ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  3,  comma  61,
 della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537  (Interventi correttivi di
 finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 25  ottobre  1994
 dal  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso proposto dalla Presidenza del
 Consiglio dei ministri e da altri contro Armani Simonetta  ed  altri,
 iscritta  al  n.  191  del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  15,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995;
    Visto l'atto di costituzione di Biagio Accinni e di altri;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Visto  l'atto   di   intervento   depositato   dall'organizzazione
 sindacale  Associazione  nazionale  dirigenti  e direttivi giudiziari
 (ANDIG- DIRSTAT) e da altri;
    Udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1995  il  Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
    Ritenuto  che  - nel corso di un giudizio d'appello promosso dalle
 amministrazioni  interessate  contro  la   sentenza   del   Tribunale
 amministrativo  regionale  per  il  Lazio che aveva accolto i ricorsi
 proposti da personale amministrativo in servizio presso il  Consiglio
 di  Stato,  Tribunali amministrativi e l'Avvocatura dello Stato - con
 ordinanza emessa  il  25  ottobre  1994  il  Consiglio  di  Stato  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3, 101, secondo comma, 103,
 primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma 61, della legge 24
 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi  di  finanza  pubblica),
 che   interpreta  l'art.  1  della  legge  22  giugno  1988,  n.  221
 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e  segreterie
 giudiziarie);
      che   la   disposizione   denunciata,   autoqualificandosi  come
 interpretativa, prevede che  l'indennita'  concessa  dalla  legge  19
 febbraio  1981, n. 27 ai magistrati, poi attribuita dall'art. 1 della
 legge 22 giugno  1988,  n.  221  al  personale  delle  cancellerie  e
 segreterie   giudiziarie   e   successivamente  estesa  al  personale
 amministrativo delle giurisdizioni speciali dalla legge  15  febbraio
 1989,  n. 51, sia corrisposta al personale amministrativo giudiziario
 nella misura vigente al 1› gennaio 1988;
      che,  secondo  l'ordinanza  di   rimessione,   l'interpretazione
 imposta dalla norma denunciata contrasterebbe con l'orientamento gia'
 affermatosi  in  giurisprudenza,  non  consentendo  per  il personale
 giudiziario   amministrativo   l'adeguamento   automatico   triennale
 dell'indennita'    previsto    per    i    magistrati,    e   sarebbe
 costituzionalmente illegittima in quanto: a) la disposizione di legge
 inciderebbe sui giudizi in corso,  in  violazione  degli  artt.  101,
 secondo  comma,  103,  primo  comma,  e  108,  secondo  comma,  della
 Costituzione;    b)    l'esclusione    dell'adeguamento     triennale
 contrasterebbe   con  il  principio  di  eguaglianza  (art.  3  della
 Costituzione), non essendo ragionevole la disparita' di  trattamento,
 che  la norma denunciata determina retroattivamente, tra magistrati e
 personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie;
      che si sono  costituiti  Biagio  Accinni  ed  altri,  parti  nel
 giudizio  principale, sostenendo che o la questione e' inammissibile,
 per essere l'interpretazione della norma, intervenuta con  l'art.  3,
 comma  61,  della  legge  n.  537  del 1993, conforme a quella che la
 giurisprudenza ha dato all'art. 1 della legge n. 221 del 1988,  o  la
 legge interpretativa sarebbe diretta ad incidere sui giudizi in corso
 ed  a  determinare  una  ingiustificata disparita' di trattamento tra
 magistrati e dipendenti amministrativi;
      che e' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione,
 gia' esaminata e decisa dalla Corte con la sentenza n. 15 del 1995;
      che, in prossimita' della camera di consiglio, la parte  privata
 ha  depositato  una memoria per ribadire le conclusioni di merito, ma
 sollecitando preliminarmente la Corte a sollevare dinanzi a se', pre-
 via  disapplicazione  dell'art.  9,  secondo   comma,   delle   norme
 integrative   per   i  giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26, secondo comma,
 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Tale disposizione,  consentendo  di
 decidere  in  camera  di consiglio qualora possa ricorrere il caso di
 manifesta   infondatezza   della   questione,   determinerebbe    una
 discriminazione  tra  difensori  ed una lesione del diritto di difesa
 (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione);
      che  nell'imminenza  della  camera  di  consiglio,  in  data  26
 settembre 1995, hanno depositato in cancelleria un atto di intervento
 l'organizzazione   sindacale   Associazione   nazionale  dirigenti  e
 direttivi giudiziari (ANDIG-DIRSTAT) ed altri, che  non  erano  parti
 nel  giudizio  principale,  prendendo  conclusioni  nel  merito della
 questione;
    Considerato   che   e'   irricevibile   l'atto    di    intervento
 dell'organizzazione  sindacale  ANDIG-DIRSTAT  e  di altri, in quanto
 proposto da chi non era parte nel giudizio  principale  e,  comunque,
 depositato  oltre  il  termine  previsto  dall'art. 25 della legge 11
 marzo 1953, n. 87 e dall'art. 3 delle norme integrative per i giudizi
 davanti alla Corte costituzionale (sentenza n. 323 del 1993);
      che non ricorrono i presupposti per sollevare  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  prospettata  dalla  parte  privata.  La
 convocazione della Corte in  camera  di  consiglio,  nel  caso  possa
 ricorrere  la  manifesta infondatezza, consente alla parte costituita
 di dedurre anche in ordine alla determinazione in  rito,  potendo  la
 Corte  rinviare la causa alla pubblica udienza quando non sussista la
 manifesta infondatezza (art. 9, ultimo comma, delle norme integrative
 per i giudizi davanti alla Corte  costituzionale).  Non  e'  pertanto
 violato il diritto di difesa delle parti costituite (art. 24, secondo
 comma,  della  Costituzione),  le  quali,  nelle  forme  proprie  del
 procedimento in camera  di  consiglio,  possono  partecipare  ad  una
 effettiva  dialettica  processuale  depositando  memorie ed assumendo
 posizione anche sulla sussistenza  o  meno  dei  presupposti  per  la
 pronuncia  di  manifesta  infondatezza della questione, mentre non si
 vede come possa determinarsi una discriminazione tra difensori  (art.
 3 della Costituzione);
      che  una  questione  di  legittimita' costituzionale, identica a
 quella ora sollevata dal Consiglio di Stato, e' stata dichiarata  non
 fondata  con  la  sentenza  n.  15 del 1995, giacche' la disposizione
 denunciata  e'  qualificata  correttamente  come  di  interpretazione
 autentica,  ed in quanto tale e' caratterizzata dalla retroattivita'.
 Difatti  rientra  tra  le  possibili   letture   della   disposizione
 interpretata considerare il rinvio operato dall'art. 1 della legge n.
 221 del 1988 all'art. 3 della legge n. 27 del 1981 come limitato alla
 misura  dell'indennita'  e  non  esteso  ai meccanismi di adeguamento
 coerenti  con  la  diversa  configurazione  del  sistema  retributivo
 proprio  dei  magistrati.  Quindi,  con  la disposizione censurata il
 legislatore "si e' mosso sul piano delle fonti, esercitando il potere
 di  attribuire  alla   disposizione   legislativa   interpretata   un
 significato  obbligatorio per tutti, senza con cio' interferire nella
 diversa funzione del potere giudiziario";
      che con la stessa sentenza la Corte ha gia'  ritenuto,  inoltre,
 non  irragionevole  la mancata estensione al personale amministrativo
 del sistema di adeguamento automatico dell'indennita' previsto per  i
 magistrati,   giacche'  per  giustificare  la  diversita'  di  regime
 giuridico delle indennita' in questione sono sufficienti "la mancanza
 di omogeneita' tra le due  categorie  di  dipendenti  ed  il  diverso
 meccanismo  di  determinazione  del trattamento retributivo", basato,
 solo per i  magistrati,  sull'aggiornamento  periodico  nella  misura
 percentuale  pari alla media degli incrementi realizzati dai pubblici
 dipendenti e non sulle regole comuni del  pubblico  impiego,  che  si
 applicano invece al personale amministrativo giudiziario;
      che,  infine,  "la  legge  interpretativa  non  travolge ( ..) i
 giudicati che si sono  formati.  La  necessita'  di  rispettarli  nei
 singoli  casi  in  cui  vi  sia  cosa  giudicata giustifica, anzi, la
 differente condizione di chi abbia avuto il riconoscimento giudiziale
 definitivo dell'adeguamento automatico dell'indennita' rispetto a chi
 non lo abbia ottenuto";
      che analoghe questioni, sollevate in riferimento agli artt. 3  e
 36 della Costituzione, sono state dichiarate manifestamente infondate
 con l'ordinanza n. 98 del 1995;
      che  l'ordinanza  del  giudice  rimettente,  emessa  prima della
 sentenza n. 15 del 1995, non  adduce  profili  diversi  ed  ulteriori
 rispetto a quelli gia' esaminati dalla Corte;
      che,    conseguentemente,    la    questione   di   legittimita'
 costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.