Ricorso  della  regione  del  Veneto,  in  persona  del  presidente
 pro-tempore   della   Giunta   regionale,   on.   Giancarlo    Galan,
 rappresentata  e  difesa, come da delega a margine del presente atto,
 ed in virtu' di deliberazione di G.R. di autorizzazione  a  stare  in
 giudizio,  dagli  avv.  proff.    Giuseppe  Franco  Ferrari e Massimo
 Luciani e dall'avv. Romano Morra, ed elettivamente domiciliata presso
 lo studio del secondo, in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30,  contro
 il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri per la dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale del d.-l.   15 marzo  1996,    n.  124,
 pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale,  serie generale, n. 64 del 16
 marzo 1996, "Regime comunitario di produzione lattiera" (all. 1), nel
 suo insieme, nonche' in specie quanto all'art.   1,   primo e  quarto
 comma,   nella  parte  in  cui  si  prescrive  che  i  bollettini  di
 aggiornamento degli elenchi dei produttori da  pubblicarsi  dall'AIMA
 entro  il  31  marzo 1996 costituiscono accertamento definitivo delle
 posizioni individuali, sostituiscono ad  ogni  effetto  i  bollettini
 precedentemente  pubblicati  e vincolano gli acquirenti ai fini della
 trattenuta e del versamento del prelievo supplementare; all'art.   1,
 secondo  comma, nella parte in cui tale disposizione sospende fino al
 31 marzo  1997  l'efficacia  dell'art.  2-bis  del  decreto-legge  23
 dicembre  1994,  n.  727,  convertito  con  modificazioni in legge 24
 febbraio 1995, n. 46; all'art. 1, terzo comma,  nella  parte  in  cui
 tale  disposizione  introduce  un  sistema  di  ricorsi  estremamente
 oneroso per gli operatori.
   1. - Il regime delle c.d. quote latte, finalizzato al  contenimento
 della  produzione,  da  anni  eccedente nel mercato europeo, e' stato
 introdotto  in  Italia,  dopo  lungo  contenzioso  circa  l'effettiva
 entita'  della  produzione  interna  e  la irrogazione delle relative
 sanzioni comunitarie, dalla legge 26 novembre 1992, n. 468.
   Tale testo normativo, dopo avere  demandato,  all'art.  2,  secondo
 comma,  la redazione di elenchi dei produttori titolari di quota e la
 loro pubblicazione in appositi bollettini all'Azienda  di  Stato  per
 gli  interventi  nel  mercato  agricolo  (AIMA),  all'art. 2, secondo
 comma, limitatamente ai  produttori  di  associazioni  aderenti  alla
 UNALAT, dispone la articolazione della quota in due parti: l'una (A),
 commisurata  alla  produzione  di  latte commercializzata nel periodo
 1988-1989;  l'altra  (B),   rapportata   alla   maggiore   produzione
 commercializzata nel periodo 1991-1992.
   Poiche' peraltro il regolamento C.E.E. del Consiglio n. 804/68, del
 27 giugno 1968, contemplava la periodica rideterminazione delle quote
 nazionali  spettanti  all'Italia, i commi sesto e ottavo dello stesso
 art.  2  assegnavano  alle  Regioni  il  compito  di  vigilare  sulla
 effettiva  produzione  dei singoli operatori e di comunicare all'AIMA
 per l'aggiornamento del bollettino le eventuali situazioni  di  quota
 assegnata    superiore    a   quella   effettiva,   e   al   Ministro
 dell'agricoltura e foreste,  acquisito  il  parere  della  Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato e le Regioni e sentite le
 organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, in caso di
 eccedenza delle quantita' attribuite ai produttori alla  stregua  dei
 commi  secondo  e  terzo rispetto alle quote nazionali individuate in
 sede comunitaria, di stabilire con proprio decreto i criteri generali
 per il pieno allineamento con le  quote  nazionali  nell'arco  di  un
 triennio.  Lo  stesso ottavo comma imponeva che, con riferimento alle
 riduzioni obbligatorie della quota B, si tenesse conto "dell'esigenza
 di  matenere  nelle  aree  di  montagna  e  svantaggiate  la  maggior
 quantita' di produzione lattiera".
   2.  - Il decreto-legge 23 dicembre 1994, n. 727, poi convertito con
 modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n.  46  ha  poi  operato  la
 riduzione  delle  quote  B  per  singolo produttore, con l'esclusione
 degli operatori delle stalle ubicate nelle zone montane di  cui  alla
 direttiva  del  Consiglio  C.E.E.  75/268  del  28  aprile  1975,  da
 effettuarsi entro il 31 marzo 1995 con  operativita'  dalla  campagna
 1995-1996.
    La legge di conversione ha innovato il decreto come segue:
     La  legge  di  conversione  46/1995  ha  innovato il decreto come
 segue:  a) ha previsto (art. 2, primo comma, lett. O.a)) la riduzione
 della quota A non in produzione, almeno qualora essa  ecceda  il  50%
 della quota A attribuita; b) dopo avere confermato la riduzione della
 quota  B (lett. a)), ha escluso (lett. b)) da entrambe le riduzioni i
 produttori non solo titolari di stalle ubicate in zone  di  montagna,
 ma   anche  quelli  operanti  "nelle  zone  svantaggiate  e  ad  esse
 equiparate nonche' nelle isole"; c)  ha  consentito  (art.  2,  comma
 2-bis)   che   i   produttori  che  abbiano  ottenuto,  anteriormente
 all'entrata in vigore della legge n. 468/1992, l'approvazione  di  un
 piano  di  sviluppo  o  di  miglioramento  zootecnico  da parte della
 Regione e che lo abbiano realizzato, possano chiedere la assegnazione
 di una quota corrispondente all'obiettivo di produzione indicato  nel
 piano medesimo, in sostituzione delle quote A e B.
   Piu' in generale il decreto-legge n. 727/1994 e la legge n. 46/1995
 hanno  soppresso la previa consultazione della Conferenza tra Stato e
 Regioni, rimettendo la istruttoria e la predisposizione del piano  di
 rientro esclusivamente all'istanza ministeriale.
   Inoltre,    la   normativa   ha   introdotto   un   meccanismo   di
 autocertificazione delle produzioni, in base al quale gli  acquirenti
 sono  autorizzati  a  considerare  i quantitativi autocertificati dai
 produttori.
   3. - La legge n. 46/1995 insieme con  il  decreto-legge  convertito
 veniva  impugnata  dalla  Regione  del  Veneto  con ricorso rubricato
 23/1995  (all.  2),  con   allegazione   di   numerosi   profili   di
 incostituzionalita'.   Codesta ecc.ma Corte, a seguito di discussione
 nella pubblica udienza del 23 novembre 1995, con decisione n. 520 del
 28 dicembre 1995 accoglieva il predetto ricorso, in  una  con  quello
 presentato  dalla  Regione  Lombardia e rubricato con n.r.g. 22/1995,
 sotto il profilo della incostituzionalita' dell'art. 2, primo  comma,
 della legge, nella parte in cui non vi si contemplava il parere delle
 Regioni   interessate  nel  procedimento  di  riduzione  delle  quote
 individuali spettanti ai produttori di latte bovino.
   4. - Il Governo e' ora intervenuto nuovamemte con  la  decretazione
 di  urgenza  nel  delicato settore de quo, adottando il decreto legge
 impugnato con il  presente  ricorso.  Esso,  in  specie:  a)  demanda
 all'AIMA,  entro il 31 marzo 1996, di nuovo senza previo parere delle
 Regioni interessate dagli enventuali tagli, la  pubblicazione  di  un
 bollettino  di aggiornamento degli elenchi dei produttori titolari di
 quota e dei quantitativi loro spettanti delle quote  latte  1995-1996
 (art.  1, primo comma); b) stabilisce che, ai fini della trattenuta e
 del  versamento  del  prelievo  supplementare  per  il 1995-1996, gli
 acquirenti siano tenuti all'osservanza delle risultanze del  predetto
 bollettino  di aggiornamento (art. 1, quarto comma); c) sospende sino
 al 31  marzo  1997  l'efficacia  dell'art.  2-bis  del  decreto-legge
 727/1994  convertito  con  modificazioni  in  legge  46/1995 (art. 1,
 secondo    comma);  d)  detta  disposizioni  sulla  tutela   in   via
 amministrativa  dei produttori avverso le determinazioni del predetto
 bollettino di aggiornamento (art.  1, terzo comma).
   5. - La disciplina di  cui  all'art.  2  della  legge  n.  46/1995,
 dichiarata   incostituzionale  dalla  Corte  nella  citata  decisione
 520/1995, e ora richiamata ex novo, in quanto l'art. 1,  primo  comma
 non   detta   nuove   e  diverse  modalita'  di  confezionamento  del
 bollettino, ancora in assenza del parere delle Regioni,  dalla  Corte
 stessa  dichiarato  indispensabile  e dunque "additivamente" inserito
 nel procedimento  di  formazione  del  bollettino,  e'  da  se'  sola
 sufficiente,   almeno  in  termini  previsionali,  a  determinare  il
 virtuale azzeramento della quota B nelle aziende  di  pianura,  e  in
 specie  in  quelle  della Regione ricorrente - ad un primo calcolo la
 quota B subirebbe infatti un brutale taglio del 74%  circa  -  e  una
 rilevante diminuzione della quota A.
   In  altre  parole,  il bollettino di cui all'art. 1, primo e quarto
 comma, del decreto-legge impugnato sostituisce quelli  preveduti  dal
 regime  normativo precedente, continua a prescindere dal parere delle
 regioni interessate  dai  tagli  in  violazione  del  disposto  della
 decisione  520/1995,  e  in piu' assume una natura o almeno una forza
 particolare, in quanto esso ha valore  di  "accertamento  definitivo"
 delle  posizioni  individuali dei produttori (art. 1, primo comma: v.
 supra, punto 4.a)) e del pari di vincolo eslusivo nei confronti degli
 acquirenti (e per  conseguenza  delle  aspettative  patrimoniali  dei
 produttori:  art. 1, quarto comma, e supra, punto 4.b)). Inoltre esso
 interviene a regolamentare con la predetta peculiare forza i rapporti
 produttivi   nel   settore  con  efficacia  retroattiva,  a  campagna
 1995/1996  conclusa,  con  disastrosi  effetti  su  interi  patrimoni
 aziendali e, non di mero riflesso, sulle attribuzioni regionali, dato
 che  l'automatismo degli effetti comporta la virtuale spoliazione dei
 poteri regionali di indirizzo, programmazione e controllo del settore
 lattiero-caseario.
   Nella sostanza della disciplina applicata, poi, va ribadito che  la
 regione  ricorrente,  a  differenza  di  altre  regioni,  non  ha mai
 approvato - come ci si riserva di documentare in vista della pubblica
 udienza - piani di sviluppo e miglioramento  comportanti  aumenti  di
 produzione  del  latte  e  dunque,  a far data dal 12 marzo 1985, non
 annovera operatori in grado di  avvalersi  della  sostituzione  delle
 quote  A e B con i piu' favorevoli obbiettivi dei piani di sviluppo e
 miglioramento.
    Per sovrammercato, la  introduzione  in  via  di  urgenza  di  una
 disciplina  sfavorevole nella sostanza e con efficacia retroattiva si
 accompagna alla individuazione (art. 1, terzo comma e punto 4.d))  di
 un  regime di autotutela da ricorso estremamente penalizzante per gli
 operatori.
   Le disposizioni di cui in epigrafe sono dunque  illegittime  per  i
 seguenti
                              M o t i v i
   1.  -  Occorre in limine rilevare che con il seguente ricorso viene
 impugnato un decreto-legge, eppercio' un atto provvisorio  con  forza
 di  legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Non e' dato, allo
 stato,  divinare  il  futuro  delle  previsioni  normative  in   esso
 contenute:   non si puo' - cioe' - sapere se l'atto verra' convertito
 in legge, se in mancanza di  conversione  vi  sara'  sanatoria  degli
 effetti  comunque  prodotti  medio  tempore,  oppure  se  il  decreto
 decadra' senza alcun ulteriore intervento.
   E' dunque necessario sin d'ora  richiedere  che,  nell'eventualita'
 della   sanatoria   del  decreto  non  convertito,  le  questioni  di
 costituzionalita'  sollevate  con   il   presente   ricorso   vengano
 trasferite,  conformemente  al principio fissato dalla sent. 84/1996,
 sulla  legge  di  sanatoria.    Analogo  trasferimento  si  richiede,
 peraltro,   nell'eventualita'  che  il  decreto  venga  semplicemente
 reiterato. Come la cit. sent. 84  ha  affermato,  infatti,  cio'  che
 conta,  nel  giudizio  di costituzionalita', sono le norme impugnate,
 non gia' le disposizioni che le "veicolano".
   Il principio posto alla  base  del  trasferimento  sulla  legge  di
 sanatoria  deve essere dunque alla base, a forfait, del trasferimento
 sull'eventuale decreto "reiterante", attesa l'indubbia continuita' di
 contenuto normativo che - per definizione -  lega  l'atto  reiterante
 all'atto reiterato.
   2.  -  Nel  merito,  si deve, in primo luogo, lamentare la radicale
 illegittimita' costituzionale dell'intero decreto-legge n. 124/1996.
   Per   costante   giurisprudenza   di    codesta    ecc.ma    Corte,
 l'illegittimita'   costituzionale  di  interi  testi  legislativi  si
 determina laddove il legame fra  le  singole  disposizioni  che  essi
 contengono  sia tale che il ripristino della legalita' costituzionale
 violata non e' possibile se non  a  condizione  di  folgorare  l'atto
 fonte  nella  sua  totalita'.    Nel  caso  sottoposto al giudizio di
 codesta ecc.ma Corte, l'illegittimita' dell'intero testo del  decreto
 impugnato deriva da un duplice ordine di vizi:
   2.1. - Violazione degli artt. 77, 117 e 118 della Costituzione.
   L'impugnato  decreto  risulta  privo dei requisiti essenziali della
 straordinarieta', necessita' e urgenza che,  ai  sensi  dell'art.  77
 della  Costituzione,  condizionano  la  legittimita' dell'adozione di
 decreti-legge da parte del  Governo.  Nessuna  delle  previsioni  del
 decreto,  invero,  appare - almeno legittimamente (v. quanto si dira'
 sul punto, al n. 3.1. del presente ricorso) finalizzata allo scopo di
 fronteggiare situazioni cosi' chiaramente  segnate  dall'urgenza,  da
 richiedere  l'intervento  di  un atto adottato ai sensi dell'art.  77
 della Costituzione e non il ricorso al normale  iter  legislativo  di
 cui agli artt. 70 e seguenti. Si tratta infatti di aggiustamenti (per
 giunta  illegittimi) delle previsioni dettate dalla legge 26 novembre
 1992, n. 468 e dalla legge 24 febbraio 1995 n. 46, dei quali  non  e'
 dato rinvenire, in alcun modo, l'urgenza.
   Il   Governo,   oltre   tutto,   ha   agito   in  modo  addirittura
 contraddittorio, stabilendo  la  sospensione  dell'efficacia  di  una
 parte  del  decreto-legge  23  dicembre  1991 n. 727 sino al 31 marzo
 1997. E' infatti veramente difficile comprendere quale sia  l'urgenza
 della  sospensione (per oltre un anno|) dell'efficacia di un atto che
 esso pure dovrebbe essere urgente (tanto necessariamente urgente, che
 solo  nella  misura  in  cui  effettivamente  e'  tale   puo'   dirsi
 legittimo).  In  realta',  ci  troviamo  qui  di  fronte all'ennesimo
 episodio di illegittimo esercizio di un potere che la Costituzione ha
 concepito come eccezionale  ("straordinario"),  e  che  invece  viene
 sempre  piu'  frequentemente  impiegato come strumento "ordinario" di
 produzione normativa primaria.
   Mancano percio' del tutto  quei  presupposti  costituzionali  della
 decretazione   d'urgenza  la  cui  carenza  e',  dalla  piu'  recente
 giurisprudenza costituzionale, ritenuta censurabile (sent.  29/1995),
 specie  quando sia evidente e conclamata (sent. 165/1995), come nella
 specie e'.
   Va qui precisato che la regione ricorrente non lamenta  la  pura  e
 semplice  violazione  dell'art. 77 della Costituzione, bensi' anche e
 soprattutto la lesione delle competenze costituzionali  che  ad  essa
 sono   riconosciute.   E'  infatti  anche  attraverso  la  violazione
 dell'art.  77 della Costituzione da parte del decreto-legge impugnato
 che   tale   lesione   si   e'   consumata,   poiche'   il   Governo,
 illegittimamente  esercitando  le  facolta'  di cui all'art. 77 della
 Costituzione,  ha  finito  -  come  appresso  si  dimostrera'  -  per
 sottrarre  alla  regione il potere di regolare un settore come quello
 della produzione  lattiera,  che  la  Costituzione,  in  una  con  la
 normativa  ordinaria  di  trasferimento delle funzioni, sine dubio le
 affida   nell'ambito   della   materia   "agricoltura".      Di  qui,
 l'ammissibilita' della relativa censura (cfr. sentt. n. 32/1960; 64 e
 183/1987; 272 e 302/1988; 87/1996).
   Va infine sottolineato che il decreto impugnato non si  occupa  (se
 non    per   produrre,   come   appresso   si   rileva,   una   nuova
 incostituzionalita') del  solo  profilo  che  avrebbe  dovuto  invece
 legittimamente  e  necessariamente  toccare:  quello  - cioe' - della
 disciplina dei rapporti fra  Stato  e  Regione  nel  procedimento  di
 riduzione  delle  quote  individuali spettanti ai produttori di latte
 bovino, rapporti che avrebbero dovuto essere  ulteriormente  regolati
 (in  senso  garantista per le Regioni) alla luce della sent. 520/1995
 di codesta ecc.ma Corte, che, sebbene additiva, avrebbe probabilmente
 abbisognato di ulteriore  attuazione  e  specificazione  legislativa.
 Anche   di  qui,  la  pretermissione  delle  esigenze  costituzionali
 (scolpite nell'art. 77 della Costituzione)  da  parte  dell'impugnato
 decreto emerge con chiarezza.
   2.2.  -  Violazione  degli  artt.  3,  11,  41,  117  e  118  della
 Costituzione.
   In estrema sintesi, il provvedimento legislativo qui  impugnato  e'
 ispirato  alla  ratio di individuare, quale strumento attuativo delle
 contestate scelte di merito contenute  nell'art.  2  della  legge  n.
 46/1995, un bollettino assolutamente unico nel suo genere e munito di
 caratteri   del  tutto  speciali:  la  retroattivita'  rispetto  alla
 campagna ormai conclusa  (art.  1,  primo  comma),  la  definitivita'
 rispetto  ai produttori (ibidem) e agli acquirenti (quarto comma), la
 non  definitivita'  nel  senso  amministrativo   del   termine   (per
 impugnarlo  giurisdizionalmente  occorre  infatti  avere  previamente
 esperito il rimedio  amministrativo  in  opposizione  avanti  l'AlMA:
 terzo  comma), la non sostituibilita' con strumenti autocertificativi
 precedentemente introdotti dal  Governo  sempre  in  via  di  urgenza
 (secondo  comma), la capacita' di precludere persino le compensazioni
 dovute in base alla disciplina comunitaria se  l'operatore  lo  abbia
 attaccato  con  impugnazioni, per tutta la durata di tempo necessaria
 per definirle.
   Per tutto questo, il decreto impugnato  appare  complessivamente  e
 nella  sua integrita' costituzionalmente illegittimo per i vizi sopra
 esposti.
   3.1. - Specificamente viziati da illegittimita' costituzionale, per
 violazione degli artt. 11, 47, 117 e 118 della Costituzione, sono poi
 i commi 1 e 4 dell'art. 1 del  d.-l.  n.  124/1996.  Il  primo  comma
 prescrive   che   l'AIMA  deve  pubblicare  appositi  bollettini  "di
 aggiornamento" degli elenchi dei produttori titolari di quota nonche'
 delle quote di loro spettanza per il periodo 1995-1996 "entro  il  31
 marzo  1996".  Tali  bollettini costituiscono accertamento definitivo
 delle posizioni individuali, e  sostituiscono  "ad  ogni  effetto"  i
 bollettini che l'AIMA ha precedentemente pubblicato per il periodo di
 riferimento.  A sua volta, il quarto comma dispone che gli acquirenti
 del latte prodotto, ai fini della trattenuta  e  del  versamento  del
 prelievo  supplementare,  devono  considerare esclusivamente le quote
 individuali risultanti dai bollettini di cui al primo comma.
   Come si  evince  gia'  da  una  prima  lettura,  tali  disposizioni
 introducono  nel  nostro  ordinamento, ancorche' ad hoc e per la sola
 campagna 1995-1996, una categoria del tutto speciale di bollettini, i
 cui effetti sul settore lattiero-caseario e sul governo dello  stesso
 da  parte delle regioni sono devastanti. I bollettini di cui trattasi
 sono infatti la sola fonte  di  individuazione  delle  posizioni  dei
 singoli  produttori  per  la  campagna 1995-1996, e posseggono valore
 definitivo,  nonche'  sostitutivo  di  qualunque   altra   precedente
 determinazione.
   Tali  bollettini,  pero', riguardano - illogicamente - una campagna
 che sostanzialmente  si  e'  gia'  conclusa  al  momento  in  cui  le
 disposizioni  impugnate  sono divenute operative. Conseguentemente, i
 loro  effetti  sono  da  considerarsi  retroattivi.  La  campagna  di
 produzione  del  latte  non coincide infatti con l'anno solare, ma va
 dal 1 aprile al 31 marzo. Sin dall'inizio, dunque,  i  bollettini  di
 cui  all'art.  1,  primo  e  quarto  comma, erano concepiti come atti
 destinati a produrre effetti pro praeterito tempore (e cioe'  per  la
 campagna  1995-1996  ormai  conclusa),  ed  anzi era addirittura (non
 semplicemente prevedibile ma) scontato che la loro pubblicazione  non
 avrebbe   potuto  praticamente  intervenire  nel  brevissimo  spatium
 temporis intercorrente fra l'entrata in vigore del decreto  impugnato
 (17  marzo)  e  il  successivo  31  marzo,  data di conclusione della
 campagna 1995-1996. In realta', il  nuovo  strumento  introdotto  dal
 decreto  "nuovo"  perche', nonostante il nomen iuris di "bollettino",
 produce effetti assolutamente inediti) era dall'origine -  appunto  -
 destinato  ad  operare solo per il passato, senza alcuna possibilita'
 di utilizzazione per il futuro.
   In questo modo si determina  una  pluralita'  di  violazioni  delle
 menzionate  previsioni  costituzionali.  Anzitutto, viene violato, in
 una con gli artt. 117  e  118  della  Costituzione  (che  definiscono
 l'ambito  di  attribuzioni delle regioni) e con l'art. 41 (che impone
 il controllo e l'indirizzo della produzione privata a fini  sociali),
 l'art.  11  della  Costituzione  atteso  che  la  ricordata scansione
 temporale delle campagne di  produzione  del  latte  e'  fissata  dal
 Regolamento CEE n.  804/68. Disciplinare retroattivamente, a campagna
 sostanzialmente   conclusa,  le  posizioni  individuali  dei  singoli
 produttori significa violare la lettera e lo spirito della  normativa
 comunitaria.
   Questa,   infatti,   prevedendo  una  certa  periodizzazione  delle
 campagne di produzione del latte, intende far si' che si realizzi una
 gestione corretta e programmata della produzione  lattiera  medesima,
 che   deve   essere   calibrata  proprio  su  detta  periodizzazione.
 Sconvolgimenti a posteriori della disciplina di settore  come  quello
 determinato  dalle  disposizioni  impugnate  sono dunque radicalmente
 contrari alla normativa comunitaria  (e  conseguentemente  all'ordine
 costituzionale dei rapporti fra Stato e Regioni, che quella normativa
 contribuisce a definire).
   E'  proprio  allo scopo di assicurare quella corretta e programmata
 gestione, del resto, che l'art. 4,  secondo  comma,  della  legge  n.
 468/1992  aveva  previsto  in  via  generale che i bollettini fossero
 pubblicati entro il 31 gennaio di ciascun  anno:  che  senso  avrebbe
 avuto,  una pubblicazione successiva alla conclusione della campagna,
 quando i produttori hanno gia' determinato i loro  obiettivi,  ovvero
 li hanno gia' raggiunti?
   Coerentemente,  invero,  la stessa disposizione normativa prevedeva
 (e prevede) che i bollettini da pubblicarsi "entro il 31  gennaio  di
 ciascun  anno"  contenessero  "gli  elenchi aggiornati dei produttori
 titolari di quota e dei quantitativi ad essi  spettanti  nel  periodo
 avente inizio il 1 aprile successivo". Il bollettino aveva dunque (ed
 ha)  la  (ovvia)  funzione  di  determinare le quote spettanti per il
 futuro, non certo quella di  riferirsi  a  quantitativi  relativi  al
 passato.  Le  disposizioni  impugnate  determinano  dunque una vera e
 propria deroga alla previsione generale della legge n.  468/1992,  ma
 senza  alcuna  giustificazione  razionale  e  in spregio della stessa
 normativa comunitaria.
   Violati, parallelamente, sono, di nuovo, in una con l'art. 41 della
 Costituzione, gli artt. 117 e 118. Le regioni, alle quali  la  stessa
 sent.  n.  520/1995  riconosce  un  ruolo  preminente nel governo del
 settore lattiero-caseario, sono  totalmente  spossessate  delle  loro
 attribuzioni  programmatorie  dagli  effetti  retroattivi  dei  nuovi
 bollettini, che determinano conseguenze del tutto incontrollabili sia
 per i produttori che per l'ente territoriale preposto - come detto  -
 al governo del settore. Il paradosso di uno strumento concepito quale
 mezzo di programmazione (il bollettino) che si trasfigura in mezzo di
 registrazione  di  realta'  pregresse (il nuovo bollettino creato dal
 primo e quarto comma dell'art.  1) e' evidente. Ed  e'  un  paradosso
 che  determina una palese illegittimita' costituzionale, nella misura
 in cui da esso consegue la  sottrazione  alle  regioni  di  qualunque
 facolta'  di  governo e programmazione della produzione lattiera, che
 viene assunta come un dato,  riferito  al  passato,  e  non  come  un
 obiettivo proiettato (come dovrebbe essere) nel futuro.
   Cosi'  stando  le  cose,  si  potrebbe  anche  osservare  che,  ove
 all'impugnato decreto fosse stata davvero sottesa un'urgenza,  questa
 non  avrebbe  potuto che stare nell'intenzione di determinare effetti
 retroattivi su di una campagna di produzione lattiera sostanzialmente
 gia'  conclusa:    proprio  questa,  e  non  altra,  e'  infatti   la
 conseguenza della previsione normativa qui censurata. Cio', pero', in
 aperta  violazione della Costituzione e delle norme interposte che ne
 integrano le previsioni (in particolare, del  menzionato  Regolamento
 CEE  n.  804/68  e  della  legge  n.  468/1992), perche' - come si e'
 rilevato - la disciplina retroattiva della campagna 1995-1996 ha leso
 le attribuzioni regionali e violato i precetti comunitari. Se urgenza
 davvero vi era, dunque, era  un'urgenza  incostituzionale,  eppercio'
 non  assumibile  quale  legittimo  fondamento  dell'uso  di potere di
 decretazione d'urgenza. Tanto, ad ulteriore  conferma  delle  censure
 gia'  formulate, in riferimento agli artt. 77, 117 e 118, al punto n.
 2.1. del presente ricorso.
   3.2. - Violazione degli artt. 3, 24 e 113  della  Costituzione,  in
 riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione).
   L'art.  1,  terzo  comma,  del decreto-legge impugnato definisce un
 discutibile - sotto tutti i profili - regime di ricorsi.
   Le sue lacune e piu' ancora i suoi sviamenti di potere  legislativo
 sono  molteplici  e  gravissimi,  proprio  per  i  loro effetti sulle
 prerogative regionali.
    Si considerino infatti le seguenti anomalie:
     il dies a  quo  dei  ricorsi  amministrativi  in  opposizione  da
 proporre  all'AIMA e' incerto, non essendo chiaro se la pubblicazione
 menzionata nel terzo comma 3  dell'art.  1,  sia  la  diffusione  del
 bollettino  a  cura  della regione (la conoscenza degli operatori non
 puo' certo avere luogo nello stesso giorno) o la riproduzione di esso
 in bollettino ufficiale della regione;
     il  termine  assegnato  e'  brevissimo,  ben  piu'  di quanto non
 contempli la revisione dei rimedi amministrativi operata  con  d.P.R.
 n. 1199/1971;
     il  ricorso  giurisdizionale sembra essere possibile, sia in caso
 di silenzio-rigetto da parte dell'AIMA che  di  reiezione  esplicita,
 solo dopo la pronuncia sul ricorso amministrativo in opposizione, con
 il  risultato  che si tenta di operare una restrizione neppure troppo
 occulta della  tutela  giurisdizionale,  in  spregio  non  solo  alle
 disposizioni  costituzionali  citate  in  epigrafe,  ma  altresi'  ai
 principi della riforma del processo amministrativo operata con  legge
 n. 1024/1971.
   E'  chiaro  trattarsi di misura sostanzialmente ritorsiva a seguito
 delle massicce soccombenze giudiziali subite sin qui da AIMA, EIMA, e
 MIRAAF avanti  i  giudici  amministrativi  di  primo  grado  come  di
 appello,  sia  in  sede  cautelare  che  di merito. In altri termini,
 sembra  reintrodotto  il  superato  principio   della   definitivita'
 dell'atto   amministrativo   quale   presupposto  dell'  impugnazione
 giurisdizionale;
     la  sospensione  per  circa  un  anno  della   autocertificazione
 prevista  dall'  art.  2-bis  della  legge  n. 46/1995 (secondo comma
 dell'art.1) esclude che la proposizione del  ricorso  in  opposizione
 possa  consentire  pur  provvisoriamente  la  percezione da parte dei
 produttori del compenso da parte degli acquirenti pur con riferimento
 - si badi - alla campagna gia' conclusa, sicche'  chi  vanta  crediti
 per  consegne  operate  legittimamente  in tempi in cui la disciplina
 retroattiva sfavorevole non era vigente non  ha  alcuna  speranza  di
 riscuoterli, nonostante la proposizione del rimedio amministrativo;
     infine,  poiche'  gli  accertamenti  da  effettuare a seguito dei
 ricorsi in opposizione e dei ricorsi  giurisdizionali  amministrativi
 richiederanno tempi medio-lunghi, le compensazioni previste dall'art.
 2  dello  stesso decreto impugnato non potranno essere effettuate nei
 tempi stabiliti dal secondo comma. Gli operatori si troveranno dunque
 nell'alternativa, distruttiva dei loro  diritti  di  difesa,  di  non
 impugnare per incassare le compensazioni, anche in presenza di errori
 o  abusi,  o  di  impugnare,  correndo il rischio di restare privi di
 incassi per mesi o per anni, pur  con  riferimento  a  consegne  gia'
 eseguite nella campagna conclusa.
   Le  gravi disfunzioni processuali sopra sommariamente descritte non
 potranno non trasformarsi in elementi di ulteriore lesivita'  per  le
 regioni  della  disciplina  contestata;  queste  ultime, gia' private
 ancora  una  volta  di  qualunque  potere  di  intervento,  pur  solo
 consultivo,  sui tagli da operare, dovranno cosi' subire anche l'onta
 della impossibilita' virtuale di governare sul  piano  programmatorio
 un comparto della politica agraria che non potra' non venire percorso
 da un contenzioso capillare, diffuso e squassante.
   4.1.  -  Violazione  degli artt.11, 5, 117 e 118 della Costituzione
 sotto il profilo  della  contarieta'  a  norme  comunitarie  e  della
 invasione  della  sfera  di  competenza  legislativa e amministrativa
 regionale.
   Il decreto impugnato, non introducendo alcun nuovo criterio per  il
 riparto  dei tagli alla sovrapproduzione nazionale di latte, non puo'
 non sottendere il richiamo alla disciplina  contenuta  nell'art.    2
 della legge n. 46/1995, pur calandola in uno strumento amministrativo
 (il  "nuovo"  bollettino)  dotato  -  come si e' detto - di una forza
 assolutamente  peculiare.  Ne  deriva che devono essere riproposte in
 questa nuova ottica censure a suo tempo  formulate  contro  l'art.  2
 della legge n. 46/1995, e ora rilegittimate e dotate di nuovo vigore,
 nonostante   la   decisione   520/1995,   anche   alla   luce   della
 retroattivita' contestata sub 2.
   La regione ricorrente non ha adottato, dopo il 12 marzo 1995,  data
 di  entrata  in  vigore del Regolamento C.E.E. 797/85, che insieme al
 successivo 2328/91 disciplina i piani di sviluppo e di miglioramento,
 alcun piano contenente  previsioni  di  incremento  della  produzione
 lattiero-casearia.  Tale  correttezza  di  comportamento  viene cosi'
 penalizzata, e al contrario l'illecito comunitario commesso da  altre
 regioni viene premiato, anziche' sanzionato.
   Si violano cosi' l'art. 11 Cost., e gli art. 5, 117 e 118, sotto il
 profilo  della  competenza  legislativa e amministrativa regionale, a
 suo  tempo  correttamente  esercitata  nel  rispetto  degli  obblighi
 comunitari  e  ora penalizzata sia per il futuro che retroattivamente
 per  il  passato  dal  premio  accordato  ad  altre   regioni,   gia'
 responsabili  di  illecito comunitario nella approvazione di piani in
 aumento. Si  intende  documentare  specificamente  che  il  Ministero
 dell'agricoltura  a suo tempo richiamo' espressamente le regioni e in
 specie la ricorrente, al rispetto  del  divieto  di  approvazione  di
 piani  in aumento. Sicche' ora il comportamento dell'esecutivo non si
 limita a tenere conto di uno stato di fatto, ma legalizza  con  nuovo
 illecito  comunitario  un  precedente  illecito, dandogli dignita' di
 presupposto fattuale da cui trarre le mosse. Ne' l'aspettativa  della
 regione ricorrente e dei suoi  produttori al rispetto della legalita'
 da  parte  di  tutti i soggetti coinvolti nella disciplina di settore
 puo' venire prospettata come generico affidamento  travolgibile,  per
 giunta in via di urgenza e in forma retroattiva.
   4.2.  -  Violazione  degli  artt.  3  e  41  della Costituzione, in
 riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione.
   L'illegittimita'   costituzionale   prospettata   sub   4.1.   puo'
 considerarsi  anche  come  violazione  degli  artt.  3  e  41  per la
 discriminatoria quanto ingiustificata penalizzazione degli  operatori
 agricoli  del settore lattiero-caseario della regione ricorrente, non
 fondata su  alcun  ragionevole  parametro  classificatorio,  ed  anzi
 imperniata  su  di  un  parametro espressamente vietato e configurato
 come un disvalore dalla  normativa  comunitaria.  La  compressione  o
 peggio la soppressione della attivita' produttiva pregiudica non solo
 gli  stessi  operatori  colpiti,  ma  anche,  e  non  di riflesso, la
 effettivita' della funzione legislativa e  amministrativa  regionale,
 vanificata nella sua sostanza.
   4.3.  -  Violazione  degli  artt.  5, 117 e 118 della Costituzione,
 anche con riferimento all'art.  2,  settimo  comma,  della  legge  n.
 468/l992.  Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato
 e regioni.
   Nella  decisione  520  piu'  volte  citata  codesta ecc.ma Corte ha
 ritenuto non incostituzionale la mancata previsione  della  legge  n.
 46/1995  del  necessario  svolgimento della Conferenza Stato-regioni,
 atteso che essa va coinvolta soltanto  per  la  determinazione  degli
 indirizzi generali della legislazione da adottare.
   La Corte ha pero' dichiarato incostituzionale la mancata previsione
 "di   qualsivoglia   partecipazione   regionale  al  procedimento  di
 riduzione delle quote individuali", anche alla luce della  precedente
 diretta  preposizione  delle  regioni  stesse,  ad opera dell'art. 2,
 secondo  comma, della legge n. 468/1992, alla procedura di riduzione.
 In altre parole, la Corte ha inteso che la presenza regionale dovesse
 essere garantita non tanto "a monte"  dell'intervento    legislativo,
 giacche'  la consultazione e' prescritta solo sui lineamenti generali
 e  non  sui  singoli  testi  di   legge,   quanto   piuttosto   -   e
 imprescindibilmente "la valle" dell'intervento legislativo, una volta
 che debba darglisi attuazione mediante la adozione del bollettino che
 poi le regioni sono tenute a divulgare.
   Orbene,  la  statuizione  della  Corte ha bensi' avuto l'effetto di
 introdurre additivamente nell'art. 2 della legge n. 46/l995 il parere
 regionale non originariamente inclusovi dal legislatore statale.   Ma
 tale  inserimento  valeva per il procedimento ordinario di produzione
 del bollettino. Nel caso di specie, invece, il decreto  impugnato  ha
 previsto  la adozione di un bollettino unico nel suo genere, dotato -
 come si e' detto - di una forza speciale (essendo  conclusivo  per  i
 produttori   e   definitivo   per   gli   acquirenti)  e  addirittura
 assoggettato ad una tutela rafforzata contro impugnative dei soggetti
 da  esso  pregiudicati.  Rispetto  a  tale  species  di   bollettino,
 ridisciplinato  nel  procedimento,  nella forza, negli effetti, nella
 tutela, il legislatore governativo avrebbe dunque  dovuto  prevedere,
 secondo   il   facilmente   comprensibile   precetto   della   Corte,
 l'intervento partecipativo regionale  in  vista  della  adozione  del
 bollettino,  cioe'  appunto a valle del decreto-legge, ma per effetto
 delle previsioni da contenersi in esso,  in  vista  del  riparto  dei
 tagli da praticare.
   Viceversa,  il  legislatore,  ricadendo  nel  suo  comportamento di
 sempre, neppure questa volta ha previsto alcun  intervento  regionale
 in  tale  fase.  A  tale titolo non vale certo la seduta del Comitato
 permanente per le politiche agricole, alimentari e forestali  del  15
 febbraio  1995,  in cui il Ministro ha semplicemente preannunciato il
 ricorso ad un nuovo decreto-legge, il cui testo  era  predisposto  in
 versione   diversa  da  quella  poi  emanata,  senza  fornire  alcuna
 indicazione sulle operazioni da porre concretamente  in  essere.  Con
 cio'  il  Ministro  potrebbe,  a  tutto  concedere,  avere  adempiuto
 all'onere di informazione  della  Conferenza  Stato-regioni  circa  i
 lineamenti  generali  della  politica  legislativa,  ma  certo non ha
 soddisfatto le prescrizioni della Corte  quanto  al  procedimento  di
 riduzione.   Il   che   e'  fattualmente  confermato  dalla  avvenuta
 predisposizione  di  un  bollettino,  non  ancora  pubblicato   dalle
 regioni, durante la elaborazione del quale le regioni, e in specie la
 ricorrente   e  le  altre  interessate  dai  tagli,  non  sono  state
 consultate ad alcun titolo.
   Ne' tale parere individuale potrebbe essere surrogato  da  sedi  di
 consultazione  collegiale  quali  il  Comitato  permanente  (v. a tal
 proposito la seduta del 25 gennaio 1995).
   La violazione del principio di  leale  collaborazione  non  conosce
 dunque soste ne' rallentamenti.