ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 39 della legge
 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione  della  finanza
 pubblica), dei Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme
 in   materia   di  controllo  dell'attivita'  urbanistico-  edilizia,
 sanzioni, recupero e sanatoria delle  opere  edilizie)  e  successive
 modifiche  e  integrazioni,  nonche' degli artt. 31 e 38 della stessa
 legge, promossi con ordinanze emesse il 19 gennaio 1995  dal  Pretore
 di  Gela  (n.  2  ordinanze),  il 27 gennaio e il 2 febbraio 1995 dal
 Pretore di Roma - Sezione distaccata di Bracciano, il 13 gennaio 1995
 dal Pretore di Reggio Calabria - Sezione distaccata di  Melito  Porto
 Salvo,  il  16  gennaio 1995 dal Pretore di Reggio Calabria - Sezione
 distaccata di Bagnara Calabra, il 14  gennaio  1995  dal  Pretore  di
 Gorizia,  il  21  febbraio  1995  dal  Pretore  di  Udine  -  Sezione
 distaccata di Cividale del Friuli (n. 3 ordinanze),  il  16  febbraio
 1995  (n.  2  ordinanze), il 23 febbraio 1995 (n. 2 ordinanze) e il 9
 marzo 1995 (n. 2 ordinanze) dal Pretore di  Potenza,  rispettivamente
 iscritte  ai  nn.  144,  145, 146, 155, 156, 164, 214, 275, 276, 277,
 290, 291,  292,  307,  303  e  304  del  registro  ordinanze  1995  e
 pubblicate  nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 12, 13, 17,
 21 e 22, prima serie speciale, dell'anno 1995;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 28 giugno 1995 il Giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
                           Ritenuto in fatto
    1.1. -  Il  Pretore  di  Gela,  con  due  ordinanze  di  contenuto
 identico,  emesse  in  data  19  gennaio 1995 (R.O. nn. 144 e 145 del
 1995), nel corso di altrettanti procedimenti  penali  per  violazioni
 edilizie,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 39 della legge 23 dicembre  1994,  n.  724  -  che  dispone
 sostanzialmente la riapertura dei termini del condono edilizio di cui
 alle disposizioni dei Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47
 -  nonche'  dell'art.  38  della  stessa  legge  n.  47 del 1985, che
 disciplina gli effetti del condono, per  violazione  degli  artt.  79
 (nel   testo   risultante   dalla  revisione  operata  con  la  legge
 costituzionale 6 marzo 1992, n. 1) e 3 della Costituzione.
    Sotto il primo profilo, si osserva  nell'ordinanza  di  rimessione
 che  il  condono edilizio andrebbe ricondotto ad una generale nozione
 di clemenza e, pertanto, adottato con le forme  previste  dal  citato
 art.  79  della  Costituzione  per  la  concessione dell'amnistia, da
 intendersi in senso non strettamente tecnico, bensi'  da  configurare
 come un generale istituto di natura clemenziale.
   La   rinunzia   alla   pretesa   punitiva   da  parte  dello  Stato
 comporterebbe, inoltre, secondo il  giudice  a  quo,  un  inevitabile
 pregiudizio  al  principio di uguaglianza, sia sotto il profilo della
 irragionevolezza, per  quanto  concerne  le  nuove  disposizioni  che
 reiterano  il  meccanismo  del  condono, non potendosi, a distanza di
 quasi  dieci  anni  dalla  legge  n.  47  del  1985,  far  valere  la
 eccezionalita'   della   misura   clemenziale,  ovvero  l'intento  di
 "chiudere  un  passato  di  illegalita'  di  massa",   elementi   che
 giustificarono  quella  legge  (sentenza n. 369 del 1988); sia per la
 disparita' di trattamento di situazioni meritevoli  di  pari  tutela,
 non  trovando il sacrificio di altri beni garantiti dagli artt. 9 (il
 paesaggio)   e   32   (la   salute)   della   Costituzione   adeguata
 giustificazione.
    1.2.  - Nei due giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che
 ha concluso per la infondatezza della questione,  osservando,  quanto
 al  lamentato vulnus dell'art. 79 della Costituzione, che gia' con la
 sentenza  n.  369  del   1988   la   Corte   costituzionale   escluse
 l'assimilabilita'  del  condono edilizio alle disposizioni concessive
 dell'amnistia.
    Nella  memoria  si  sottolinea  l'intento   del   legislatore   di
 ripercorrere  la stessa via della sanatoria edilizia, sottoutilizzata
 nella pregressa esperienza, per agevolare il rientro nella normalita'
 dell'attivita' edilizia e il ripristino della legalita'.
    2.1. - Anche il Pretore di Roma - Sezione distaccata di  Bracciano
 -  con due ordinanze di identico contenuto, emesse rispettivamente in
 data 27 gennaio 1995 (R.O. n. 146 del 1995) e 2 febbraio  1995  (R.O.
 n.  155  del  1995),  ha  censurato l'art. 39 della legge 23 dicembre
 1994, n. 724,  nonche',  in  quanto  da  questo  richiamate  e  fatte
 proprie,  le  disposizioni  di  cui  ai  Capi  IV  e V della legge 28
 febbraio 1985, n. 47, e  successive  modifiche  ed  integrazioni,  in
 riferimento a numerosi parametri costituzionali.
    Il  primo  ad  essere  invocato e' l'art. 3 della Costituzione: la
 normativa impugnata violerebbe, infatti, il principio di uguaglianza,
 determinando una irrazionale discriminazione tra i cittadini che  non
 hanno  commesso  abusi  edilizi e coloro che, avendo realizzato opere
 non  solo  in  assenza  di concessione, ma anche in difformita' dalle
 previsioni degli  strumenti  urbanistici  (c.d.  abuso  sostanziale),
 attraverso  il  versamento di una somma beneficiano degli effetti del
 condono, anche se si tratti di soggetti che abbiano  gia'  usufruito,
 per  altre  opere  abusive,  della  precedente  misura  di  clemenza,
 disposta con la legge n. 47 del 1985.
    Il giudice a quo lamenta, poi, la mancata adozione della  rigorosa
 procedura  cui l'art. 79 della Costituzione condiziona la concessione
 dell'amnistia.
    D'altra parte, secondo  l'insegnamento  del  giudice  delle  leggi
 (sentenza n. 369 del 1988, citata), l'estinzione della pena deve, per
 potersi  considerare  legittima, ricollegarsi, in funzione di tutela,
 all'oggetto delle norme sul cui precetto  penale  si  e'  inciso.  Il
 nuovo  condono  di  cui  all'art.  39 della legge n. 724 del 1994, al
 contrario,  smentirebbe  gli  impegni  e  le  promesse  assunti   dal
 legislatore,  con  la  legge  n.  47 del 1985, allo scopo precipuo di
 reperire fondi per le casse dello Stato, come  dimostrerebbe  la  sua
 collocazione  tra  le  "disposizioni  varie"  della legge finanziaria
 1994. L'esercizio arbitrario della non punibilita' nel caso di specie
 violerebbe, pertanto, l'art. 3 della Costituzione  sotto  il  profilo
 della  irragionevolezza,  ed  inoltre  lo  stesso art. 3 e l'art. 112
 della Costituzione, alterando il principio della obbligatorieta'  per
 tutti i cittadini dell'azione penale.
    La rinuncia da parte dello Stato alla tutela dei beni che le norme
 urbanistiche  sono  deputate a salvaguardare, attraverso la sanatoria
 indiscriminata  di  abusi  edilizi  non  solo   formali,   ma   anche
 sostanziali,  impedirebbe,  altresi',  agli enti competenti qualsiasi
 intervento di governo del  territorio.  Considerazione,  questa,  che
 introduce  la  ulteriore  censura,  rivolta in riferimento agli artt.
 117, 118 e 128 della Costituzione.
    Nell'ordinanza R.O. n. 146 del 1995 si fa, poi,  riferimento  alla
 circostanza  che  l'area e l'immobile oggetto del giudizio a quo sono
 interessati dal vincolo di cui alla legge n. 1497 del 1939.
    Ebbene, la regolamentazione del condono edilizio  con  riferimento
 alle opere realizzate in zone vincolate, e, in particolare, gli artt.
 32  e  33 della legge n. 47 del 1985, sarebbero in contrasto, secondo
 il giudice a quo, anche con l'art. 9 della Costituzione,  che  tutela
 il  paesaggio  ed  il  patrimonio storico ed artistico della nazione.
 Infatti, mentre nei soli  casi  previsti  dall'art.  33,  in  cui  e'
 esclusa  la  possibilita'  di concessione in sanatoria, la estinzione
 del reato e' comunque possibile previo  pagamento  di  oblazione,  in
 tutti  gli  altri  casi, essendo la possibilita' di edificare non del
 tutto  esclusa,  ma  condizionata  al  rilascio  di  nulla  osta   ed
 autorizzazioni  (come per la fattispecie di cui alla legge n. 431 del
 1985 o per i decreti di vincolo ai sensi  della  legge  n.  1497  del
 1939), la sanatoria e' subordinata al solo parere favorevole - il cui
 parametro  di riferimento non e' predeterminato ne' obiettivo - degli
 enti preposti alla gestione del vincolo. Ma anche in caso  di  parere
 negativo, il pagamento della oblazione estingue comunque il reato.
    Il  predetto  rilievo  e' svolto anche nella ordinanza R.O. n. 155
 del 1995, pur se l'immobile oggetto del giudizio in quel caso non era
 sottoposto a vincolo, in quanto il Pretore ritiene che ai fini  della
 valutazione  di  legittimita' delle disposizioni sul condono, occorre
 comunque esaminarne la struttura complessiva.
    Un  ulteriore  profilo di illegittimita' della normativa censurata
 viene ravvisato con riferimento all'art. 41  della  Costituzione,  in
 quanto  si  consentirebbe  che  l'iniziativa  economica privata venga
 svolta in contrasto con il diritto del  cittadino  di  vivere  in  un
 ambiente  non  degradato ed in un contesto di sviluppo del territorio
 conforme  alle  leggi  ed  agli  strumenti  urbanistici.   Donde   la
 violazione  anche  dell'art. 2 e, ancora una volta, dell'art. 3 della
 Costituzione.
    L'ultimo rilievo che il giudice a quo sottopone al giudizio  della
 Corte si articola in censure attinenti alla violazione del diritto di
 proprieta'  dei  comuni ex artt. 3, 42, 119 e 128 della Costituzione,
 nonche' al vulnus al piu' volte invocato  art.  3  sotto  il  profilo
 della   contraddittorieta'   ed  irrazionalita'  della  normativa  in
 questione, che consente ad un soggetto, che non  e'  titolare  di  un
 diritto,  di farlo valere contro chi ne e' titolare. Secondo l'art. 7
 della legge n. 47 del 1985, nei casi di opere eseguite in assenza  di
 concessione o in difformita', o con variazioni essenziali, il sindaco
 emette  ordinanza  di demolizione. Qualora il responsabile dell'abuso
 non provveda alla demolizione nel termine di novanta giorni, il  bene
 e  l'area  di sedime, nonche' quella necessaria alla realizzazione di
 opere  analoghe  a  quelle  abusive,  sono   acquisiti   di   diritto
 gratuitamente al patrimonio comunale.
    Nel  caso  in  cui  si acceda, come fa il Pretore remittente, alla
 tesi, secondo la quale l'acquisizione al patrimonio pubblico comunale
 si verifica per il solo decorso del termine fissato, si deve ritenere
 che il comune e' proprietario dell'immobile in tutti i  casi  in  cui
 l'ingiunzione  abbia  potuto  validamente esplicare i suoi effetti, e
 cioe' non sia stata sospesa o annullata dal  giudice  amministrativo.
 Tuttavia,   l'art.  43  della  legge  n.  47  del  1985  prevede  che
 l'esistenza  di  provvedimenti  sanzionatori,  non  eseguiti,  ovvero
 ancora  impugnabili  o  nei  cui  confronti penda l'impugnazione, non
 impedisce il conseguimento della sanatoria.
    Del pari, il comma 19 dell'art. 39 della legge  n.  724  del  1994
 dispone,  con  esclusione  dei  casi  in  cui  le  opere  siano state
 destinate  ad  attivita'  di  pubblica  utilita',  e  facendo   salvi
 eventuali  diritti  di terzi sugli immobili, che per le opere abusive
 divenute sanabili, il proprietario  che  abbia  adempiuto  gli  oneri
 previsti  per  la  sanatoria,  ha  diritto ad ottenere l'annullamento
 delle acquisizioni al patrimonio comunale.
    Ad  avviso  del  giudice  remittente,  non   si   tratterebbe   di
 annullamento,  essendosi  l'acquisizione  ex art. 7 della legge n. 47
 del 1985  verificata  legittimamente:  si  potrebbe,  pertanto,  piu'
 esattamente  ipotizzare  una  sorta  di  espropriazione  a  danno del
 comune, ma senza corrispettivo a favore di questo. Altro  aspetto  di
 irragionevolezza   sarebbe   ravvisabile  nella  circostanza  che  il
 trasferimento dell'immobile, ai sensi dello stesso art. 39, comma 19,
 della legge n. 724  del  1994,  avviene  sulla  base  della  semplice
 esibizione   di   certificazione   comunale   attestante   l'avvenuta
 presentazione  della  domanda  di  sanatoria,  senza,  cioe',  alcuna
 certezza in ordine all'esito favorevole della domanda stessa.
    2.2.  -  Nei giudizi susseguenti alle ordinanze R.O. nn. 146 e 155
 del 1995, e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
 con  il  patrocinio  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che ha
 concluso per la infondatezza delle questioni sollevate. Al  riguardo,
 si  rileva  nell'atto di intervento anzitutto la non configurabilita'
 di una violazione del principio di parita'  di  trattamento  tra  chi
 abbia  commesso abusi edilizi e chi, invece, abbia osservato le norme
 in materia,  essendo,  tale  diverso  regime,  la  conseguenza  della
 scelta,  operata  dal legislatore, di rinuncia alla pretesa punitiva.
 Quanto   alla   denunciata   irragionevolezza   di   tale   rinuncia,
 l'Avvocatura ha svolto argomentazioni analoghe a quelle gia' riferite
 sub n. 1.2.
    Circa  la presunta violazione delle autonomie locali, nell'atto di
 intervento si osserva che non puo' essere contestata la  possibilita'
 per  il legislatore statale di incidere anche su ambiti di competenza
 regionale  attraverso  un  procedimento  di  sanatoria,   stante   la
 interferenza  di  esso  con la materia penale e la esclusivita' della
 competenza statale in siffatto ambito.
    Ne' sarebbe violato il principio della tutela del paesaggio,  come
 dimostrerebbe   la   necessita',  ai  fini  del  conseguimento  della
 sanatoria,  dell'acquisizione  del  parere  favorevole   degli   enti
 preposti alla gestione del vincolo.
    Quanto  alla mancanza di criteri di riferimento per il rilascio di
 tale parere, l'Avvocatura generale dello Stato rileva che non essendo
 i vincoli posti dalla legge in esame,  non  andrebbero  ricercati  in
 essa neanche i relativi parametri di valutazione.
    Destituita di fondamento sarebbe, altresi', la questione sollevata
 con  riferimento  ai  limiti  costituzionali  posti  alla liberta' di
 iniziativa economica privata. La sanatoria degli  abusi  edilizi  non
 e',  infatti,  indiscriminata: la legge pone anzi una serie di limiti
 ad essa, a tutela dei beni garantiti dall'art. 41 della Costituzione,
 quali l'utilita' sociale e la sicurezza.
    Infine, quanto alla violazione dei principi in tema di  proprieta'
 pubblica,  secondo  l'Avvocatura generale dello Stato, l'acquisizione
 al patrimonio comunale non sarebbe  che  una  sanzione  comminata  al
 proprietario  dell'opera  abusiva ed il potere statale di "clemenza",
 allo stesso modo in cui puo' essere esercitato  nei  confronti  delle
 sanzioni  penali,  potrebbe  esserlo  anche nei confronti di siffatta
 sanzione.
    3.1. - Il Pretore di  Reggio  Calabria  -  Sezione  distaccata  di
 Melito  Porto  Salvo - con ordinanza del 13 gennaio 1995 (R.O. n. 156
 del 1995), ha censurato l'art. 39 della legge n.  724  del  1994,  in
 riferimento   agli   artt.  79  e  3  della  Costituzione,  svolgendo
 considerazioni analoghe a quelle  gia'  riferite  con  riguardo  alla
 assimilabilita' del condono edilizio all'amnistia ed alla illegittima
 violazione  della  particolare  procedura prevista per l'introduzione
 nell'ordinamento di tale misura clemenziale,  e  soffermandosi  sulla
 ritenuta  irragionevolezza  della  norma censurata e sulla violazione
 del principio di uguaglianza che  essa  determinerebbe,  nonche'  sul
 mancato  bilanciamento  con altri valori costituzionalmente protetti,
 quali il paesaggio  (art.  9,  secondo  comma,  della  Costituzione);
 l'utilita'  sociale  della  iniziativa  economica  privata  ed il suo
 coordinamento a fini sociali (art. 41, secondo e terzo  comma,  della
 Costituzione); la funzione sociale della proprieta' (art. 42, secondo
 comma, della Costituzione).
    3.2.  -  Anche  in tale giudizio e' intervenuta, in rappresentanza
 del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  l'Avvocatura  generale
 dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione.
    4.1.  -  I  medesimi rilievi contenuti nella ordinanza R.O. n. 156
 del  1995  sono   alla   base   delle   questioni   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  39 della legge n. 724 del 1994, sollevate,
 in riferimento agli artt. 79 e 3 della Costituzione, dai  Pretori  di
 Reggio Calabria, Sezione distaccata di Bagnara Calabra (ordinanza del
 16  gennaio 1995, R.O. n. 164 del 1995); di Gorizia (ordinanza del 14
 gennaio 1995, R.O. n. 214 del 1995); di Potenza (sei ordinanze emesse
 tra il 16 febbraio e il 9 marzo 1995, R.O. nn. 290,  291,  292,  303,
 304,  307  del  1995).  Il  Pretore  di  Potenza,  in particolare, ha
 sottolineato il carattere di  eccezionalita'  dell'amnistia,  ed,  in
 genere,   del   ricorso   all'esercizio   del   potere  di  clemenza,
 particolarmente a seguito della recente modifica dell'art.  79  della
 Costituzione,  ed  ha  suggerito una rimeditazione del problema, gia'
 risolto in senso negativo dalla Corte costituzionale  con  la  citata
 sentenza n. 369 del 1988, della riconducibilita' del condono edilizio
 all'amnistia,  alla  luce  di  alcuni  rilievi critici della dottrina
 nonche' del diritto  vivente,  che  consentirebbero  di  superare  le
 argomentazioni all'epoca addotte dalla Corte a sostegno della propria
 decisione.
    Lo stesso Pretore di Potenza ha censurato, poi, l'art. 39 anche in
 riferimento  all'art. 27, comma terzo, della Costituzione, in quanto,
 attraverso la reiterazione di provvedimenti clemenziali si indurrebbe
 nel  cittadino  la  convinzione   della   possibilita'   di   violare
 impunemente  la  legge,  annullandosi  o  comunque  indebolendosi  la
 funzione di prevenzione generale  della  comminatoria  della  pena  e
 stimolandosi la realizzazione di comportamenti illeciti.
    4.2. - Anche nei predetti giudizi e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri rappresentato dall'Avvocatura generale dello
 Stato, che ha concluso per la infondatezza delle questioni sollevate,
 ripetendo le argomentazioni sopra riportate.
    5.1. - Il Pretore di Udine - Sezione distaccata  di  Cividale  del
 Friuli  -  con  tre  ordinanze  di  identico  contenuto, emesse il 21
 febbraio 1995 (R.O. nn. 275, 276 e 277 del 1995),  ha  sollevato,  in
 riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 31 della legge n. 47 del  1985  e  dell'art.
 39,  comma  1,  della  legge  n.  724 del 1994, che richiama il primo
 attraverso il riferimento ai Capi IV e V della stessa legge n. 47 del
 1985, nella parte in cui non consentirebbero la estinzione dei  reati
 per  le  opere su aree sottoposte a vincolo, che siano state eseguite
 in violazione di tale vincolo, ma sulla base di concessione edilizia,
 e dello  stesso  art.  39,  comma  8,  nella  parte  in  cui  prevede
 l'estinzione  del  reato di cui all'art. 1-sexies del d.-l. 27 giugno
 1985, n. 312, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  8  agosto
 1985,  n.  431,  a  seguito del rilascio della concessione edilizia o
 della autorizzazione in sanatoria, subordinato al conseguimento delle
 autorizzazioni  delle  amministrazioni  preposte  alla   tutela   del
 vincolo.
    La  normativa  impugnata,  ad avviso del giudice a quo, prevedendo
 che la domanda  di  condono  possa  essere  presentata  solamente  in
 relazione  alle  opere  indicate  nell'art.  31 della legge n. 47 del
 1985, e cioe' solo a quelle eseguite senza  concessione  -  e  non  a
 quelle  realizzate in assenza della sola autorizzazione paesaggistica
 prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del  1939  -  determinerebbe
 una   ingiustificata   disparita'  di  trattamento.  Infatti  sarebbe
 consentito a coloro che,  con  condotta  maggiormente  rilevante  sul
 piano   penale,  hanno  realizzato  interventi  urbanistici  in  zona
 sottoposta a vincolo, senza richiedere concessione ne' autorizzazione
 paesaggistica, di sanare anche il reato conseguente  alla  violazione
 del  vincolo attraverso il conseguimento dell'autorizzazione da parte
 delle autorita' preposte alla  tutela  del  vincolo,  e  non  sarebbe
 previsto,  invece,  tale  favorevole effetto per chi abbia realizzato
 analoghi  interventi,  richiedendo  ed   ottenendo   la   concessione
 edilizia, ma in assenza di autorizzazione paesaggistica.
    5.2. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri  con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
 ha concluso per la manifesta infondatezza della questione, osservando
 che  essa  e'  stata  sollevata  in  base   ad   una   non   corretta
 interpretazione delle norme. Con la sentenza n. 369 del 1988 la Corte
 ha,  infatti,  gia'  ritenuto  applicabile,  nei  casi  di  cui  alla
 ordinanza di rimessione, l'art. 39 della legge del 1985  che  prevede
 che  l'oblazione  estingue  comunque i reati contravvenzionali, anche
 quando  le  opere  non  possano  conseguire  la  sanatoria  edilizia.
 Altrettanto deve dirsi ora, secondo l'Avvocatura, per la disposizione
 contenuta  nell'art. 39, comma 8, della legge n. 724 del 1994, che va
 interpretato nel senso che  l'estinzione  del  reato  si  produce  al
 perfezionamento   di   una   fattispecie   complessa   composta   dal
 provvedimento edilizio e dall'autorizzazione dell'autorita'  preposta
 alla  tutela  del  vincolo,  ma  non  vi e' una necessaria precedenza
 cronologica   dell'autorizzazione   paesaggistica    rispetto    alla
 concessione edilizia.
                        Considerato in diritto
    1.  -  I  giudizi  introdotti  con le sedici ordinanze in epigrafe
 presentano identita' o connessione di oggetto, concernendo tutti, sia
 pure con diversita'  di  prospettazioni,  l'istituto  del  cosiddetto
 "condono edilizio" come regolato dall'art. 39 della legge 23 dicembre
 1994,  n.  724 e dalle disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge
 28 febbraio 1985, n. 47, in  quanto  da  quello  richiamate  e  fatte
 proprie. Essi, pertanto, possono essere riuniti e decisi con un'unica
 pronuncia.
    2.  -  Alcune  delle  censure  rivolte  nei confronti della citata
 normativa  sono  comuni  alle  varie  ordinanze  di  rimessione   (ad
 eccezione  di  quelle emesse dal Pretore di Udine, Sezione distaccata
 di Cividale del Friuli - ordinanze R.O. nn. 275, 276 e 277 del 1995 -
 che concernono un particolare profilo della disciplina  ex  artt.  39
 della legge n. 724 del 1994 e 31 della legge n. 47 del 1985).
    Tutti  i  giudici a quibus sospettano, infatti, il contrasto delle
 disposizioni impugnate con l'art. 79 della  Costituzione,  ravvisando
 nell'istituto  del  condono  edilizio  un  provvedimento di clemenza,
 adottato in  assenza  della  procedura  garantistica  prevista  dalla
 invocata norma costituzionale per la concessione dell'amnistia.
    Comune  ai  diversi  giudici remittenti e', altresi', il dubbio di
 illegittimita' costituzionale delle norme in questione per violazione
 dell'art.   3   della   Costituzione,   sotto   il   profilo    della
 irragionevolezza della disciplina del condono, che sarebbe sprovvista
 di quei caratteri di straordinarieta' ed eccezionalita' che, soli, la
 giustificherebbero,  ne'  sarebbe  collegata  alla  tutela  di valori
 oggettivi, bensi' ispirata  esclusivamente  da  finalita'  di  ordine
 economico-finanziario;  ovvero per la irrazionale discriminazione che
 determinerebbe tra cittadini, o  per  il  mancato  bilanciamento  con
 altri  beni  e  valori  oggetto  di  tutela  costituzionale, quali il
 paesaggio (art. 9 della  Costituzione),  la  salute  (art.  32  della
 Costituzione)   la   conformita'  dell'iniziativa  economica  privata
 all'utilita' sociale e il suo coordinamento a fini sociali (art.  41,
 secondo e terzo comma, della Costituzione), la funzione sociale della
 proprieta' (art. 42, secondo comma, della Costituzione).
    Intorno  al  descritto  nucleo  fondamentale, alcuni dei giudici a
 quibus sviluppano ulteriori  rilievi:  cosi',  il  Pretore  di  Roma,
 Sezione  distaccata  di  Bracciano  (ordinanze R.O. nn. 146 e 155 del
 1995), ritiene che la normativa de qua si ponga in contrasto  con  il
 principio  della  obbligatorieta'  dell'azione penale di cui all'art.
 112 della Costituzione, mentre quello di Potenza (ordinanze R.O.  nn.
 290,  291,  292,  303,  304,  307 del 1995) evoca il parametro di cui
 all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, sotto il profilo che la
 reiterazione di provvedimenti di clemenza indurrebbe nel cittadino la
 convinzione della possibilita' di violare impunemente  la  legge,  in
 contrasto  con  la  funzione rieducativa della pena, cui si ispira la
 citata disposizione costituzionale.
    Pertanto  e'  opportuno  esaminare  preliminarmente  le   predette
 censure.
    2.1.  -  La prima di esse concerne, come si e' visto, la lamentata
 violazione dell'art. 79 della Costituzione: nelle varie ordinanze  di
 rimessione  il  condono  edilizio  viene  assimilato ad una misura di
 clemenza, sia pure con configurazioni parzialmente diverse  ad  opera
 dei  diversi giudici a quibus, alcuni dei quali lo riconducono ad una
 forma di amnistia, sottoposta ad obblighi e condizioni, mentre  altri
 vi   ravvisano   un   provvedimento   non  strettamente  equiparabile
 all'amnistia in senso tecnico, ma comunque, in considerazione del suo
 contenuto, adottabile con le sole forme previste dal predetto art. 79
 della Costituzione nel testo risultante dalla revisione  operata  con
 la legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1.
    In base a questa norma costituzionale, l'amnistia, come l'indulto,
 e'  concessa  con  legge  deliberata  a  maggioranza di due terzi dei
 componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione
 finale.
    Secondo i giudici a quibus, il legislatore del 1994, ricorrendo al
 procedimento ordinario di formazione delle leggi  per  introdurre  il
 condono  edilizio,  e pretermettendo la procedura garantistica appena
 descritta,  avrebbe  disatteso  la  previsione  della  citata   norma
 costituzionale.
    La questione non e' fondata.
    Questa  Corte,  gia'  chiamata  a  verificare la conformita' delle
 norme sul condono edilizio di cui alla legge  n.  47  del  1985  allo
 stesso  art.  79  della  Costituzione  nel  suo testo originario (che
 prevedeva la concessione dell'amnistia e dell'indulto  da  parte  del
 Presidente  della  Repubblica  su legge di delegazione delle Camere),
 con la sentenza n. 369 del  1988  ritenne  legittima  l'adozione  del
 condono  edilizio  nelle  forme della legge ordinaria, escludendo che
 esso integrasse gli estremi dell'istituto dell'amnistia.
    Inducevano   a  tale  conclusione  negativa  fondamentalmente  due
 considerazioni:   la   prima   riguardava   la   diretta    incidenza
 dell'amnistia,  in  quanto  misura  di  clemenza generalizzata, sulla
 punibilita' astratta, con l'effetto immediato  della  estinzione  del
 reato   senza  "mediazione  fattuale",  mentre  il  condono  edilizio
 costituisce una "complessa e varia fattispecie produttiva di  effetti
 estintivi",  che  si  compone  di  una serie di fasi, che vanno dalla
 domanda di sanatoria e dal versamento della prima rata,  a  tutta  la
 procedura  di  sanatoria, sino al pagamento integrale dell'oblazione,
 ed i cui effetti estintivi  del  reato  sono,  quindi,  rimessi  alla
 volonta',  per  quanto  "condizionata",  degli  interessati.  L'altra
 considerazione era quella relativa all'obbligo, per  il  giudice,  di
 immediata declaratoria di non doversi procedere, in caso di amnistia,
 cui si contrappone, nelle ipotesi di condono di illecito edilizio, la
 sospensione   del   processo   penale   in   attesa  dell'esaurimento
 dell'intero procedimento amministrativo di sanatoria.
    Non sussistono ragioni, con riferimento alle norme oggi impugnate,
 per discostarsi da tale orientamento, seguito anche  dalle  ordinanze
 n.  929  e  n. 803 del 1988. Non possono, infatti, ritenersi idonee a
 tale scopo le argomentazioni del Pretore di Potenza, secondo il quale
 sarebbero venuti meno, successivamente  alla  pronuncia  della  Corte
 costituzionale  n.  369  del  1988,  alcuni  degli elementi sui quali
 quella pronuncia si era fondata, come  il  collegamento  dell'effetto
 estintivo  del condono edilizio con la procedura di sanatoria, negato
 dal predetto  giudice,  che,  invece,  individua  esclusivamente  nel
 pagamento  dell'oblazione  il fatto determinante l'effetto estintivo.
 Inoltre, sempre secondo il Pretore remittente, sarebbe  venuta  meno,
 ad  opera  della  giurisprudenza  della  Cassazione,  la distinzione,
 accennata nella predetta pronuncia, tra il meccanismo della  amnistia
 impropria  ed  il condono, quanto ai rispettivi effetti, alla stregua
 del rilievo che anche il condono  edilizio  potrebbe  eliminare,  con
 riferimento  a reati oggetto di accertamento passato in giudicato, la
 esecuzione della pena oltre agli effetti penali  della  condanna.  Ed
 invero,  contro il primo di tali argomenti puo' osservarsi che con la
 stessa  sentenza  n.  369  del  1988  la  Corte  aveva  gia'  escluso
 l'accostamento  delle  disposizioni  sul  condono a quelle concessive
 dell'amnistia, anche se si fosse ritenuto che l'unica  ragione  della
 concessione del beneficio del condono-oblazione fosse il pagamento di
 una   somma   di   denaro,  e  cio'  in  quanto  l'effetto  estintivo
 dell'amnistia, a differenza di quello del  condono,  e'  comunque  da
 ricondurre all'atto legislativo concessivo di amnistia.
    Quanto  all'altro  argomento  addotto dal Pretore di Potenza, esso
 non risulta decisivo ai fini di  un  mutamento  nell'indirizzo  della
 Corte,  che  merita,  al  contrario,  di  essere confermato anche con
 riferimento alla normativa di cui all'art. 39 della legge n. 724  del
 1994,  avuto,  tra  l'altro,  riguardo alla circostanza che questo ha
 sostanzialmente  disposto  la   riapertura   dei   termini   per   la
 presentazione   delle   domande,   con   spostamento  della  data  di
 ultimazione  delle  opere  abusive,  ai  fini  dell'applicazione  del
 condono  edilizio  di  cui alla legge n. 47 del 1985, accompagnata da
 taluni nuovi obblighi e restrizioni soggettive e oggettive.
    D'altro  canto,  occorre  considerare  che esiste nell'ordinamento
 vigente tutta una serie di atti legislativi che determinano lo stesso
 effetto estintivo del reato prodotto dal condono edilizio,  e  per  i
 quali,  a  differenza  di  quanto accade nel caso della amnistia, non
 sono previste procedure legislative diverse da quelle  ordinarie:  si
 pensi  alle  ipotesi  di oblazione introdotte dalla legge 24 novembre
 1981, n. 689, o ai casi in cui un fatto cessa (anche temporaneamente)
 di essere previsto dalla legge come reato, o, ancora, alla previsione
 di estinzione di reati collegata ad adempimenti richiesti agli autori
 degli stessi. Non per questo, in tali ipotesi si possono  configurare
 provvedimenti di amnistia mascherati.
    2.2.  -  Naturalmente,  come  pure  gia'  avvertito  con la citata
 sentenza n. 369 del 1988, la non punibilita' conseguente al  condono,
 in  modo  speciale  quando cancella reati lesivi di beni fondamentali
 della societa', va usata negli stretti limiti consentiti dal  sistema
 costituzionale.  Questa  non  punibilita', incidendo sul principio di
 uguaglianza di  cui  all'art.  3  della  Costituzione,  deve,  cioe',
 trovare giustificazione in un principio di ragionevolezza, che, solo,
 puo' consentire di superare il vaglio di costituzionalita'.
    Tale  riflessione  introduce  l'esame  della seconda delle censure
 comuni a tutte le ordinanze di rimessione, costituita dal  denunciato
 contrasto  della  normativa  sul  condono edilizio con l'art. 3 della
 Costituzione per irragionevolezza e per disparita' di trattamento tra
 cittadini.
    Sotto il primo profilo, il carattere dell'art. 39  e'  sicuramente
 quello  di  norma  del tutto eccezionale in relazione anche a ragioni
 contingenti  e  straordinarie  di  natura  finanziaria.  Ne'  a  tale
 configurazione   si   oppone,   come  alcuni  dei  giudici  a  quibus
 vorrebbero, la considerazione del lungo  intervallo  trascorso  dalla
 concessione  del condono di cui alla legge n. 47 del 1985, sicche' la
 riapertura dei termini per la presentazione delle  domande  relative,
 riferite anche alle opere abusive costruite nel periodo successivo al
 31  ottobre  1983  fino  al  31  dicembre  1993,  equivarrebbe ad una
 riproposizione   del   condono   in   assenza   di   condizioni    di
 straordinarieta'.  Come di recente affermato dalla Corte (sentenza 28
 luglio 1995, n. 416,  nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale
 della  legge  23  dicembre  1994, n. 724 proposto da alcune regioni),
 l'entita' del fenomeno di applicazione ed utilizzazione  della  norma
 impugnata  nelle  varie  regioni  induce  a  ritenere  la persistenza
 dell'abusivismo, anche successivamente alle disposizioni di cui  alla
 legge n. 47 del 1985 (a parte gli abusi anteriori per i quali non era
 stata presentata domanda di sanatoria), e, pertanto, la necessita' di
 un   recupero   della   legalita'   attraverso   la  regolamentazione
 dell'assetto del territorio, onde procedere ad un definitivo riordino
 della materia (anche attraverso la normativa collegata richiamata  di
 seguito).
    Certamente,  una  tale soluzione, ove fosse reiterata, soprattutto
 con  ulteriore  e  persistente  spostamento  dei  termini,   riferiti
 all'epoca  dell'abuso  sanabile,  non  troverebbe giustificazione sul
 piano della ragionevolezza, in quanto finirebbe  col  vanificare  del
 tutto le norme repressive di quei comportamenti che il legislatore ha
 considerato   illegali   perche'   contrastanti  con  la  tutela  del
 territorio (sentenza n. 416 del 1995).
    Ma,  nella  situazione  attuale,  per le ragioni esposte, non puo'
 dirsi realizzata siffatta condizione. Per le  medesime  ragioni,  non
 puo'  ritenersi  la  sussistenza  di quel contrasto della norma sulla
 estinzione della punibilita' con le  finalita'  proprie  della  pena,
 cioe'   con   la   difesa   degli  stessi  beni  tutelati  attraverso
 l'incriminazione, che rappresenta un ulteriore limite  costituzionale
 al    potere   di   clemenza,   sempre   sotto   il   profilo   della
 irragionevolezza.
    La normativa sul  condono  presenta,  infatti,  aspetti  che  sono
 direttamente  volti  al  ripristino  della  tutela  del controllo sul
 territorio, come dimostrano, tra l'altro, le previsioni  (in  seguito
 sottolineate)  di limiti di cubatura per la ammissione alla sanatoria
 e, in materia  di  abusi  in  aree  vincolate,  l'affermazione  della
 necessita'   della   acquisizione   dei   pareri   favorevoli   delle
 amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli ritenuti  prioritari
 dal  legislatore  (art. 39, comma 7, della legge 23 dicembre 1994, n.
 724 e art.  32  della  legge  28  febbraio  1985,  n.  47  nel  testo
 risultante  a seguito del d.-l. 26 luglio 1995, n. 310, art. 7, comma
 13).
    Ne' ci si puo' esimere dall'esaminare e valutare  la  legittimita'
 costituzionale dell'art. 39 in connessione indissolubile con le altre
 disposizioni  dettate  in materia di sanatoria edilizia ed in materia
 urbanistica ed edilizia: in origine in uno stesso testo  normativo  e
 poi  separate  attraverso distinti decreti-legge compreso il d.-l. 26
 maggio 1995, n. 193 (cui ha fatto nel frattempo seguito il  reiterato
 d.-l.  26 luglio 1995, n. 310), in cui, tra l'altro, si dispone (art.
 2, comma 6) che non possono formare  oggetto  di  sanatoria  "di  cui
 all'art.  39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come integrato dal
 presente decreto, le costruzioni abusive realizzate sopra e sotto  il
 soprassuolo  boschivo  distrutto  o  danneggiato per cause naturali o
 atti volontari ..".
    Ed ancora, l'art. 4 dell'indicato decreto-legge  aggiunge,  in  un
 disegno  unitario  ed  indissolubile  con  l'art.  39, norme intese a
 favorire l'approvazione degli strumenti urbanistici  da  parte  delle
 regioni,  e  tutto  il  Capo  III  contiene altre norme in materia di
 controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia.
    Del resto, il  sistema  del  nuovo  condono  edilizio,  risultante
 dall'art.   39   della  legge  n.  724  del  1994  e  dalle  connesse
 disposizioni del d.-l. 26 luglio 1995, n. 310, non si limita  ad  una
 riapertura  dei  termini (per le domande e per la data di ultimazione
 dei lavori abusivi), ma introduce  -  come  gia'  accennato  -  nuovi
 obblighi  e  restrizioni  soggettive  ed  oggettive,  che  valgono  a
 circoscrivere l'ambito della definizione agevolata o a  riequilibrare
 situazioni  di eccessivo vantaggio, nella valutazione del legislatore
 di preminenti interessi pubblici (esclusione  degli  abusi  maggiori,
 tutela dei diritti soggettivi dei terzi confinanti, tutela dei comuni
 per   l'onere  di  urbanizzazione,  tutela  dei  boschi  distrutti  o
 danneggiati ecc.).
    Infatti, la riapertura dei termini  non  e'  generalizzata  ma,  a
 parte  il  limite della data di ultimazione delle opere abusive al 31
 dicembre 1993, sono  esclusi  dalla  applicazione  della  definizione
 agevolata  sia  gli  ampliamenti  superiori  a 750 metri cubi, sia le
 nuove costruzioni superiori a 750 metri cubi (per singola  richiesta)
 (art.  39,  comma  1). Ulteriore limitazione oggettiva si rinviene in
 una norma espressa di salvaguardia dei diritti dei  terzi  confinanti
 (peraltro  a  conclusioni  analoghe  era  pervenuta,  sulla  base dei
 principi, una parte della giurisprudenza),  in  quanto  sono  escluse
 dalla   applicazione   del  condono  le  opere  edilizie  che  creano
 limitazioni di tipo urbanistico alle proprieta'  finitime  (art.  39,
 comma 2).
    E' previsto inoltre l'obbligo di pagamento degli oneri concessori,
 con  un  sistema  diretto  ad evitare le elusioni (art. 39, commi 9 e
 11), obbligo esteso alle domande di condono presentate ai sensi della
 legge n. 47  del  1985  e  non  definite  per  il  mancato  pagamento
 dell'oblazione (art. 39, comma 10).
    Particolarmente  significativa, ai fini della tutela dell'ambiente
 e delle misure deterrenti contro gli incendi del soprassuolo  boscato
 e  contro  gli  incendi  del  territorio  in  genere, appare la norma
 dell'art. 2, comma 6,  del  decreto-legge  26  luglio  1995,  n.  310
 recante misure urgenti per il rilancio economico ed occupazionale dei
 lavori  pubblici  e  dell'edilizia  privata,  che  ha  escluso  dalla
 sanatoria di  cui  all'art.  39  della  legge  n.  724  del  1994  le
 costruzioni  abusive realizzate sopra o sotto il soprassuolo boschivo
 distrutto o danneggiato per  cause  naturali  o  atti  volontari.  Da
 sottolineare che la previsione contempla come esclusione oggettiva le
 zone  boschive  distrutte  o  danneggiate  per  qualsiasi causa e con
 qualsiasi mezzo (oltre che da fuoco o incendio, anche  a  seguito  di
 calamita'  naturale  o  abbattimento volontario o atto vandalico). In
 tale modo si garantisce la possibilita' di ricostituzione del bosco e
 si contribuisce a scoraggiare gli incendi o  le  distruzioni  dolose,
 mentre  restano  confermati  per  le stesse zone boschive distrutte o
 danneggiate dal fuoco sia il divieto di cambio di destinazione e,  in
 via  di  salvaguardia fino alla approvazione dei piani regionali, sia
 il divieto di insediamento (di nuove) costruzioni di  qualsiasi  tipo
 (art.  2,  comma  6, del d.-l. 26 luglio 1995, n. 310, in riferimento
 all'art. 9, commi quarto e quinto, della legge 1 marzo  1975,  n.  47
 (Norme integrative per la difesa dei boschi dagli incendi), nel testo
 risultante  a  seguito  dell'art.  1-bis del d.-l. 30 agosto 1993, n.
 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre  1993,  n.
 428.
    Infine,  e' prevista una esclusione soggettiva per gli abusi posti
 in essere da soggetti condannati definitivamente per il reato di  cui
 all'art.  416-bis  del  codice penale o per i reati di riciclaggio di
 denaro o da terzi per loro conto (ed una sospensione della  procedura
 di  sanatoria  per  gli  indagati fino all'esito del processo penale)
 (art. 39, comma 1, ultimo periodo), cui  e'  collegata  una  confisca
 disposta dal giudice in sede di giudizio penale urbanistico (art. 39,
 comma 12).
    Dal  complessivo quadro normativo riferito emerge un serio intento
 di porre in atto una risistemazione della  materia  del  governo  del
 territorio   idonea   ad   impedire   il   ripetersi   del   fenomeno
 dell'abusivismo edilizio attraverso la sua repressione.
    Intento testimoniato, altresi', come rileva l'Avvocatura  generale
 dello  Stato,  dalla  introduzione  di  una procedura per il rilascio
 delle concessioni edilizie semplificata, idonea, percio', a sollevare
 le  amministrazioni   da   inutili   incombenze,   riservandone   gli
 adempimenti   piu'   gravosi  a  quegli  interventi  suscettibili  di
 compromettere la tutela dei beni fondamentali della collettivita'.
    In   considerazione  delle  finalita'  da  realizzare  in  maniera
 indissolubile  attraverso  l'art.  39  oggetto  del  giudizio   e   i
 decreti-legge  surrichiamati,  succedutisi nel tempo fino al d.-l. 26
 luglio 1995, n. 310, e della dimostrata ragionevolezza  delle  scelte
 operate  dal  legislatore  e',  altresi',  da escludere la fondatezza
 della censura di irrazionale discriminazione che il condono  edilizio
 determinerebbe  tra  cittadini. E cio' anche con riferimento a coloro
 che abbiano gia'  usufruito,  per  precedenti  opere  abusive,  della
 normativa  di  cui  alla  legge  n.  47  del 1985, non assumendo tale
 circostanza alcuna autonoma  rilevanza  sul  piano  del  giudizio  di
 conformita'  al  precetto  costituzionale  invocato.    Parimenti, in
 ordine all'asserito mancato bilanciamento con altri beni  oggetto  di
 tutela costituzionale, va rilevato che la normativa in esame risponde
 adeguatamente proprio alla finalita' di realizzare un contemperamento
 dei  valori  in  giuoco,  quelli  del  paesaggio, della salute, della
 conformita' dell'iniziativa economica privata  all'utilita'  sociale,
 della  funzione sociale della proprieta' da una parte, e quelli, pure
 di  fondamentale  rilevanza   sul   piano   della   dignita'   umana,
 dell'abitazione e del lavoro dall'altra.  Le suesposte considerazioni
 valgono,  altresi',  ad  escludere,  nella fattispecie, la violazione
 degli  artt.  112  e  27,  terzo  comma,   della   Costituzione.   In
 particolare,  quanto  al  principio  di  obbligatorieta'  dell'azione
 penale,  esso  e'  stato,  infatti,  ritenuto   violato   quando   il
 legislatore  vi abbia derogato senza alcuna giustificazione razionale
 (sentenze n. 370 del 1988; n. 89 del 1982), presupposto nel caso  non
 esistente.  Quanto all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, vale
 ad escludere la dedotta violazione  la  gia'  rilevata  necessita'  -
 nella  valutazione  del  legislatore  non irragionevole - del ricorso
 alla misura del condono-oblazione.
    3. - Su  un  diverso  versante,  il  Pretore  di  Roma  -  Sezione
 distaccata  di  Bracciano  - censura l'art. 39 della legge n. 724 del
 1994,  e,  in  quanto  da  questo  richiamate  e  fatte  proprie,  le
 disposizioni  di  cui  ai  Capi  IV e V della legge n. 47 del 1985, e
 successive modifiche ed integrazioni, per presunta  violazione  degli
 artt.  117,  118  e  128  della Costituzione, in quanto il condono di
 abusi edilizi non solo formali,  ma  anche  sostanziali,  impedirebbe
 agli  enti  competenti  (regioni  e  comuni)  qualsiasi intervento di
 governo del territorio, costringendoli  a  prendere  atto  di  scelte
 contrastanti con gli strumenti urbanistici adottati.
    La questione e' manifestamente infondata.
    La  Corte,  con  la  citata  sentenza  n. 416 del 1995 (ricorsi di
 regioni contro la legge n. 724 del  1994)  ha  gia'  escluso  che  la
 riapertura  e l'estensione dei termini del condono edilizio vanifichi
 di  per  se'  l'azione  di   controllo   e   di   repressione   delle
 amministrazioni.    Al riguardo, si e', in quella occasione, rilevato
 che  la  diffusione  del  fenomeno  dell'abusivismo  edilizio  e'  da
 addebitare,   almeno  in  parte,  anche  alla  scarsa  incisivita'  e
 tempestivita' dell'azione di controllo  e  di  repressione  da  parte
 degli  enti  locali  e  regioni  a  cio'  preposti,  oltre  - si puo'
 aggiungere - al difetto di una attivita' coordinata di polizia locale
 specializzata nel controllo del territorio.  E' appena il caso,  poi,
 di  ricordare  che  la  esclusione  della  punibilita'  rientra nella
 materia penale, nel  cui  ambito  l'affermazione  della  esclusivita'
 della   competenza  statale  e'  una  costante  della  giurisprudenza
 costituzionale  (v.,  tra  le  altre,  per  l'applicazione  di   tale
 principio  al settore urbanistico, le sentenze n. 231 del 1993; n. 18
 del 1991; n. 487 del 1989).   Per altro verso,  come  gia'  affermato
 dalla  Corte,  gli  artt.  117 e 118 della Costituzione, come attuati
 dall'art. 81, comma primo, lettera a), del d.P.R. 24 luglio 1977,  n.
 616,  riservano allo Stato il potere di fissare le linee fondamentali
 dell'assetto del territorio nazionale (sentenza n. 302 del 1988).
    4. - Infondata e' anche l'altra questione sollevata dal Pretore di
 Roma, Sezione distaccata di Bracciano,  per  violazione  dell'art.  9
 della   Costituzione,  in  quanto  la  regolamentazione  del  condono
 edilizio con riferimento alle aree vincolate si porrebbe in contrasto
 con la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della nazione.
    E' sufficiente, al riguardo, por mente alla previsione di  cui  al
 richiamato  art.  2,  comma 6, del d.-l. n. 310 del 1995, che esclude
 dal condono le  costruzioni  abusive  realizzate  sopra  o  sotto  il
 soprassuolo  boschivo  distrutto  o  danneggiato per cause naturali o
 atti volontari. Giova, altresi', richiamare  le  considerazioni  gia'
 svolte  in  ordine  alla  disposizione  di cui all' art. 39, comma 7,
 della citata legge n. 724 del 1994, nel testo  risultante  a  seguito
 dell'art.  7,  comma  13,  del d.-l. 26 luglio 1995, n. 310, relativa
 alla previsione,  ai  fini  della  sanabilita'  delle  opere  abusive
 realizzate  in  aree  vincolate ritenute prioritarie dal legislatore,
 della  necessita'  dell'acquisizione  dei  pareri  favorevoli   delle
 amministrazioni  preposte  alla  tutela  dei vincoli. Ne' la carenza,
 lamentata dal remittente, di criteri predeterminati che orientino  la
 scelta  delle amministrazioni stesse in ordine all'eventuale rilascio
 di  tali  pareri,  puo'  assumere  rilievo   in   questa   sede.   La
 individuazione di siffatti criteri potrebbe, se mai, trovare adeguata
 collocazione  nelle  norme,  in  tema  di  vincoli paesaggistici, che
 disciplinano le procedure di acquisizione dei  pareri  in  esame:  di
 certo,  l'assenza di tale individuazione nel contesto della normativa
 concernente il  condono  edilizio  non  puo'  assurgere  ad  elemento
 sintomatico  di  un contrasto con il precetto costituzionale relativo
 alla tutela del paesaggio.
    5. - Un ulteriore profilo di illegittimita' viene ravvisato  dallo
 stesso  giudice  con  riferimento  all'art.  41  della  Costituzione,
 poiche' non sarebbe  osservato  il  limite  imposto  alla  iniziativa
 economica privata, rappresentato dal contrasto con l'utilita' sociale
 e  dal  danno alla sicurezza, alla liberta' e alla dignita' umana, in
 cui si fa rientrare il diritto del cittadino a vivere in un  ambiente
 non  degradato. In questo caso, al contrario, sarebbero le scelte dei
 pubblici poteri a conformarsi ai comportamenti illeciti dei  privati,
 donde  la  violazione  anche  degli  artt.  2 e 3 della Costituzione,
 ponendosi le norme denunciate in contrasto con la  necessaria  tutela
 di  diritti  di  rango  costituzionale  e  favorendo  irrazionalmente
 condotte illecite dei privati.
    Anche tale censura e' priva di pregio.
    Vanno, al riguardo, sottolineati i rilevanti  limiti  al  condono,
 alcuni  dei  quali gia' ricordati, di natura temporale e volumetrica,
 ovvero attinenti alla inedificabilita' o alla necessita'  del  parere
 dell'amministrazione interessata.
    6.  -  L'ultimo  dei  rilievi  che  il  Pretore  di Roma - Sezione
 distaccata di Bracciano - sottopone all'esame  della  Corte  riguarda
 gli  artt.  43 della legge n. 47 del 1985 e 39, comma 19, della legge
 n. 724 del 1994 per la pretesa violazione del diritto  di  proprieta'
 dei beni dei comuni, e, quindi, il vulnus agli artt. 3, 42, 119 e 128
 della  Costituzione.    Nei  casi  di  acquisizione gratuita di opere
 abusive al patrimonio comunale, che deriva, ex art. 7 della legge  n.
 47  del  1985,  dalla  mancata  demolizione dell'opera nel termine di
 novanta giorni dalla relativa ordinanza sindacale,  l'art.  43  della
 legge  stessa  consente  la  sanatoria  nonostante che, ad avviso del
 giudice a quo, il responsabile dell'abuso non sia  piu'  proprietario
 del bene.  Parimenti, l'art. 39 della legge n. 724 del 1994, al comma
 19,  con  esclusione  dei  casi  in cui le opere abusive non demolite
 siano state destinate ad attivita'  di  pubblica  utilita',  e  fatti
 salvi  eventuali  diritti  di  terzi  sugli  immobili, dispone che il
 proprietario che abbia adempiuto gli oneri previsti per la sanatoria,
 ha  diritto  ad  ottenere  l'annullamento   delle   acquisizioni   al
 patrimonio  comunale.  Si  verificherebbe,  pertanto,  ad  avviso del
 giudice a quo, una sorta  di  espropriazione  senza  corrispettivo  a
 danno  del  comune.    La  normativa  sarebbe,  inoltre,  affetta  da
 irragionevolezza, in quanto consentirebbe ad un soggetto, che non  e'
 piu'  titolare  di  un  diritto,  di  farlo  valere  contro chi ne e'
 titolare, sulla base,  tra  l'altro,  della  semplice  esibizione  di
 certificazione  comunale  attestante  l'avvenuta  presentazione delle
 domande di sanatoria, senza  alcuna  certezza  sull'esito  favorevole
 della domanda stessa.
    La questione non e' fondata.
    L'interpretazione   del   giudice   a   quo,   secondo   la  quale
 l'acquisizione gratuita al patrimonio pubblico comunale  delle  opere
 abusive  si  verificherebbe,  senza  che  occorrano  altri  requisiti
 oggettivi, quando sia decorso il termine,  fissato  dalla  legge,  di
 novanta   giorni  dalla  notificazione  dell'ordinanza  sindacale  di
 demolizione, e' tutt'altro che univoca.
    La Corte di cassazione ha, di  recente,  esplicitamente  affermato
 che   la   definitivita'   dell'ordinanza  sindacale  di  demolizione
 costituisce solo  titolo  per  l'immissione  in  possesso  e  per  la
 trascrizione    nei   registri   immobiliari   da   parte   dell'ente
 territoriale, mentre la procedura  ablatoria  si  completa  solo  con
 l'avvenuta  trascrizione  del  titolo e con la effettiva acquisizione
 materiale del bene al patrimonio comunale.    Del  resto,  la  stessa
 giurisprudenza  amministrativa ha escluso che perfino la trascrizione
 del provvedimento costituisca  di  per  se'  preclusione  al  condono
 edilizio. In realta', in presenza di procedimenti in corso relativi a
 provvedimenti  sanzionatori edilizi, e' sufficiente, perche' si possa
 ottenere la sanatoria (fermi gli altri presupposti generali), in  via
 alternativa  o  che  non  sia intervenuta l'esecuzione (da intendersi
 completa ed integrale), ovvero che i provvedimenti sanzionatori siano
 ancora impugnabili, ovvero che vi sia ricorso pendente.
    La verita' e' che, come gia' ritenuto dalla Corte (sentenza n. 345
 e ordinanza  n.  82  del  1991),  la  previsione  della  acquisizione
 gratuita  al  patrimonio  del  comune  della  costruzione  abusiva  e
 dell'area  sulla  quale  essa  insiste,  in  caso  di  inottemperanza
 all'ordinanza    di    demolizione,   ha   carattere   sanzionatorio,
 rappresentando la reazione dell'ordinamento al duplice illecito posto
 in essere da chi, eseguita un'opera abusiva, non adempie l'obbligo di
 demolirla. Di conseguenza, in quanto provvedimento sanzionatorio,  la
 confisca  resta soggetta, sotto il profilo dei fatti impeditivi della
 sanatoria,  alla  disposizione di cui all'art. 43, primo comma, della
 legge n. 47 del 1985  (tenuto  conto  dell'interpretazione  autentica
 data  dall'art.  12-bis  del  d.-l.  12 gennaio 1988, n. 2 introdotto
 dalla legge di conversione 13 marzo 1988, n. 68).
    Lo stesso legislatore, peraltro, pone  un  limite  al  suo  potere
 discrezionale   di   escludere  l'applicabilita'  di  tale  sanzione,
 attribuendo  preminenza  all'interesse  pubblico  quando  l'interesse
 privato  alla  concessione  del condono venga a trovarsi in conflitto
 con questo, e cioe' quando  si  sia  gia'  verificata  una  effettiva
 destinazione  del bene ad una attivita' di pubblica utilita'. In ogni
 caso, poi, la stessa  legge  fa  salvi  i  diritti  dei  terzi  sugli
 immobili  (art.  39, comma 19).   In tale situazione, deve escludersi
 che la discrezionalita' legislativa  sia  stata  esercitata  in  modo
 irragionevole.
    7.  -  Restano  da  esaminare  le  censure rivolte, in una diversa
 prospettiva, dal Pretore di Udine, Sezione distaccata di Cividale del
 Friuli, all'art. 31 della legge n. 47 del 1985 e all'art.  39,  comma
 1,  della legge n. 724 del 1994 - che richiama il primo attraverso il
 riferimento ai Capi IV e V della stessa legge n. 47 del 1985 -  nella
 parte  in cui le predette norme non consentirebbero la estinzione dei
 reati per le opere su aree sottoposte  a  vincolo,  che  siano  state
 eseguite  in  violazione  del  vincolo  stesso,  ma sulla base di una
 concessione edilizia gia' conseguita, e allo stesso art. 39, comma 8,
 della predetta legge n. 724 del 1994, che  prevede  l'estinzione  del
 reato  di  cui  all'art.  1-sexies  del d.-l. 27 giugno 1985, n. 312,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n.  431,  a
 seguito   del   rilascio   della   concessione   edilizia   o   della
 autorizzazione  in  sanatoria,  subordinata  al  conseguimento  delle
 autorizzazioni   delle   amministrazioni  preposte  alla  tutela  del
 vincolo.  La questione, sollevata in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione,  muove da un errato presupposto interpretativo. Secondo
 il remittente, mentre l'art. 39, comma 8,  prevede  l'estinzione  dei
 reati  di cui al d.-l. n. 312 del 1985, in caso di interventi edilizi
 in zone e fabbricati sottoposti a vincolo, a seguito  di  concessione
 in  sanatoria,  subordinata  al conseguimento delle autorizzazioni da
 parte delle autorita' preposte alla tutela del vincolo,  il  medesimo
 effetto estintivo del reato non si avrebbe nella ipotesi, meno grave,
 in cui un soggetto non possa ottenere la concessione in sanatoria per
 il fatto di averla gia' conseguita prima di realizzare gli interventi
 edilizi.
    Tale  interpretazione,  peraltro  smentita dalla stessa Avvocatura
 generale dello Stato non e' fondata.  Infatti,  e'  evidente  che  la
 concessione gia' ottenuta non esclude la possibilita' di condono e di
 oblazione   al   fine   di   eliminare  incertezze  (anche  meramente
 soggettive)  o  dubbi  di  validita'  o  eliminare   in   radice   la
 possibilita'  di  annullamento, di contestazioni e la possibilita' di
 sanzioni per vizi sia formali o procedurali che sostanziali, dando in
 altri termini certezza alla costruzione. Pertanto, la  licenza  o  la
 concessione  edilizia  a  suo  tempo ottenuta puo' coesistere con una
 concessione  ottenibile  in  sanatoria  (cosi'  come  nel   caso   di
 concessione   annullabile)   e   concorre  a  formare,  insieme  alla
 concessione in sanatoria sulla  base  del  condono-oblazione,  quella
 fattispecie,    completata    dal   rilascio   della   autorizzazione
 paesaggistica, che  determina  l'effetto  estintivo  del  reato.  Del
 resto,  le  autorizzazioni  necessarie per le costruzioni ed opere su
 immobili o aree sottoposte  a  vincoli  costituiscono  nella  maggior
 parte delle ipotesi presupposto per la regolarita' della procedura di
 rilascio  della  concessione  edilizia,  per  cui  in  questi casi e'
 evidente    l'interesse    ad    una    sanatoria     del     profilo
 urbanistico-edilizio,   che   puo'  (come  configurato  dalla  norma)
 comportare effetti anche sotto il  diverso  profilo  paesaggistico  e
 delle relative sanzioni penali.
    Di  conseguenza,  anche sotto quest'ultimo profilo la questione e'
 priva di fondamento.