ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, e
 dell'art. 130, comma 1, lett. b), del decreto legislativo  30  aprile
 1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della  strada) promosso con ordinanza
 emessa il 9 giugno 1994 dal magistrato di sorveglianza di Palermo nel
 procedimento  di  esecuzione  nei  confronti  di  Colletti   Filippo,
 iscritta  al  n.  754  del registro ordinanza 1994 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  1,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  17  maggio  1995  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
   Ritenuto  che il magistrato di sorveglianza di Palermo, nell'ambito
 di un procedimento di esecuzione della misura di sicurezza  personale
 della  liberta'  vigilata (disposta nei confronti di Colletti Filippo
 con provvedimento del medesimo ufficio giudiziario  del  17  dicembre
 1993), in sede di esame dell'istanza avanzata dal prevenuto e diretta
 ad  ottenere  l'autorizzazione  all'uso,  per motivi di lavoro, della
 patente  di  guida  (nel  frattempo  revocatagli,  a  seguito   della
 sottoposizione  alla misura di sicurezza), con ordinanza del 9 giugno
 1994 (pervenuta alla Corte costituzionale il  12  dicembre  1994)  ha
 sollevato  questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 120,
 comma 1, e 130, comma 1, lett. b) del decreto legislativo  30  aprile
 1992  n.  285  (Nuovo  codice  della strada), "nella parte in cui non
 prevedono che il magistrato di sorveglianza  possa  autorizzare,  nei
 confronti  delle  persone sottoposte a misura di sicurezza personale,
 l'uso della patente di guida per comprovate esigenze lavorative";
      che nell'ordinanza  di  rimessione  si  sostiene  che  le  norme
 impugnate contrasterebbero:
        a)  con  il  principio  di  "parita' di trattamento normativo"
 (art. 3 della Costituzione), se confrontate con  altre  norme,  quali
 l'art.  228, quarto comma, del codice penale, secondo cui la liberta'
 vigilata deve tendere al riadattamento sociale  della  persona  anche
 mediante  il  lavoro,  e  l'art.  62,  secondo  comma, della legge 24
 novembre 1981, n. 689 che consente al magistrato di  sorveglianza  di
 "disciplinare"  la  sospensione  della patente di guida quando questa
 sia  indispensabile  strumento  per  lo  svolgimento   dell'attivita'
 lavorativa  di  colui  che  e'  sottoposto alla misura della liberta'
 controllata o della semidetenzione;
        b)   con   il   principio  di  ragionevolezza  (art.  3  della
 Costituzione), in quanto, ove l'attivita' lavorativa  richieda  l'uso
 dell'automezzo  e, quindi, della relativa patente di guida, il ritiro
 del titolo  abilitativo  nel  corso  dell'esecuzione  della  liberta'
 vigilata    sarebbe    contraddittorio    rispetto   alla   finalita'
 risocializzante della misura di sicurezza in questione;
        c) con la finalita'  rieducativa  di  cui  all'art.  27  della
 Costituzione,   riferibile   anche   alle   misure   di  sicurezza  e
 specificamente alla  liberta'  vigilata,  nella  quale  andrebbe  non
 ostacolato,  bensi'  agevolato  il lavoro quale elemento fondamentale
 del processo rieducativo;
        d) ed  infine  con  gli  artt.  4  e  16  della  Costituzione,
 determinandosi una irragionevole limitazione del diritto del soggetto
 alla  libera  circolazione  e  del  diritto-dovere  di  svolgere  una
 attivita' lavorativa secondo le proprie  possibilita'  e  le  proprie
 scelte,  quando  tale  attivita'  lavorativa e' connessa con l'uso di
 automezzi;
      che, inoltre, si sostiene che, mentre nel vigente sistema  delle
 misure  di sicurezza personali sarebbero stati eliminati tutti i casi
 di pericolosita' presunta e gli effetti automatici ad essa  connessi,
 essendosi   affidato   alla   discrezionalita'   del   magistrato  di
 sorveglianza il giudizio sulla  concreta  pericolosita'  sociale,  le
 norme   impugnate   determinerebbero   la   compressione  di  diritti
 costituzionalmente garantiti per effetto di un rigido  meccanismo  di
 automatica  e  inderogabile  preclusione  normativa, dipendente dalla
 mera sottoposizione  della  persona  alla  misura  di  sicurezza,  in
 contrasto  con  i principi desumibili dalla legge di delega del nuovo
 codice di procedura penale (legge n. 81 del 1987, art. 2, n. 96), che
 avrebbe assicurato la garanzia di  giurisdizionalita'  anche  per  la
 fase  dell'esecuzione,  di  tal che' la limitazione si configurerebbe
 come una sorta di pena accessoria anomala, reintegrabile soltanto con
 la riabilitazione e non riconducibile  ai  motivi  di  sicurezza  che
 l'art.  16 della Costituzione pone come ragione giustificatrice della
 limitazione legislativa;
      che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per
 il tramite  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  contestando  la
 fondatezza della questione;
    Considerato  che  al  magistrato  di sorveglianza sono dalla legge
 attribuite funzioni in tema (tra l'altro) di misure di sicurezza, tra
 le quali non rientra la revoca della patente, che e' di competenza di
 altra autorita' in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge;
      che il giudice a quo  richiede  a  questa  Corte  una  pronuncia
 diretta ad attribuirgli un potere nuovo, che gli consenta di adattare
 la situazione determinata da altra autorita' dello Stato in relazione
 a  "comprovate" esigenze lavorative della persona sottoposta a misura
 di sicurezza personale e di interferire quindi in una sfera  rispetto
 alla quale e' allo stato del tutto estraneo;
      che  una simile pronuncia comporta una serie di valutazioni che,
 sia nell'  an  che  nel  quomodo,  sono  squisitamente  discrezionali
 comportando   la   scelta   fra   soluzioni   nessuna   delle   quali
 costituzionalmente imposta e come tale  di  spettanza  esclusiva  del
 legislatore, onde e' palese l'inammissibilita' della questione (sent.
 n. 119 del 1994, punto 2 della motivazione, e ord. n. 147 del 1989);
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.