ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 79 e 519 del
 codice di procedura penale,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  25
 ottobre  1994  dal Pretore di Lucca, sezione distaccata di Viareggio,
 nel procedimento penale a carico di Orvieto Lorenzo, iscritta  al  n.
 505  del  registro  ordinanze  del  1995  e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 39,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera  di  consiglio  del  6  marzo  1996  il  Giudice
 relatore Valerio Onida.
                            Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso di un procedimento penale instaurato per falso in
 cambiali e appropriazione indebita,  il  Pretore  di  Lucca,  sezione
 distaccata  di  Viareggio, ha sollevato, con ordinanza del 25 ottobre
 1994,  pervenuta  alla  Corte  il  26  luglio  1995,   questione   di
 legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3, primo
 comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione,  degli  artt.
 79  e  519  del  codice  di  procedura penale "nella parte in cui non
 prevedono che, a seguito di contestazione suppletiva relativa  ad  un
 fatto   che   gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine  al  momento
 dell'esercizio dell'azione penale, alla persona offesa citata ex art.
 519 cod. proc. pen. sia consentita la costituzione  di  parte  civile
 anche oltre il termine fissato dall'art.  79 cod. proc. pen.".
   Risulta  dagli  atti  che,  dopo  la  dichiarazione di apertura del
 dibattimento,  il  pubblico   ministero   formulava   nei   confronti
 dell'imputato  la  contestazione  suppletiva  (oltre che del reato di
 sostituzione di persona) del reato di  truffa  commesso  a  danno  di
 persona  offesa  diversa  da  quella  gia'  citata  in relazione alla
 contestazione originaria: reato connesso, ai sensi dell'art.  517  in
 relazione  all'art.  12,  primo  comma, lettera b) cod. proc. pen., a
 quelli per cui gia' si procedeva, in quanto l'imputato  era  accusato
 di  avere  utilizzato  i  titoli  cambiari  falsificati offrendoli in
 pagamento per l'acquisto di un'autovettura. Il Pretore disponeva,  ai
 sensi  dell'art.  520  cod.  proc.  pen.,  la  notifica  del  verbale
 contenente  la   contestazione   suppletiva   all'imputato,   rimasto
 contumace,  e la citazione in giudizio della persona offesa dal nuovo
 reato. In apertura della nuova udienza  la  persona  offesa  avanzava
 istanza  di  costituzione di parte civile per il reato di truffa, per
 il quale era  stata  presentata  in  precedenza  tempestiva  querela,
 risultante  dagli atti del pubblico ministero. Il Pretore riteneva in
 un primo tempo inammissibile tale  costituzione  in  quanto  avvenuta
 dopo  la  scadenza  del termine di cui all'art. 79 cod. proc. pen., e
 cioe' dopo la conclusione della fase di controllo sulla  costituzione
 delle   parti   ai  sensi  dell'art.  484  dello  stesso  codice;  ma
 successivamente,  pronunciandosi  sulla  eccezione  di   legittimita'
 costituzionale  subito  sollevata  dal  difensore  di  detta  persona
 offesa, rimetteva la questione a questa Corte ritenendola rilevante e
 non manifestamente infondata, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Il giudice remittente osserva che il termine per la costituzione di
 parte civile e' fissato dall'art.  79  cod.  proc.  pen.  a  pena  di
 decadenza,  e  che  nessuna  norma ne autorizza la proroga. Tuttavia,
 nell'ipotesi  di  contestazione  suppletiva  di  un  reato   connesso
 perpetrato  in  danno  di  una  persona  offesa  non  costituita,  si
 configura, secondo il remittente, una nuova situazione giuridica,  in
 relazione  alla quale la medesima persona offesa deve essere messa in
 condizione di poter adeguatamente tutelare i suoi interessi  in  sede
 penale; e del resto la stessa previsione, nell'art. 519, terzo comma,
 cod.    proc.  pen.,  della  citazione della persona offesa dal reato
 contestato in via suppletiva trova, secondo  il  remittente,  la  sua
 ragion d'essere in tale tutela.
   Prescrivendo   da  un  lato  la  citazione  della  persona  offesa,
 dall'altro lato precludendo la facolta' di costituirsi parte  civile,
 stante il termine a quel punto necessariamente scaduto, l'ordinamento
 processuale  entrerebbe  in contraddizione con se stesso, violando il
 principio costituzionale di uguaglianza inteso come "generale  canone
 di  coerenza  dell'ordinamento  normativo". In secondo luogo l'art. 3
 della Costituzione sarebbe  violato  anche  sotto  il  profilo  della
 ingiustificata  disparita' di trattamento, in ordine alla facolta' di
 costituirsi  parte civile, fra la persona offesa citata con l'atto di
 rinvio  a  giudizio  e  quella  citata  a  seguito  di  contestazione
 suppletiva  in  relazione  ad  un fatto gia' risultante dagli atti di
 indagine  al  momento  dell'esercizio  dell'azione  penale.  In  cio'
 sarebbe  altresi'  insita,  ad  avviso  del  remittente, una evidente
 lesione del diritto alla tutela giurisdizionale di  cui  all'art.  24
 della  Costituzione,  non  giustificata  da  altre  norme  o principi
 desumibili dal sistema costituzionale.
   2. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri  con  atto  del  7  ottobre 1995, chiedendo che la questione
 sollevata sia dichiarata infondata.
   L'Avvocatura,  ipotizzando  che  nella  specie   la   contestazione
 suppletiva  riguardasse  un  reato in concorso formale con quello per
 cui si procedeva, e dunque assumendo l'insussistenza di fatti storici
 diversi da quelli gia'  contestati,  sostiene  che  la  contestazione
 suppletiva  non  ha  comportato  alcuna  modificazione  della realta'
 processuale, ma solo una diversa qualificazione giuridica del  fatto,
 inidonea  come  tale a modificare i presupposti di fatto e di diritto
 dell'azione civile e i contenuti della  domanda  che  con  essa  puo'
 essere  proposta. Pertanto il soggetto passivo del reato non potrebbe
 fondatamente invocare simili vicende del processo  per  esercitare  a
 dibattimento  iniziato l'azione civile, che avrebbe potuto esercitare
 sin dall'inizio.
   Secondo   l'Avvocatura   peraltro   la   situazione   non   sarebbe
 sostanzialmente   diversa   se   si   versasse   in  una  ipotesi  di
 contestazione in  via  suppletiva  di  un  fatto  diverso,  ai  sensi
 dell'art.  516  cod.  proc.  pen.,  o  di  un  fatto  nuovo, ai sensi
 dell'art. 518. Infatti la statuizione del termine di decadenza per la
 costituzione di parte civile sarebbe razionalmente  giustificata  dai
 principi   fondamentali   della  stabilita'  dei  rapporti  giuridici
 processuali e della  accessorieta'  del  ruolo  della  parte  civile,
 combinati  con l'esigenza della speditezza del processo, in quanto la
 tardiva ammissione della parte  civile  comporterebbe  ingiustificati
 ritardi   nel  raggiungimento  del  primario  fine  di  accertare  la
 responsabilita' penale dell'imputato. Per converso questa regola  non
 potrebbe  limitare  i  concorrenti  principi cui si ispirano le norme
 sulla  contestazione  suppletiva,  i  quali   rifletterebbero   altre
 fondamentali  esigenze  del  processo,  vale a dire l'esigenza che la
 prova si formi nel corso del dibattimento e che l'emersione di  fatti
 oggetto  di  contestazione suppletiva non comporti, ove possibile, la
 retrocessione del processo a fasi antecedenti: con la conseguenza che
 il processo medesimo puo' subire "una forma di affinamento e  perfino
 di  sviluppo",  nel  superiore  interesse  della giustizia, alla sola
 condizione che siano rispettati i diritti dell'imputato.
   Pur ammettendo che in certi casi  di  contestazione  suppletiva  di
 fatti  nuovi  o  diversi puo' risultare di fatto impedito l'esercizio
 dell'azione  civile   in   sede   penale,   l'Avvocatura,   ribadendo
 l'accessorieta'  del  ruolo  della  parte  civile,  sostiene che tale
 eventualita'   non   configurerebbe   alcuna   lesione   di   diritti
 costituzionalmente  garantiti:  non si avrebbe violazione dell'art. 3
 della Costituzione perche' le norme in questione si  limiterebbero  a
 regolare   diversamente,   per   esigenze  razionali,  le  situazioni
 obiettivamente  differenziate  derivanti  dalla  formulazione   della
 contestazione  in via originaria e in via suppletiva. Non sarebbe poi
 violato  l'art.  24  perche'  la  Costituzione rimette al legislatore
 ordinario l'individuazione degli strumenti processuali accordati alle
 parti e non eleva a dignita' costituzionale la facolta' di esercitare
 l'azione civile in sede penale: tanto piu'  che  e'  stata  eliminata
 l'efficacia  del  giudicato penale in sede civile nei confronti delle
 parti che non siano intervenute nel processo penale.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  all'esame  di  questa   Corte   concerne   la
 legittimita'  costituzionale  della  preclusione,  che  discenderebbe
 dalle norme denunciate,  alla  costituzione  di  parte  civile  della
 persona  offesa  da  un reato contestato in via suppletiva, e che per
 questo  sia  stata  citata  in  giudizio  solo  dopo  l'apertura  del
 dibattimento.  Tale  evenienza  puo'  verificarsi  sia  nel  caso  di
 contestazione  suppletiva   di   un   fatto   "diverso"   da   quello
 originariamente  contestato,  ai  sensi dell'art.   516 del codice di
 procedura penale, o di un fatto  "nuovo",  ai  sensi  dell'art.  518,
 secondo comma, sia nel caso - in concreto verificatosi nel giudizio a
 quo  -  di contestazione suppletiva di un reato connesso a quello per
 cui si procede perche' in concorso formale col  medesimo  o  ad  esso
 legato  dal  vincolo  della  continuazione  (art.  517,  in relazione
 all'art. 12, primo comma, lettera b), cod. proc. pen.).
   2. - La questione e' infondata nei sensi di seguito precisati.
   Il giudice remittente muove dalla premessa  interpretativa  secondo
 cui  sarebbe  preclusa  in  ogni caso la costituzione di parte civile
 dopo la scadenza del  termine  di  cui  all'art.  79  del  codice  di
 procedura  penale,  e  cioe' dopo l'inizio del dibattimento, anche da
 parte della persona offesa citata per la prima volta in giudizio dopo
 quel   momento,   a   seguito   di   contestazione   suppletiva.   Ma
 l'interpretazione  delle  norme  denunciate fatta propria dal giudice
 remittente, ancorche' aderente alla lettera della disposizione di cui
 all'art. 79, non e' l'unica possibile.
   Come ha ritenuto, sulla scorta di  una  non  isolata  dottrina,  la
 Corte  di  cassazione  (sezione  III  penale,  sent.  n.  1722 del 27
 settembre 1995), il termine stabilito per la  costituzione  di  parte
 civile,  a  pena  di  decadenza, dall'art. 79 del codice di rito puo'
 essere inteso come vincolante  solo  in  relazione  alle  imputazioni
 contestate,  cosi'  che,  se  nel procedimento penale si introduce la
 contestazione di un nuovo fatto-reato, in relazione ad essa la  parte
 offesa  deve essere messa in grado di valutare se esercitare l'azione
 civile nella sede penale, prima che sullo stesso fatto-reato si  apra
 l'istruzione  dibattimentale;  onde non e' da considerarsi tardiva la
 costituzione di parte civile in relazione al reato contestato in  via
 suppletiva, effettuata in apertura della nuova udienza. Cio' non puo'
 non  valere,  a maggior ragione, quando a seguito della contestazione
 suppletiva venga individuata per la prima volta, e  venga  citata  in
 giudizio, una persona offesa fino a quel momento assente dal giudizio
 medesimo.
   3. - Cosi' interpretate, le norme denunciate sfuggono evidentemente
 alle  censure mosse nell'ordinanza del giudice remittente; mentre, al
 contrario, l'interpretazione da questi accolta conduce ad  attribuire
 alle  stesse  norme  un  significato  che sarebbe in contrasto con la
 Costituzione.
   E'  vero infatti che, di per se', il diritto per il danneggiato dal
 reato di esperire l'azione civile in sede penale non  e'  oggetto  di
 garanzia  costituzionale. Tuttavia in un sistema, come quello accolto
 nel vigente codice di procedura penale, in cui alla persona offesa e'
 accordata in via generale tale possibilita', in  vista  dell'unicita'
 del  fatto storico valutabile sotto entrambi i profili di illiceita',
 e al fine di  tutelare  l'interesse  del  danneggiato  a  partecipare
 all'accertamento  in  sede  penale del fatto medesimo (v. sentenze n.
 532 del 1995; n.   60 del 1996), sarebbe  irragionevole,  e  pertanto
 lesivo  del diritto costituzionalmente garantito di agire in giudizio
 in  condizioni  di  uguaglianza,  impedire  alla  persona  offesa  di
 esercitare  detta  facolta' in dipendenza della circostanza meramente
 casuale che  il  reato  da  cui  discende  l'offesa  sia  contestato,
 anziche'  in  via  originaria,  in  via  suppletiva,  e dunque che la
 medesima persona offesa sia citata in giudizio solo  dopo  l'apertura
 del  dibattimento.  Cio'  tanto piu' che nella fase dibattimentale la
 facolta' di costituirsi parte civile, con i diritti e  con  i  poteri
 che  ne  conseguono,  rappresenta  la principale e piu' significativa
 delle facolta' accordate dalla legge alla persona offesa  dal  reato:
 onde  non  puo'  ritenersi  che la citazione della persona offesa dal
 reato contestato in via suppletiva - richiesta, a pena  di  nullita',
 dall'art.  519  cod.  proc.  pen.  -  assolva,  come suggerito da una
 recente  dottrina,  alla  sola  funzione  di   consentire   ad   essa
 l'attivita'   di  supporto  e  di  controllo  rispetto  all'esercizio
 dell'azione penale del pubblico ministero.
   L'accennata  preclusione,  d'altra  parte,  non  avrebbe   adeguata
 giustificazione,  una  volta  che  lo  stesso ordinamento processuale
 contempla la possibilita' che  dopo  l'apertura  del  dibattimento  i
 fatti  di  reato per cui si procede vengano integrati o ridefiniti, e
 dunque che il processo conosca  nuovi  sviluppi,  rispetto  ai  quali
 sarebbe  illogico  e  contraddittorio  impedire ai soggetti coinvolti
 l'esercizio dei loro fondamentali diritti di ordine processuale: come
 questa Corte ha riconosciuto non  solo  con  riguardo  alla  facolta'
 dell'imputato  di richiedere il "patteggiamento" (sentenza n. 265 del
 1994) e di proporre domanda di oblazione (sentenza n. 530 del  1995),
 ma  anche  con  riguardo alla facolta' del pubblico ministero e delle
 parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove
 prove in relazione alle contestazioni introdotte  in  via  suppletiva
 (sentenze n. 241 del 1992 e n. 50 del 1995).
   Nemmeno  infine  potrebbe  farsi  valere in contrario l'esigenza di
 speditezza dei procedimenti, posto che comunque la norma  processuale
 obbliga, in caso di contestazione suppletiva, sia a concedere termine
 per  la difesa e a sospendere il dibattimento se l'imputato ne faccia
 richiesta (art. 519, primo e secondo comma, cod.  proc.  pen.),  e  a
 notificare   il  verbale  con  la  nuova  contestazione  all'imputato
 contumace o assente, fissando una nuova udienza (art. 520 cod.  proc.
 pen.);  sia  a  citare  la  persona  offesa osservando un termine non
 inferiore a cinque  giorni  (art.  519,  terzo  comma,  dello  stesso
 codice).
   4. - Deve dunque accogliersi, in virtu' del canone per cui fra piu'
 interpretazioni   possibili  va  preferita  quella  che  consente  di
 attribuire alla  norma  un  significato  conforme  alla  Costituzione
 (cfr.,  ex  plurimis  sentenze  n.  19  del  1995 e n. 121 del 1994),
 l'interpretazione delle norme denunciate che esclude  la  preclusione
 alla  costituzione  di  parte  civile  della persona offesa dal reato
 contestato in via suppletiva.
   Tale  conclusione,  si  puo'  aggiungere, deve valere a prescindere
 dalla  circostanza  che  la  contestazione  suppletiva  riguardi   un
 fatto-reato   gia'   risultante  dagli  atti  prima  dell'inizio  del
 dibattimento o al momento dell'esercizio dell'azione  penale,  ovvero
 un   fatto   emerso   successivamente,   nel   corso  dell'istruzione
 dibattimentale. Infatti in entrambi  i  casi  occorre  consentire  ai
 soggetti  presenti o che vengono evocati nel giudizio di esercitare i
 loro diritti in relazione ai fatti contestati.