IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel procedimento penale a
 carico  di  Barboni  Lina,  nata  a  Comacchio  il  9   marzo   1957,
 elettivamente  domiciliata  presso  lo studio dell'avv. Vito Gallotta
 del foro di Ferrara, imputata, del reato p. e p. dall'art. 25,  primo
 comma,  del  d.P.R.  n.  915/1982,  perche',  in  qualita'  di legale
 rappresentante  della  S.E.V.I.,  senza  autorizzazione,   effettuava
 smaltimento  mediante  selezione  e  successiva  vendita  di  rifiuti
 speciali prodotti da terzi, costituiti da materiale di risulta.
   Accertato in Comacchio il 5 agosto 1993.
                                Osserva
   Il pretore ha sollevato questione di legittimita' costituzionale in
 ordine alla ipotesi di rilevanza e non manifesta  infondatezza  della
 questione di legittimita' del d.-l. 8 gennaio 1996, n. 8, nell'intero
 suo testo, per violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione, con
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
   Osserva il pretore che la questione appare non infondata e ritiene,
 pertanto,   di   dover  dichiarare  rilevante  e  non  manifestamente
 infondata, per violazione degli artt. 3, 25 e 77 della  Costituzione,
 la questione di legittimita' costituzionale del d.-l. 8 gennaio 1996,
 n. 8, nell'intero suo testo.
   A  tale  proposito,  si  rileva  quanto  segue:  nella  fattispecie
 concreta e' applicabile il d.-l. 8 gennaio 1996, n.  8  "Disposizioni
 in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione
 o  di  consumo  in  un  processo  produttivo  o  in  un  processo  di
 combustione,  nonche'  in  materia  di   smaltimento   dei   rifiuti,
 pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 6 del 9 gennaio 1996. Esso
 reitera,  nella  sostanza,  numerosi  precedenti  decreti-legge   non
 convertiti, l'ultimo dei quali e' il d.-l. 8 novembre 1995, n. 463.
   L'art.  25  del c.p.v.. della Costituzione fissa, tra gli altri, il
 principio della riserva di legge in materia penale.
   E' implicito in tale principio il fatto  che  tutte  le  scelte  di
 politica  criminale siano monopolio esclusivo del Parlamento, cio' in
 quanto la rappresentativita' del medesimo si  impone  quale  garanzia
 contro la commissione di arbitrii. Il potere legislativo e', infatti,
 un  centro  dialettico  della  maggioranza  e  delle  minoranze  e le
 decisioni prese si fondano sul dibattito parlamentare dopo vari vagli
 critici.
   L'ammissibilita' che nuove norme di diritto penale siano introdotte
 attraverso decreti  legislativi  o  decreti-legge  e'  connessa  alla
 circostanza  che,  in  entrambi  i casi, si realizzi e sia assicurato
 l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata.
   Rispetto ai decreti legislativi, il Parlamento conserva, attraverso
 la delegazione, la prerogativa della iniziativa e delle  fondamentali
 scelte  politiche,  con  controllo  della  Corte costituzionale anche
 sulla  conformita'  di  tali  atti   normativi   ai   criteri   della
 delegazione.  I decreti-legge sono, invece, provvedimenti provvisori,
 destinati, entro il termine di sessanta giorni previsto dall'art. 77,
 ultimo  comma,  della Costituzione, ad essere convertiti in legge o a
 perdere efficacia ex tunc.
   In  materia  penale  cio'   significa   che   ai   reati   commessi
 anteriormente  alla data di entrata in vigore di un decreto-legge non
 convertito,  si  applica  la  normativa  precedente,  in  quanto   un
 decreto-legge  non  convertito e' privo di effeto fin dall'inizio. La
 Corte costituzionale, con sentenza  19  febbraio  1985,  n.  51,  ha,
 infatti, dichiarato l'illegittimita' costituzionale, del quinto comma
 dell'art.  2  del  c.p.,  nella parte in cui rendeva applicabili alle
 ipotesi da esso previste (e cioe' al caso di mancata  conversione  di
 un  decreto-legge  recante  norme  piu'  favorevoli)  le disposizioni
 contenute nel secondo e terzo comma di tale articolo. Tale  questione
 rileva  poiche'  il  decreto-legge  in  oggetto  potrebbe  non essere
 convertito.
   Pertanto, alla luce di quanto sopra, il ricorso al decreto-legge in
 materia  penale  oltre  che  talora  inopportuno  in  relazione  alla
 complessita'  e  alla  delicatezza delle questioni trattate, presenta
 dei profili di incostituzionalita' per violazione del principio della
 riserva di legge, se e' fatto al di fuori dei rigorosi e straordinari
 estremi della necessita' ed urgenza. Lo stesso, inoltre,  essendo  in
 una  posizione  precaria,  puo'  far  venir  meno  le  garanzie della
 certezza del diritto.
   Si  osserva  che,   nella   materia   in   questione,   invece,   i
 decreti-legge,  con contenuto parzialmente diverso, si sono reiterati
 a catena per circa un anno, evidenziando, in modo palese, soprattutto
 con specifico riferimento all'ultimo dei decreti emanati, la  carenza
 dei  requisiti  della  "necessita'  ed  urgenza".  Ora se puo' essere
 opinabile il fatto che tali requisiti sussistessero rispetto al primo
 dei decreti emanati in subiecta materia, certamente essi sono  venuti
 meno  ad un anno di distanza e cioe' dopo un periodo di tempo tale da
 consentire la normale legiferazione del Parlamento in via ordinaria.
   Inoltre, con la  continua  ed  ininterrotta  reiterazione  di  vari
 decreti-legge   mai   convertiti  si  e'  realizzata,  di  fatto,  la
 sottrazione al Parlamento della sua esclusiva competenza e dispone in
 materia   penale,   con   l'inammissibile   assunzione    da    parte
 dell'esecutivo  del relativo potere di bilanciamento e di valutazione
 degli interessi che, in materia penale, e'  di  esclusiva  competenza
 dell'organo assembleare rappresentativo della sovranita' popolare.
   Ancora,  la  prassi della reiterazione dei decreti legge in materia
 penale, ha,  come  nella  specie,  la  conseguenza  di  sottrarre  al
 Parlamento la possibilita' prevista dall'art. 77, ultimo comma, della
 Costituzione  "di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla
 base dei decreti non convertiti". E' evidente che, se la reiterazione
 dei decreti nella stessa materia si protrae per un anno, si  potranno
 determinare  effetti  definitivi quale il giudicato, non modificabili
 in sede giudiziaria, con la conseguente gravissima  compressione  dei
 diritti  dei  singoli,  resa ancora piu' incisiva dalla disparita' di
 trattamento che potrebbe verificarsi ove due  fattispecie  identiche,
 ma   commesse   e/o   giudicate   sotto  la  vigenza  di  un  diverso
 decreto-legge, vengono diversamente giudicate.
   Dalle considerazioni esposte si desume che il presente giudizio non
 puo' essere definito, allo stato e vigenti i principi del d.-l.    n.
 8/1996  in  esame,  in  modo  indipendente  dalla  risoluzione  della
 questione di legittimita' costituzionale.