IL VICE PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nell'ambito del processo penale n. 19071/1993 r.g.n.r. a carico di Rappa Giuseppe, imputato dei reati di cui all'art. 20, lett. b), legge n. 47/1985, artt. 17, 18 e 20 legge n. 64/1974, artt. 1, 2, 4, 13 e 14, legge n. 1086/1971, commessi in Capaci il 22 agosto 1993. Ha pronunciato la sottoestesa ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di costituzionalita' dell'art. 39, primo comma, legge 23 dicembre 1994 n. 724, in relazione all'art. 38, secondo comma, legge 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. OSSERVA All'udienza dibattimentale del 7 luglio 1995, il pubblico ministero dott. Fabio Taormina sollevava, producendo memoria in atti, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 39, primo comma, legge 23 dicembre 1994 n. 724, in relazione all'art. 38, secondo comma, legge 28 febbraio 1985 n. 47 ed all'art. 8-quater legge n. 298/1985 nella parte in cui non prevede che non sono perseguibili in qualunque sede coloro che abbiano demolito o eliminato le opere abusive entro la data di entrata in vigore della legge con riferimento alla violazione dei sottoindicati articoli della Costituzione: 1) violazione dell'art. 3 della Costituzione nella parte in cui stabilisce che "tutti i cittadini hanno pari dignita' e sono eguali davanti ala legge .."; 2) violazione dell'art. 24 della Costituzione nella parte in cui stabilisce che "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi .."; AMMISSIBILITA' Va preliminarmente rilevato che, ai sensi dell'art. 23, primo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, la questione di legittimita' costituzionale delle sopramenzionate norme va ritenuta ammissibile sia in ordine alla sussistenza del potere del pubblico ministero di esercizio di detta potesta' sia in ordine alla sede processuale ove essa viene posta, e cioe' innanzi ad un organo giurisdizionale nel corso di un Giudizio Penale. Va inoltre, e per mera completezza, rilevato che la questione, richiedendo una pronunzia additiva-positiva della Corte costituzionale, sollecita l'esercizio di poteri che a tale Organo sono attribuiti, laddove si consideri che, ove la questione venisse accolta, verrebbe resa una pronuncia non certo "impositiva o creatrice di precetto penale", ma al contrario, senz'altro in favor rei introducendo una norma piu' favorevole e scriminante, potere piu' volte in passato esercitato dal giudice delle leggi. RILEVANZA Dalle emergenze processuali - processo verbale di constatazione, sopralluogo e ricognizione, sequestro - risulta che l'odierno imputato, sig. Rappa Giuseppe, dopo aver abusivamente edificato alcuni pilastri in cemento armato, ebbe a chiedere il dissequestro del manufatto, con rimozione dei sigilli, rimuovendo effettivamente l'opera mediante demolizione. In forza di tali risultanze processuali, osserva il giudicante, la questione assume carattere di pregiudizialita' tale da far ritenere il giudizio non definibile indipendentemente dalla risoluzione della questione. Ed invero, deve osservarsi che il quesito in ordine alla suscettibilita' di essere soggetto passivo di sanzione penale per colui il quale abbia - antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge n. 724/1995 - demolito l'immobile abusivo assume preminente rilievo nell'odierno dibattimento; incidentalmente va rilevato che identico rilievo assumerebbe nella ipotesi in cui l'illecito contravvenzionale rubricato fosse, per qualsivoglia ragione - es: per prescrizione - estinto, atteso che le cause estintive del reato vanno applicate soltanto allorquando non emergano elementi di certezza in ordine alla insussistenza di penale responsabilita' "nel merito" ovvero di diverse e specifiche cause estintive. Nel caso de quo, viceversa, v'e' assoluta certezza in ordine al fatto storico - demolizione del corpo di fabbrica abusivamente edificato - posto in essere dal'imputato. Tale fatto storico ove legislativamente previsto qual causa di estinzione "nel merito" del reato, o meglio di improcedibilita', varrebbe ad escludere, in abstracto, qualsiasi ipotesi di responsabilita'. L'art. 39 della legge n. 724/1994, fa riferimento al quadro normativo introdotto dal legislatore ai capi 4 e 5 della legge n. 47/1985 e successive modificazioni ed integrazioni. Cio' posto, osserva il Giudicante che, se nel concetto di "successive modificazioni ed integrazioni" si potesse ricomprendere il disposto normativo di cui all'art. 8-quater della legge n. 298/1985, che ha espressamente previsto quale causa di "improcedibilita'" del reato la spontanea demolizione dell'opera abusiva, la questione sarebbe inammissibile e, attraverso l'applicazione di tale precetto l'imputato dovrebbe essere assolto dal reato ad esso ascritto in rubrica. La pregiudizialita' della questione, nasce invero, dalla opposta considerazione che il riferimento dell'art. 39, primo comma, legge n. 724/1994 alle "successive modificazioni ed integrazioni dei capi 4 e 5, legge n. 47/1985 .." non puo' ritenersi comprensivo del disposto di cui alla legge n. 298/1985, che ha espressamente previsto quale causa di improcedibilita' del reato la spontanea demolizione dell'opera abusiva. Ed invero, - a tacer d'altro, e segnatamente della forzatura consistente nel considerare "integrazione" un articolo di legge autonomo e giustamente tenuto distinto dal corpus della legge stessa qual e' l'art. 8-quater legge n. 298/85 - cio' determinerebbe un insostenibile margine di incertezza in ordine ai tempi di applicazione della legge e, segnatamente, in relazione al momento in cui dovrebbe esser avvenuta la demolizione per spiegare l'effetto di improcedibilita'. L'art. 8-quater della legge n. 298/1985, infatti, fa riferimento ad un termine ben specifico inapplicabile al caso di specie, e, per cosi' dire, "interno" alla legge stessa, in nessun modo riferibile alla legge n. 47/1985. Inoltre, esso introduce una causa di improcedibilita', o di estinzione del reato, riferentesi soltanto alle opere astrattamente sanabili con riferimento alla legge n. 47/1985. Ove il legislatore avesse voluto attribuire a tale norma carattere generale, essa, per un elementare principio di tecnica legislativa non sarebbe stata inserita in un testo di legge autonomo e separato, ma, al contrario, nell'atto legislativo "principale", in tema di sanatoria, e cioe' nella coeva legge n. 47/1985. Del pari, avendo la norma stessa carattere autonomo, ove il legislatore avesse voluto renderla applicabile anche alle opere suscettibili di sanatoria ex lege n. 724/1994, l'art. 39 avrebbe dovuto espressamente richiamare tale norma, il che certamente non e'. Non manifesta infondatezza La quetione di incostituzionalita' della norma sopraindicata, con riferimento agli artt. 3 e 24 della carta fondamentale, non e' manifestamente infondata. E invero, passando ad esaminare il secondo requisito che legittima il Giudicante a sollecitare il vaglio del Giudice della legge in ordine ad un testo normativo, la mancata previsione della suddetta "causa di improcedibilita'" viola il principio di eguaglianza dei cittadini laddove fa dipendere - dato inaccettabile tanto piu' ove si consideri che esso e' contenuto in un provvedimento che puo', in ultima analisi, essere definito di natura "clemenziale" - unicamente dalla disponibilita' economica di un soggetto, mediante il pagamento della oblazione, la estinzione del reato, a prescindere da ogni valutazione sulla lesione inferta all'interesse tutelato dalla norma; viola altresi' il principio di difesa, atteso che, intervenuta la demolizione "spontanea" del bene, non e' piu' possibile accertare se lo stesso possedesse i requisiti per rientrare in sanatoria, ne' l'autore di esso potrebbe quantizzare la somma da versare per estinguere comunque, con oblazione, l'illecito penale. Tale omessa previsione viola altresi' oltre che un elementare principio di eguaglianza - punendo chi si conforma ad un precetto-comando amministrativo, e cioe' l'ordinanza di demolizione, piuttosto chi a tale atto amministrativo non ottempera, anche un principio di ragionevolezza, atteso che appare del tutto incongruo nel quadro di un provvedimento di natura e portata clemenziale, non "scriminare" il comportamento di chi conformandosi ad un atto amministrativo ha del tutto elimitanto qualsiasi conseguenza del fatto-reato. A situazioni eguali, dal punto di vista dell'applicazione della sanzione penale (si ipotizza il caso di Tizio e Caio che costruiscono abusivamente due identici e distinti manufatti, dei quali uno viene demolito dal titolare, e l'altro invece non sia stato rimosso) consegue un trattamento certamente diseguale. Ed invero, che il soggetto che ha mantenuto l'opera, - versando a titolo di oblazione la somma che e' in grado di quantizzare - andra' esente da pena, conseguendo, per di piu' la piena e "legittima" titolarita' del manufatto; colui il quale, invece, ha spontaneamente demolito il manufatto, - soggetto senz'altro piu' meritevole di positiva considerazione, dal punto di vista del comportamento complessivo - non soltanto per elementari ragioni restera' privo dell'opera, ma, per di piu', andra' soggetto all'applicazione della sanzione penale. Ne' puo' dirsi che tale disparita' e' attenuata dalla possibilita' di valutare positivamente tale comportamento, da parte del Giudicante, ai sensi dell'art. 133 c.p., 62 n. 6 c.p., perche' tale eventuale, possibile, valutazione, senz'altro non incide - ma, anzi, presuppone - l'esercizio dell'azione penale e l'affermazione di penale responsabilita'. Tale irrazionale trattamento discriminatorio, a fronte di condotte identiche, travalica i poteri affidati alla discrezionalita' del legislatore ordinario. Per queste considerazioni, la questione nel presente processo e' rilevante e non manifestamente infondata.