione illegale di arma (art. 2 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e successive modificazioni) per aver detenuto nella propria abitazione una pistola marca "Steyer", calibro 9 mm. ed il relativo munizionamento senza averne fatto denuncia all'autorita'. Reato accertato in Carloforte il 29 settembre 1992; c) del delitto di porto illegale di arma (articoli 699 c.p.p., 4 e 7 della legge n. 986/1967, come modificato dall'art. 14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497) per avere in tempo di notte portato fuori della propria abitazione il fucile semiautomatico marca "Breda" calibro 12, matricola 571987, arma comune da sparo, in Carloforte, la sera del 28 settembre 1992; d) del delitto di cui all'art. 3 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 per aver trasgredito all'ordine legalmente dato dai Carabinieri di Carloforte il 29 settembre 1992, di consegnare il fucile Breda di cui al precedente capo, nonche' una carabina marca Akah calibro 22 ed il fucile Beretta calibro 16. Con l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 del codice penale, per aver commesso il fatto allo scopo di assicurarsi l'impunita' del delitto di cui al capo a); e) di simulazione aggravata di reato (articoli 367 e 61, n. 2, c.p.) per avere, allo scopo di assicurarsi l'impunita' del delitto di cui al capo a) falsamente denunciato il furto delle armi di cui al precedente capo d). In Carloforte il 29 settembre 1992. Con decreto del 16 giugno 1994 il procuratore generale presso la corte d'appello di Cagliari avoco' le indagini preliminari relative al procedimento n. 2180/92 r.n.r. contro Parodo Angelo, a norma del primo comma dell'art. 412 del c.p.p., per il mancato esercizio dell'azione penale nel termine di legge da parte del pubblico ministero presso il locale tribunale. Svolte le attivita' previste dalla citata disposizione, l'organo avocante deposito' ritualmente nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari la richiesta di rinvio a giudizio dell'indagato per i reati in epigrafe. Successivamente alla ricezione dell'avviso della fissazione dell'udienza preliminare, ritualmente comunicatagli a norma del secondo comma dell'art. 419 c.p.p., il procuratore generale, con provvedimento del 26 agosto 1994, delego' "il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cagliari a partecipare alla suddetta udienza, a richiedere il rinvio a giudizio degli imputati e a sostenere l'accusa nel procedimento di primo grado, con tutte le facolta' che alla delega si riconnettono", pregandolo, altresi', nella missiva d'accompagnamento del suddetto provvedimento trasmesso per conoscenza anche a questo giudice, "di voler disporre per la partecipazione all'udienza del g.u.p. del 4 ottobre 1994 di un magistrato del suo ufficio, nonche' per sostenere l'accusa nel procedimento di primo grado". Nella predetta udienza preliminare, rinviata al successivo giorno 11, nel corso degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti il sostituto procuratore della Repubblica presso il locale tribunale presente in camera di consiglio chiese la dichiarazione di nullita' della stessa udienza e il rinvio del procedimento a nuovo ruolo, rilevando una nullita' di ordine generale per la mancata partecipazione di un magistrato della procura generale presso la corte d'appello, cui spetta l'esercizio dell'azione penale nell'ipotesi di avocazione, senza facolta' di delega, non prevista nella fattispecie della legislazione vigente. Il difensore nulla oppose e aderi' alla richiesta del p.m. Il giudice rilevo', innanzitutto, che la questione sollevata, certamente non infondata prima facie, ostava al positivo accertamento della regolare costituzione delle parti in riferimento alla partecipazione all'udienza di un pubblico ministero legittimato; che, conseguentemente, chiudere, in tale situazione, la fase degli accertamenti pregiudiziali e dichiarare aperta la discussione avrebbe comportato la nullita' dell'udienza; che, per altro, non era possibile dichiarare la nullita' di alcunche': non dell'atto di delega, insindacabile da parte del giudice, ne' del decreto di citazione dell'udienza preliminare, ritualmente emesso e rettamente notificato al procuratore generale, organo sicuramente legittimato al processo, e neppure dell'udienza, in realta' non svoltasi proprio a causa della mancata conclusione degli accertamenti preliminari. Cosi' motivando, emise, in limine, un'ordinanza di rigetto dell'eccezione di nullita' e, richiamate le disposizioni del primo comma dell'art. 420 del c.p.p. e del primo capoverso dell'articolo 74 dell'ordinamento giudiziario, rinvio', con ordinanza 9 ottobre 1994, il processo all'udienza dell'otto novembre successivo, mandando al cancelliere per la comunicazione dell'ordinanza al procuratore generale assente, al fine di informarlo della nuova udienza, anche per consentirgli di assumere le determinazioni di sua competenza. Nonostante la regolare comunicazione dell'ordinanza, il procuratore generale non si e' presentato all'udienza indicata, alla quale e' comparso un sostituto procuratore della Repubblica presso il locale tribunale, il quale si e' riservato di reiterare la gia' proposta eccezione di nullita', unitamente alle conclusioni di merito. A sua volta il difensore dell'imputato ha ribadito l'eccezione gia' proposta (mentre nulla ha osservato al riguardo il difensore della parte civile costituitasi in quest'ultima udienza). A questo punto il giudice non ha aperto la discussione nel merito e, sempre in limine, si e' riservato di pronunciare ordinanza in relazione alla questione relativa alla legittimazione del p.m. Preliminarmente alla verifica della conformita' ai principi costituzionali della normativa inerente alla fattispecie esposta, occorre pronunciarsi incidentalmente sull'inesistenza del potere del procuratore generale presso la corte d'appello di delegare un magistrato estraneo al proprio ufficio a svolgere le funzioni di pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado. Tale conclusione fu espressa in forma di semplice orientamento nell'ordinanza dell'undici ottobre 1994 per evitare l'ingerenza in un contrasto tra organi appartenenti ad un autonomo apparato della magistratura e, altresi', per non pronunciare su un provvedimento oggettivamente amministrativo ed esulante dall'ambito processuale. Una decisione incidentale in tal senso, invece, ora s'impone sotto il profilo della rilevanza, perche' il dubbio sull'eventuale liceita' della delega, e sulla conseguente trasmissione al delegato del potere di esercitare l'azione penale in luogo del delegante, svuoterebbe di contenuto la questione di legittimita' costituzionale, che s'intende sottoporre al giudice delle leggi. Cio' posto, si deve dichiarare, in conformita' all'unanime opinione espressa dal procuratore della Repubblica presso il tribunale e dal difensore dell'imputato, che un siffatto istituto non sussiste, atteso il chiaro tenore del secondo comma dell'art. 51 del c.p.p. e considerata la mancanza di norme, processualmente rilevanti, in ordine ad un potere generale di delega in capo al procuratore generale, come, inoltre, si desume "a contrario" dal terzo comma dell'art. 570 del c.p.p. e dall'art. 72 dell'ordinamento giudiziario, che regolano due ipotesi di sostituzione tra organi dell'accusa, ponendole cosi' come eccezioni alla regola generale, che evidentemente non prevede la fungibilita' della predetta funzione. Un'altra premessa s'impone sotto il profilo esposto: la questione di legittimita' costituzionale emerge indipendentemente dall'atteggiamento della procura della Repubblica presso il tribunale e dall'eccezione di nullita' delle parti. E' invero dovere inderogabile del giudice la verifica della rituale costituzione delle parti legittimate, per cui la mancanza della legittimazione processuale del pubblico ministero presentatosi all'udienza e' rilevabile d'ufficio, addirittura anche nell'ipotesi dell'espressa accettazione dell'incarico e dall'esplicita approvazione dei difensori delle parti private, vertendosi in materia di funzioni e di esercizio di poteri non negoziabili tra le parti. A parere di questo giudice, la situazione descritta non e' suscettibile di soluzione coi mezzi offerti dalla legislazione vigente e contravviene ai principi degli artt. 24 e 112 della Costituzione. L'art. 420 del c.p.p., dopo aver prescritto la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato all'udienza preliminare, regola positivamente, nel terzo comma, l'ipotesi dell'assenza del secondo mediante l'istituto della difesa d'ufficio, mentre nulla dispone per la mancata partecipazione dell'organo dell'accusa. Non provvede in proposito neppure l'art. 74 dell'ordinamento giudiziario, che si limita ad enunciare il principio generale della partecipazione necessaria del pubblico ministero alle udienze penali. Tantomeno offre un rimedio l'art. 54 del c.p.p., che regola, per la sola fase delle indagini preliminari, contrasti negativi "orizzontali" tra procure della Repubblica di pari grado con riferimento alla competenza funzionale del giudice, ma non anche quelli "verticali" tra pubblici ministeri di grado diverso, qual'e' quello sorto tra i procuratori della Repubblica presso la corte d'appello di Cagliari e presso il tribunale della stessa citta'. Ne' un contrasto di tal fatta e' utilmente inquadrabile nell'onnicomprensiva previsione del comma 3- bis dell'art. 54, perche' l'esplicito richiamo di questa disposizione a quelle dei primi due commi della stessa norma indicherebbe quale arbitro del contrasto uno dei due contendenti, ossia il procuratore generale, e, in ogni caso, non darebbe al giudice il potere di sollevare il conflitto nell'ipotesi, puntualmente verificatasi nella presente fattispecie, di inerzia al riguardo da parte del pubblico ministero. Cio' in coerenza col principio legislativo che tutti i contrasti tra procure della Repubblica non coinvolgono in alcun modo il giudice ma devono essere risolti all'interno dell'organizzazione del pubblico ministero, come si desume dal complesso delle norme dettate al riguardo dal vigente codice di procedura penale e, in particolare, dagli artt. 54, 54- bis e 54- ter. Tale scelta del legislatore non comporta alcun inconveniente nell'ipotesi di contratti "orizzontali", che, comunque risolti, passano al vaglio della competenza da parte del giudice investito dalla richiesta di rinvio a giudizio e sono assorbiti dalla relativa decisione, anche qualora siano occasione di una pronuncia ex art. 22 del c.p.p., ovvero di un conflitto di competenza regolato dagli artt. 28, 32 dello stesso codice. L'orientamento legislativo comporta, invece, conseguenze rilevanti nelle ipotesi di contrasti "verticali", con riflessi di illegittimita' costituzionale in riferimento agli articoli 112 e 24 della Costituzione, perche' se, come nel caso di specie, il processo si blocca in qualsiasi fase per la mancata risoluzione dei relativi conflitti, l'azione penale, ancorche' iniziata, non viene completamente esercitata, e l'imputato, inoltre, non ha modo di espletare compiutamente il proprio diritto alla difesa. E che il processo si arresti a causa della lacuna legislativa in esame non v'e' dubbio, perche' l'udienza non si puo' tenere, il giudice non puo' imporre al pubblico ministero legittimato di partecipare all'udienza, il rinvio non e' sufficiente a risolvere la situazione, come si e' verificato nel caso di specie, e non e' dato al giudice il potere di promuovere il superamento del contrasto. Neppure servirebbe alla scopo aprire la discussione al solo fine di dichiarare la nullita' dell'udienza preliminare, come implicitamente sembra suggerire il pubblico ministero nella richiesta odiernamente formulata. Innanzitutto tale soluzione contrasta col dovere del giudice di non tenere l'udienza se non dopo il positivo accertamento della legitimatio al processum delle parti e con quello, piu' generale, non compiere atti nulli, in forza di una ovvio principio deducibile, ad esempio, anche dallo sfavore con cui l'articolo 185 del c.p.p. considera le nullita' e l'autore di esse. Ma se pur si potesse, o si volesse comunque, ritenere tale via praticabile, si dovrebbe constatare che anch'essa si rivelerebbe un'"impasse", perche' la dichiarazione di nullita' comporterebbe la regressione del procedimento allo stato in cui e' stato compiuto l'atto nullo a norma dell'art. 185 del c.p.p., per cui si tornerebbe al punto di partenza, senza aver superato la situazione di stasi creata dalla mancata partecipazione all'udienza di un pubblico ministero ad essa legittimato. Cosi', sia in un caso che nell'altro, si arriverebbe, di rinvio in rinvio o di dichiarazione di nullita' in dichiarazione di nullita', alla prescrizione del reato oggetto del procedimento, cosicche', al momento del compimento del termine prescrizionale, la violazione degli artt. 112 e 24 della Costituzione sarebbe irrimediabile, perche' l'azione penale non potrebbe piu' essere utilmente esercitata dal pubblico ministero ad essa legittimato e l'imputato non avrebbe piu' la possibilita' di difendersi nel merito e sarebbe cosi' privato dall'inviolabile diritto di dimostrare la propria innocenza e di essere assolto con formula piena. Ovviamente la lacuna legislativa dell'art. 420 del c.p.p. si collega con quella dell'art. 54 dello stesso codice nei casi in cui, come nella presente fattispecie, la mancata partecipazione all 'udienza preliminare del pubblico ministero ad essa legittimato sia conseguente ad un contrasto negativo, in cui il giudice non puo' in alcun modo interferire per provocarne la risoluzione. A ben vedere, l'indicata lacuna dell'art. 420 potrebbe comportare autonomamente la lesione degli articoli 112 e 24 della Costituzione, qualora l'assenza del pubblico ministero legittimato fosse imputabile ad un fatto accidentale e il rimedio del semplice rinvio, offerto implicitamente dagli articoli 420 del c.p.p. e 74 dell'ordinamento giudiziario, non avesse sortito alcun effetto. Tale ipotesi e' pero' estremamente remota e improbabile perche', una volta avvisato del rinvio ad una nuova udienza, il pubblico ministero, che per un accidente od un equivoco non si fosse presentato alla prima udienza, parteciperebbe verosimilmente a quella di rinvio, mentre non lo farebbe colui che fosse persistentemente convinto, a torto, della legittimazione di un altro soggetto, come nel caso di specie, in cui il procuratore generale, reiterando l'assenza nonostante il sottinteso invito rivoltogli nell'ordinanza dell'undici ottobre, implicitamente ribadisce il proprio convincimento di poter derogare alla tassativa disposizione della prima proposizione del secondo comma dell'art. 51 c.p.p. e, in concreto, fa mancare la partecipazione all'udienza dell'organo a cio' legittimato. Per assicurare la conformita' ai principi degli artt. 24 e 112 della Costituzione gli articoli 54 e 420 c.p.p. avrebbero dovuto prevedere, nell'ipotesi della mancata partecipazione all'udienza preliminare di un pubblico ministero legittimato al processo conseguente ad un contrasto negativo tra uffici del pubblico ministero di grado diverso, il potere del giudice dell'udienza preliminare di rilevare e di denunciare, su istanza di parte o d'ufficio, il conflitto alla Corte di cassazione per la risoluzione di esso nelle forme dell'art. 32 c.p.p. Un siffatto rimedio, perfettamente idoneo a rimuovere i profili di illegittimita' costituzionale denunciati, e' d'altra parte conforme alla soluzione indicata, in relazione al progetto del nuovo codice di procedura penale del 1978, dalla commissione consultiva, che aveva suggerito di sottoporre i potenziali conflitti tra procure ai giudici davanti ai quali i procuratori della Repubblica in contrasto esercitano le funzioni di pubblico ministero, affinche' fossero i magistrati giudicanti a sollevare formale conflitto davanti alla Corte di cassazione. Se, invece, tale soluzione apparisse troppo complicata e contraria al principio, per altro costituzionalmente irrilevante, adottato dal legislatore dal 1988, di risolvere i contrasti nell'ambito dell'organizzazione del pubblico ministero, la denuncia potrebbe essere proposta, dagli uffici in conflitto o dal giudice, al procuratore generale presso la Corte di cassazione per le determinazioni nei modi dell'art. 54, secondo comma c.p.p. Le soluzioni indicate sarebbero idonee a risolvere le analoghe questioni prospettabili nei confronti dell'art. 484 c.p.p., affetto dalle medesime carenze dell'art. 420, ma la denuncia dev'essere proposta in via secondaria ed eventuale per la dubbia rilevanza di essa in questo procedimento. Nessuna incertezza sussiste invece sorge sulla rilevanza nel giudizio in corso della questione relativa alla legittimita' costituzionale dell'art. 420 c.p.p., perche', non sussistendo l'ipotesi dell'art. 129 c.p.p., dall'accoglimento o dal rigetto di essa dipende la sorte di questo processo, destinato a concludersi, nel primo caso, con il completo esercizio dell'azione penale da parte del p.m. e con il rispetto del diritto di difesa dell'imputato e, nel secondo, con la prescrizione, in palese violazione dei principi costituzionali dell'obbligatorieta' del completo esercizio dell'azione penale da parte del p.m. e dell'inviolabile diritto dell'imputato all'espletamento della difesa.