IL PRETORE Letti gli atti del procedimento n. 8381/1995 r.g. pretura a carico di Abderrazack Gouria, nato a Bougara (Algeria) il giorno 1 luglio 1965 imputato del reato previsto dall'art. 7, comma 5, decreto-legge 30 dicembre 1989 n. 416, convertito nella legge 28 febbraio 1990 n. 39, modificato dall'art. 7-septies decreto-legge 18 novembre 1995 n. 489; Rilevato che all'udienza del 18 dicembre 1995, il difensore dell'imputato ha sollevato questione di legittimita' costituzionale del decreto-legge 18 novembre 1995 n. 489 ed in particolare degli artt. 7, 8 e 9 del citato decreto-legge in relazione agli artt. 2, 3, 13, 24, 29, 30 e 77 della Costituzione; Ritenuto, quanto alla rilevanza, che l'imputato veniva arrestato in flagranza in data 3 dicembre 1995 e quindi condotto davanti a questo pretore per la convalida dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo e che, convalidato l'arresto, il pubblico ministero chiedeva nei confronti dell'imputato la misura coercitiva dell'obbligo di presentazione all'autorita' di procuratore generale al fine che questi potesse sottrarsi alla misura dell'espulsione ai sensi dell'art. 7-ter, primo e terzo comma del citato decreto-legge; Considerato che in base al combinato disposto dell'art. 7-ter e 7-sexies, nono comma, dello stesso decreto e' prevista l'espulsione a richiesta di parte, e che la stessa norma puo' trovare applicazione nell'odierno processo; che le suddette norme sono state introdotte con decreto-legge emanato ai sensi dell'art. 72, secondo comma, della Costituzione; In merito alla valutazione della non manifesta infondatezza si osserva quanto appresso: I. - Art. 7-septies, commi primo e secondo, del d.-l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1990 n. 39, come introdotto dall'art. 7 del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489. L'art 7-septies al primo comma prevede una contravvenzione, punendo con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda fino a lire ottocentomila lo straniero che, su richiesta dell'autorita di pubblica sicurezza, non esibisca senza giustificato motivo il passaporto o altro documento di identificazione; al secondo comma prevede che lo stesso fatto, "commesso dallo straniero al quale e' stato notificato un provvedimento di espulsione" costituisca invece delitto punibile con la reclusione fino a tre anni. ll fatto materiale e' identico. L'unico elemento differenziale delle due previsioni e' il presupposto della notifica di "un provvedimento di espulsione". Stante la totale genericita' dell'espressione in questione, e' da intendersi che il suddetto presupposto e' integrato anche da un provvedimento amministrativo ancora soggetto ai normali mezzi di impugnazione, come quello notificato all'odierno imputato per il quale e' ancora pendente persino il termine per impugnare la decisione di primo grado sulla sospensione del provvedimento di espulsione. Si puo' pertanto verificare l'ipotesi che un soggetto che commetta il fatto di cui al primo comma e che versi nella condizione di cui al secondo comma venga condannato per delitto con sentenza definitiva, ma che successivamente il provvedimento amministrativo di espulsione venga sospeso o annullato nelle sedi giurisdizionali competenti. In quest'ultimo caso, con l'annullamento dell'atto amministrativo, viene meno lo stesso presupposto per la punibilita' del fatto a titolo di delitto, ma l'ordinamento non prevede alcuna possibilita' di modificazione della sentenza penale. ll caso non rientra infatti nelle ipotesi di revisione della sentenza penale previste dall'art. 630 c.p.p. ne' nei limiti della revisione delineati dall'art. 631 c.p.p. Si crea pertanto una evidente disparita' di trattamento tra soggetti che pur avendo commesso lo stesso fatto subiscono un trattamento sanzionatorio differenziato a causa di un elemento normativo della fattispecie successivamente rimosso dall'ordinamento con efficacia retroattiva. Il secondo comma dell'art. 7-septies e' pertanto illegittimo per violazione dell'art. 3 della Costituzione nella parte in cui commina la sanzione della reclusione fino a tre anni per lo straniero che commetta il fatto di cui al primo comma e abbia avuto notificato un provvedimento di espulsione non ancora definitivo. II. - Art. 7-septies, comma quinto del d.-l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1990 n. 39, come introdotto dall'art. 7 del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489. L'art. 7-septies, comma quinto consente l'arresto del cittadino straniero punibile ai sensi del secondo (oltre che del terzo e quarto) comma anche al di fuori dei casi di flagranza. Si introduce cosi' una misura precautelare facoltativa che attribuisce alla polizia giudiziaria un potere del tutto al di fuori degli istituti previsti dal nuovo codice di procedura penale. Infatti siamo al di fuori dell'istituto dell'arresto delineato dal nuovo codice sia per lo sganciamento dal presupposto fondamentale dello stato di flagranza, sia per l'assenza dei limiti alla discrezionalita' del potere di arresto individuati - dall'art. 381, quarto comma c.p.p. - nella gravita' del fatto o nella pericolosita' del soggetto. Siamo al di fuori dell'istituto del fermo sia per la non previsione del pericolo di fuga che dei gravi indizi di reita' quali elementi legittimanti la misura. Siamo cioe' al di fuori di quegli indici (flagranza del reato e pericolo di fuga) che, integrando quei "casi eccezionali di necessita' e urgenza" previsti dall'art. 13, terzo comma della Costituzione, legittimano il potere precautelare della autorita' di pubblica sicurezza. La norma in questione e' pertanto contraria al principio di inviolabilita' della liberta' personale protetto dall'art. 13 e dall'art. 2 della Costituzione quale diritto inviolabile dell'uomo. Inoltre non essendo esplicitato nella norma in questione alcun limite alla discrezionalita' del potere di arresto, come ad esempio quelli individuati dall'art. 381, quarto comma c.p.p. nella gravita' del fatto o nella pericolosita' del soggetto, il potere di arresto della polizia giudiziaria si presenta sostanzialmente svincolato da indici che consentano di verificare la legittimita' dell'uso di tale potere discrezionale. La norma e' pertanto contraria al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 in quanto consente che di fronte ad identiche fattispecie di reato si proceda o meno all'arresto in base ad un potere discrezionale della polizia giudiziaria per il quale non sono fissati i relativi limiti di esercizio. Cio' comporta al contempo una violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione non potendosi sindacare un potere discrezionale di cui non siano fissati i limiti di esercizio. La norma e' inoltre illegittima nella parte in cui consente, come nel caso di specie, che possa essere arrestato anche chi tramite gli organi di p.g. si rivolga all'autorita' giudiziaria al fine di denunziare un reato contro la persona di un proprio congiunto. L'art. 13 del citato decreto 489/95, in materia di assistenza sanitaria, prevede che "L'accesso dello straniero alle strutture sanitarie non puo' comportare alcun tipo di segnalazione, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parita' di condizioni con il cittadino italiano" in conformita' con il dettato dell'art. 32 della Costituzione che riconosce la salute come fondamentale diritto dell'individuo. Il cittadino straniero non puo' pero' accedere agli uffici di p.g. per denunciare la scomparsa di un proprio congiunto, se non rischiando l'arresto nel caso in cui le forze di p.g. lo ritengano responsabile del reato previsto dal secondo comma dell'art. 7-septies. Il quinto comma del suddetto articolo, consentendo di poter procedere all'arresto anche in questo caso, pone a fronte della possibilita' di accertare un reato contro l'ordine pubblico (quello previsto dall'art. 7-septies, secondo comma) un serio ostacolo (il rischio di arresto per questo reato) all'adempimento di quel dovere di denunciare i reati contro la persona di un proprio congiunto - nel caso di specie la moglie e la figlia minore - che trova fondamento nei principi costituzionali di adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' tra gli individui (art. 2 Cost.), di tutela dei diritti della famiglia come societa' naturale (art. 29 Cost.), di adempimento dei doveri dei genitori nei confronti dei figli (art. 30 Cost.), e che tende alla salvaguardia di beni di rango costituzionale certamente superiore a quello dell'ordine pubblico, quali la vita e l'incolumita' personale. La norma in parola e' pertanto costituzionalmente illegittima anche sotto questo profilo. III. - Art. 7-ter, del d.-l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazione nella legge 28 febbraio 1990 n. 39, come introdotto dall'art. 7 del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489. Con la norma contenuta nel suddetto articolo, come gia' ritenuto dal pretore di Roma nella ordinanza emessa il 25 novembre 1995 nel processo a carico di Saez Baez Carlos Alberto, si e' introdotta nei confronti dei soli cittadini stranieri un nuovo tipo di espulsione a richiesta di parte che, almeno ogni qual volta la misura venga richiesta dal pubblico ministero, integra nuova figura di misura cautelare personale. La norma e' discriminatoria nei confronti del cittadino straniero, in quanto a fronte di un arresto in flagranza per un medesimo fatto, nel caso in cui a seguito della convalida non si applichi alcuna delle misure cautelari previste dal codice di procedura penale, per il cittadino italiano andrebbe disposta l'immediata liberazione, mentre per il cittadino straniero andrebbe disposta l'espulsione immediata, se solo il p.m. ne avanza richiesta. Il potere cosi' attribuito al pubblico ministero non e' legato a diversi aspetti del fatto di reato, o alla necessita' di soddisfare diverse esigenze cautelari, ma ha ad esclusivo parametro di riferimento la nazionalita' del soggetto sottoposto alla misura precautelare dell'arresto, lasciando il p.m. libero di decidere in base a criteri di valutazione non espressi dalla norma in questione e non altrimenti ricavabili, non essendo neanche prevista una motivazione della richiesta del p.m.. La norma e' pertanto in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, con quello di inviolabilita' della liberta' personale di cui all'art. 13, con quello di inviolabilita' del diritto di difesa di cui all'art. 24. IV. - Art. 7-sexies, nono comma, del d.-l. 30 dicembre 1989 n. 416, convertito con modificazione nella legge 28 febbraio 1990 n. 39, come introdotto dall'art. 7 del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489. La suddetta norma prevede che non possono essere sottoposti ad espulsione (tra gli altri) gli stranieri che vivono con parenti entro il quarto grado di nazionalita' italiana. La norma tende evidentemente alla tutela della famiglia quale formazione sociale ove il singolo svolge la propria personalita' e della quale la Repubblica riconosce i diritti come societa' naturale, sul presupposto che l'allontanamento del cittadino straniero dalla propria famiglia arrechi un pregiudizio alla stessa. Pregiudizio che e' identico, sia nel caso in cui i componenti della famiglia siano italiani, sia nel caso in cui siano stranieri. La limitazione alla sola convivenza con familiari di nazionalita' italiana, quale causa ostativa dell'espulsione dello straniero, si pone pertanto come illegittima discriminazione tra famiglie composte da cittadini italiani e cittadini stranieri, in aperta violazione dei principi di cui agli artt. 2, 3, 29, 30 della Costituzione. V. - Artt. 7, 8 e 9, del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489. Queste norme costituiscono l'intero capo III, intitolato "Espulsioni e disposizioni penali" del citato decreto. ll preambolo del decreto fa espresso richiamo alla "straordinaria necessita' ed urgenza di adeguare in termini piu' razionali la normativa in tema di immigrazione nel territorio dello Stato da parte di cittadini di paesi non appartenenti all'Unione europea, al fine di render(n)e piu' efficace l'operativita'". Si puo' pero' fondatamente revocare in dubbio che quest'esigenza posta a fondamento del decreto possa rientrare in quei "casi straordinari di necessita' e d'urgenza" che, secondo il dettato del secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, sono gli unici a legittimare il Governo ad adottare, sotto la sua responsabilita', provvedimenti provvisori con forza di legge. Infatti, come gia' rilevato dal pretore di Roma nella citata ordinanza del 25 novembre 1995, non integra un caso straordinario di necessita' ed urgenza l'esigenza di "adeguare in termini piu' razionali la normativa in tema di immigrazione" stante che la suddetta normativa riguarda un fenomeno da tempo presente nel nostro paese, rispetto al quale non si sono verificati di recente evoluzioni di portata straordinaria tali da giustificare il ricorso allo strumento del decreto legge.